Ripetizioni molto particolari - 4
di
Lokrost
genere
dominazione
per commenti, critiche o altro lokrost@mail.com
buona lettura
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Luci stroboscopiche ti vedo non ti vedo
curve che si muovono mi siedo se no cado
le tue unghie rosse cercano il pacchetto
dentro nella borsa tra la cipria ed il rossetto
poi ne sfili una l’accendi piano piano
chiudi gli occhi un attimo avvolta da quel fumo
tutti qui ti osservano ma non vedi nessuno
guardi un po’ la gonna e poi l’accarezzi con la mano
Esattamente come nella canzone degli 883, Giada è quella bomba sexy che tutti ammirano in quella piccola discoteca di periferia.
Tutti la desiderano, tutti guardano quel corpo con bramosia, tutti desiderano una folle notte tra quelle gambe fasciate da fantastiche autoreggenti di pizzo nere.
Lei non vede però nessuno e quasi non sente la musica mentre beve il suo Cuba libre.
Giada è pensierosa, fuma quasi nervosamente mentre guarda i suoi amici ballare a centro pista.
Si, nervosamente.
Perché i suoi amici, sono due coppie di fidanzati e lei, come tutti i weekend, si trova a fare la “candela” della situazione.
Eppure, di cambiare amicizie non c’è verso. Quelle sono le sue migliori amiche con le quali si trova regolarmente quasi tutti i giorni della settimana.
Ma poi, il weekend, Giada non ha quasi voglia di uscire.
Ma poi, quando lo fa, si ritrova sempre al centro delle attenzioni di quasi tutti i maschietti.
Ma poi, quasi tutti questi maschietti, a parte “una botta e via” hanno ben poco da offrire.
Ma poi, ripensa alle sue ripetizioni settimanali.
E poi, qualcosa si fa sentire tra le sue gambe.
Deve stringerle, deve spingere una mano su esse, sulla sua gonna, tirare giù il suo drink tutto di un sorso e poi accendersi un’altra sigaretta.
– Ehi tu.. Ragazza! Un ragazzo ti ha offerto questo, prendi… -
Ad urlare, per farsi sentire con tutta questa musica, era il barista.
Sul bancone, così, spinto dalla mano dell’uomo, Giada si trova di fronte a un altro Cuba libre.
– Ma chi è stato a offrirmelo? – urlo, immaginandomi già qualche ubriacone che tra poco mi raggiungerà dicendo di essere il “padre eterno sceso in terra e tra tutte le donne, ha scelto proprio lei per i suoi piani divini“. Quando la realtà non è “divina” ma bensì “di-vino” a dettare i suoi desideri.
– Quel ragazzo all’angolo, quello con…. ma.. no, non c’è più… è andato via… – dice il barista cercandolo ora tra la folla ma senza alcun esito.
– Vabbè – dico alzando le spalle e tornando a guardare i miei amici ballare.
Il tempo passa e nessuno si fa vivo a riscuotere quel bicchiere offertomi.
Passo tutto il mio tempo seduta, mentre il pacchetto di sigarette si va esaurendo. Ripenso a mille cose, tra cui il mio ultimo ragazzo, i miei amici, alle ripetizioni, al lavoro di ripetizioni, alle ripetizioni, alle ripetizioni….
” Basta!!!! Giada!!! Bastaaa!!! ” mi urlo nella mente e bevo tutto di un sorso anche quest’altro drink.
Non passano nemmeno due minuti ed ecco di nuovo il barista che mi porge un altro drink.
– Il ragazzo è sparito anche sta volta…. mi spiace. Però ha lasciato questo biglietto per te. – dice il barista porgendomi un bigliettino scritto a mano.
Apro il piccolo foglietto e leggo il breve messaggio :
” Smetterai di fumare o ti dovrò far ubriacare per riuscirci ? “
Mi giro quindi verso la pista, accendo un’altra sigaretta e sorrido verso la folla che balla, mentre con gli occhi cerco qualche sorriso di ricambio.
Non vedo però nessun sorriso rivolto a me, tutti ballano e se sorridono, lo fanno in altra direzione.
A metà del drink inizio a sentirmi un po’ alticcia, la testa gira e la sigaretta inizia a nausearmi. Ancora a metà, la sbatto a terra svogliata e mi alzo dallo sgabello.
Tutto va bene, finché sono appoggiata al bancone. Ma appena provo a fare un passo verso la pista, le mie ginocchia cedono sotto l’effetto dell’alcool e quando sto per cadere rovinosamente a terra, due braccia raggiungono il mio corpo e attutiscono l’impatto con il suolo.
Il corpo sconosciuto, dopo aver pesato qualche secondo sul mio corpo, si riprende, trascinando nella risalita anche me.
Una volta tornati in piedi, il “salvatore” posizionato alle mie spalle, mi tiene per i fianchi, mentre una discreta quantità di curiosi, mi assale chiedendomi se sto bene, se mi sono fatta male, se mi serve qualcosa, se mi serve un passaggio per casa, ecc ecc…
Ma sempre quelle due mani sui miei fianchi, ora mi spingono verso la folla e sempre spingendo, mi fanno avanzare tra loro e poi ancora, fino al centro della pista e poi ancora, fino alla porta di uscita.
– Senti, no non mi pare il caso… Senti io ti ringrazio ma…. – cerco di dire mentre fermo la corsa.
Mi spinge ancora e io sta volta mi giro, pronta a dargli un sonoro ceffone.
– Ma allora non capisci? Io non voglio usc….. – però mi blocco d’improvviso.
Sotto la luce stroboscopica, tra un flash e l’altro delle luci a intermittenza, un viso familiare si rivela a me.
– Francesco!!! Ma che… – sorrido mentre prendo i suoi polsi cercando di staccarli dal mio corpo.
– Non ti sembra di aver esagerato? – mi domanda sorridendo.
– Ma va! Ho solo perso l’equilibrio per colpa dei tacchi. – cerco di arrampicarmi sui vetri.
– E quando invece hai tenuto le gambe spalancate per 10 minuti? Penso che tutta la pista abbia visto le tue mutandine rosse di pizzo e l’orlo delle tue autoreggenti. – dice lui portando fugacemente una mano sotto la minigonna, andando a toccarmi la pelle nuda, oltre l’orlo delle calze.
Mi mordo il labbro e guardo il ragazzo negli occhi mentre lui rimuove la mano.
– Hai la macchina? – mi domanda mentre torna a spingermi verso l’uscita.
– No sono venuta con dei miei amici – affermo mentre superiamo l’uscita, finendo all’aria aperta.
– Quelle due coppie che ti hanno lasciato praticamente appena siete arrivati ? – risponde quasi ridendo.
– Si proprio loro – affermo sorridendo
– Ma tu da quanto mi stavi fissando? – continuo a domandare.
Mi sorride, mi carezza una guancia e mentre io sorrido al suo tocco risponde :
– Dal momento che sei entrata da quella porta – dice indicandomi l’entrata della discoteca.
Faccio quindi una breve chiamata alla mia amica Clara e l’avverto che andrò a casa per conto mio.
Tutta preoccupata, mi chiede con chi me ne stia andando, chiede dove sia andata, chiede se stia bene.
La tranquillizzo subito, le dico che sono alticcia ma che sto bene e soprattutto le dico una sola parola, un nome.
– Francesco.
A quel nome, il ragazzo di fronte a me, spalanca gli occhi, si avvicina maggiormente per ascoltare meglio cosa dico al telefono.
A quel gesto sorrido guardandolo di sfuggita e poi girandomi di spalle, concludo la conversazione, salutando la mia amica.
– Cosa le hai detto di me? Cosa sa? – mi domanda curioso mentre mi raggiunge quasi correndo fino a tornare di fronte a me.
– Niente di che – dico alzando le spalle.
– Sai, siamo amiche del cuore – aggiungo sorridendo maliziosa.
– Non le avrai mica detto di noi? – mi domanda dubbioso.
– Chissà ?!?! – rispondo concludendo la discussione con una risata maligna.
A questo punto, barcollando vistosamente, mi dirigo verso la fermata dell’autobus, seguita da Francesco che non mi perde di vista un secondo.
Usciti dallo stretto vicolo di periferia, giriamo l’angolo e ci troviamo in una grossa statale a tre corsie. Le macchine passano a gran velocità, sfrecciano senza sosta mentre io barcollante raggiungo finalmente la panchina posta sotto la pensilina.
Mi butto con tutto il peso su quel freddo metallo e appena appoggio la schiena, la mia testa va a poggiarsi sul muro ruvido posto alle spalle.
Francesco mi continua a fissare e sorride.
Mi guardo intorno e non vedo passanti. Solo le macchine che sfrecciano veloci, riempiono questo posto.
Sorrido e mentre mi mordo un labbro, inizio piano piano ad allargare le gambe.
Lo fisso.
Ma ora lui non fissa più i miei occhi.
Fissa qualcos’altro
A mano a mano che apro le gambe, dai suoi pantaloni attillati, all’altezza del cavallo, inizia a mostrarsi un certo rigonfiamento.
L’eccitazione in me, a quel punto inizia a montare.
Sale, sale ancora e ancora di più quando le mie mani, dopo essersi posate sulle autoreggenti, salgono, portando con loro nella risalita anche la mia minigonna.
Salgono fino all’orlo delle autoreggenti e senza più guardare se ci sono passanti nei dintorni, quelle mani salgono ancora.
Si fermano sul mio perizoma, si fermano quando la mia gonna è ormai un rotolo di stoffa sulla mia pancia.
A questo punto le mani, entrano piano piano nelle mutandine.
Francesco rimane immobile, si guarda intorno terrorizzato, presumo dal possibile avvento di altre persone.
Me ne frego, le mie mani proseguono la loro corsa sul mio pube depilato, fino alla mia passerina umida.
Lo fisso tra le gambe, sogno quel cazzo e mentre due dita entrano in me, vedo la sagoma ora sfuocata, venirmi incontro.
“Adesso lo tirerà fuori, lo so. Chi cazzo se ne frega se siamo in mezzo alla strada. Lo voglio. Si eccolo. Tiralo fuori dai ” dico nella mia mente, mentre apro le labbra, quasi come se mi stessi preparando a riceverlo in bocca.
Ma poi…
Quando è di fronte a me, quelle mani mi prendono di peso e mi alzano.
Mi levano le mani dalla mia intimità, mi risistemano la gonna e mi trascinano a bordo strada.
Sto quasi per notificare il mio malessere, il mio disappunto. Ma poi, vedo in lontananza una sagoma grossa con una scritta luminosa…
” Un numero.. Forse la mia via… si il capolinea con la mia via… si il bus!! ” – dico nella mia mente mentre barcollante, sostenuta dal ragazzo, allungo una mano verso la strada sventolandola.
Il mezzo a quel punto, mette la freccia a destra e piano piano si ferma davanti a noi.
Immagino con notevole fatica, Francesco mi trascina letteralmente nell’autobus mentre io perdo le mie forze minuto dopo minuto, sempre di più.
Una volta seduti, mi giro verso di lui e per la prima volta gli schiocco un bacio sulla guancia.
Arrossisce, si tocca la guancia, mi guarda e sorride prima di avvicinarsi a me.
Piano piano, il suo viso si avvicina al mio, piano piano le sue labbra si dividono.
Le distanze dei nostri volti si accorciano sempre di più.
Posso sentire il suo fiato e lui il mio.
Posso sentire la sua voglia, la sua eccitazione e lui la mia.
Ne sono sicura.
Potrebbe baciarmi, può baciarmi.
Lo sta per fare.
Ecco però che la mia mano raggiunge le sue labbra, le copre ed io avvicinandomi rapidamente, bacio le mie dita rumorosamente.
– Maialino. – rido maliziosa mentre mi allontano da lui.
Lo sento sbuffare e di sfuggita però, lo vedo sorridere.
– Ma almeno sai dov’è casa mia? – domando.
– Certo, mi ricordo l’altra settimana, quando andando dal gelataio, mi avevi mostrato il portone. – sorrido e mi appoggio alla sua spalla mentre con pigrizia, vado a massaggiare il pacco gonfio tra le sue gambe.
Lo vedo, mentre sbircia la mia scollatura.
Lo vedo anche mentre sbircia le mie cosce scoperte e l’orlo in vista delle autoreggenti.
Al ché azzardo, dopo una breve occhiata attorno, non essendoci altri passeggeri, la mia mano si fa più audace, entrando in quei pantaloni tanto stretti ed una volta raggiunto il suo cazzo ormai in piena erezione, lo stringo con forza e inizio un lentissimo su e giù.
Faccio su e giù a lungo, mentre altrettanto lungo è il tragitto, così lungo che ad un certo punto la mia mano si ferma e il mio cervello va in blackout.
Dopo non so quanto tempo, due mani che mi alzano di peso, mi svegliano dal sonno.
Riprendo le forze e il controllo, mentre Francesco mi sta nuovamente trascinando fuori dall’autobus.
– Scusami. Sono un disastro sta sera. – dico quasi mortificata.
Davanti al portone di casa però, riprendo vagamente le forze.
Cerco nella mia borsetta le chiavi di casa e finalmente apro il grosso portone.
– Se vuoi salire, avrei bisogno di una mano, non so se riesco da sola. – gli dico appoggiandomi allo stipite.
Mi guarda e poi guarda il palazzo.
– Ma.. i tuoi ? – domanda preoccupato.
– Tranquillo. Mio padre è sparito da anni con una cubana, mentre mia madre questa settimana fa il turno di notte – rispondo sorridendo.
– Ahh.. Beh, mi spiace per tuo padre.. io non volevo – cerca di scusarsi.
– Non ti preoccupare – rispondo mentre lo trascino all’interno.
Una volta chiusa la porta alle nostre spalle, lo sbatto contro a essa e poi, allontanandomi, alzo la gonna fino in vita e presi i lembi del perizoma, li allargo fissandolo.
“Alle tre di notte di sabato, sono sicura che nessuno passerà per queste scale.” penso tra me, prima di lasciar cadere a terra quel piccolo triangolino di stoffa.
Finalmente, alla vista di Francesco si mostra l’oggetto dei suoi desideri, toccato, baciato, penetrato, leccato, ma mai prima d’ora visto con i propri occhi.
Sorride e l’eccitazione è sempre più palese e sempre più viva nell’aria.
Le soffici labbra di quello splendido frutto proibito sono umide e invitanti agli occhi del giovane.
Quelle soffici labbra, sono un invito.
Quelle soffici labbra, sono un premio.
Quelle soffici labbra, sono una vittoria.
Una vittoria che viene nuovamente sfatata, da quella gonna, che torna inesorabilmente a coprire quella visione libidinosa e paradisiaca.
– Forse è meglio che brucio un po’ di alcool e faccio le scale. Potresti starmi dietro? Sai, nel caso perda l’equilibrio. – dico sorridendo.
– Non guardare troppo però – aggiungo maliziosamente, mentre lo vedo raccogliere da terra il mio perizoma.
Sorrido ancora di più, mentre salendo le scale, sporgo il più possibile il mio culetto, facendo vedere l’orlo delle autoreggenti. Ed ancora, sorrido, quando faccio due gradini per volta, allargando la gonna, a tal punto, da rendere visibile anche la mia patatina all’ormai sovreccitato Francesco.
Infine, eccoci al mio piano.
– Ci siamo. Eccoci. Ma, aspetta un attimo. Ho un prurito – dico proprio all’ultimo scalino, con il viso di Francesco a pochi centimetri dal mio culetto.
Alzo la gonna, centimetro dopo centimetro, con calma, fino alla vita, rivelando così il culo nudo.
Le mie mani, vanno quindi alle chiappe e dopo averle prese saldamente, vengono allargate, mostrando così agli occhi di Francesco, il secondo buchino.
– Ho per caso qualche ricrescita? Sento un certo prurito.. Sai… Fastidioso… – dico mentre, girando la testa, guardo il suo viso quasi paonazzo.
– Nnnn.. nnno, non mi sembra… – risponde quasi a fatica mentre con una mano si stringe il cazzo da sopra i pantaloni.
– Hmmm. Come non detto, ho immaginato male – rispondo tornando a coprire tutto con la minigonna e riprendendo il percorso verso la porta di casa.
Sempre con molta fatica, riesco ad aprire anche la porta di casa.
– Se devi andare al bagno è lì a destra, se vuoi mangiare cercati la cucina, se vuoi dormire vai a casa o dormi con me. Fai tutto quello che vuoi! – mentre gli faccio tutta questa lista, ancora in corridoio mi sfilo la maglietta sbattendola a terra.
Nel mentre poi che varco la soglia di camera, la gonna cade a terra.
Ovviamente, nessun reggiseno copre i miei seni.
Francesco è rimasto impalato sull’entrata, godendosi la scena.
– Vuoi continuare a stare lì, oppure mi aiuti a togliermi ste maledette scarpe? - rispondo mentre mi butto di pancia sul letto.
Silenziosamente, sento i passi avvicinarsi, entrare in camera e poi fermarsi davanti il mio letto.
Lo sento abbassarsi.
Una sua mano, soffice, gentile, leggera, sfiora la mia schiena.
Scende alle mie natiche, ne percorre su e giù ogni singolo millimetro, quasi con cura di toccarle in tutta la loro superficie e poi scendono fino all’orlo delle autoreggenti e poi, scendono ancora, portandosi con sé quelle stupende calze tutte ricamate in pizzo.
Finalmente poi, con calma, le scarpe mi vengono tolte e subito dopo, anche le calze.
Sono nuda, totalmente nuda con un ragazzo che ormai credo desideri tutto di me.
Quel ragazzo che ora mi massaggia con dolcezza i piedi, le caviglie, i polpacci.
Quel ragazzo che non osa insinuarsi tra le mie gambe anche quando le allargo leggermente.
Quel ragazzo che non cerca di usare la mia bocca con il suo cazzo, oppure il mio culo, oppure ancora la mia passera tutta bagnata e vogliosa.
Dopo un po’, si alza, mi sistema meglio sul letto quando ormai, sto entrando nel coma più profondo.
Ho voglia di venire, ma la voglia di dormire, la stanchezza e l’alcool fanno il loro effetto.
Sento solo più una presenza, al mio fianco.
Un leggero respiro sul mio viso e poi più niente.
Mi sveglio a pomeriggio inoltrato coperta da un lenzuolo leggero.
Affianco a me, nessuno.
I vestiti della notte, sono tutti piegati e riposti ordinatamente sulla sedia affianco al letto.
Su di essi, un biglietto.
“Ho dormito splendidamente, vicino a te.
Spero si possa ripetere ancora, ma quando avrai smaltito l’alcool.
Ti aspetto per le mie ripetizioni.
Ti adoro. “
Nessuna firma…
Non ha bisogno di firme…
“Peccato però, potevamo giocare ed invece, uff.. ” – mi dico mentre un dito massaggia il clitoride ed un altro inizia a entrare e uscire lentamente dalla mia passera umidiccia.
Mi masturbo e penso a lui.
Mi masturbo e penso alla sua lingua sul mio clitoride.
Mi masturbo e penso al suo cazzo.
Al suo cazzo nella mia bocca.
Tra le mie mani.
Tra le mie tette.
Nella mia patatina..
Nel mio…..
– Aahhhhhh!!!! Vengo cazzooo… – sussurro venendo nelle mie mani.
È lunedì pomeriggio e fa veramente caldo.
Francesco è ormai in vacanza pre-esami e deve studiare molto per prepararsi.
“Oggi voglio fare un nuovo giochetto ” penso divertita mentre raggiungo casa sua.
– Ma ciao Giada! Come stai? Oggi sono rimasta a casa tutto il giorno, non sai che relax! –
Ad accogliermi appena varco la soglia di casa è Franca, la madre di Francesco.
Quando inizia a parlare è una macchinetta e senza sosta continua, senza lasciarti manco il tempo di ribattere.
– Sai, questa settimana penso che tu possa stare tranquilla a casa. Tanto vedo che Francesco studia senza sosta e con i tuoi insegnamenti, credo abbia ormai capito come ricordarsi tutto! – mi dice sorridendo.
” No cazzo, questo no, io devo vederlo! Voglio vederlo! Merda… Voglio portare avanti i miei piani!”
– Ma Franca, in realtà Francesco avrebbe ancora molte cose da imparare, molte altre da ricordarsi e poi ha bisogno di me. Temo non sia ancora totalmente pronto per continuare da solo. – ribatto con la faccia preoccupata.
– Ma nooo. Che dici! Figurati, ormai ha imparato sicuramente e poi è giusto che provi anche un po da solo. – dice senza mostrare alcuna preoccupazione.
Poi però continua :
– Però, una cosa vorrei la facessi. Venerdì sera ci sono finalmente le pagelle e quindi si potrà richiedere qualche colloquio finale con i professori e sapremo anche se Francesco è accettato per la maturità – fa una pausa e riprende – Vorrei venissi con me e se hai dubbi o domande da fare ai professori, puoi andare tranquillamente al mio posto. Così saprai sicuramente aiutare Francesco. – conclude sorridente.
– Ah, capisco, beh, grazie. Ma sei sicura che sarò adatta? Io non saprei. – domando dubbiosa
– Ma va, figurati, vai benissimo e saprai sicuramente parlare con i professori. – ora dice ridacchiando.
Poi mi squadra, immagino valutando il mio “striminzito” abbigliamento.
– Deve fare proprio caldo fuori, vero? – mi domanda senza staccare gli occhi, quasi a voler vedere cosa c’è sotto.
In effetti, mi ero preparata per un giochetto interessante da fare.
Infradito, un cortissimo top nero e largo che terminava poco sotto le tette, lasciando completamente scoperta la mia pancia e a completare il tutto, una gonna di jeans elastica a livello vita e terminante poco sotto le chiappe. Questo era il mio abbigliamento di oggi.
Ovviamente ero priva di intimo, pronta a giocare con lo “studentello”.
– Ah, si, molto caldo! Ma Francesco è a casa? – domando con il viso paonazzo per l’imbarazzo.
– No, l’ho mandato a fare qualche commissione, arriverà tra un’oretta penso, devi chiedergli qualcosa? Vuoi aspettarlo e nel mentre facciamo due chiacchiere? – mi domanda
– Ma, no niente di particolare. No grazie. Vado a casa allora e torno venerdì – rispondo ancora imbarazzata.
” Figurati, se mi siedo questa si accorge subito che non porto le mutandine ” penso, pronta a fuggire prima di essere scoperta.
– Bene, allora a venerdì! Vieni qui per le cinque e andremo assieme. – mi ordina seria e decisa.
La saluto e me ne torno a casa delusa e ancora piena di voglia che non ho potuto sfogare.
“Che tortura questa settimana” pensai mercoledì, mentre mi sditalinavo immaginandomi lui.
Venerdì.
Un giorno indimenticabile! Purtroppo!
“Da dimenticare proprio! Oppure no? ” – Pensai il sabato sera, ripresa dallo stato “comatoso”.
buona lettura
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Luci stroboscopiche ti vedo non ti vedo
curve che si muovono mi siedo se no cado
le tue unghie rosse cercano il pacchetto
dentro nella borsa tra la cipria ed il rossetto
poi ne sfili una l’accendi piano piano
chiudi gli occhi un attimo avvolta da quel fumo
tutti qui ti osservano ma non vedi nessuno
guardi un po’ la gonna e poi l’accarezzi con la mano
Esattamente come nella canzone degli 883, Giada è quella bomba sexy che tutti ammirano in quella piccola discoteca di periferia.
Tutti la desiderano, tutti guardano quel corpo con bramosia, tutti desiderano una folle notte tra quelle gambe fasciate da fantastiche autoreggenti di pizzo nere.
Lei non vede però nessuno e quasi non sente la musica mentre beve il suo Cuba libre.
Giada è pensierosa, fuma quasi nervosamente mentre guarda i suoi amici ballare a centro pista.
Si, nervosamente.
Perché i suoi amici, sono due coppie di fidanzati e lei, come tutti i weekend, si trova a fare la “candela” della situazione.
Eppure, di cambiare amicizie non c’è verso. Quelle sono le sue migliori amiche con le quali si trova regolarmente quasi tutti i giorni della settimana.
Ma poi, il weekend, Giada non ha quasi voglia di uscire.
Ma poi, quando lo fa, si ritrova sempre al centro delle attenzioni di quasi tutti i maschietti.
Ma poi, quasi tutti questi maschietti, a parte “una botta e via” hanno ben poco da offrire.
Ma poi, ripensa alle sue ripetizioni settimanali.
E poi, qualcosa si fa sentire tra le sue gambe.
Deve stringerle, deve spingere una mano su esse, sulla sua gonna, tirare giù il suo drink tutto di un sorso e poi accendersi un’altra sigaretta.
– Ehi tu.. Ragazza! Un ragazzo ti ha offerto questo, prendi… -
Ad urlare, per farsi sentire con tutta questa musica, era il barista.
Sul bancone, così, spinto dalla mano dell’uomo, Giada si trova di fronte a un altro Cuba libre.
– Ma chi è stato a offrirmelo? – urlo, immaginandomi già qualche ubriacone che tra poco mi raggiungerà dicendo di essere il “padre eterno sceso in terra e tra tutte le donne, ha scelto proprio lei per i suoi piani divini“. Quando la realtà non è “divina” ma bensì “di-vino” a dettare i suoi desideri.
– Quel ragazzo all’angolo, quello con…. ma.. no, non c’è più… è andato via… – dice il barista cercandolo ora tra la folla ma senza alcun esito.
– Vabbè – dico alzando le spalle e tornando a guardare i miei amici ballare.
Il tempo passa e nessuno si fa vivo a riscuotere quel bicchiere offertomi.
Passo tutto il mio tempo seduta, mentre il pacchetto di sigarette si va esaurendo. Ripenso a mille cose, tra cui il mio ultimo ragazzo, i miei amici, alle ripetizioni, al lavoro di ripetizioni, alle ripetizioni, alle ripetizioni….
” Basta!!!! Giada!!! Bastaaa!!! ” mi urlo nella mente e bevo tutto di un sorso anche quest’altro drink.
Non passano nemmeno due minuti ed ecco di nuovo il barista che mi porge un altro drink.
– Il ragazzo è sparito anche sta volta…. mi spiace. Però ha lasciato questo biglietto per te. – dice il barista porgendomi un bigliettino scritto a mano.
Apro il piccolo foglietto e leggo il breve messaggio :
” Smetterai di fumare o ti dovrò far ubriacare per riuscirci ? “
Mi giro quindi verso la pista, accendo un’altra sigaretta e sorrido verso la folla che balla, mentre con gli occhi cerco qualche sorriso di ricambio.
Non vedo però nessun sorriso rivolto a me, tutti ballano e se sorridono, lo fanno in altra direzione.
A metà del drink inizio a sentirmi un po’ alticcia, la testa gira e la sigaretta inizia a nausearmi. Ancora a metà, la sbatto a terra svogliata e mi alzo dallo sgabello.
Tutto va bene, finché sono appoggiata al bancone. Ma appena provo a fare un passo verso la pista, le mie ginocchia cedono sotto l’effetto dell’alcool e quando sto per cadere rovinosamente a terra, due braccia raggiungono il mio corpo e attutiscono l’impatto con il suolo.
Il corpo sconosciuto, dopo aver pesato qualche secondo sul mio corpo, si riprende, trascinando nella risalita anche me.
Una volta tornati in piedi, il “salvatore” posizionato alle mie spalle, mi tiene per i fianchi, mentre una discreta quantità di curiosi, mi assale chiedendomi se sto bene, se mi sono fatta male, se mi serve qualcosa, se mi serve un passaggio per casa, ecc ecc…
Ma sempre quelle due mani sui miei fianchi, ora mi spingono verso la folla e sempre spingendo, mi fanno avanzare tra loro e poi ancora, fino al centro della pista e poi ancora, fino alla porta di uscita.
– Senti, no non mi pare il caso… Senti io ti ringrazio ma…. – cerco di dire mentre fermo la corsa.
Mi spinge ancora e io sta volta mi giro, pronta a dargli un sonoro ceffone.
– Ma allora non capisci? Io non voglio usc….. – però mi blocco d’improvviso.
Sotto la luce stroboscopica, tra un flash e l’altro delle luci a intermittenza, un viso familiare si rivela a me.
– Francesco!!! Ma che… – sorrido mentre prendo i suoi polsi cercando di staccarli dal mio corpo.
– Non ti sembra di aver esagerato? – mi domanda sorridendo.
– Ma va! Ho solo perso l’equilibrio per colpa dei tacchi. – cerco di arrampicarmi sui vetri.
– E quando invece hai tenuto le gambe spalancate per 10 minuti? Penso che tutta la pista abbia visto le tue mutandine rosse di pizzo e l’orlo delle tue autoreggenti. – dice lui portando fugacemente una mano sotto la minigonna, andando a toccarmi la pelle nuda, oltre l’orlo delle calze.
Mi mordo il labbro e guardo il ragazzo negli occhi mentre lui rimuove la mano.
– Hai la macchina? – mi domanda mentre torna a spingermi verso l’uscita.
– No sono venuta con dei miei amici – affermo mentre superiamo l’uscita, finendo all’aria aperta.
– Quelle due coppie che ti hanno lasciato praticamente appena siete arrivati ? – risponde quasi ridendo.
– Si proprio loro – affermo sorridendo
– Ma tu da quanto mi stavi fissando? – continuo a domandare.
Mi sorride, mi carezza una guancia e mentre io sorrido al suo tocco risponde :
– Dal momento che sei entrata da quella porta – dice indicandomi l’entrata della discoteca.
Faccio quindi una breve chiamata alla mia amica Clara e l’avverto che andrò a casa per conto mio.
Tutta preoccupata, mi chiede con chi me ne stia andando, chiede dove sia andata, chiede se stia bene.
La tranquillizzo subito, le dico che sono alticcia ma che sto bene e soprattutto le dico una sola parola, un nome.
– Francesco.
A quel nome, il ragazzo di fronte a me, spalanca gli occhi, si avvicina maggiormente per ascoltare meglio cosa dico al telefono.
A quel gesto sorrido guardandolo di sfuggita e poi girandomi di spalle, concludo la conversazione, salutando la mia amica.
– Cosa le hai detto di me? Cosa sa? – mi domanda curioso mentre mi raggiunge quasi correndo fino a tornare di fronte a me.
– Niente di che – dico alzando le spalle.
– Sai, siamo amiche del cuore – aggiungo sorridendo maliziosa.
– Non le avrai mica detto di noi? – mi domanda dubbioso.
– Chissà ?!?! – rispondo concludendo la discussione con una risata maligna.
A questo punto, barcollando vistosamente, mi dirigo verso la fermata dell’autobus, seguita da Francesco che non mi perde di vista un secondo.
Usciti dallo stretto vicolo di periferia, giriamo l’angolo e ci troviamo in una grossa statale a tre corsie. Le macchine passano a gran velocità, sfrecciano senza sosta mentre io barcollante raggiungo finalmente la panchina posta sotto la pensilina.
Mi butto con tutto il peso su quel freddo metallo e appena appoggio la schiena, la mia testa va a poggiarsi sul muro ruvido posto alle spalle.
Francesco mi continua a fissare e sorride.
Mi guardo intorno e non vedo passanti. Solo le macchine che sfrecciano veloci, riempiono questo posto.
Sorrido e mentre mi mordo un labbro, inizio piano piano ad allargare le gambe.
Lo fisso.
Ma ora lui non fissa più i miei occhi.
Fissa qualcos’altro
A mano a mano che apro le gambe, dai suoi pantaloni attillati, all’altezza del cavallo, inizia a mostrarsi un certo rigonfiamento.
L’eccitazione in me, a quel punto inizia a montare.
Sale, sale ancora e ancora di più quando le mie mani, dopo essersi posate sulle autoreggenti, salgono, portando con loro nella risalita anche la mia minigonna.
Salgono fino all’orlo delle autoreggenti e senza più guardare se ci sono passanti nei dintorni, quelle mani salgono ancora.
Si fermano sul mio perizoma, si fermano quando la mia gonna è ormai un rotolo di stoffa sulla mia pancia.
A questo punto le mani, entrano piano piano nelle mutandine.
Francesco rimane immobile, si guarda intorno terrorizzato, presumo dal possibile avvento di altre persone.
Me ne frego, le mie mani proseguono la loro corsa sul mio pube depilato, fino alla mia passerina umida.
Lo fisso tra le gambe, sogno quel cazzo e mentre due dita entrano in me, vedo la sagoma ora sfuocata, venirmi incontro.
“Adesso lo tirerà fuori, lo so. Chi cazzo se ne frega se siamo in mezzo alla strada. Lo voglio. Si eccolo. Tiralo fuori dai ” dico nella mia mente, mentre apro le labbra, quasi come se mi stessi preparando a riceverlo in bocca.
Ma poi…
Quando è di fronte a me, quelle mani mi prendono di peso e mi alzano.
Mi levano le mani dalla mia intimità, mi risistemano la gonna e mi trascinano a bordo strada.
Sto quasi per notificare il mio malessere, il mio disappunto. Ma poi, vedo in lontananza una sagoma grossa con una scritta luminosa…
” Un numero.. Forse la mia via… si il capolinea con la mia via… si il bus!! ” – dico nella mia mente mentre barcollante, sostenuta dal ragazzo, allungo una mano verso la strada sventolandola.
Il mezzo a quel punto, mette la freccia a destra e piano piano si ferma davanti a noi.
Immagino con notevole fatica, Francesco mi trascina letteralmente nell’autobus mentre io perdo le mie forze minuto dopo minuto, sempre di più.
Una volta seduti, mi giro verso di lui e per la prima volta gli schiocco un bacio sulla guancia.
Arrossisce, si tocca la guancia, mi guarda e sorride prima di avvicinarsi a me.
Piano piano, il suo viso si avvicina al mio, piano piano le sue labbra si dividono.
Le distanze dei nostri volti si accorciano sempre di più.
Posso sentire il suo fiato e lui il mio.
Posso sentire la sua voglia, la sua eccitazione e lui la mia.
Ne sono sicura.
Potrebbe baciarmi, può baciarmi.
Lo sta per fare.
Ecco però che la mia mano raggiunge le sue labbra, le copre ed io avvicinandomi rapidamente, bacio le mie dita rumorosamente.
– Maialino. – rido maliziosa mentre mi allontano da lui.
Lo sento sbuffare e di sfuggita però, lo vedo sorridere.
– Ma almeno sai dov’è casa mia? – domando.
– Certo, mi ricordo l’altra settimana, quando andando dal gelataio, mi avevi mostrato il portone. – sorrido e mi appoggio alla sua spalla mentre con pigrizia, vado a massaggiare il pacco gonfio tra le sue gambe.
Lo vedo, mentre sbircia la mia scollatura.
Lo vedo anche mentre sbircia le mie cosce scoperte e l’orlo in vista delle autoreggenti.
Al ché azzardo, dopo una breve occhiata attorno, non essendoci altri passeggeri, la mia mano si fa più audace, entrando in quei pantaloni tanto stretti ed una volta raggiunto il suo cazzo ormai in piena erezione, lo stringo con forza e inizio un lentissimo su e giù.
Faccio su e giù a lungo, mentre altrettanto lungo è il tragitto, così lungo che ad un certo punto la mia mano si ferma e il mio cervello va in blackout.
Dopo non so quanto tempo, due mani che mi alzano di peso, mi svegliano dal sonno.
Riprendo le forze e il controllo, mentre Francesco mi sta nuovamente trascinando fuori dall’autobus.
– Scusami. Sono un disastro sta sera. – dico quasi mortificata.
Davanti al portone di casa però, riprendo vagamente le forze.
Cerco nella mia borsetta le chiavi di casa e finalmente apro il grosso portone.
– Se vuoi salire, avrei bisogno di una mano, non so se riesco da sola. – gli dico appoggiandomi allo stipite.
Mi guarda e poi guarda il palazzo.
– Ma.. i tuoi ? – domanda preoccupato.
– Tranquillo. Mio padre è sparito da anni con una cubana, mentre mia madre questa settimana fa il turno di notte – rispondo sorridendo.
– Ahh.. Beh, mi spiace per tuo padre.. io non volevo – cerca di scusarsi.
– Non ti preoccupare – rispondo mentre lo trascino all’interno.
Una volta chiusa la porta alle nostre spalle, lo sbatto contro a essa e poi, allontanandomi, alzo la gonna fino in vita e presi i lembi del perizoma, li allargo fissandolo.
“Alle tre di notte di sabato, sono sicura che nessuno passerà per queste scale.” penso tra me, prima di lasciar cadere a terra quel piccolo triangolino di stoffa.
Finalmente, alla vista di Francesco si mostra l’oggetto dei suoi desideri, toccato, baciato, penetrato, leccato, ma mai prima d’ora visto con i propri occhi.
Sorride e l’eccitazione è sempre più palese e sempre più viva nell’aria.
Le soffici labbra di quello splendido frutto proibito sono umide e invitanti agli occhi del giovane.
Quelle soffici labbra, sono un invito.
Quelle soffici labbra, sono un premio.
Quelle soffici labbra, sono una vittoria.
Una vittoria che viene nuovamente sfatata, da quella gonna, che torna inesorabilmente a coprire quella visione libidinosa e paradisiaca.
– Forse è meglio che brucio un po’ di alcool e faccio le scale. Potresti starmi dietro? Sai, nel caso perda l’equilibrio. – dico sorridendo.
– Non guardare troppo però – aggiungo maliziosamente, mentre lo vedo raccogliere da terra il mio perizoma.
Sorrido ancora di più, mentre salendo le scale, sporgo il più possibile il mio culetto, facendo vedere l’orlo delle autoreggenti. Ed ancora, sorrido, quando faccio due gradini per volta, allargando la gonna, a tal punto, da rendere visibile anche la mia patatina all’ormai sovreccitato Francesco.
Infine, eccoci al mio piano.
– Ci siamo. Eccoci. Ma, aspetta un attimo. Ho un prurito – dico proprio all’ultimo scalino, con il viso di Francesco a pochi centimetri dal mio culetto.
Alzo la gonna, centimetro dopo centimetro, con calma, fino alla vita, rivelando così il culo nudo.
Le mie mani, vanno quindi alle chiappe e dopo averle prese saldamente, vengono allargate, mostrando così agli occhi di Francesco, il secondo buchino.
– Ho per caso qualche ricrescita? Sento un certo prurito.. Sai… Fastidioso… – dico mentre, girando la testa, guardo il suo viso quasi paonazzo.
– Nnnn.. nnno, non mi sembra… – risponde quasi a fatica mentre con una mano si stringe il cazzo da sopra i pantaloni.
– Hmmm. Come non detto, ho immaginato male – rispondo tornando a coprire tutto con la minigonna e riprendendo il percorso verso la porta di casa.
Sempre con molta fatica, riesco ad aprire anche la porta di casa.
– Se devi andare al bagno è lì a destra, se vuoi mangiare cercati la cucina, se vuoi dormire vai a casa o dormi con me. Fai tutto quello che vuoi! – mentre gli faccio tutta questa lista, ancora in corridoio mi sfilo la maglietta sbattendola a terra.
Nel mentre poi che varco la soglia di camera, la gonna cade a terra.
Ovviamente, nessun reggiseno copre i miei seni.
Francesco è rimasto impalato sull’entrata, godendosi la scena.
– Vuoi continuare a stare lì, oppure mi aiuti a togliermi ste maledette scarpe? - rispondo mentre mi butto di pancia sul letto.
Silenziosamente, sento i passi avvicinarsi, entrare in camera e poi fermarsi davanti il mio letto.
Lo sento abbassarsi.
Una sua mano, soffice, gentile, leggera, sfiora la mia schiena.
Scende alle mie natiche, ne percorre su e giù ogni singolo millimetro, quasi con cura di toccarle in tutta la loro superficie e poi scendono fino all’orlo delle autoreggenti e poi, scendono ancora, portandosi con sé quelle stupende calze tutte ricamate in pizzo.
Finalmente poi, con calma, le scarpe mi vengono tolte e subito dopo, anche le calze.
Sono nuda, totalmente nuda con un ragazzo che ormai credo desideri tutto di me.
Quel ragazzo che ora mi massaggia con dolcezza i piedi, le caviglie, i polpacci.
Quel ragazzo che non osa insinuarsi tra le mie gambe anche quando le allargo leggermente.
Quel ragazzo che non cerca di usare la mia bocca con il suo cazzo, oppure il mio culo, oppure ancora la mia passera tutta bagnata e vogliosa.
Dopo un po’, si alza, mi sistema meglio sul letto quando ormai, sto entrando nel coma più profondo.
Ho voglia di venire, ma la voglia di dormire, la stanchezza e l’alcool fanno il loro effetto.
Sento solo più una presenza, al mio fianco.
Un leggero respiro sul mio viso e poi più niente.
Mi sveglio a pomeriggio inoltrato coperta da un lenzuolo leggero.
Affianco a me, nessuno.
I vestiti della notte, sono tutti piegati e riposti ordinatamente sulla sedia affianco al letto.
Su di essi, un biglietto.
“Ho dormito splendidamente, vicino a te.
Spero si possa ripetere ancora, ma quando avrai smaltito l’alcool.
Ti aspetto per le mie ripetizioni.
Ti adoro. “
Nessuna firma…
Non ha bisogno di firme…
“Peccato però, potevamo giocare ed invece, uff.. ” – mi dico mentre un dito massaggia il clitoride ed un altro inizia a entrare e uscire lentamente dalla mia passera umidiccia.
Mi masturbo e penso a lui.
Mi masturbo e penso alla sua lingua sul mio clitoride.
Mi masturbo e penso al suo cazzo.
Al suo cazzo nella mia bocca.
Tra le mie mani.
Tra le mie tette.
Nella mia patatina..
Nel mio…..
– Aahhhhhh!!!! Vengo cazzooo… – sussurro venendo nelle mie mani.
È lunedì pomeriggio e fa veramente caldo.
Francesco è ormai in vacanza pre-esami e deve studiare molto per prepararsi.
“Oggi voglio fare un nuovo giochetto ” penso divertita mentre raggiungo casa sua.
– Ma ciao Giada! Come stai? Oggi sono rimasta a casa tutto il giorno, non sai che relax! –
Ad accogliermi appena varco la soglia di casa è Franca, la madre di Francesco.
Quando inizia a parlare è una macchinetta e senza sosta continua, senza lasciarti manco il tempo di ribattere.
– Sai, questa settimana penso che tu possa stare tranquilla a casa. Tanto vedo che Francesco studia senza sosta e con i tuoi insegnamenti, credo abbia ormai capito come ricordarsi tutto! – mi dice sorridendo.
” No cazzo, questo no, io devo vederlo! Voglio vederlo! Merda… Voglio portare avanti i miei piani!”
– Ma Franca, in realtà Francesco avrebbe ancora molte cose da imparare, molte altre da ricordarsi e poi ha bisogno di me. Temo non sia ancora totalmente pronto per continuare da solo. – ribatto con la faccia preoccupata.
– Ma nooo. Che dici! Figurati, ormai ha imparato sicuramente e poi è giusto che provi anche un po da solo. – dice senza mostrare alcuna preoccupazione.
Poi però continua :
– Però, una cosa vorrei la facessi. Venerdì sera ci sono finalmente le pagelle e quindi si potrà richiedere qualche colloquio finale con i professori e sapremo anche se Francesco è accettato per la maturità – fa una pausa e riprende – Vorrei venissi con me e se hai dubbi o domande da fare ai professori, puoi andare tranquillamente al mio posto. Così saprai sicuramente aiutare Francesco. – conclude sorridente.
– Ah, capisco, beh, grazie. Ma sei sicura che sarò adatta? Io non saprei. – domando dubbiosa
– Ma va, figurati, vai benissimo e saprai sicuramente parlare con i professori. – ora dice ridacchiando.
Poi mi squadra, immagino valutando il mio “striminzito” abbigliamento.
– Deve fare proprio caldo fuori, vero? – mi domanda senza staccare gli occhi, quasi a voler vedere cosa c’è sotto.
In effetti, mi ero preparata per un giochetto interessante da fare.
Infradito, un cortissimo top nero e largo che terminava poco sotto le tette, lasciando completamente scoperta la mia pancia e a completare il tutto, una gonna di jeans elastica a livello vita e terminante poco sotto le chiappe. Questo era il mio abbigliamento di oggi.
Ovviamente ero priva di intimo, pronta a giocare con lo “studentello”.
– Ah, si, molto caldo! Ma Francesco è a casa? – domando con il viso paonazzo per l’imbarazzo.
– No, l’ho mandato a fare qualche commissione, arriverà tra un’oretta penso, devi chiedergli qualcosa? Vuoi aspettarlo e nel mentre facciamo due chiacchiere? – mi domanda
– Ma, no niente di particolare. No grazie. Vado a casa allora e torno venerdì – rispondo ancora imbarazzata.
” Figurati, se mi siedo questa si accorge subito che non porto le mutandine ” penso, pronta a fuggire prima di essere scoperta.
– Bene, allora a venerdì! Vieni qui per le cinque e andremo assieme. – mi ordina seria e decisa.
La saluto e me ne torno a casa delusa e ancora piena di voglia che non ho potuto sfogare.
“Che tortura questa settimana” pensai mercoledì, mentre mi sditalinavo immaginandomi lui.
Venerdì.
Un giorno indimenticabile! Purtroppo!
“Da dimenticare proprio! Oppure no? ” – Pensai il sabato sera, ripresa dallo stato “comatoso”.
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