Ripetizioni molto particolari - 8
di
Lokrost
genere
dominazione
per commenti, critiche o altro lokrost@mail.com
buona lettura
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Corsi giù per le scale di casa come un fulmine e saltata in macchina, iniziai a guidare come una pazza verso casa di Francesco.
Non dovetti suonare al suo portone, avevo le chiavi.
Una volta aperta la porta corsi al suo interno, di fronte l’ascensore che avrebbe portato al suo piano, svincolai a sinistra e scesi le scale buie in direzione della sua cantina che da tanto non visitavo più.
Accesi la luce del corridoio fresco e silenzioso.
Solo le mie infradito, sbattendo sul pavimento di cemento, facevano rumore, rimbombando per tutto il corridoio.
Una volta arrivata di fronte alla porta della sua cantina infine, dopo aver preso respiro a pieni polmoni, chiusi gli occhi e con un gesto rapido, feci cadere a terra il mio corto miniabito che copriva quello a rete.
Lego i capelli in una semplice coda dietro al capo e provo ad aprire la porta ma trovandola chiusa, immagino Francesco debba ancora arrivare.
Inevitabilmente, un altro pensiero mi invade la testa, come una spina fastidiosa che finché non la togli, continuerà a darti fastidio.
E così feci, mi inginocchiai a terra, poi anche le mani toccarono il freddo cemento. Curvai verso il basso la schiena, sporgendo maggiormente il culo e poi mi posizionai di profilo rispetto al corridoio.
L’impatto agli occhi di Francesco era garantito.
Così fu.
Il rumore dell’ascensore che arriva al piano terra, le porte che si aprono per poi richiudersi e poi passi rapidi che scendono la corta rampa di scale.
Ho Il cuore in gola, potrebbe sempre essere un qualunque altro inquilino del palazzo che è sceso a prendere qualcosa in cantina. Eppure l’ora e tarda ed è molto improbabile che qualcun altro scenda.
Quando finalmente vedo quella figura giovanile che dopo la visione del mio corpo alla pecorina, in mezzo al corridoio, si ferma a fissarmi a bocca aperta, con una faccia quasi frastornata, mi tranquillizzo ed allo stesso tempo inizio a sentire qualcosa tra le gambe che si inumidisce ancora più di prima.
Ora si avvicina quasi al rallentatore, sapendo esattamente che vuole godersi quella vista il più a lungo possibile, ma poi, quando è finalmente arrivato di fronte a me, gli tocca fare i conti con la realtà e con la mia voce.
Ma non uso la mia solita voce, il tono è calmo ma usando la carica più erotica e con espressione più sensuale possibile, voglio renderlo schiavo di me, del mio corpo e delle mie voglie.
– Voglio che ti inginocchi dietro di me. Voglio che mi scopri il culo e poi, usando solo la lingua, mi abbassi il perizoma fino alle ginocchia. – lo dico tutta di un fiato mentre vedo che da quei sottili pantaloncini si sta mostrando sempre più visibile un notevole rigonfiamento.
Quasi come se fosse un cane, mentre inghiotte rumorosamente la notevole saliva accumulata in bocca, con gli occhi pallati e le guance rosse, lo vedo prendere posto dietro di me, in ginocchio e poi finalmente, esegue.
Sento lo stretto vestitino allargarsi e poi con lentezza, strusciando sulla mia pelle, alzarsi, scoprire le mie chiappe sode e lisce e poi stringersi nuovamente ed inesorabilmente all’altezza della mia vita.
Una lingua, con timidezza, con dolcezza, percorre quasi sfiorando la mia chiappa destra in cerca di quel sottile filino nero che fa parte del mio perizoma.
Una volta trovato, sento quella punta umida di carne che cerca a fatica di trovare il modo per prendere quel filo di stoffa e trascinarlo verso il basso.
Non con poca fatica, finalmente riesce nel suo intento.
Ovviamente non contenta, per rendergli la vita più difficile e per potergli dar modo di approfittarsi maggiormente di me, stingo le chiappe, non lasciando la possibilità al perizoma di poter scendere ulteriormente.
– Ti conviene passare la lingua tra le mie chiappe tesoruccio, altrimenti non scende – affermo ridacchiando.
Con il respiro affannato, lo sento leccare, raspare cercando di farsi spazio tra le mie chiappe.
Lecca come un ossesso, fino a quando, decido di lasciare strada sgombra e rilassando finalmente le chiappe, posso finalmente sentire la sua lingua tra di esse, scavare e leccare a lungo fino a quando fa capolino sul mio ano.
A quel contatto, come una scintilla, una scarica mi percorre tutta la schiena fino ad arrivare al mio cervello, che come una bomba esplode facendomi andare fuori di testa.
Con le mani, prendo il perizoma tirandolo violentemente fino alle mie ginocchia.
Prendo quindi Francesco per i capelli e una volta indirizzata la testa tra le mie gambe, quasi gli urlo :
– Vedi di leccarmela come si deve, non ce la faccio più. Muovi sta cazzo di lingua. – ordino premendo con forza la sua faccia sulla mia passera.
Mentre la sua lingua, quasi con violenza inizia a invadere la mia figa, spingo la sua faccia tra le mie chiappe, in modo che il suo naso venga a contatto con il mio ano e poi completo il tutto strusciandolo su di esso.
– Si muovi quella lingua cazzo. Dai di più, ficcala tutta dentro, dai scopami con quella lingua… Dai Fra.. – continuavo ad incitarlo trattenendolo per i capelli.
La sua faccia, oltre che in estasi era paonazza, quasi non riusciva a respirare, ma come un tornado, non si fermava e continuava a girare e rigirare quella lingua impertinente nella mia figa che ormai grondava umori a non finire.
Quando ormai ero sul punto di venire, lo fermai.
Sempre tenendolo per i capelli, lo spostai con la bocca tra le mie chiappe e poi, spingendo tra di esse, ordinai :
– Ora se mi lecchi per bene anche questo, dopo ti faccio un regalo – poi mollai la presa dalla sua testa.
Appoggiai entrambe i gomiti in terra e voltando nuovamente il capo di fronte a me, chiusi gli occhi e mi gustai quella lingua che dura, bagnata e ancora una volta impertinente, mi massaggiava con cura il mio buchino posteriore.
Ancora una volta mi stavo bagnando, anche se sta volta, senza essere minimamente sfiorata da nulla.
Ancora una volta la voglia cresceva dentro di me, ed ancora una volta comandai.
Ma prima ancora della voce, le mie mani, il mio corpo, si mosse, trascinando con sé il ragazzo alle mie spalle.
Lo feci alzare in piedi, mentre io rimasi in ginocchio di fronte a lui.
Poi le parole, unite ai fatti, fecero tutto il resto.
Mentre iniziavo ad allentargli il nodo dei pantaloncini, gli ordinai secca :
– Ora tu mi scopi e quando stai per venire ti fermi e me lo dici. – finii la frase tirandogli giù in un colpo solo sia i pantaloni che i boxer.
Mi alzo quindi in piedi e rivoltami con la faccia verso la porta, mi appoggio ad essa e sporgo il culo in fuori.
– Dai che ho la patata in fiamme e vedi di non fare la checca, sbattimi come fa un uomo vero – dissi quasi usando disprezzo, per motivarlo a cavalcarmi come un pazzo.
Dopo quelle parole, Francesco non seppe più usare mezze misure.
Una volta aggrappato con una mano al mio fianco sinistro, con l’altra indirizza il cazzo sulla mia patata. Trovata l’entrata, si aggrappa anche con l’altra mano ai miei fianchi e poi, senza remore, senza mezze misure, senza alcuna dolcezza, mi penetra con forza.
La mia passera bagnata fa la sua parte e lascia che il cazzo del ragazzo sprofondi per intero in me, fino a quando sento nitidamente i suoi peli pubici toccarmi la passera.
Un urletto mi scappa spontaneo per l’intrusione.
Si ferma quindi un secondo ma io lo incito nuovamente sottovoce ma con tono da zoccola :
– Allora cosa aspetti? Voglio che svegli tutto il palazzo, voglio che tutti sentano quanto mi sbatti forte. –
A quelle parole, vedo una luce strana brillare nei suoi occhi e dopo aver aperto la bocca per respirare meglio, inizia a sbattermi con una violenza che non immaginavo assolutamente potesse possedere.
Finalmente il suo cazzo aveva ottenuto ciò che desiderava da tempo.
Finalmente Francesco riusciva a possedere la sua Giada.
Ma non con un amplesso amoresco.
Giada sapeva bene cosa voleva.
Voleva un amplesso animalesco, voleva passione, voleva un porco maiale che la fotteva, non un ragazzino innamorato.
E c’era riuscita.
Con la bocca spalancata, gli occhi chiusi, appesa alla grata della porta di ferro della cantina, si godeva quella cavalcata animalesca.
Quel cazzo sembrava fottergli il cervello, sembrava penetrare fino nel suo cranio e sconquassare anche quel briciolo di dignità ultima che poteva avere.
Venne.
Ma Francesco non si fermava.
Sentiva la sua passera infuocata, scaricare scosse lungo tutto il suo corpo.
Chiuse gli occhi.
Strinse i denti.
Venne ancora.
E proprio quando stavo per venire nuovamente, la voce di Francesco mi risvegliò :
– Sto… per… venire… – disse il ragazzo staccandosi.
In un turbine di emozioni e di voglie che non so descrivere, mi girai di scatto e una volta inginocchiata, arrotolai tutto ciò che rimaneva a coprirmi all’altezza della mia vita.
Tutto di me era esposto.
-Toccami le tette dai. – gli dissi mentre, preso possesso del cazzo, mentre con una mano lo segavo freneticamente, con la bocca gli ciucciavo la cappella come fosse un ciupa ciupa.
Francesco iniziò quindi a massaggiarmi le tette e poi a prendermi tra le dita i capezzoli.
Massaggiava senza sosta, mentre il suo cazzo, sempre più umido e gonfio era ormai sul punto di venire.
Con la mano libera presi in mano le sue palle e massaggiandole, mi staccai un secondo dal cazzo per un altro ordine.
– Strizzami i capezzoli. Forte e smetti solo quando stai venendo. – gli dissi per poi tornare a succhiare ma ora senza l’ausilio della mano.
Andavo su e giù lungo il suo cazzo, fino a quando si ficcava nella mia gola.
La mano sulle sue palle continuava il lento e dolce massaggio.
E poi, pollice e indice delle sue mani si posano sui miei capezzoli e inesorabilmente, li pressano in una stretta pazzesca.
Apro la bocca per respirare rumorosamente. Una vena compare sulla mia fronte, mentre arrossando il volto torno a ciucciare con prepotenza quel pezzo di carne.
Quelle dita strizzano, ruotano e torturano i miei capezzoli.
Quel dolore alimenta nuovamente la voglia della mia passera, alimenta di nuovo il fiume di voglia che sgorga da essa.
Quel dolore, quel male, oddio, sto per scoppiare quando finalmente lo sento affannarsi, lo sento staccarsi da me, dai miei capezzoli che ora iniziano a bruciare ancora di più di prima.
Si attacca con entrambe le mani alla mia testa e poi, spinge il cazzo in profondità nella mia gola.
Appena sento però che inizia a scaricarsi in me, lo spingo fuori.
Prendo possesso del suo cazzo che erutta sperma sulla mia faccia e segandolo, continuo a farlo scaricare sulle mie tette e poi ancora sulla mia faccia.
Quando finalmente smette di emettere sperma, lo prendo nuovamente in bocca, succhiandolo con forza e ripulendolo da ogni traccia.
– Guarda come mi hai conciato – gli rispondo sorridendo e lasciando la presa dal suo cazzo mostro tutto lo sperma sparso per il mio corpo.
– Ma Giada.. io… – lo fermo.
– Zitto, sono io che ho voluto che mi sborrassi addosso. Voglio che ti ricordi bene e voglio che la prossima volta sarai più porco ancora. Chiaro? – rispondo iniziando a raccogliere lo sperma e portarmelo poi alla bocca.
Mi alzo e prendo solo il miniabito che ho usato per coprire quello a rete.
Mentre lo indosso sotto lo sguardo attento di Francesco che si sta rivestendo anche lui, aggiungo.
– Ora il vestitino a rete, il perizoma ed il reggiseno a fascia li tieni tu. Quando poi avrai finito gli orali, se sarai stato bravo, mi porti dove vuoi tu e dopo avermeli fatti indossare, sarò tua e dovrai farmi tutto quello che ti passa per la testa fino a quando non sei soddisfatto. –
Lo vedo spalancare gli occhi e guardarmi senza parlare.
– Chiaro? – rispondo dandogli uno schiaffetto leggero sulla guancia, in segno di cercare di risvegliarlo.
– Ah.. si.. si.. si.. – dice mentre raccoglie i vestiti da terra.
Poi continuo mentre gli accarezzo il pacco da sopra i vestiti :
– Voglio che li tieni tu per ricordarti che se studi e farai il bravo, quello che abbiamo fatto ora, è solo un assaggio perché avrai tutto di me e sarai tu a dovermi ordinare cosa fare– concludo sorridendo e baciandolo su una guancia.
Mi avvio quindi verso le scale.
– Buona notte tesoruccio, domani pomeriggio vieni da me, così studiamo per gli orali. –
Francesco rimane imbambolato, con i miei vestiti in mano, mentre io scompaio dietro l’angolo.
Finalmente in macchina, metto la cintura e decido di tornare verso casa come un’autista modello.
– Non sia mai che quel porco di agente è in giro anche sta notte. – barbotto tra me senza però accorgermi subito dell’effetto della cintura sul mio capezzolo sinistro.
Dopo qualche svolta, finalmente nel viale che porta a casa mia, quella maledetta cintura risveglia quel bruciore maledetto ai miei capezzoli. In pochi attimi, tornano entrambi a cercare di forare il vestito e qualcosa tra le mie gambe inizia a sgorgare dalla passera.
Quasi inconsciamente, con un dito sfioro il capezzolo.
Gli attimi che seguono sono molto confusi, scene sconnesse mi fanno intuire che ho parcheggiato la macchina, con due dita che strizzano il mio capezzolo e una mano che massaggia da sopra il miniabito la passera, mi dirigo quasi di corsa al portone di casa.
Cerco le chiavi, mi cadono a terra, mi piego noncurante che il vestito è talmente corto che chiunque potrebbe vedere la mia passera fradicia.
Riprendo possesso delle chiavi e una volta infilate nella toppa ed aperto, mi butto sulle scale e mentre il grosso portone si richiude, due dita entrano con violenza in me, iniziando a fare un ditalino frenetico.
A pecorina, con la faccia che struscia sulla fredda pietra delle scale, con una mano tra le mie cosce che si muove frenetica e l’altra che dopo aver scoperto le tette strizza senza sosta i capezzoli, finalmente trovo sollievo e dopo un piccolo urletto, vengo abbondantemente riuscendo finalmente a scaricare le mie voglie.
– Chissà se qualcuno mi ha sentita o vista ? – mi domando recuperando lucidità e dopo essermi ricomposta, inizio a salire le scale verso casa.
Il telefono squilla.
Apro gli occhi e cerco di mettere a fuoco l’ora che lampeggia sulla radiosveglia.
– Sembra un 8. Ah no 18. – dico a bassa voce.
– Ma chi cazzo mi chiama alle 6 di sera? – mi domando scazzata per il sonno interrotto, anche se ormai ho passato abbondantemente le 12 ore.
Leggo lo schermo del cellulare. Il numero che appare è quello del padre di Francesco.
– Sicuramente avrà ancora voglia quel porcello – dico mentre constato toccandomi con una mano, che il mio corpo è ancora appiccicaticcio per colpa della notte precedente.
– Sarà meglio che faccio una doccia. – dico mentre inizio a liberarmi dei vestiti.
– Chissà dove ho messo l’accappatoio – mi domando mentre prendo in mano il telefono ormai nuda e pronta per la doccia.
Compongo il numero, ormai lo so a memoria.
– Pronto. Ciao Luca, sono Giada. Mi fai una pizza 4 stagioni per le ore 19 ? – domando tutta di un fiato.
– Ah puoi solo per le 18.35 ? Ok dai va bene lo stesso. Allora solita via. Ok, grazie a te, ciao! – chiudo il telefono e dopo averlo poggiato sul tavolo inizio a ragionare sul cosa avrei dovuto fare.
– Boh. Non ricordo più. Ora però è meglio che mi sbrighi a lavarmi, sennò quello della pizza arriva che sono ancora sotto l’acqua. – continuo a barbottare mentre mi dirigo verso il bagno.
Finalmente mi butto sotto l’acqua tiepida e in pochi minuti riesco finalmente a rilassarmi.
Mi insapono con calma i capelli, massaggio bene la cute e poi passo al resto del corpo.
Ogni singolo passaggio sui miei punti sensibili è una scarica di emozioni ancora vive grazie alla serata precedente. Tutta quella volgarità nelle mie parole e finalmente quella scarica che solo un cazzo nella mia patatina poteva darmi, mi hanno risvegliato violentemente tutte le voglie ancora assopite.
Come una cacciatrice, mi sto risvegliando dal letargo per il semplice scopo di cibarmi e mentre faccio questi ragionamenti, una mano inizia lentamente a massaggiare la patatina.
Ci vuole poco a bagnarmi e mentre il getto tiepido continua ad abbattersi su di me, due dita sono già immerse nelle mie carni roventi.
Ci vuole veramente poco, troppo poco.
Le mie gambe cedono e mentre la mente è immersa nei pensieri e nei desideri di cosa potrebbe accadere con Francesco, la patatina esplode facendomi ululare dal piacere.
Il telefono squilla.
– Porca puttana! – impreco chiudendo l’acqua.
Finisce di squillare proprio quando esco dal box doccia.
– Ti pareva – dico nervosa raggiungendo il telefono.
– Ancora Francesco! – esclamo vedendo visualizzato il numero del padre.
Infine mossa dalla compassione gli scrivo :
– Dai Fra, tieni duro ancora per un po’ e vedi che avrai la tua ricompensa –
Invio.
Suona il campanello.
– Ma cos’è sta sera!!! – esclamo ancora.
– No, maledizione! La pizza ! Mi sono dimenticata ! – dico agitata mentre cerco l’asciugamano.
– Ma dove l’ho messo? Ma eppure pensavo di averlo preso… – dico non trovandolo.
Infine mi ricordo, di aver fatto la telefonata alla pizzeria e poi, la cosa che mi ero dimenticata era proprio l’asciugamano.
Il campanello suona ancora.
– Arrivooo!!! – urlo e dopo aver preso l’asciugamano più grosso che c’era a portata di mano, mi incammino verso l’entrata.
– Sto arrivando ! Un secondo! – urlo ancora avvolgendomi in esso.
– Merda. È corto ! – ed in effetti, copriva a malapena i seni per poi terminare un dito sopra la fine delle natiche.
La patata e i capezzoli però, se non faccio movimenti improvvisi, sono sicura di riuscire a coprirli.
Suona ancora il campanello.
– Eccomi. E che cavolo. – esclamo pizzicando l’asciugamano sotto un’ascella per poi aprire la pesante porta.
– Buona sera. Pizza a domicilio! – il ragazzo che si presenta frettolosamente, poco dopo l’apertura della porta, rimane a bocca aperta e con la pizza in mano, sembra diventare una statua di ghiaccio.
Il suo sguardo è fisso sul mio corpo completamente bagnato e coperto da un semplice asciugamano.
Mano a mano che sto ferma, sul pavimento si sta formando una chiazza bagnata, segno inequivocabile per il ragazzo che ora si scusa :
– Scusami. Mi spiace essere arrivato proprio ora. – dice mortificato senza togliere gli occhi da ciò che di me è esposto.
Lo fisso un attimo valutando il suo semplice abbigliamento per correre qui e là con lo scooter e poi, appoggiandomi allo stipite della porta mi scappa un mezzo sorriso.
– Dai entra e chiudi la porta. Intanto cerco il portafogli. – dico girandomi e dirigendomi verso la cucina sculettando leggermente.
Non mi sembrava il caso di dirglielo:
“No ma figurati, mi hai giusto fermata mentre stavo per riprendere a masturbarmi”
Finalmente arrivata in cucina, sicura che il ragazzo abbia visto con attenzione tutta la scena, sento la porta chiudersi ma nessun rumore di passi nella mia direzione.
Trovato il portafogli, mi dirigo nuovamente verso l’entrata, trovandolo ancora imbambolato.
– Tutto bene? – domando sorridendo innocentemente.
– Si.. si sisi… tutto bene.. forse, il caldo… mi ha un po’ …. – e lascia in sospeso la frase mentre lo vedo sudare notevolmente.
– Vuoi sederti un secondo? Vuoi bere qualcosa di fresco? – domando innocentemente, facendo finta di non accorgermi del suo disagio nello stare davanti ad una ragazza tutta bagnata e coperta da un asciugamano striminzito.
– Ecco, tieni la pizza. – dice risvegliandosi tutto di un tratto e porgendomela frettolosamente.
L’unica reazione, per me logica in quel momento, è stata quella di afferrare quella scatola fumante con una mano e con l’altra lasciar cadere il portafogli e quindi afferrarla dall’altro lato.
Conclusione?
Il suono delle monete che rimbalzano rumorosamente sul pavimento per poi spargersi rotolando in ogni direzione.
Il portafogli che, una volta toccato terra, sparge sul pavimento i miei documenti, la mia patente con la foto di quando ero ancora diciottenne.
Ma poi, l’inevitabile.
Silenziosamente, accompagnato da un leggerissimo spostamento d’aria, scivola carezzando i miei fianchi, le mie cosce ed infine, posandosi sui miei piedi e circondandoli, quel corto asciugamano completa la sua corsa.
Nuda, bagnata e con in mano la pizza fumante, la mia faccia si infuoca ed ogni muscolo del mio corpo si blocca rendendomi una statua vivente.
Il ragazzo ormai a bocca aperta, mi fissa con il viso paonazzo ed un notevole rigonfiamento che sbuca sempre di più tra le gambe.
Per attimi che sembrano ore, nessuno dei due si muove.
Nessuno dei due parla.
L’imbarazzo è palpabile come l’eccitazione che sale nel corpo del ragazzo.
Tutto in me è fermo, come fossi in pausa, come non volessi fosse mai successo, come non volessi provare tutto quest’imbarazzo che per la prima volta mi invade rendendomi di ghiaccio.
Il suo sguardo è fisso sulla mia passera depilata.
Sembra voglia penetrarla, sembra lo stia facendo, sembra di sentire il suo sguardo risalire in me per aprirmi e sverginarmi una seconda volta.
Mi cedono quasi le gambe mentre stringendole tra loro e senza toccarmi, erutto tutta la mia voglia che come un fiume inizia a colare tra esse.
Nessuno parla, solo i miei respiri a pieni polmoni rompono il silenzio e poi mi decido.
- Ormai è successo, pace – rispondo per poi, sempre in silenzio voltarmi e dirigermi in cucina per posare la pizza sul tavolo.
Altrettanto in silenzio torno verso il ragazzo, non raccolgo nemmeno l’asciugamano ed una volta chinata, inizio a raccogliere tutte le monete sparse per il corridoio.
- Intanto sto asciugamano è troppo piccolo, e ormai hai visto tutto. - affermo senza ricevere risposta
Senza minimamente curarmene, come in uno stato di trance, inizio a spostarmi a quattro zampe intorno a lui, fermo, rigido, quasi violaceo in volto, con il respiro strozzato ma con gli occhi puntati tra le mie cosce.
Raccolgo infine i documenti ed il portafogli, dopodiché, rialzatami, senza guardarlo in volto e continuando a non coprirmi, prendo una banconota da 20 euro prima di posare il tutto sul divano.
– Mi spiace per cos’è successo. Io non volevo che… – cerca di dire, poi bloccandosi quando le mie mani allargano l’elastico dei suoi pantaloni.
- Tranquillo , ma ora facciamo un patto. -
Allargo anche l’elastico dei boxer facendo così saltar fuori un bel cazzo duro e quasi scappellato.
Con una mano lo avvolgo mentre guardo quanto sia bello, lo strizzo constatando la sua durezza e poi, dopo averci avvolto i 20 euro attorno, copro nuovamente tutto.
Mentre mi avvicino alla porta, aggiungo :
– Il resto è mancia e ti chiedo gentilmente di non dire a nessuno cosa è appena successo. – dico tutta di un fiato.
- Si tranquilla, ma ti devo ancora chiedere scusa. - esclama ancora con il volto paonazzo ed il cavallo dei pantaloni che sembra dover esplodere da un momento all’altro.
La serratura scatta, abbasso la maniglia, apro la porta standone sul retro di modo da non essere vista dall’esterno.
– Grazie per la pizza. Ciao. – aggiungo.
Come risvegliatosi da un sogno, si gira e con sguardo basso si dirige verso l’uscita.
Non un’altra parola.
La porta si richiude quasi da sola mentre io crollo a terra, prima in ginocchio e poi con il culo sul freddo pavimento.
Mi guardo tra le gambe.
Una mano apre la mia patata, l’altra entra ad ispezionarla.
Quando estraggo le dita sbianco quasi.
Le dita sono fradice.
Ora però è meglio mangiar la pizza, prima che si freddi.
Mentre sono intenta a cenare, il telefono squilla ancora.
Non faccio in tempo a raggiungerlo che ha già smesso.
– Cazzo! Ancora Francesco. – impreco aprendo il menu dei messaggi.
Un messaggio non letto.
Quando lo leggo quasi non mi reggo in piedi.
“Ti voglio. Ti aspetto in cantina adesso. Ti prego vestiti da porca”
– Vaffanculo alle regole. – dico con gli occhi che brillano.
Guardo il tavolo.
– Vaffanculo alla pizza. – dico guardando quei tre pezzi fumanti rimasti ancora sul cartone.
Quasi di corsa mi dirigo in camera.
Nel mentre rispondo al messaggio.
“Arrivo mio bel porco”
Inviato.
buona lettura
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Corsi giù per le scale di casa come un fulmine e saltata in macchina, iniziai a guidare come una pazza verso casa di Francesco.
Non dovetti suonare al suo portone, avevo le chiavi.
Una volta aperta la porta corsi al suo interno, di fronte l’ascensore che avrebbe portato al suo piano, svincolai a sinistra e scesi le scale buie in direzione della sua cantina che da tanto non visitavo più.
Accesi la luce del corridoio fresco e silenzioso.
Solo le mie infradito, sbattendo sul pavimento di cemento, facevano rumore, rimbombando per tutto il corridoio.
Una volta arrivata di fronte alla porta della sua cantina infine, dopo aver preso respiro a pieni polmoni, chiusi gli occhi e con un gesto rapido, feci cadere a terra il mio corto miniabito che copriva quello a rete.
Lego i capelli in una semplice coda dietro al capo e provo ad aprire la porta ma trovandola chiusa, immagino Francesco debba ancora arrivare.
Inevitabilmente, un altro pensiero mi invade la testa, come una spina fastidiosa che finché non la togli, continuerà a darti fastidio.
E così feci, mi inginocchiai a terra, poi anche le mani toccarono il freddo cemento. Curvai verso il basso la schiena, sporgendo maggiormente il culo e poi mi posizionai di profilo rispetto al corridoio.
L’impatto agli occhi di Francesco era garantito.
Così fu.
Il rumore dell’ascensore che arriva al piano terra, le porte che si aprono per poi richiudersi e poi passi rapidi che scendono la corta rampa di scale.
Ho Il cuore in gola, potrebbe sempre essere un qualunque altro inquilino del palazzo che è sceso a prendere qualcosa in cantina. Eppure l’ora e tarda ed è molto improbabile che qualcun altro scenda.
Quando finalmente vedo quella figura giovanile che dopo la visione del mio corpo alla pecorina, in mezzo al corridoio, si ferma a fissarmi a bocca aperta, con una faccia quasi frastornata, mi tranquillizzo ed allo stesso tempo inizio a sentire qualcosa tra le gambe che si inumidisce ancora più di prima.
Ora si avvicina quasi al rallentatore, sapendo esattamente che vuole godersi quella vista il più a lungo possibile, ma poi, quando è finalmente arrivato di fronte a me, gli tocca fare i conti con la realtà e con la mia voce.
Ma non uso la mia solita voce, il tono è calmo ma usando la carica più erotica e con espressione più sensuale possibile, voglio renderlo schiavo di me, del mio corpo e delle mie voglie.
– Voglio che ti inginocchi dietro di me. Voglio che mi scopri il culo e poi, usando solo la lingua, mi abbassi il perizoma fino alle ginocchia. – lo dico tutta di un fiato mentre vedo che da quei sottili pantaloncini si sta mostrando sempre più visibile un notevole rigonfiamento.
Quasi come se fosse un cane, mentre inghiotte rumorosamente la notevole saliva accumulata in bocca, con gli occhi pallati e le guance rosse, lo vedo prendere posto dietro di me, in ginocchio e poi finalmente, esegue.
Sento lo stretto vestitino allargarsi e poi con lentezza, strusciando sulla mia pelle, alzarsi, scoprire le mie chiappe sode e lisce e poi stringersi nuovamente ed inesorabilmente all’altezza della mia vita.
Una lingua, con timidezza, con dolcezza, percorre quasi sfiorando la mia chiappa destra in cerca di quel sottile filino nero che fa parte del mio perizoma.
Una volta trovato, sento quella punta umida di carne che cerca a fatica di trovare il modo per prendere quel filo di stoffa e trascinarlo verso il basso.
Non con poca fatica, finalmente riesce nel suo intento.
Ovviamente non contenta, per rendergli la vita più difficile e per potergli dar modo di approfittarsi maggiormente di me, stingo le chiappe, non lasciando la possibilità al perizoma di poter scendere ulteriormente.
– Ti conviene passare la lingua tra le mie chiappe tesoruccio, altrimenti non scende – affermo ridacchiando.
Con il respiro affannato, lo sento leccare, raspare cercando di farsi spazio tra le mie chiappe.
Lecca come un ossesso, fino a quando, decido di lasciare strada sgombra e rilassando finalmente le chiappe, posso finalmente sentire la sua lingua tra di esse, scavare e leccare a lungo fino a quando fa capolino sul mio ano.
A quel contatto, come una scintilla, una scarica mi percorre tutta la schiena fino ad arrivare al mio cervello, che come una bomba esplode facendomi andare fuori di testa.
Con le mani, prendo il perizoma tirandolo violentemente fino alle mie ginocchia.
Prendo quindi Francesco per i capelli e una volta indirizzata la testa tra le mie gambe, quasi gli urlo :
– Vedi di leccarmela come si deve, non ce la faccio più. Muovi sta cazzo di lingua. – ordino premendo con forza la sua faccia sulla mia passera.
Mentre la sua lingua, quasi con violenza inizia a invadere la mia figa, spingo la sua faccia tra le mie chiappe, in modo che il suo naso venga a contatto con il mio ano e poi completo il tutto strusciandolo su di esso.
– Si muovi quella lingua cazzo. Dai di più, ficcala tutta dentro, dai scopami con quella lingua… Dai Fra.. – continuavo ad incitarlo trattenendolo per i capelli.
La sua faccia, oltre che in estasi era paonazza, quasi non riusciva a respirare, ma come un tornado, non si fermava e continuava a girare e rigirare quella lingua impertinente nella mia figa che ormai grondava umori a non finire.
Quando ormai ero sul punto di venire, lo fermai.
Sempre tenendolo per i capelli, lo spostai con la bocca tra le mie chiappe e poi, spingendo tra di esse, ordinai :
– Ora se mi lecchi per bene anche questo, dopo ti faccio un regalo – poi mollai la presa dalla sua testa.
Appoggiai entrambe i gomiti in terra e voltando nuovamente il capo di fronte a me, chiusi gli occhi e mi gustai quella lingua che dura, bagnata e ancora una volta impertinente, mi massaggiava con cura il mio buchino posteriore.
Ancora una volta mi stavo bagnando, anche se sta volta, senza essere minimamente sfiorata da nulla.
Ancora una volta la voglia cresceva dentro di me, ed ancora una volta comandai.
Ma prima ancora della voce, le mie mani, il mio corpo, si mosse, trascinando con sé il ragazzo alle mie spalle.
Lo feci alzare in piedi, mentre io rimasi in ginocchio di fronte a lui.
Poi le parole, unite ai fatti, fecero tutto il resto.
Mentre iniziavo ad allentargli il nodo dei pantaloncini, gli ordinai secca :
– Ora tu mi scopi e quando stai per venire ti fermi e me lo dici. – finii la frase tirandogli giù in un colpo solo sia i pantaloni che i boxer.
Mi alzo quindi in piedi e rivoltami con la faccia verso la porta, mi appoggio ad essa e sporgo il culo in fuori.
– Dai che ho la patata in fiamme e vedi di non fare la checca, sbattimi come fa un uomo vero – dissi quasi usando disprezzo, per motivarlo a cavalcarmi come un pazzo.
Dopo quelle parole, Francesco non seppe più usare mezze misure.
Una volta aggrappato con una mano al mio fianco sinistro, con l’altra indirizza il cazzo sulla mia patata. Trovata l’entrata, si aggrappa anche con l’altra mano ai miei fianchi e poi, senza remore, senza mezze misure, senza alcuna dolcezza, mi penetra con forza.
La mia passera bagnata fa la sua parte e lascia che il cazzo del ragazzo sprofondi per intero in me, fino a quando sento nitidamente i suoi peli pubici toccarmi la passera.
Un urletto mi scappa spontaneo per l’intrusione.
Si ferma quindi un secondo ma io lo incito nuovamente sottovoce ma con tono da zoccola :
– Allora cosa aspetti? Voglio che svegli tutto il palazzo, voglio che tutti sentano quanto mi sbatti forte. –
A quelle parole, vedo una luce strana brillare nei suoi occhi e dopo aver aperto la bocca per respirare meglio, inizia a sbattermi con una violenza che non immaginavo assolutamente potesse possedere.
Finalmente il suo cazzo aveva ottenuto ciò che desiderava da tempo.
Finalmente Francesco riusciva a possedere la sua Giada.
Ma non con un amplesso amoresco.
Giada sapeva bene cosa voleva.
Voleva un amplesso animalesco, voleva passione, voleva un porco maiale che la fotteva, non un ragazzino innamorato.
E c’era riuscita.
Con la bocca spalancata, gli occhi chiusi, appesa alla grata della porta di ferro della cantina, si godeva quella cavalcata animalesca.
Quel cazzo sembrava fottergli il cervello, sembrava penetrare fino nel suo cranio e sconquassare anche quel briciolo di dignità ultima che poteva avere.
Venne.
Ma Francesco non si fermava.
Sentiva la sua passera infuocata, scaricare scosse lungo tutto il suo corpo.
Chiuse gli occhi.
Strinse i denti.
Venne ancora.
E proprio quando stavo per venire nuovamente, la voce di Francesco mi risvegliò :
– Sto… per… venire… – disse il ragazzo staccandosi.
In un turbine di emozioni e di voglie che non so descrivere, mi girai di scatto e una volta inginocchiata, arrotolai tutto ciò che rimaneva a coprirmi all’altezza della mia vita.
Tutto di me era esposto.
-Toccami le tette dai. – gli dissi mentre, preso possesso del cazzo, mentre con una mano lo segavo freneticamente, con la bocca gli ciucciavo la cappella come fosse un ciupa ciupa.
Francesco iniziò quindi a massaggiarmi le tette e poi a prendermi tra le dita i capezzoli.
Massaggiava senza sosta, mentre il suo cazzo, sempre più umido e gonfio era ormai sul punto di venire.
Con la mano libera presi in mano le sue palle e massaggiandole, mi staccai un secondo dal cazzo per un altro ordine.
– Strizzami i capezzoli. Forte e smetti solo quando stai venendo. – gli dissi per poi tornare a succhiare ma ora senza l’ausilio della mano.
Andavo su e giù lungo il suo cazzo, fino a quando si ficcava nella mia gola.
La mano sulle sue palle continuava il lento e dolce massaggio.
E poi, pollice e indice delle sue mani si posano sui miei capezzoli e inesorabilmente, li pressano in una stretta pazzesca.
Apro la bocca per respirare rumorosamente. Una vena compare sulla mia fronte, mentre arrossando il volto torno a ciucciare con prepotenza quel pezzo di carne.
Quelle dita strizzano, ruotano e torturano i miei capezzoli.
Quel dolore alimenta nuovamente la voglia della mia passera, alimenta di nuovo il fiume di voglia che sgorga da essa.
Quel dolore, quel male, oddio, sto per scoppiare quando finalmente lo sento affannarsi, lo sento staccarsi da me, dai miei capezzoli che ora iniziano a bruciare ancora di più di prima.
Si attacca con entrambe le mani alla mia testa e poi, spinge il cazzo in profondità nella mia gola.
Appena sento però che inizia a scaricarsi in me, lo spingo fuori.
Prendo possesso del suo cazzo che erutta sperma sulla mia faccia e segandolo, continuo a farlo scaricare sulle mie tette e poi ancora sulla mia faccia.
Quando finalmente smette di emettere sperma, lo prendo nuovamente in bocca, succhiandolo con forza e ripulendolo da ogni traccia.
– Guarda come mi hai conciato – gli rispondo sorridendo e lasciando la presa dal suo cazzo mostro tutto lo sperma sparso per il mio corpo.
– Ma Giada.. io… – lo fermo.
– Zitto, sono io che ho voluto che mi sborrassi addosso. Voglio che ti ricordi bene e voglio che la prossima volta sarai più porco ancora. Chiaro? – rispondo iniziando a raccogliere lo sperma e portarmelo poi alla bocca.
Mi alzo e prendo solo il miniabito che ho usato per coprire quello a rete.
Mentre lo indosso sotto lo sguardo attento di Francesco che si sta rivestendo anche lui, aggiungo.
– Ora il vestitino a rete, il perizoma ed il reggiseno a fascia li tieni tu. Quando poi avrai finito gli orali, se sarai stato bravo, mi porti dove vuoi tu e dopo avermeli fatti indossare, sarò tua e dovrai farmi tutto quello che ti passa per la testa fino a quando non sei soddisfatto. –
Lo vedo spalancare gli occhi e guardarmi senza parlare.
– Chiaro? – rispondo dandogli uno schiaffetto leggero sulla guancia, in segno di cercare di risvegliarlo.
– Ah.. si.. si.. si.. – dice mentre raccoglie i vestiti da terra.
Poi continuo mentre gli accarezzo il pacco da sopra i vestiti :
– Voglio che li tieni tu per ricordarti che se studi e farai il bravo, quello che abbiamo fatto ora, è solo un assaggio perché avrai tutto di me e sarai tu a dovermi ordinare cosa fare– concludo sorridendo e baciandolo su una guancia.
Mi avvio quindi verso le scale.
– Buona notte tesoruccio, domani pomeriggio vieni da me, così studiamo per gli orali. –
Francesco rimane imbambolato, con i miei vestiti in mano, mentre io scompaio dietro l’angolo.
Finalmente in macchina, metto la cintura e decido di tornare verso casa come un’autista modello.
– Non sia mai che quel porco di agente è in giro anche sta notte. – barbotto tra me senza però accorgermi subito dell’effetto della cintura sul mio capezzolo sinistro.
Dopo qualche svolta, finalmente nel viale che porta a casa mia, quella maledetta cintura risveglia quel bruciore maledetto ai miei capezzoli. In pochi attimi, tornano entrambi a cercare di forare il vestito e qualcosa tra le mie gambe inizia a sgorgare dalla passera.
Quasi inconsciamente, con un dito sfioro il capezzolo.
Gli attimi che seguono sono molto confusi, scene sconnesse mi fanno intuire che ho parcheggiato la macchina, con due dita che strizzano il mio capezzolo e una mano che massaggia da sopra il miniabito la passera, mi dirigo quasi di corsa al portone di casa.
Cerco le chiavi, mi cadono a terra, mi piego noncurante che il vestito è talmente corto che chiunque potrebbe vedere la mia passera fradicia.
Riprendo possesso delle chiavi e una volta infilate nella toppa ed aperto, mi butto sulle scale e mentre il grosso portone si richiude, due dita entrano con violenza in me, iniziando a fare un ditalino frenetico.
A pecorina, con la faccia che struscia sulla fredda pietra delle scale, con una mano tra le mie cosce che si muove frenetica e l’altra che dopo aver scoperto le tette strizza senza sosta i capezzoli, finalmente trovo sollievo e dopo un piccolo urletto, vengo abbondantemente riuscendo finalmente a scaricare le mie voglie.
– Chissà se qualcuno mi ha sentita o vista ? – mi domando recuperando lucidità e dopo essermi ricomposta, inizio a salire le scale verso casa.
Il telefono squilla.
Apro gli occhi e cerco di mettere a fuoco l’ora che lampeggia sulla radiosveglia.
– Sembra un 8. Ah no 18. – dico a bassa voce.
– Ma chi cazzo mi chiama alle 6 di sera? – mi domando scazzata per il sonno interrotto, anche se ormai ho passato abbondantemente le 12 ore.
Leggo lo schermo del cellulare. Il numero che appare è quello del padre di Francesco.
– Sicuramente avrà ancora voglia quel porcello – dico mentre constato toccandomi con una mano, che il mio corpo è ancora appiccicaticcio per colpa della notte precedente.
– Sarà meglio che faccio una doccia. – dico mentre inizio a liberarmi dei vestiti.
– Chissà dove ho messo l’accappatoio – mi domando mentre prendo in mano il telefono ormai nuda e pronta per la doccia.
Compongo il numero, ormai lo so a memoria.
– Pronto. Ciao Luca, sono Giada. Mi fai una pizza 4 stagioni per le ore 19 ? – domando tutta di un fiato.
– Ah puoi solo per le 18.35 ? Ok dai va bene lo stesso. Allora solita via. Ok, grazie a te, ciao! – chiudo il telefono e dopo averlo poggiato sul tavolo inizio a ragionare sul cosa avrei dovuto fare.
– Boh. Non ricordo più. Ora però è meglio che mi sbrighi a lavarmi, sennò quello della pizza arriva che sono ancora sotto l’acqua. – continuo a barbottare mentre mi dirigo verso il bagno.
Finalmente mi butto sotto l’acqua tiepida e in pochi minuti riesco finalmente a rilassarmi.
Mi insapono con calma i capelli, massaggio bene la cute e poi passo al resto del corpo.
Ogni singolo passaggio sui miei punti sensibili è una scarica di emozioni ancora vive grazie alla serata precedente. Tutta quella volgarità nelle mie parole e finalmente quella scarica che solo un cazzo nella mia patatina poteva darmi, mi hanno risvegliato violentemente tutte le voglie ancora assopite.
Come una cacciatrice, mi sto risvegliando dal letargo per il semplice scopo di cibarmi e mentre faccio questi ragionamenti, una mano inizia lentamente a massaggiare la patatina.
Ci vuole poco a bagnarmi e mentre il getto tiepido continua ad abbattersi su di me, due dita sono già immerse nelle mie carni roventi.
Ci vuole veramente poco, troppo poco.
Le mie gambe cedono e mentre la mente è immersa nei pensieri e nei desideri di cosa potrebbe accadere con Francesco, la patatina esplode facendomi ululare dal piacere.
Il telefono squilla.
– Porca puttana! – impreco chiudendo l’acqua.
Finisce di squillare proprio quando esco dal box doccia.
– Ti pareva – dico nervosa raggiungendo il telefono.
– Ancora Francesco! – esclamo vedendo visualizzato il numero del padre.
Infine mossa dalla compassione gli scrivo :
– Dai Fra, tieni duro ancora per un po’ e vedi che avrai la tua ricompensa –
Invio.
Suona il campanello.
– Ma cos’è sta sera!!! – esclamo ancora.
– No, maledizione! La pizza ! Mi sono dimenticata ! – dico agitata mentre cerco l’asciugamano.
– Ma dove l’ho messo? Ma eppure pensavo di averlo preso… – dico non trovandolo.
Infine mi ricordo, di aver fatto la telefonata alla pizzeria e poi, la cosa che mi ero dimenticata era proprio l’asciugamano.
Il campanello suona ancora.
– Arrivooo!!! – urlo e dopo aver preso l’asciugamano più grosso che c’era a portata di mano, mi incammino verso l’entrata.
– Sto arrivando ! Un secondo! – urlo ancora avvolgendomi in esso.
– Merda. È corto ! – ed in effetti, copriva a malapena i seni per poi terminare un dito sopra la fine delle natiche.
La patata e i capezzoli però, se non faccio movimenti improvvisi, sono sicura di riuscire a coprirli.
Suona ancora il campanello.
– Eccomi. E che cavolo. – esclamo pizzicando l’asciugamano sotto un’ascella per poi aprire la pesante porta.
– Buona sera. Pizza a domicilio! – il ragazzo che si presenta frettolosamente, poco dopo l’apertura della porta, rimane a bocca aperta e con la pizza in mano, sembra diventare una statua di ghiaccio.
Il suo sguardo è fisso sul mio corpo completamente bagnato e coperto da un semplice asciugamano.
Mano a mano che sto ferma, sul pavimento si sta formando una chiazza bagnata, segno inequivocabile per il ragazzo che ora si scusa :
– Scusami. Mi spiace essere arrivato proprio ora. – dice mortificato senza togliere gli occhi da ciò che di me è esposto.
Lo fisso un attimo valutando il suo semplice abbigliamento per correre qui e là con lo scooter e poi, appoggiandomi allo stipite della porta mi scappa un mezzo sorriso.
– Dai entra e chiudi la porta. Intanto cerco il portafogli. – dico girandomi e dirigendomi verso la cucina sculettando leggermente.
Non mi sembrava il caso di dirglielo:
“No ma figurati, mi hai giusto fermata mentre stavo per riprendere a masturbarmi”
Finalmente arrivata in cucina, sicura che il ragazzo abbia visto con attenzione tutta la scena, sento la porta chiudersi ma nessun rumore di passi nella mia direzione.
Trovato il portafogli, mi dirigo nuovamente verso l’entrata, trovandolo ancora imbambolato.
– Tutto bene? – domando sorridendo innocentemente.
– Si.. si sisi… tutto bene.. forse, il caldo… mi ha un po’ …. – e lascia in sospeso la frase mentre lo vedo sudare notevolmente.
– Vuoi sederti un secondo? Vuoi bere qualcosa di fresco? – domando innocentemente, facendo finta di non accorgermi del suo disagio nello stare davanti ad una ragazza tutta bagnata e coperta da un asciugamano striminzito.
– Ecco, tieni la pizza. – dice risvegliandosi tutto di un tratto e porgendomela frettolosamente.
L’unica reazione, per me logica in quel momento, è stata quella di afferrare quella scatola fumante con una mano e con l’altra lasciar cadere il portafogli e quindi afferrarla dall’altro lato.
Conclusione?
Il suono delle monete che rimbalzano rumorosamente sul pavimento per poi spargersi rotolando in ogni direzione.
Il portafogli che, una volta toccato terra, sparge sul pavimento i miei documenti, la mia patente con la foto di quando ero ancora diciottenne.
Ma poi, l’inevitabile.
Silenziosamente, accompagnato da un leggerissimo spostamento d’aria, scivola carezzando i miei fianchi, le mie cosce ed infine, posandosi sui miei piedi e circondandoli, quel corto asciugamano completa la sua corsa.
Nuda, bagnata e con in mano la pizza fumante, la mia faccia si infuoca ed ogni muscolo del mio corpo si blocca rendendomi una statua vivente.
Il ragazzo ormai a bocca aperta, mi fissa con il viso paonazzo ed un notevole rigonfiamento che sbuca sempre di più tra le gambe.
Per attimi che sembrano ore, nessuno dei due si muove.
Nessuno dei due parla.
L’imbarazzo è palpabile come l’eccitazione che sale nel corpo del ragazzo.
Tutto in me è fermo, come fossi in pausa, come non volessi fosse mai successo, come non volessi provare tutto quest’imbarazzo che per la prima volta mi invade rendendomi di ghiaccio.
Il suo sguardo è fisso sulla mia passera depilata.
Sembra voglia penetrarla, sembra lo stia facendo, sembra di sentire il suo sguardo risalire in me per aprirmi e sverginarmi una seconda volta.
Mi cedono quasi le gambe mentre stringendole tra loro e senza toccarmi, erutto tutta la mia voglia che come un fiume inizia a colare tra esse.
Nessuno parla, solo i miei respiri a pieni polmoni rompono il silenzio e poi mi decido.
- Ormai è successo, pace – rispondo per poi, sempre in silenzio voltarmi e dirigermi in cucina per posare la pizza sul tavolo.
Altrettanto in silenzio torno verso il ragazzo, non raccolgo nemmeno l’asciugamano ed una volta chinata, inizio a raccogliere tutte le monete sparse per il corridoio.
- Intanto sto asciugamano è troppo piccolo, e ormai hai visto tutto. - affermo senza ricevere risposta
Senza minimamente curarmene, come in uno stato di trance, inizio a spostarmi a quattro zampe intorno a lui, fermo, rigido, quasi violaceo in volto, con il respiro strozzato ma con gli occhi puntati tra le mie cosce.
Raccolgo infine i documenti ed il portafogli, dopodiché, rialzatami, senza guardarlo in volto e continuando a non coprirmi, prendo una banconota da 20 euro prima di posare il tutto sul divano.
– Mi spiace per cos’è successo. Io non volevo che… – cerca di dire, poi bloccandosi quando le mie mani allargano l’elastico dei suoi pantaloni.
- Tranquillo , ma ora facciamo un patto. -
Allargo anche l’elastico dei boxer facendo così saltar fuori un bel cazzo duro e quasi scappellato.
Con una mano lo avvolgo mentre guardo quanto sia bello, lo strizzo constatando la sua durezza e poi, dopo averci avvolto i 20 euro attorno, copro nuovamente tutto.
Mentre mi avvicino alla porta, aggiungo :
– Il resto è mancia e ti chiedo gentilmente di non dire a nessuno cosa è appena successo. – dico tutta di un fiato.
- Si tranquilla, ma ti devo ancora chiedere scusa. - esclama ancora con il volto paonazzo ed il cavallo dei pantaloni che sembra dover esplodere da un momento all’altro.
La serratura scatta, abbasso la maniglia, apro la porta standone sul retro di modo da non essere vista dall’esterno.
– Grazie per la pizza. Ciao. – aggiungo.
Come risvegliatosi da un sogno, si gira e con sguardo basso si dirige verso l’uscita.
Non un’altra parola.
La porta si richiude quasi da sola mentre io crollo a terra, prima in ginocchio e poi con il culo sul freddo pavimento.
Mi guardo tra le gambe.
Una mano apre la mia patata, l’altra entra ad ispezionarla.
Quando estraggo le dita sbianco quasi.
Le dita sono fradice.
Ora però è meglio mangiar la pizza, prima che si freddi.
Mentre sono intenta a cenare, il telefono squilla ancora.
Non faccio in tempo a raggiungerlo che ha già smesso.
– Cazzo! Ancora Francesco. – impreco aprendo il menu dei messaggi.
Un messaggio non letto.
Quando lo leggo quasi non mi reggo in piedi.
“Ti voglio. Ti aspetto in cantina adesso. Ti prego vestiti da porca”
– Vaffanculo alle regole. – dico con gli occhi che brillano.
Guardo il tavolo.
– Vaffanculo alla pizza. – dico guardando quei tre pezzi fumanti rimasti ancora sul cartone.
Quasi di corsa mi dirigo in camera.
Nel mentre rispondo al messaggio.
“Arrivo mio bel porco”
Inviato.
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