Una storia vera - Cap 3

di
genere
dominazione

CAPITOLO 3 - FUGA

Ha ancora il fiatone quando si gira e appoggia il morbido, abbondante seno sul mio petto. Mi guarda con uno sguardo strano, al contempo serio e stupito, mi guarda per un istante e poi dice:

“mi hanno insegnato che nella vita una mano da e una mano prende, la tua mano ha dato, ha dato tanto, è ora che sia la mia a dare”

e dicendo questa frase appoggia le dita sul bozzo dei miei pantaloni.
Le sorrido, passo la mano nei capelli scompigliati, sono un po’ imbarazzato, non so come dirle:

“io sono un po’ strano, emm, diciamo che ho gusti… complicati? Sicuramente impegnativi, diciamo che richiedono dei sacrifici”

Incuriosita: “che vuoi dire?”

Forse questa volta sono io ad arrossire, ad essere imbarazzato:

“diciamo che perché piaccia a me è probabile emm… cioè, non so se potrebbe piacere a te”

È ancora più incuriosita, sto facendo un casino, mi sto spiegando da schifo, non sono preparato a spiegarmi e poi, all’improvviso, lo sento. Cazzo, non è possibile o forse si, si che è possibile, quante sere sono andato nello stesso locale, alla stessa ora, per la stessa strada? Quattro, cinque? neanche mi ricordo, ero così concentrato su di lei che sono stato incauto e ora? Lei, la devo proteggere. Mi alzo scansandola in malomodo, cazzo, già ho gusti strani e in più la prima volta che lei mi si avvicina io la scaglio via, che disastro. E’ interdetta mentre vado verso la camera da letto che non abbiamo neanche raggiunto. Prendo la coperta, torno e gliela lancio sopra:

“resta li sotto, non farti vedere per nessun motivo, non devono vederti”

Neanche finisco la frase che la porta di ingresso si spalanca, sfondata. Due energumeni entrano, sono a pochi metri da me, due guardie, mi guardano e sorridono sghignazzando. Una dice all’altra:

“visto che è lui, ne sono sicuro, è proprio lui”, “bloccalo prima che ci sfugga di nuovo”

Tutto avviene in un istante, la guardia entrata per prima alza le mani verso di me, vedo brillare gli anelli, salto oltre il divano facendo volare i cuscini che si congelano a mezz’aria. Scatto in avanti mentre i due imprecano, afferro la sedia su cui erano diposti gli abiti e la lancio verso di loro, la seconda guardia alza le mani un’istante prima di essere colpita e il legno della sedia si plasma intorno al suo corpo come fosse morbida gomma.
Questo mi da comunque il tempo di raggiugere la mia giacca caduta a terra, infilo la mano dentro la tasca interna e sbatto forte a terra. Le guardie crollano, spalmate sul pavimento come avessero un peso di 300 Kg sulla schiena, immobilizzate, faticano a respirare e in breve svengono.
Inizio a rivestirmi:

“svelta, esci di li e rivestiti, dobbiamo fuggire”

“ma che cazzo sta succedendo, guardie? E come le hai bloccate? Hai un’oggetto carico, non puoi, non si può”
“vestiti, vestiti, le guardie non fanno mai irruzioni senza avvisare, se loro sono qui a breve arriveranno gli accoliti, dobbiamo sparire, non possono trovarti, lo sai, faresti una fine peggiore della morte stessa, diventeresti una preda per il loro giochi”

Mi fermo, la guardo, è impietrita, non so neanche se mi sente e ha ragione lei. Mi avvicino ma fa un passo indietro. Stringo le labbra, cerco il suo sguardo, ho bisogno che mi senta:

“SUSANNE?”

esplode

“Cazzo non lo sai, non ti ho mai detto il mio nome, non ti ho mai detto il mio cazzo di nome, ci ho fatto attenzione, mai pronunciato ma tu invece lo sai, chi cazzo sei, dimmi chi cazzo seiiiii?”

“hai ragione e non volevo andasse così, è tutto troppo presto e io ora non ho modo di spiegarti, so che sembra una follia, ti avevo detto che sarebbe sembrata una follia ma ormai sei qui, adesso, ormai, siamo qui e tra pochi istanti arriverà almeno un accolito, ti prego, dobbiamo scappare”

Vedo scendere una lacrima di frustrazione dai suoi occhi mentre inizia a vestirsi, faccio lo stesso e pochi secondi dopo siamo in strada ma è troppo tardi, in cima alla via lo vedo, è impossibile confondersi, un accolito cammina piano verso di noi, siamo due condannati e la condanna ci sta raggiungendo.
Le afferro la mano e fuggiamo per gli stretti vicoli della città. Corriamo più forte possibile ma ad ogni svolta lui è più vicino, non sta correndo ma si avvicina, come è possibile?
Inizio ad avere il fiatone ma non mollo e non permetto a lei di mollare, mi guardo indietro, è talmente vicino che ne distinguo chiaramente la maschera, una specie di toro con un lungo impermeabile nero e io non riesco a capire dove siamo finiti.
C’è qualcosa che non va, pensa, pensa, ci ha quasi preso eppure neanche ci insegue, pensa… IDIOTA che sono, avere lei qui mi rende frettoloso, ho troppa paura che ci vada di mezzo. Mi fermo di botto e la stringo a me:

“che fai?”, “devi fidarti”

Infilo la mano nella giacca, stringo forte, il mondo attorno a me scricchiola, una persiana malmessa cade a terra con un tonfo pesante, un vaso di fiori si crepa mostrando le radici immerse nella terra al suo interno. L’accolito, si ferma, si appoggia su un ginocchio e all’improvviso il panorama intorno a noi cambia completamente:

“lo sapevo, stavamo girando in tondo mentre lui si divertiva a farci correre, andiamo, non ci metterà molto a riprendersi”

Ora so la strada, so dove andare, in breve imbocchiamo l’ingresso della metropolitana deserta in piena notte, binario C, direzione SUD, il treno è li, sta per partire, alle nostre spalle nessuno, forse ce la facciamo.

Stiamo viaggiando, non riesco a tranquillizzarmi ma siamo soli, forse siamo salvi, ci sediamo, sfiniti, sudati, in silenzio. Per il capolinea fuori città solo quattro fermate che servono per dare il tempo ai nostri cuori di ritrovare il ritmo normale ma che non riescono a sciogliere il silenzio fra noi due. Mi sento così in colpa e l’ansia non mi abbandona.

Poco più di dieci minuti e siamo al capolinea, il treno si ferma definitivamente, mi alzo e le porgo la mano, lei neanche mi guarda ma la prende senza forza e mi segue. Mi avvicino alla porta, dai finestrini vedo la stazione vuota, si apre e mi ritrovo lui proprio a un passo da me, ci aspettava, come cazzo è possibile, il volto da toro davanti al mio viso.
Non faccio in tempo a reagire, mi afferra per il cappotto e mi scaglia contro il muro della stazione, corde robuste appaiono dal nulla e mi legano stretto da togliere il respiro. Il colpo mi piega le gambe, cado in ginocchio, la vista si offusca ma riesco a vederlo prenderla per i capelli.
Urla, si dibatte, lo colpisce ma lui neanche la sente.
Davanti ai nostri occhi l’accolito si trasforma, non era una maschera la sua ma il suo vero volto. Gli abiti si strappano mentre lui si ingrossa a dismisura, ora sarà almeno due metri e mezzo. Possenti braccia e gambe pelose. Bicipiti delle dimensioni di un salvagente. Corna enormi sopra il viso taurino. Sorride:

“pensavi veramente di potermi sfuggire? Idiota, l’unica cosa che hai ottenuto è che ora dovrai guardarmi divertirmi con la tua bella fino a squartarla da dentro prima che ti prenda e ti porti al tuo destino di ricercato”

Tiene i capelli di lei tanto stretti da alzarla da terra, lei non smette di lottare per quanto inutilmente.
Sono stordito, cazzo la botta è stata veramente forte, che ingenuo. Cerco di reagire ma le corde hanno la meglio, non riesco neanche a rialzarmi, il mondo gira troppo.
L’accolito tratta Susanne come fosse una bambola, tenendola alzata da terra per i capelli scorre il suo corpo con le enormi dita. Le preme l’indice sulle morbide labbra cercando di farglielo ingoiare. Lei lo morde immediatamente, nei suoi occhi la furia fiera di un leone ma il suo morso è inutile su quella pelle troppo dura che non può essere ferita così facilmente. Aumentando la pressione la costringe ad aprire la bocca che fatica a contenere l’inumana falange, ridendo forza la mascella, lei fatica a respirare, lacrime solcano il viso infuriato.
Quell’enorme bestia si sta divertendo con lei, sghignazza:

“chi sa, se ti slogo la mandibola forse riesco a cacciarti in bocca qualcosa di più grosso del dito ma forse ti ammazzerei su colpo, e sarebbe un peccato, è ancora presto”

Appoggia Susanne di schiena sulla struttura dei cancelli di ingresso della metropolitana tenendola bloccata con una mano sulla testa in modo da inarcarla ed esporla. Attraverso i pantaloni già tesi dalla trasformazione si intravede chiaramente un sesso delle dimensioni proporzionate a quelle dell’enorme mostro:

“ora ci divertiamo bella, vediamo quanto può resistere questo tuo morbido corpicino”

Le sfila i pantaloni mettendo in mostra il pube, il sedere e le morbide, tornite, gambe. Si sistema fra le sue cosce che si spalancano per fare posto all’aggressore. Estrai dai pantaloni tesi un sesso turgido, enorme, con le vene pulsanti, scuro e con la cappella appuntita come quella di un toro che si va ad ingrossare a dismisura. Appoggia il pene sulla donna come a prenderle le misure. La base sul sesso liscio e la punta che arriva alla bocca facendo colare sul viso di lei una grossa quantità di liquido pre eiaculare.

Mi guardo intorno, siamo soli, lontani dalla città e il mondo non gira più, può andare bene e poi non ho scelta.
Alzandomi chino la testa da un lato guardando l’enorme creatura, il suo fetido odore riempie l’ambiente, che schifo. Chiudo gli occhi, faccio un sospiro profondo e le corde cadono a terra prima di sparire completamente:

“ehi scemo…”

Si gira e mi guarda, è stupito, la lascia, lei cade di fianco ai suoi zoccoli enormi, si rimette il cazzo nei pantaloni e mi ringhia contro:

“come è possibile? Chi sei? Nei vicoli ero certo che avessi usato un oggetto per rompere la mia illusione ma ora no, ora, semplicemente, sei riuscito a resistere alla mia magia e che io sappia c’è un solo modo per farlo, avere un’intensità energetica superiore alla mia ma questo non è possibile. Come?”

“è tutto il giorno che mi viene chiesto chi sono e sai cose ti dico? non ti riguarda” gli sorrido, lo innervosisco, non sta certo pensando a giocare con la mia bella ora. Urla, l’urlo di un mostro, fa tremare la stanza, rimbomba grave:

“non me ne frega un cazzo di chi sei, posso portarti indietro anche a brandelli, forse hai trovato il modo di schivare la mia magia ma non schiverai le mie corna, ora ammazzo lei e poi infilzo te”

Alza il pesante zoccolo pronto a calarlo su di lei, sul suo cranio ma improvvisamente lei scivola, leggera, cade orizzontalmente fra le mie braccia. La afferro al volo, le sorrido, è scossa. La appoggio a terra, un bacio leggero: “perdonami se ci ho messo tanto” vedo i suoi occhi sgranarsi mentre sento la terra tremare. Mi sta caricando, è quasi su di me.
Mi volto, è velocissimo, lo guardo, rallenta, gli zoccoli che lasciano pesanti solchi nel pavimento della stazione. Mi muovo verso sinistra, leggero, ampie falcate, come scivolassi, lui curva la sua traiettoria mantenendo me come bersaglio ma distanziandosi da lei. Perfetto. Mi fermo, lo attendo e all’ultimo scivolo veloce, con semplicità, fra le sue zampe. Piega le ginocchia, si arresta di botto e fa un salto per rigirarsi verso di me. Aumento la distanza fra noi e lo fronteggio. Mi sta guardando stupito che sia ancora vivo, chi sa da quanto qualcuno non sopravviveva alla carica di quell’essere. Gli parlo:

“sei stato bravo, in città credevo di aver spezzato il tuo inganno e di averti distanziato ma in realtà l’avevi solo attenuato. Sono riuscito a trovare la strada per la metropolitana ma sei rimasto sempre con noi, invisibile alle nostre menti ma con noi. Il treno era il luogo peggiore per il tuo dono, uno spazio stretto e in movimento, hai preferito aspettare con calma, ti senti molto superiore ma sei scrupoloso, non ci hai attaccato li, hai aspettato che fossimo fermi del tutto. Ecco perché non ti ho visto quando ho guardato dai finestrini del portellone, era un’illusione che hai interrotto solo quando le porte si sono aperte, quando non potevo sfuggirti”

“tutto corretto, esatto, sei un tipo sveglio e capisci troppe cose ma visto che mi hai già chiarito che non mi dirai chi sei resta solo da risolvere il problema che sei ancora vivo”

Non mi carica più, non mi sottovaluta più, si abbassa un po’, allarga le braccia per braccarmi, per rendere più arduo schivarlo. Lo aspetto mentre si avvicina piano, ho solo l’agilità dalla mia parte e nulla in mano con cui poter ferire una creatura del genere.
Sono ormai a tiro di quelle possenti braccia, sposto un pelo il peso sulle punte, sollevo appena i talloni e inizia la nostra danza. Possenti zampate da parte della creatura mentre schivo, mi sposto, indietreggio. I suoi peli mi sfiorano, riesco ad evitare gli attacchi millimetricamente, è veloce, furioso, una tempesta di colpi, non posso sbagliare neanche un passo ma i muri mi si stringono intorno. La sua non è una furia cieca, mi sta spingendo dove mi sarà più difficile evitarlo e la sua rete si è quasi chiusa. Sono in un angolo, non ho spazio, lo sa, si ferma e mi guarda sorridente, scacco matto ma poi una nuvola di fumo bianco a ricoprirci e un colpo sordo.
Vedendomi all’angolo Susanne ha preso un estintore dal muro, glielo ha scaricato contro e poi l’ha alzato sopra la testa per mollarglielo sulla possente schiena muscolosa. Molto coraggiosa ma il mio avversario se ne accorge appena e in più si è avvicinata troppo a lui, è a portata del suo braccio e quel toro umanoide non vuole perdere l’occasione di liberarsi di lei. Scaglia la potente zampata all’indietro nella nuvola bianca, verso il suo viso che intravede appena ma in lei non c’è timore, paura, è incredibile, un fuscello rispetto al suo aggressore ma non lo teme. Non si era avvicinata troppo, non era stata ingenua, era esattamente dove voleva essere, sfumata nella coltre che aveva creato con l’estintore. Si abbassa fulminea, schiva il fendente che avrebbe potuto spezzarla a metà e dal basso verso l’alto sferra con tutte le forze una mazzata con l’estintore prendendo in pieno lo scroto della creatura che questa volta accusa il pesante colpo e ulula.
Ne approfitto anche io per tirare un calcio a tutta forza con la punta degli stivali nello stesso punto e lui smette di respirare. Urla di dolore ma ho ottenuto solo di farlo infuriare di più. Susanne scivola indietro al lato opposto della stanza e la nostra danza riparte, ogni colpo che schivo si infrange sul muro alle nostre spalle danneggiandolo, crepandolo. Grazie a lei, in realtà, ho ottenuto proprio quello di cui avevo bisogno, ora è furia cieca sul serio, attacca senza uno schema, ora guido io. Se mi colpisse solo una volta non sopravviverei ma non mi può colpire. Ho solo una speranza di fermalo. Schivo e schivo facendolo impattare ovunque. Crepe profonde si creano intorno a noi finché non accade proprio quello che stavo sperando.
Con una rapidità incredibile mi allontano dallo scontro mentre il soffitto crolla pesantemente sulla creatura. Siamo nella metropolitana, sopra di noi metri e metri di terra e detriti. Una nuvola di polvere ricopre il mio avversario, vedo vari, enormi, pezzi di cemento armato crollare ad una velocità innaturale.
Quando la nuvola si placa, sotto i detriti vi è il cadavere dell’uomo-toro trafitto dalle barre di metallo del cemento armato. E’ finita, è morto.
Sento Susanne afferrare il mio braccio, mi guarda:
“è morto?”, “si, è finita”

Qualche secondo di silenzio e poi la sento dire:

“però non mi hai chiesto neanche se fossi interessata a farci un giro”

La guardo confuso: “cosa?”

“su quel cazzo enorme” e scoppia a ridere lasciandomi a bocca aperta:

“brutta zoccola, come ti permetti?”

“già, sono proprio una ragazza cattiva, forse dovresti punirmi, sempre che io abbia capito bene quel disastro di discorso che stavi cercando di farmi prima che esplodesse questo casino” e mi sorride complice.
Sono di nuovo senza parole.

…CONTINUA. IL RACCONTO TI E' PIACIUTO? LO HAI ODIATO O ALTRO? DARE UN'OPINIONE AIUTA A MIGLIORARSI glorfindel75@gmail.com
scritto il
2025-02-11
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