Una storia vera - Cap 2

di
genere
dominazione

UNA STORIA VERA

N.B.
Ciao, questo non è un racconto in cui il sesso, il porno, sono al centro della storia. E’ un racconto dove il centro è il racconto stesso. Dove serve sesso c’è sesso, dove non ha senso che ci sia non c’è…

CAPITOLO 2 - RIAVERLA

Quattro giorni, sono quattro giorni che torno in questa specie di rifugio per temerari nella speranza di ritrovarla ma lei non c’è. Me ne sto seduto al mio solito tavolino, oggi c’è molta meno gente di quattro sere fa, l’ambiente è quasi intimo e ciò accresce solo la mia solitudine, la frustrazione del non trovarla.

“mi dici come cazzo fai a saperlo?”

E’ arrivata alle mie spalle quasi urlando quella domanda tanto da far girare i pochi ospiti presenti.
Sorrido, lei è incazzatissima ma io non posso fare a meno di sorridere. Ruotando la sedia la guardo, impettita, furibonda e altezzosa, coraggiosa e spaventata, è stupenda come può esserlo uno tempesta.
Poco più indietro, a distanza di sicurezza, le sue amiche ci guardano sghignazzando. Sono la sua scorta, la tengono al sicuro dai pazzi, da me? Le parlo:

“cosa hai detto alle tue amiche? È impossibile che tu abbia raccontato tutta la verità, è uno dei pochi segreti che hai anche per le tue amiche”

Stupita, spiazzata:

“cosa? Che c’entra? Oddio, ho detto che mi avevi fatto incazzare, cioè, dai, uff, ora non centra, sei tu che devi rispondermi, non rigirare la frittata, rispondi e basta”

“in verità non DEVO risponderti, non sono molto avvezzo a ricevere ordini però magari potresti sederti, tanto hai le guardie del corpo e qui in mezzo ad un locale ti dovresti sentire abbastanza al sicuro”
Credo che fosse un po’ alticcia, non troppo, il necessario per trovare il coraggio di affrontarmi. Guarda le amiche, guarda me:

“ok, mi siedo così potrai rispondermi, offrimi da bere”

“hai già bevuto abbastanza”

“ma chi cazzo sei mio padre?”

“no e se vuoi ti offro qualcosa di analcolico”

“sei odioso”

“sei agitata, calmati, non ho fatto nulla di male”

“non hai fatto nulla di male? Mi spii cazzo, mi spii e non hai fatto nulla di male?”

“io non ti spio, come potrei? In che modo? Lo sai che è impossibile”

“…e allora come lo sai?”

“mi spiace, non ho una risposta migliore da darti di quella che ti ho già dato”

“ahhhh, sei l’amore della mia vita giusto? Certo, mi conosci meglio di come io conosca me stessa giusto?”

So che non dovrei ma non resisto proprio, non riesco a tacere:

“…e so anche come farti venire, in verità conosco vari modi di farti venire, è il mio passatempo preferito trovare modi nuovi per farti raggiungere l’orgasmo”

È senza parole, allibiti. La bocca, morbida, accogliente, dischiusa ma senza fiato.
Si accascia, abbandona la schiena contro la sedia, lo sguardo rivolto verso l’alto, sospira pesantemente:

“non mi dirai la verità vero?”

“l’ho già fatto ma posso capire come ti senti solo che non ho modo di rendere tutto meno assurdo però ascoltami. Potrei essere un pazzo psicopatico che in qualche modo rocambolesco è riuscito a scoprire di te cose che nessuno dovrebbe sapere però questa cosa tu la hai già considerata e se sei qui vuol dire che sei disposta a correre il rischio. Siamo sinceri, non sei qui solo per avere una stupida risposta, sei qui perché in qualche modo sto affollando la tua testa, sbaglio?”

….

“forse”

“detto questo potrei essere l’amore della tua vita di cui non ricordi nulla oppure un tipo strano che è riuscito ad attirare la tua attenzione. Magari potresti passare la serata con me, qui, ora e vedere se ne vale la pena”

….

“forse ma devi offrirmi da bere, alcool”

“questo è un ricatto, io non tratto con i terroristi”

“non è un ricatto, è uno scambio, se devo fare questa pazzia ho bisogno di essere in discesa”

“non DEVI farlo, al massimo puoi volerlo”

“sei noioso e il risultato non cambia, alcool”

Alzo la mano, un cenno al barista con le dita, due, poi indico il tavolo prima di giungere le mani a mimare un per favore.

Tutto il resto è semplice, spontaneo, il tempo scorre fra una risata, una frecciatina e qualcosa di piccante. Non andiamo sul personale, è quasi naturale non farlo, non mettere alla prova la situazione, non passare il tempo ad indagare sulla verità di quella strana serata.
Ci divertiamo, lei è magnifica, solare, avvolgente. L’alcool sicuramente aiuta ma ora non ha più paura, non riflette più. Arrivano le sue amiche, è tardi, dicono di voler andare e lei, naturalmente, senza rendersi conto dice di voler restare ancora un po’. Solo in quel momento le torna in mente che non mi conosce e come mi ha conosciuto. Lo ricorda solo quando la sua scorta le chiede se è sicura, se sia il caso. Solo allora riaffiora il pensiero che potrei essere un pazzo, un maniaco.
Ci riflette un attimo, mi guarda ma non mi dà il tempo di parlare, di dirle di andarsene. Congeda le altre ragazze, scontente. Siamo soli, nel locale al massimo dieci persone, intorno a noi solo la penombra.
Le parlo:

“sei pazza, devi fuggire da una situazione come questa e poi, e poi lo sai che domani mi troverai qui ad aspettarti, non c’è fretta, mi troverai qui anche l’ultimo domani della mia vita”
Arrossisce, distoglie lo sguardo dal mio mentre sussurra:

“…domani sarei qui a cercarti, lo so già quindi perché aspettare domani?” La sua mano sulla mia, quel contatto, come un brivido “abiti lontano?”

Sto fissando la sua mano, snella, piccola, affusolata con unghie rosse, le rispondo:

“abito più vicino di te” e scoppio a ridere, in realtà non so dove abiti ma lo scherzo ci stava.
Mi becco una sberla sulla mano “smettila, andiamo? Devi dimostrarmi qualcosa”
Oh cazzo, ho fatto delle promesse in effetti:

“posso prometterti che non ti annoierai”

Scoppiamo a ridere, il riferimento alla sfida della prima sera è ancora vivo.
Andiamo.
….
Il tragitto è breve, lo percorriamo furtivi, l’eccitazione è più forte della paura. Non c’era nessuno in giro e finalmente siamo soli, la porta appena chiusa dietro di noi, fra i nostri visi pochi centimetri. Non faccio in tempo neanche a pensare di chinarmi verso di lei che mi salta letteralmente addosso. La bocca sbattuta contro la mia, la lingua forzata a trovare la mia.
La lascio fare, è talmente eccitata da risultare impacciata, frettolosa ma non la fermerei mai. Faccio scorrere le mani sui suoi fianchi, mentre, finalmente, respiro il suo respiro.
Quasi passivo attendo che si stacchi, che prenda fiato, che mi guardi, che veda il mio sorriso e mi chieda:
“che c’è ?”

Vedo un barlume di quella sua indecisione che la rende una donna tanto decisa, una timida incertezza, me lo godo per un istante prima di risponderle:

“spogliati !”

“cosa ?”

“spogliati completamente, non tenere nulla!”

Il mio è un ordine, perentorio, volutamente freddo e lei lo percepisce, cozza contro il suo orgoglio ma si morde il labbro e poi inizia, abito dopo abito, la pelle sempre più esposta, nuda.
Il seno si mostra al mio desiderio prima ancora che si tolga le scarpe, lancia abiti qui e la senza vergogna, frettolosa, fino a rimanere solo con gli slip. E’ magnifica, tacchi e tanga di fronte a me, sinuosa e piena, morbida quanto basta, come una donna deve essere, accogliente, non spigolosa.
Ora ha rallentato, abbassa piano gli slip, li lascia cadere alle caviglie, il pube liscio incastonato fra le gambe allineate. Con la punta del piede lancia il tanga nella mia direzione. Lo prendo al volo, serio e attendo che scenda dai tacchi. Ora è solo lei, nulla che non appartenga al suo corpo se non il piercing al capezzolo sinistro, lo odio.
Posa le mani sui fianchi in segno di sfida e tace come a voler sottintendere che se la volevo nuda era nuda, e ora?
Mi muovo piano verso di le, gli slip in mano, si scioglie un po’, sono ad un passo dal suo calore e mi chino, raccolgo le sue scarpe e le ripongo affiancate sotto una sedia. L’ho spiazzata ma proseguo, abito dopo abito raccolgo i suoi indumenti, li giro dal verso giusto, gli do una piegata e li ripongo sullo schienale della stessa sedia. Lei è incredula, glielo leggo chiaramente in faccia, è li nuda difronte a me, esposta, disponibile e io faccio ordine. E’ indispettita tanto da raffreddarsi un po’ e dire acida:

“scusami se ti ho ubbidito spogliandomi per te troppo in fretta, la prossima volta vedrò di riporre i miei abiti educatamente”

Mi avvicino a lei in silenzio, la fisso, mi avvicino molto e mi sfilo la giacca, la camicia, resto a torso nudo, il suo viso a pochi centimetri dalla mia pelle; mi chino un pelo, avvicino le labbra alle sue e sussurro:

“sono felice di sentirti parlare di una prossima volta, sono felice che ci sarà una prossima volta ma non è vero, non imparerai mai a metterli in ordine. Fammi un favore, riponi i miei abiti vicino ai tuoi così io potrò osservare il tuo corpo nudo”

Ora è spiazzata, la splendida bocca appena socchiusa, gli occhi sgranati, l’ho lasciata senza parole; prende i miei abiti e li porta alla sedia dandomi le spalle, mostrandomi la schiena liscia, il culo invitante. Fa appena in tempo a deporre gli oggetti che sono dietro di lei, la abbraccio, la avvinghio da dietro, mi avvento con la lingua sul suo collo. Geme. Appoggio la sua schiena al mio petto, la pelle che striscia sulla pelle, le prendo le braccia, entrambe, sotto i gomiti e gliele alzo, sopra la testa, ad abbracciare la mia testa, le mani dietro la mia nuca per esporla, esporre i seni che percorro leggero, sui fianchi, dire che li tocco è troppo, li sfioro appena, scendo, arrivo sulle cosce, all’esterno e poi rientro con le mani, le dita della sinistra che incontrano quelle della destra al centro delle sue gambe, premo appena e lei si lascia aprire, lascia il sesso libero di respirare.
Non ho smesso di baciare il suo collo, le spalle, leccarla e lei ha dimenticato di essere stata infastidita, brucia.
Con la mano destra raggiungo la tasca dei pantaloni e ne estraggo un’oggetto, lo alzo, lo porto davanti al suo viso e lei si irrigidisce. La realtà è tornata, fredda cruda, spaventosa. Nella mia mano, davanti al suo viso una corda nera, meno di un metro, tonda, setosa, spessa, morbida e decorata da una decina di grossi nodi che si susseguono a poca distanza uno dall’altro. E’ l’oggetto che non dovrei conosce o almeno gli assomiglia molto, l’oggetto della sua intimità, l’oggetto di cui non ha mai parlato a nessuno. Sussurro:

“hai paura ? vuoi che mi fermi ? sarebbe normale”

Ora è rigida, la sento contro il mio corpo, due, tre, quattro respiri e poi chiude gli occhi, si affloscia ancora su di me, mi si preme contro e fa cenno di no con la testa, i lunghi capelli corvini che strisciano sulla mia carne. Sospiro anche io.
Abbasso le mani, abbasso la corda, con la mano destra la porto all’altezza delle sue ginocchia che tremano leggermente. Con la mano sinistra afferro l’altro lato dell’oggetto da dietro al mio sedere e lo tendo.
E’ più bassa di me, il tessuto incontra il suo sesso prima di qualsiasi altra cosa, il nodo centrale si appoggia sulle grandi labbra e inizia a spingere. Lei spinge indietro la testa, contro di me, inarcandosi e con le mani divarica il sesso in modo che la penetrazione avanzi, che la corda arrivi alla parte più rosea, più sensibile della sua intimità, che il nodo trovi il clitoride gonfio, turgido.
E’ tesa, vibra sul mio corpo mentre mi sporgo in avanti con la testa, con le labbra cerco le sue labbra e questa volta il bacio è scomodo, storto in quella posizione ma morbido, umido, caldo, necessario.
Le nostre lingue si forzano per trovarsi, la punta che lambisce la punta mentre inizio a far scorrere la corda verso avanti, la tiro lentamente ma con decisione verso l’alto. Quello strofinare deciso sulla carne delicata dovrebbe essere una tortura ma lei geme, sempre più intensamente. Il suo sesso è un lago tanto da rendere scorrevole la fessura. Il primo nodo scavalca il clitoride premendolo a fondo, quasi saltando. Il secondo e proprio all’altezza dell’entrata della vagina e lei lo spinge dentro con le dita affusolate, lo fa affondare e facendolo tende ulteriormente la corda che preme sul punto più sensibile del sesso e sull’ano.
Continuo la mia corsa millimetro dopo millimetro, lei ha ormai le ginocchia flesse, la testa all’indietro, la nuca contro il mio petto. La bacio da sopra, ora riesco bene e affondo la lingua nella sua in quel bacio a rovescio. Il respiro è affannoso e fa sobbalzare i seni proprio di fronte ai miei occhi. Spingo e tiro, lei divarica, preme a fondo e ulula di piacere.
L’oggetto percorre tutta la sua corsa avanti e indietro più e più volte, per lunghi minuti fa sobbalzare quello splendido corpo mentre i nodi la penetrano, la scavano, la sodomizzano. Ormai la corda è fradicia, me la arrotolo sulla mano come fosse una fascia, le intimo di allargarsi bene le labbra del sesso con le mani che afferro con le dita, premo forte il tessuto tano da far penetrare le prime due falangi dentro di lei. Con il braccio sinistro la afferro intorno ai seni per sorreggerla altrimenti si accascerebbe a terra. La masturbo con forza facendo attenzione a premere bene la corda contro il clitoride arrossato, facendo attenzione a strofinare bene il suo sesso in profondità. Veloce, forte, insisto mentre si divincola, la costringo ad accettare quella stimolazione intensa, troppo intensa.
Lei urla nella mia bocca, e inebriata, viene di un orgasmo che non mi aspettavo, di un orgasmo che non credevo sarei riuscito a trovare quella sera.
Ormai tutto il suo peso è sostenuto da me, lei vibra isterica ma io non accenno a rallentare. La mano mi fa male per lo sforzo, la corda è ormai tutta dentro di lei insieme alle mie dita.

“basta, basta, basta, ti prego, è troppo forte adesso”
“ancora un po’, sei così bella”

Rallento la velocità ma spingo più che posso, rallento sempre più seguendo il suo respiro e ci accasciamo a terra, ancora avvinghiati, ancora sprofondato nel suo seno, nel suo sesso sgocciolante. Ancora abbracciati.
Ridiamo mentre mi lamento dei crampi al braccio destro, mentre ancora sobbalza scossa dal violento orgasmo.

…CONTINUA. IL RACCONTO TI E' PIACIUTO? LO HAI ODIATO O ALTRO? DARE UN'OPINIONE AIUTA A MIGLIORARSI glorfindel75@gmail.com
scritto il
2025-02-10
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