Accettare le condizioni - Capitolo 14 - 15
di
Glorfindel
genere
dominazione
CAPITOLO 14
Fui accompagnata nella mia stanza da qualcuno, adagiata sul letto e lasciata sola, intorno a me solo silenzio e il ticchettio di un orologio che scandiva il tempo che mancava al riprendere di quella gara che aveva raggiunto limiti inaspettati. Rimasi immobile, riflettevo, riflettevo sul fatto che avrei perso se il dottore non fosse intervenuto e forse sarebbe stato meglio, almeno ora la gara sarebbe finita. Certo avrei dovuto pagare per la mia sconfitta con chi sa quale sconcia perversione ma poi alla fine era così importante? Non era ormai quella la mia vita, schiava di un accordo che aveva fatto di me un mero corpo atto a soddisfare le perversioni altrui? In dormi/veglia quel pensiero rimbalzò nella mia mente per lunghi minuti, ero esausta, distrutta, lo strato di sperma che mi ricopriva il viso si andava raddensando e mi tirava la pelle. Quando mi ridestai completamente erano passate più di due ore e mezza, indolenzita mi alzai, lo specchio davanti a me mi restituì l'immagine di una donna sfatta e la cosa non mi piacque affatto, era vero che ormai ero solo una schiava ma era anche vero che la situazione nasceva da una mia scelta e poi, il dottore era intervenuto, perché? perché non aveva lasciato che perdessi la gara? Mi alzai, decisa, se questo era il mio ruolo lo avrei ricoperto nel modo migliore possibile e poi Pamela, ora non la vedevo più come prima, aveva perso il suo potere, la sua eleganza ai miei occhi. Il suo perdere il controllo durante la mia prova la diceva lunga su quella donna e a me non andava di perdere una sfida contro di lei. La doccia mi attendeva, era ora di prepararsi per far proseguire il gioco del padrone. Il vapore dell'acqua bollente mi restituì allo specchio con un'immagine che mi piaceva molto di più. Il viso, ora perfetto e pulito, risaltava grazie alla sottile linea rosso scuro che ricopriva le labbra morbide andando in pandan con la pelle olivastra e perfetta. La cornice fatta dai capelli ramati, lisci che arrivavano vino alla schiena era perfetta per il trucco sottile ma allungato che avevo dato agli occhi contornandoli di scuro, di nero. I mie ventitré anni spiccavano impetuosi sul mio fisico snello come dimostrava il seno non abbondante ma sodo e teso, le grosse areole scure completavano la perfezione della scena. L'orologio chiamava, mi vestii e sicura di me mi diressi verso la stanza della prova dove gli altri, compresa la mia sfidante, attendevano ansiosi. Appena raggiunsi il mio posto il dottore si alzò e con tono sicuro:
“è mia opinione che la gara fino a questo momento si sia svolta in totale parità quindi sarò io a scegliere la prossima prova per entrambe in modo da uscire da questa situazione di stallo. La prova si svolgerà contemporaneamente per tutte e due le concorrenti che dopo aver sentito la mia scelta potranno decidere se parteciparvi o se ritirarsi, ovviamente, perdendo.
***LA PARTE CHE SEGUE E’ LIBERAMENTRE ISPIRATA AD UN RACCONTO CHE LESSI TEMPO FA E CHE MI PIACQUE***
Ci muoveremo e raggiungeremo la vicina stazione ferroviaria, siamo in piena notte, le due concorrenti verranno lasciate dentro i bagni degli uomini, nude e con le mani legate dietro la schiena, un piccolo gruppo di noi attenderà sull'ingresso e avviserà chiunque dovesse entrare che le donne sono a completa disposizione per qualunque e ripeto qualunque cosa. Nessuno interverrà per nessun motivo, solo le concorrenti, arrendendosi, potranno fermare lo svolgere degli eventi. Allo scadere di due ore, se nessuna avrà ceduto, torneremo qui e procederemo ad una prova ad oltranza che porrà fine a questa gara. Le concorrenti accettano? Accettammo entrambe, probabilmente senza riflettere, senza capire ed in breve ci trovammo in ginocchio sul freddo pavimento di piastrelle di un maleodorante bagno, sole nel silenzio della notte e completamente nude. Non ci guardavamo mentre il freddo si faceva strada in noi, mentre attendevamo. Non ci volle molto perché entrasse un ragazzo, alto, grosso, capelli rasati, addosso un giubbotto di pelle pieno di spille di ogni genere, al guinzaglio un grosso alano che subito iniziò ad annusare la miriade di odori in cui eravamo immersi. Si guardò attorno un po' incredulo poi guardò noi che eravamo a circa un paio di metri di distanza. Sorrise, legò il cane ad un termosifone e si avvicinò a me, mi prese per i capelli e mi trascinò di forza addosso a Pamela dicendo:
“beh, cmq dovevo pisciare”
Ci costrinse in ginocchio spingendoci i visi uno accanto all'altro, le guance a contatto, gli angoli della bocca a sfiorarsi:
“forza puttane, aprite la bocca” tirò fuori l'uccello flaccido e dopo pochi secondi ci inondò i visi di calda urina dall'odore disgustoso, guidò il getto per annaffiarci bene i visi e poi fece si di riempirci ben bene le bocche fino a far tracimare il giallo liquido dalle nostre labbra.
Finito, con l'uccello ancora gocciolante, ci chiuse le bocche con le mani costringendoci, a malincuore, a deglutire la sua urina mentre rideva. Avendoci li a portata di mano, non appena le nostre bocche furono libere, ci presentò il suo pene da ripulire, entrambe ci affannammo a soddisfarlo consce che fare un pompino era il meglio che ci potesse capitare durante quella gara. Il membro si irrigidì man mano che passava dalle mie labbra a quelle di Pamela fino a diventare turgido, svettava in mezzo a noi che lo coccolavamo con le lingue che non potevano fare a meno di incrociarsi. Il ragazzo, mentre si godeva le nostre attenzioni, prese a torturarci un capezzolo a testa, li stringeva forte e li torceva, faceva male ma era sopportabile. Noi due, a turno, ci infilavamo la sua asta in gola il più possibile donandogli un veloce su e giù, mentre una lo teneva in bocca, l'altra si occupava dei testicoli. Ad un certo punto lui iniziò a torturare i capezzoli che avevamo vicini, li tirò fino a che non riuscì a sovrapporre quello di una sull'altro e a stringerli assieme in una stessa mano e poi, come avesse avuto un'illuminazione, si ritrasse alle attenzioni delle nostre labbra e si accucciò davanti a noi con un sorriso sadico sulle labbra. Stacco una spilla tonda dal suo giubbotto e con ancora i nostri capezzoli stretti assieme nella sua mano, li perforò entrambe da parte a parte assicurandoli assieme e chiudendo la spilla. Il metallo ci attraversò lento mandando dolori forti, pungenti, in tutto il corpo mentre ci mordevamo le labbra per resistere. Appena finito prese una seconda spilla e con la stessa lentezza la infilzò nell'altro capezzolo di Pamela che mentre resisteva, tesa, sudata, appoggiò la fronte alla mia mentre mugolava il suo dolore. Finito con lei, ovviamente, tocco a me e all'altro mio capezzolo. Lo prese fra due dita, lo tirò forte, allungandolo e poi, con la solita, lenta, sadicità, lo perforò da parte a parte. Il dolore fu forte e per resistere, senza pensarci, mi trovai a gettarmi sulle labbra di Pamela per un profondo, intenso e bagnato bacio a bocca aperta, lingua che si intreccia su lingua mentre gemiti di dolore e di piacere riempivano l'ambiente. Così, nude, nella toilette di una stazione, braccia legate, seni inchiodati assieme da una spilla, ci trovammo avvolte in un appassionato bacio senza fine, come se la sensazione delle labbra che si fondono potesse cancellare il dolore. La scena dovette piacere molto al nostro aguzzino che infilò il suo cazzo in mezzo alle nostre bocche e iniziò a stantuffare finendo a volte in lei e a volte in me. La scena durò a lungo, noi ci perdevamo una nella bocca dell'altra mentre lui si perdeva nelle nostre in un miscuglio di saliva e umori. Dopo un po', mentre sentivamo che il suo orgasmo stava per esplodere, quasi con rabbia, si stacco. Sganciò la spilla che ci teneva assieme facendoci urlare e ci divise. Tirandomi per i capelli fece stendere me a terra, la schiena a contatto con tutto lo schifo che ricopriva quel freddo pavimento, solo le braccia legate a dividermi dalle piastrelle gelide, mi allargò le gambe e tirò la testa di Pamela sul mio sesso, mettendola a quattro zampe e costringendola a leccarmi la fica. Pamela non si fece pregare e iniziò un minuzioso lavoro di lingua che mi fece ululare subito di piacere mentre il ragazzo spariva dalla nostra visuale. Pochi secondi dopo, mentre la lingua di Pamela entrava in profondità nel mio sesso bollente, restai sgomenta mentre il muso del grosso cane appariva da sopra la schiena della mia rivale che emise un suono soffocato mentre la sua faccia, non potendo usare il supporto delle braccia, veniva schiacciata di peso sulla mia fessura dalla mole del cane. Le grosse zampe anteriori penzolavano sui fianchi di Pamela mentre il cane, spasmodicamente, cercava la via del suo sesso con possenti colpi di reni. Ci impiego un po', forse aiutato anche dal suo padrone ma poi, mentre Pamela lanciava un urlo agghiacciante, il suo grosso sesso animale sprofondò di botto in lei sottoponendola ad una cavalcata dal ritmo allucinante come solo un'animale può fare. Il ragazzo riapparve mentre gli urli della mia avversaria si soffocavano nella mia fica, si mise a cavalcioni sulla mia testa, con il culo rivolto verso l'altra donna e mi infilò il grosso cazzo in gola spingendolo fino in fondo. Non so quanti minuti durò, non credo molti ma trascorsero con una lentezza estenuante. Avevo la gola piena, il ragazzo si era piantato in me in profondità e mi scopava velocemente senza mai arretrare troppo così che riuscivo a respirare veramente poco, ogni tanto poi si sedeva di peso spingendomi il suo coso tanto in fondo da farmi sentire un gran dolore alla gola che faceva fatica ad ospitarlo. Tra le mie gambe, sulla mia fica bagnata e aperta, si perdevano le grida di Pamela che a bocca aperta, con la lingua di fuori, colando bava, subiva le attenzioni dell'alano che trovata la via per la sua fica, non aveva mai smesso di stantuffarla in modo spietato, velocissimo mentre si ancorava con le grosse zampe alle sue carni lasciando lunghi graffi rossi sulla pelle perfetta. Animale e padrone godettero assieme di noi, l'uomo, con un ultimo, spietato, affondo nella mia bocca dolorante mi getto lunghi getti di sperma direttamente nello stomaco facendomi tossire ripetutamente mentre il suo liquido mi strozzava e mi usciva anche dal naso. L'animale, eiaculò il suo liquido nel ventre di Pamela tanto che dopo un po' iniziò a colarle per le cosce. I due si godettero la situazione fino alla fine, il cazzo mi rimase in gola tanto che credetti di svenire ma poi, per fortuna, si afflosciò lasciandomi libera di respirare mentre alle spalle di Pamela che ancora leccava, senza controllo, la mia fica, il cane, con la sua lingua ruvida, le strappava altri gemiti ripulendo il suo stesso sperma mescolato agli umori della donna, dalla sua vagina. Alla fine il ragazzo si rivestì, prese al guinzaglio il suo compagno e, soddisfatto, uscì dal bagno lasciandoci li, a terra, sfatte, in un miscuglio di sperma e urina.
…CONTINUA. IL RACCONTO TI E' PIACIUTO? LO HAI ODIATO O ALTRO? DARE UN'OPINIONE AIUTA A MIGLIORARSI glorfindel75@gmail.com
CAPITOLO 15
Questa paradossale gara si era protratta troppo a lungo, sfatta, a terra in un miscuglio di urina e sperma, con la mia rivale al fianco mi ritrovai a pensare all'assurda situazione che stavo vivendo. I respiri pesanti risuonavano all'unisono facendo alzare e abbassare lentamente i nostri ventri nudi. Che senso aveva tutto questo? A cosa serviva giungere a tali estremi? Per dimostrare cosa? Eravamo sfinite, non vi era più energia in me ed ero certa che non ve ne fosse neanche nella mia compagna, i contorni del mondo che ci circondava iniziavano a sbiadirsi, offuscarsi mentre la stanchezza prendeva il sopravvento sulla volontà. Fu in questo stato che, come lontane, udii voci:
“via via, svelti” “cazzo, ma le lasciamo qui?” “non c'è tempo” “aspetta, Pamela, almeno lei, non ce lo perdonerà mai” “ci penseremo poi, cazzo, svelti” “fermi, che succede, fermi”
Tutto diventava sempre più indistinto:
“ma che cazzo di puttanaio, guarda qui” “dai, carichiamole” “le portiamo all'ospedale?” “non so, carichiamole e vediamo come sono messe”
Stoffa asciutta sulla mia pelle nuda, mani caldi in contrasto con il lercio pavimento gelato, leggera, quieta, vinta, finalmente. Persi i sensi o mi addormentai? non saprei dire come, non saprei dire per quanto tempo ma quando mi destai ero avvolta dal calore, ci impiegai un po' per ambientarmi e rendermi conto che ero distesa su un divano, a coprirmi una rozza ma pesante coperta, appena cercai di muovermi fitte mi percorsero tutto il corpo risvegliando i ricordi della gara, delle torture. Lentamente mi misi a sedere, avevo indosso un lungo camicione e null'altro ma soprattutto avevo una sete incredibile ma dove mi trovavo? Un ufficio, una scrivania dozzinale su cui ronzava pigro un vecchio computer, fogli in quantità, cartoleria varia, una sedia girevole con un alto schienale e alle sue spalle, appesi in preciso ordine, una lunga serie di calendari, di quelli dei carabinieri, con il cordoncino a rilegarli. Un armadietto in metallo, una cassettiera e poco altro. La porta si aprì lasciando entrare una lama di luce che rischiarò la penombra dell'ambiente, entrò un uomo abbastanza alto, fisico atletico, in divisa. I miei occhi ci misero un po' ad abituarsi alla nuova luce, il volto dell'uomo si mise a fuoco lentamente in lunghi secondi e rimasi a bocca aperta quando lo riconobbi:
“Ciao Tania, come ti senti?”
Le parole non mi uscivano dalla bocca, confusa muovevo le labbra senza emettere rumori e poi:
“acqua per favore” davanti a me c'era Marco, il mio ex, l'unico uomo che avessi amato in vita mia. Rispose alla richiesta con un sorriso, andò all'armadietto e tornò con un bicchiere di plastica colmo d'acqua che mi porse alle labbra aiutandomi a bere. Stordita non mi mossi lasciandomi imboccare e mentre deglutivo lui iniziò a parlare:
“è parecchio che non ci vediamo e non pensavo certo che ti avrei rincontrata in questo modo, sei stata trovata da due miei colleghi nei bagni della stazione ferroviaria, tu e un'altra donna di nome Pamela. Siete state portate qui, eravate entrambe coperte di ecchimosi ma nessuna delle due richiedeva cure mediche quindi vi abbiamo coperto e vi abbiamo lasciato riposare. Pamela, non so se la conosci, si è ripresa prima di te, circa quattro ore fa, non ha voluto dirci che cosa vi sia successo e non ha voluto sporgere alcuna denuncia, per quanto abbiamo insistito se ne è voluta andare e io non avevo motivo di impedirglielo. Ora immagino che tu sia un po' stordita, non so cosa ti sia successo ma facendo il lavoro che faccio di cose strane ne ho viste tante e dalla reazione dell'altra donna una mezza idea di cosa sia successo me la sono fatta quindi ti vorrei fare poche, brevi, domande a cui vorrei che rispondessi se puoi”
Era vero, ero stordita e lui non mi stava lasciando il tempo di raccogliere le idee, la mia situazione era strana e non mi ero mai soffermata a pensare se fosse legale, mille dubbi mi sommersero in quel momento mentre Marco, con quel suo solito sguardo sicuro che ricordavo ancora così bene, continuava la sua requisitoria:
“sei stata aggredita?”
Mi dovetti costringere a distogliere gli occhi dai suoi per poter rispondere: “no”
“ti è stato fatto qualcosa contro la tua volontà?”
“no”
“vuoi sporgere una qualche denuncia contro qualcuno?”
“no”
“hai bisogno dell'assistenza che posso darti come colonnello dei carabinieri?”
“no” ogni volta la mia voce si affievoliva un po' mentre mi sentivo sempre più come una bambina davanti a quell'uomo nella sua divisa immacolata. La scena era piuttosto umiliante, lui al meglio di se, nel suo ambiente che con calma mi parlava e scrutava. Io vestita di una camicia da uomo e una coperta ruvida con il corpo ricoperto dai segni della gara e di vari liquidi fisiologici di cui alcuni appartenevano ad un alano.
“bene, per quello che riguarda il mio dovere ti ho chiesto tutto quello che dovevo e voglio che tu sappia che in ogni momento l'arma è a tua disposizione per qualsiasi necessità. Detto questo però ora vorrei farti una domanda da uomo, da amico; non so cosa ti stia capitando e non so se tu abbia bisogno di aiuto, del mio aiuto però so una cosa; indipendentemente dalle possibili situazioni, indipendentemente da motivi, cause o casualità, indipendentemente da tutto se tu avessi bisogno di aiuto e non mi ritenessi degno di essere io quell’aiuto questo vorrebbe dire che non sono neanche la metà dell’uomo che vorrei essere quindi, la mia domanda; Posso fare qualcosa, qualsiasi cosa, per te?”
Rialzai lentamente, la testa, incontrai i suoi occhi penetranti, mi facevano sentire sicura, protetta e normale, lacrime uscirono dai miei occhi in risposta alla commozione che le sue parole mi avevano fatto provare, lui sorrise tenero, speranzoso, a quelle lacrime e fu con un filo di voce che risposi:
“avrei bisogno di fare una doccia se puoi”
L'acqua bollente scorreva sul mio corpo lavando via tutto il lerciume di cui ero ricoperta, ci rimasi almeno un'ora, mi sembrava impossibile eliminare ogni traccia. La casa di Marco era carina, non grande ma arredata con gusto, la casa di uno scapolo, lo si leggeva in ogni particolare. Uscii dalla doccia, mi misi un accappatoio troppo grande per me, mi asciugai un po' i lunghi capelli lasciandoli poi umidi a ricadere, leggermente mossi, sulle spalle. Feci qualche passo lasciando l'impronta umida dei piedi nudi sul percorso. Uscii dal bagno e mi guardai intorno, era stato un lungo periodo per me segnato solo dal mio essere usata per soddisfare le deviazioni altrui, non c'era più normalità nella mia vita ma li, in quel momento, nella penombra di quel caldo appartamento, all'improvviso mi sentii semplicemente una donna, una normalissima donna e tutto sparì, la mia vita, i ricatti, gli abusi, le scelte e le conseguenze. Tutto il peso che portavo addosso da troppo tempo mi abbandonò proprio mentre Marco appariva nel corridoio, davanti a me, senza divisa, una maglietta a delineare il fisico atletico e un paio di pantaloncini. Un normale ragazzo e una normale ragazza. Mi avvicinai a lui in silenzio, restò immobile, mi avvicinai tanto da appoggiare la testa china al suo petto, le sue braccia forti, calde, mi cinsero con dolcezza, ancora lacrime dai miei occhi, mi ero resa insensibile in quell’ultimo periodo, insensibile per superare tutto quello che accadeva e ora… ora mi stavo crepando, fragile stavo per esplodere, un groppo in gola, ancora lacrime a lavare le lacrime.
Aveva capito qualcosa, non sapeva cosa mi stesse succedendo ma aveva intuito che qualcosa c'era ma non fece domande, rispettò le mie scelte con il silenzio, mi abbracciò e basta per lunghi minuti dandomi calore, dandomi affetto, dandomi quello di cui avevo bisogni e scoppiai, piansi a dirotto come una bambina disperata, rumorosamente, a lungo, lasciai che le lacrime scendessero lungo il mio viso fino a depositare il loro amaro sapore sulle labbra. Approfittai del riparo insperato che avevo trovato in quella buia sera per lasciare, finalmente, che tutto il mio dolore si mostrasse e lui non si mosse di un millimetro, come un caldo rifugio che avrebbe resistito ad ogni tempesta mi accolse e mi tenne a se fino a che non mi calmai, non mi rilassai e non mi svuotai e il rumore della tempesta che avevo dentro di me smise di fare paura. Alzai la testa, trovai il suo volto sereno, ispirai profondamente e poi, per la prima volta da quando ci eravamo incontrati, parlai io:
“non posso spiegarti, non posso accennare, non posso farti capire, l'unica cosa che posso dirti è che è tutto per mia scelta e che mi va bene, è giusto, è necessario ed è importante ma sono stanca, sfinita, logorata ed avrei un gran bisogno di normalità, di calore, di amore.
Marco, se puoi, se ti va, se te la senti, ti prego, amami”
“io non ho mai smesso di amarmi, non eravamo affini, compatibili ma dal mio cuore non sei mai uscita”
Le sue mani lasciarono le mie spalle, risalirono accarezzando i rossi capelli ancora umidi, li scostò con i pollici fino a liberarmi il viso e poi appoggiò le labbra alle mie in un morbido, intenso bacio mentre l’accappatoio scivolava a terra lasciando scoperto e nudo il mio dono a quell'uomo che mi aveva donato una rosea parentesi di normalità nel grigio del mio essere un mero oggetto atto a soddisfare capricci. Facemmo l'amore con passione, con intensità, dopo tanto sesso, tanta depravazione la naturalezza con cui quei gesti intimi nacquero fra noi mi lasciò quasi stupita. Un fuoco intenso mi pervase mentre gli sfilavo la maglietta, la mia lingua percorse quel corpo muscoloso con avidità, con le mani lo spinsi contro la parete del corridoio e iniziai a scendere lentamente fino a trovare un suo capezzolo che ingoiai famelica leccando avidamente, la punta della lingua titillava quello scuro bottone mentre la mano, piccola e morbida, scendeva sul suo addome fino ad incontrare i pantaloncini, forzai un po' la mia spalla per trovare lo spazio ed infilare le dita che subito incontrarono la sua cappella bollente, alzai lo sguardo incontrando i suoi occhi mentre la mano scivolava sull'asta e nel momento in cui la afferrai forte mi gettai ancora fra le sue labbra, la lingua nella sua bocca mentre con forza stringevo e scorrevo verso il basso e poi in alto segandolo mentre lui ricacciava la mia lingua per affondare in me con la sua. Scorrevano le mie unghie sul suo petto mentre sentivo il cazzo pulsarmi in mano, la saliva colava dal nostro bacio. Non riuscivo a staccarmi da lui, dal quel suo volermi amare così intenso, così reale, mi sentivo un incendio dentro. Improvvisa gli calai pantaloncini e boxer d'un colpo, osservai la sua asta possente ergersi e puntare verso di me, mi allontanai maliziosa mordendomi un labbro fino a trovare con la schiena l'altro lato del corridoio, scivolai piegando le gambe e acquattandomi, spalancai le cosce per fargli spazio, la mia fica, esposta, colava letteralmente umori a terra e guardandolo negli occhi spalancai la bocca più che potevo, invitandolo a farsi ingoiare. Restò fermo un istante, quasi incredulo poi si avvicinò piano fino a che la sua cappella non fu proprio di fronte alle mie labbra, non mi mossi, non distolsi lo sguardo e finalmente la sentii appoggiarsi, la sentii sulla punta della lingua, entrare e la accolsi leccandola, succhiandola. Ne saggia il sapore di uomo, la esplorai cercando il frenulo, percorrendolo per poi risalire e girarci intorno, trovai il buchino, lo stimolai con la lingua e poi lo succhiai forte facendolo ululare di piacere. Mi vietai di usare le mani mentre lo pompavo con passione, mentre lo sentivo gonfiarsi ma era presto per farlo godere, volevo ancora dargli tanto e inizia ad avanzare, lo feci entrare in me, con uno sforzo ormai abituale sentii la sua cappella toccare e superare l'ugola, sentii l'aria diminuire ma per la prima volta fu con piacere che lo lascia penetrare fino a gonfiarmi la gola, fino a tapparmi fino a che anche l'ultimo millimetro non fu in me e solo allora alzai lo sguardo per incontrare i suoi occhi stupiti. Ero orgogliosa di me. Raggiunsi i suoi fianchi con le mani e lo feci indietreggiare un po' solo per poi farlo riaffondare, ancora indietro e poi dentro fino a che non si rilassò, fino a che non capì che poteva farlo, che volevo che lo facesse, che desideravo lo facesse, fino a che sentii che mi sfondava la gola senza più preoccuparsi di rompermi, di danneggiarmi e allora lo spinsi indietro. Sorridente, gli occhi negli occhi, con sguardo di sfida gli presi le mani, le portai alla mia nuca in modo che mi afferrasse bene e spalancai ancora la bocca portandomi le mani dietro la schiena. Impiegò qualche secondo a capire il mio invito e poi:
“sicura?”
Io sorrisi, a bocca aperta, per questo uomo che desiderava ma non rubava, che desiderava più il mio bene di quanto desiderasse con il pene:
“si, si, ti prego si, mille volte si”
Mi scopò la bocca con forza, all'inizio ancora titubante poi, resosi conto che potevo accettarlo, con sempre maggio forza, vigore fino a non aver più remore, fino a lasciarsi andare completamente ma si fermava, prima di perdere il controllo si fermava per guardarmi, per assicurarsi che tutto andasse bene tanto che dovetti sgridarlo:
“se ti fermi ancora giuro che ti mordo” lo dissi arrossendo, facevo la dura ma mi sentivo così insicura, lo avevo fatto decine di volte ma non avevo mai voluto, desiderato farlo e non sapevo come farglielo capire: “ti prego, giuro che se dovesse servire ti fermerò io” lo dissi con tanta sincerità che mi credette.
Lo lascia fare mentre sentivo la gola spalancarsi, mentre quel dolore che spesso avevo subito diventava un dolore desiderato, un dolore che mi eccitava sempre più, felice di essere quello che ero senza essere costretta ad esserlo. Continuammo per più di due ore, mi scopò con forza, con passione, con amore, mi fece sentire donna e mi fece sentire amata tanto che, sentendo che stava per svuotarsi nella mia fica, sdraiato sopra di me, sdraiato fra le mie gambe spalancate, mentre mi baciava con passione:
“aspetta, aspetta, voglio farti felice”
Stupito si fermò: “ma tu mi stai facendo felice”
“Posso farlo di più, posso darti quello che hai sempre voluto, è il minimo”
Lo feci alzare un po' e poi tirai indietro le gambe fino a mettere i piedi, incrociati, dietro la testa, le lunghe sessione con in miei aguzzini mi avevano fatto diventare molto snodata.
Con le mani gli afferrai il cazzo e poi lo guidai verso il mio buchino che ricordavo desiderava tanto. Lui, inebetito mi guardava stupito. Utilizzando gli abbondanti succhi della fica gli lubrificai il cazzo e lo tirai a me, sentii la cappella incontrare il buchino per poi affondarci docilmente, mi godetti l'asta tesa che scivolava nel mio ano centimetro dopo centimetro tirandosi dietro il padrone fino a farlo cozzare contro le mie chiappe:
“non trattenerti, ti prego, fallo come vuoi, finché vuoi, lo desidero infinitamente, voglio darti tutto quello che posso, sodomizzami senza alcuna remora, dammi il peggio di te, non vi è cosa che desideri di più in questo momento” e lui mi sodomizzò a lungo, senza cattiveria ma con passione, in modo profondo, in modo forte ma anche in modo amorevole. Lasciai che mi sfondasse il culo per non so quanto tempo e in non so quanti modi e alla fine, quando mi stappò puntando verso la mia bocca per eiaculare, mentre, avida, succhiavo la sua sborra fino all'ultima goccia lo specchio di fronte a noi mi rimandò l'immagine del mio ano aperto e dilatato che tardava a richiudersi e questo mi fece sorridere soddisfatta di me. Ci addormentammo sudati e sfiniti ma al risveglio io non c'ero più, dovevo tornare alla mia vita, alle condizioni che avevo accettato.
Erano passate tre settimane da quella notte infuocata, ci stavo ancora ripensando mentre triste tornavo a casa dopo aver passato il pomeriggio dal dottore, non avendo bisogno di me mi aveva dato alla servitù che mi aveva usata per sei ore a piacimento fra scopate, inculate e torture di ogni genere. Avevo le tette in fiamme, la cuoca si era divertita a colpirle un centinaio di volte per mammella con un cucchiaio di legno, diceva di volerle ammorbidire e avevo una gran sete, dovevo aver ingoiato almeno un litro di sperma quel pomeriggio e mi sentivo la bocca impastata. Prendendo la posta dalla cassetta notai che c'era una lettera consegnata a mano e indirizzata a me, dentro un foglio con poche parole:
“ti stanno ingannando, posso aiutarti, credimi. Marco”
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Fui accompagnata nella mia stanza da qualcuno, adagiata sul letto e lasciata sola, intorno a me solo silenzio e il ticchettio di un orologio che scandiva il tempo che mancava al riprendere di quella gara che aveva raggiunto limiti inaspettati. Rimasi immobile, riflettevo, riflettevo sul fatto che avrei perso se il dottore non fosse intervenuto e forse sarebbe stato meglio, almeno ora la gara sarebbe finita. Certo avrei dovuto pagare per la mia sconfitta con chi sa quale sconcia perversione ma poi alla fine era così importante? Non era ormai quella la mia vita, schiava di un accordo che aveva fatto di me un mero corpo atto a soddisfare le perversioni altrui? In dormi/veglia quel pensiero rimbalzò nella mia mente per lunghi minuti, ero esausta, distrutta, lo strato di sperma che mi ricopriva il viso si andava raddensando e mi tirava la pelle. Quando mi ridestai completamente erano passate più di due ore e mezza, indolenzita mi alzai, lo specchio davanti a me mi restituì l'immagine di una donna sfatta e la cosa non mi piacque affatto, era vero che ormai ero solo una schiava ma era anche vero che la situazione nasceva da una mia scelta e poi, il dottore era intervenuto, perché? perché non aveva lasciato che perdessi la gara? Mi alzai, decisa, se questo era il mio ruolo lo avrei ricoperto nel modo migliore possibile e poi Pamela, ora non la vedevo più come prima, aveva perso il suo potere, la sua eleganza ai miei occhi. Il suo perdere il controllo durante la mia prova la diceva lunga su quella donna e a me non andava di perdere una sfida contro di lei. La doccia mi attendeva, era ora di prepararsi per far proseguire il gioco del padrone. Il vapore dell'acqua bollente mi restituì allo specchio con un'immagine che mi piaceva molto di più. Il viso, ora perfetto e pulito, risaltava grazie alla sottile linea rosso scuro che ricopriva le labbra morbide andando in pandan con la pelle olivastra e perfetta. La cornice fatta dai capelli ramati, lisci che arrivavano vino alla schiena era perfetta per il trucco sottile ma allungato che avevo dato agli occhi contornandoli di scuro, di nero. I mie ventitré anni spiccavano impetuosi sul mio fisico snello come dimostrava il seno non abbondante ma sodo e teso, le grosse areole scure completavano la perfezione della scena. L'orologio chiamava, mi vestii e sicura di me mi diressi verso la stanza della prova dove gli altri, compresa la mia sfidante, attendevano ansiosi. Appena raggiunsi il mio posto il dottore si alzò e con tono sicuro:
“è mia opinione che la gara fino a questo momento si sia svolta in totale parità quindi sarò io a scegliere la prossima prova per entrambe in modo da uscire da questa situazione di stallo. La prova si svolgerà contemporaneamente per tutte e due le concorrenti che dopo aver sentito la mia scelta potranno decidere se parteciparvi o se ritirarsi, ovviamente, perdendo.
***LA PARTE CHE SEGUE E’ LIBERAMENTRE ISPIRATA AD UN RACCONTO CHE LESSI TEMPO FA E CHE MI PIACQUE***
Ci muoveremo e raggiungeremo la vicina stazione ferroviaria, siamo in piena notte, le due concorrenti verranno lasciate dentro i bagni degli uomini, nude e con le mani legate dietro la schiena, un piccolo gruppo di noi attenderà sull'ingresso e avviserà chiunque dovesse entrare che le donne sono a completa disposizione per qualunque e ripeto qualunque cosa. Nessuno interverrà per nessun motivo, solo le concorrenti, arrendendosi, potranno fermare lo svolgere degli eventi. Allo scadere di due ore, se nessuna avrà ceduto, torneremo qui e procederemo ad una prova ad oltranza che porrà fine a questa gara. Le concorrenti accettano? Accettammo entrambe, probabilmente senza riflettere, senza capire ed in breve ci trovammo in ginocchio sul freddo pavimento di piastrelle di un maleodorante bagno, sole nel silenzio della notte e completamente nude. Non ci guardavamo mentre il freddo si faceva strada in noi, mentre attendevamo. Non ci volle molto perché entrasse un ragazzo, alto, grosso, capelli rasati, addosso un giubbotto di pelle pieno di spille di ogni genere, al guinzaglio un grosso alano che subito iniziò ad annusare la miriade di odori in cui eravamo immersi. Si guardò attorno un po' incredulo poi guardò noi che eravamo a circa un paio di metri di distanza. Sorrise, legò il cane ad un termosifone e si avvicinò a me, mi prese per i capelli e mi trascinò di forza addosso a Pamela dicendo:
“beh, cmq dovevo pisciare”
Ci costrinse in ginocchio spingendoci i visi uno accanto all'altro, le guance a contatto, gli angoli della bocca a sfiorarsi:
“forza puttane, aprite la bocca” tirò fuori l'uccello flaccido e dopo pochi secondi ci inondò i visi di calda urina dall'odore disgustoso, guidò il getto per annaffiarci bene i visi e poi fece si di riempirci ben bene le bocche fino a far tracimare il giallo liquido dalle nostre labbra.
Finito, con l'uccello ancora gocciolante, ci chiuse le bocche con le mani costringendoci, a malincuore, a deglutire la sua urina mentre rideva. Avendoci li a portata di mano, non appena le nostre bocche furono libere, ci presentò il suo pene da ripulire, entrambe ci affannammo a soddisfarlo consce che fare un pompino era il meglio che ci potesse capitare durante quella gara. Il membro si irrigidì man mano che passava dalle mie labbra a quelle di Pamela fino a diventare turgido, svettava in mezzo a noi che lo coccolavamo con le lingue che non potevano fare a meno di incrociarsi. Il ragazzo, mentre si godeva le nostre attenzioni, prese a torturarci un capezzolo a testa, li stringeva forte e li torceva, faceva male ma era sopportabile. Noi due, a turno, ci infilavamo la sua asta in gola il più possibile donandogli un veloce su e giù, mentre una lo teneva in bocca, l'altra si occupava dei testicoli. Ad un certo punto lui iniziò a torturare i capezzoli che avevamo vicini, li tirò fino a che non riuscì a sovrapporre quello di una sull'altro e a stringerli assieme in una stessa mano e poi, come avesse avuto un'illuminazione, si ritrasse alle attenzioni delle nostre labbra e si accucciò davanti a noi con un sorriso sadico sulle labbra. Stacco una spilla tonda dal suo giubbotto e con ancora i nostri capezzoli stretti assieme nella sua mano, li perforò entrambe da parte a parte assicurandoli assieme e chiudendo la spilla. Il metallo ci attraversò lento mandando dolori forti, pungenti, in tutto il corpo mentre ci mordevamo le labbra per resistere. Appena finito prese una seconda spilla e con la stessa lentezza la infilzò nell'altro capezzolo di Pamela che mentre resisteva, tesa, sudata, appoggiò la fronte alla mia mentre mugolava il suo dolore. Finito con lei, ovviamente, tocco a me e all'altro mio capezzolo. Lo prese fra due dita, lo tirò forte, allungandolo e poi, con la solita, lenta, sadicità, lo perforò da parte a parte. Il dolore fu forte e per resistere, senza pensarci, mi trovai a gettarmi sulle labbra di Pamela per un profondo, intenso e bagnato bacio a bocca aperta, lingua che si intreccia su lingua mentre gemiti di dolore e di piacere riempivano l'ambiente. Così, nude, nella toilette di una stazione, braccia legate, seni inchiodati assieme da una spilla, ci trovammo avvolte in un appassionato bacio senza fine, come se la sensazione delle labbra che si fondono potesse cancellare il dolore. La scena dovette piacere molto al nostro aguzzino che infilò il suo cazzo in mezzo alle nostre bocche e iniziò a stantuffare finendo a volte in lei e a volte in me. La scena durò a lungo, noi ci perdevamo una nella bocca dell'altra mentre lui si perdeva nelle nostre in un miscuglio di saliva e umori. Dopo un po', mentre sentivamo che il suo orgasmo stava per esplodere, quasi con rabbia, si stacco. Sganciò la spilla che ci teneva assieme facendoci urlare e ci divise. Tirandomi per i capelli fece stendere me a terra, la schiena a contatto con tutto lo schifo che ricopriva quel freddo pavimento, solo le braccia legate a dividermi dalle piastrelle gelide, mi allargò le gambe e tirò la testa di Pamela sul mio sesso, mettendola a quattro zampe e costringendola a leccarmi la fica. Pamela non si fece pregare e iniziò un minuzioso lavoro di lingua che mi fece ululare subito di piacere mentre il ragazzo spariva dalla nostra visuale. Pochi secondi dopo, mentre la lingua di Pamela entrava in profondità nel mio sesso bollente, restai sgomenta mentre il muso del grosso cane appariva da sopra la schiena della mia rivale che emise un suono soffocato mentre la sua faccia, non potendo usare il supporto delle braccia, veniva schiacciata di peso sulla mia fessura dalla mole del cane. Le grosse zampe anteriori penzolavano sui fianchi di Pamela mentre il cane, spasmodicamente, cercava la via del suo sesso con possenti colpi di reni. Ci impiego un po', forse aiutato anche dal suo padrone ma poi, mentre Pamela lanciava un urlo agghiacciante, il suo grosso sesso animale sprofondò di botto in lei sottoponendola ad una cavalcata dal ritmo allucinante come solo un'animale può fare. Il ragazzo riapparve mentre gli urli della mia avversaria si soffocavano nella mia fica, si mise a cavalcioni sulla mia testa, con il culo rivolto verso l'altra donna e mi infilò il grosso cazzo in gola spingendolo fino in fondo. Non so quanti minuti durò, non credo molti ma trascorsero con una lentezza estenuante. Avevo la gola piena, il ragazzo si era piantato in me in profondità e mi scopava velocemente senza mai arretrare troppo così che riuscivo a respirare veramente poco, ogni tanto poi si sedeva di peso spingendomi il suo coso tanto in fondo da farmi sentire un gran dolore alla gola che faceva fatica ad ospitarlo. Tra le mie gambe, sulla mia fica bagnata e aperta, si perdevano le grida di Pamela che a bocca aperta, con la lingua di fuori, colando bava, subiva le attenzioni dell'alano che trovata la via per la sua fica, non aveva mai smesso di stantuffarla in modo spietato, velocissimo mentre si ancorava con le grosse zampe alle sue carni lasciando lunghi graffi rossi sulla pelle perfetta. Animale e padrone godettero assieme di noi, l'uomo, con un ultimo, spietato, affondo nella mia bocca dolorante mi getto lunghi getti di sperma direttamente nello stomaco facendomi tossire ripetutamente mentre il suo liquido mi strozzava e mi usciva anche dal naso. L'animale, eiaculò il suo liquido nel ventre di Pamela tanto che dopo un po' iniziò a colarle per le cosce. I due si godettero la situazione fino alla fine, il cazzo mi rimase in gola tanto che credetti di svenire ma poi, per fortuna, si afflosciò lasciandomi libera di respirare mentre alle spalle di Pamela che ancora leccava, senza controllo, la mia fica, il cane, con la sua lingua ruvida, le strappava altri gemiti ripulendo il suo stesso sperma mescolato agli umori della donna, dalla sua vagina. Alla fine il ragazzo si rivestì, prese al guinzaglio il suo compagno e, soddisfatto, uscì dal bagno lasciandoci li, a terra, sfatte, in un miscuglio di sperma e urina.
…CONTINUA. IL RACCONTO TI E' PIACIUTO? LO HAI ODIATO O ALTRO? DARE UN'OPINIONE AIUTA A MIGLIORARSI glorfindel75@gmail.com
CAPITOLO 15
Questa paradossale gara si era protratta troppo a lungo, sfatta, a terra in un miscuglio di urina e sperma, con la mia rivale al fianco mi ritrovai a pensare all'assurda situazione che stavo vivendo. I respiri pesanti risuonavano all'unisono facendo alzare e abbassare lentamente i nostri ventri nudi. Che senso aveva tutto questo? A cosa serviva giungere a tali estremi? Per dimostrare cosa? Eravamo sfinite, non vi era più energia in me ed ero certa che non ve ne fosse neanche nella mia compagna, i contorni del mondo che ci circondava iniziavano a sbiadirsi, offuscarsi mentre la stanchezza prendeva il sopravvento sulla volontà. Fu in questo stato che, come lontane, udii voci:
“via via, svelti” “cazzo, ma le lasciamo qui?” “non c'è tempo” “aspetta, Pamela, almeno lei, non ce lo perdonerà mai” “ci penseremo poi, cazzo, svelti” “fermi, che succede, fermi”
Tutto diventava sempre più indistinto:
“ma che cazzo di puttanaio, guarda qui” “dai, carichiamole” “le portiamo all'ospedale?” “non so, carichiamole e vediamo come sono messe”
Stoffa asciutta sulla mia pelle nuda, mani caldi in contrasto con il lercio pavimento gelato, leggera, quieta, vinta, finalmente. Persi i sensi o mi addormentai? non saprei dire come, non saprei dire per quanto tempo ma quando mi destai ero avvolta dal calore, ci impiegai un po' per ambientarmi e rendermi conto che ero distesa su un divano, a coprirmi una rozza ma pesante coperta, appena cercai di muovermi fitte mi percorsero tutto il corpo risvegliando i ricordi della gara, delle torture. Lentamente mi misi a sedere, avevo indosso un lungo camicione e null'altro ma soprattutto avevo una sete incredibile ma dove mi trovavo? Un ufficio, una scrivania dozzinale su cui ronzava pigro un vecchio computer, fogli in quantità, cartoleria varia, una sedia girevole con un alto schienale e alle sue spalle, appesi in preciso ordine, una lunga serie di calendari, di quelli dei carabinieri, con il cordoncino a rilegarli. Un armadietto in metallo, una cassettiera e poco altro. La porta si aprì lasciando entrare una lama di luce che rischiarò la penombra dell'ambiente, entrò un uomo abbastanza alto, fisico atletico, in divisa. I miei occhi ci misero un po' ad abituarsi alla nuova luce, il volto dell'uomo si mise a fuoco lentamente in lunghi secondi e rimasi a bocca aperta quando lo riconobbi:
“Ciao Tania, come ti senti?”
Le parole non mi uscivano dalla bocca, confusa muovevo le labbra senza emettere rumori e poi:
“acqua per favore” davanti a me c'era Marco, il mio ex, l'unico uomo che avessi amato in vita mia. Rispose alla richiesta con un sorriso, andò all'armadietto e tornò con un bicchiere di plastica colmo d'acqua che mi porse alle labbra aiutandomi a bere. Stordita non mi mossi lasciandomi imboccare e mentre deglutivo lui iniziò a parlare:
“è parecchio che non ci vediamo e non pensavo certo che ti avrei rincontrata in questo modo, sei stata trovata da due miei colleghi nei bagni della stazione ferroviaria, tu e un'altra donna di nome Pamela. Siete state portate qui, eravate entrambe coperte di ecchimosi ma nessuna delle due richiedeva cure mediche quindi vi abbiamo coperto e vi abbiamo lasciato riposare. Pamela, non so se la conosci, si è ripresa prima di te, circa quattro ore fa, non ha voluto dirci che cosa vi sia successo e non ha voluto sporgere alcuna denuncia, per quanto abbiamo insistito se ne è voluta andare e io non avevo motivo di impedirglielo. Ora immagino che tu sia un po' stordita, non so cosa ti sia successo ma facendo il lavoro che faccio di cose strane ne ho viste tante e dalla reazione dell'altra donna una mezza idea di cosa sia successo me la sono fatta quindi ti vorrei fare poche, brevi, domande a cui vorrei che rispondessi se puoi”
Era vero, ero stordita e lui non mi stava lasciando il tempo di raccogliere le idee, la mia situazione era strana e non mi ero mai soffermata a pensare se fosse legale, mille dubbi mi sommersero in quel momento mentre Marco, con quel suo solito sguardo sicuro che ricordavo ancora così bene, continuava la sua requisitoria:
“sei stata aggredita?”
Mi dovetti costringere a distogliere gli occhi dai suoi per poter rispondere: “no”
“ti è stato fatto qualcosa contro la tua volontà?”
“no”
“vuoi sporgere una qualche denuncia contro qualcuno?”
“no”
“hai bisogno dell'assistenza che posso darti come colonnello dei carabinieri?”
“no” ogni volta la mia voce si affievoliva un po' mentre mi sentivo sempre più come una bambina davanti a quell'uomo nella sua divisa immacolata. La scena era piuttosto umiliante, lui al meglio di se, nel suo ambiente che con calma mi parlava e scrutava. Io vestita di una camicia da uomo e una coperta ruvida con il corpo ricoperto dai segni della gara e di vari liquidi fisiologici di cui alcuni appartenevano ad un alano.
“bene, per quello che riguarda il mio dovere ti ho chiesto tutto quello che dovevo e voglio che tu sappia che in ogni momento l'arma è a tua disposizione per qualsiasi necessità. Detto questo però ora vorrei farti una domanda da uomo, da amico; non so cosa ti stia capitando e non so se tu abbia bisogno di aiuto, del mio aiuto però so una cosa; indipendentemente dalle possibili situazioni, indipendentemente da motivi, cause o casualità, indipendentemente da tutto se tu avessi bisogno di aiuto e non mi ritenessi degno di essere io quell’aiuto questo vorrebbe dire che non sono neanche la metà dell’uomo che vorrei essere quindi, la mia domanda; Posso fare qualcosa, qualsiasi cosa, per te?”
Rialzai lentamente, la testa, incontrai i suoi occhi penetranti, mi facevano sentire sicura, protetta e normale, lacrime uscirono dai miei occhi in risposta alla commozione che le sue parole mi avevano fatto provare, lui sorrise tenero, speranzoso, a quelle lacrime e fu con un filo di voce che risposi:
“avrei bisogno di fare una doccia se puoi”
L'acqua bollente scorreva sul mio corpo lavando via tutto il lerciume di cui ero ricoperta, ci rimasi almeno un'ora, mi sembrava impossibile eliminare ogni traccia. La casa di Marco era carina, non grande ma arredata con gusto, la casa di uno scapolo, lo si leggeva in ogni particolare. Uscii dalla doccia, mi misi un accappatoio troppo grande per me, mi asciugai un po' i lunghi capelli lasciandoli poi umidi a ricadere, leggermente mossi, sulle spalle. Feci qualche passo lasciando l'impronta umida dei piedi nudi sul percorso. Uscii dal bagno e mi guardai intorno, era stato un lungo periodo per me segnato solo dal mio essere usata per soddisfare le deviazioni altrui, non c'era più normalità nella mia vita ma li, in quel momento, nella penombra di quel caldo appartamento, all'improvviso mi sentii semplicemente una donna, una normalissima donna e tutto sparì, la mia vita, i ricatti, gli abusi, le scelte e le conseguenze. Tutto il peso che portavo addosso da troppo tempo mi abbandonò proprio mentre Marco appariva nel corridoio, davanti a me, senza divisa, una maglietta a delineare il fisico atletico e un paio di pantaloncini. Un normale ragazzo e una normale ragazza. Mi avvicinai a lui in silenzio, restò immobile, mi avvicinai tanto da appoggiare la testa china al suo petto, le sue braccia forti, calde, mi cinsero con dolcezza, ancora lacrime dai miei occhi, mi ero resa insensibile in quell’ultimo periodo, insensibile per superare tutto quello che accadeva e ora… ora mi stavo crepando, fragile stavo per esplodere, un groppo in gola, ancora lacrime a lavare le lacrime.
Aveva capito qualcosa, non sapeva cosa mi stesse succedendo ma aveva intuito che qualcosa c'era ma non fece domande, rispettò le mie scelte con il silenzio, mi abbracciò e basta per lunghi minuti dandomi calore, dandomi affetto, dandomi quello di cui avevo bisogni e scoppiai, piansi a dirotto come una bambina disperata, rumorosamente, a lungo, lasciai che le lacrime scendessero lungo il mio viso fino a depositare il loro amaro sapore sulle labbra. Approfittai del riparo insperato che avevo trovato in quella buia sera per lasciare, finalmente, che tutto il mio dolore si mostrasse e lui non si mosse di un millimetro, come un caldo rifugio che avrebbe resistito ad ogni tempesta mi accolse e mi tenne a se fino a che non mi calmai, non mi rilassai e non mi svuotai e il rumore della tempesta che avevo dentro di me smise di fare paura. Alzai la testa, trovai il suo volto sereno, ispirai profondamente e poi, per la prima volta da quando ci eravamo incontrati, parlai io:
“non posso spiegarti, non posso accennare, non posso farti capire, l'unica cosa che posso dirti è che è tutto per mia scelta e che mi va bene, è giusto, è necessario ed è importante ma sono stanca, sfinita, logorata ed avrei un gran bisogno di normalità, di calore, di amore.
Marco, se puoi, se ti va, se te la senti, ti prego, amami”
“io non ho mai smesso di amarmi, non eravamo affini, compatibili ma dal mio cuore non sei mai uscita”
Le sue mani lasciarono le mie spalle, risalirono accarezzando i rossi capelli ancora umidi, li scostò con i pollici fino a liberarmi il viso e poi appoggiò le labbra alle mie in un morbido, intenso bacio mentre l’accappatoio scivolava a terra lasciando scoperto e nudo il mio dono a quell'uomo che mi aveva donato una rosea parentesi di normalità nel grigio del mio essere un mero oggetto atto a soddisfare capricci. Facemmo l'amore con passione, con intensità, dopo tanto sesso, tanta depravazione la naturalezza con cui quei gesti intimi nacquero fra noi mi lasciò quasi stupita. Un fuoco intenso mi pervase mentre gli sfilavo la maglietta, la mia lingua percorse quel corpo muscoloso con avidità, con le mani lo spinsi contro la parete del corridoio e iniziai a scendere lentamente fino a trovare un suo capezzolo che ingoiai famelica leccando avidamente, la punta della lingua titillava quello scuro bottone mentre la mano, piccola e morbida, scendeva sul suo addome fino ad incontrare i pantaloncini, forzai un po' la mia spalla per trovare lo spazio ed infilare le dita che subito incontrarono la sua cappella bollente, alzai lo sguardo incontrando i suoi occhi mentre la mano scivolava sull'asta e nel momento in cui la afferrai forte mi gettai ancora fra le sue labbra, la lingua nella sua bocca mentre con forza stringevo e scorrevo verso il basso e poi in alto segandolo mentre lui ricacciava la mia lingua per affondare in me con la sua. Scorrevano le mie unghie sul suo petto mentre sentivo il cazzo pulsarmi in mano, la saliva colava dal nostro bacio. Non riuscivo a staccarmi da lui, dal quel suo volermi amare così intenso, così reale, mi sentivo un incendio dentro. Improvvisa gli calai pantaloncini e boxer d'un colpo, osservai la sua asta possente ergersi e puntare verso di me, mi allontanai maliziosa mordendomi un labbro fino a trovare con la schiena l'altro lato del corridoio, scivolai piegando le gambe e acquattandomi, spalancai le cosce per fargli spazio, la mia fica, esposta, colava letteralmente umori a terra e guardandolo negli occhi spalancai la bocca più che potevo, invitandolo a farsi ingoiare. Restò fermo un istante, quasi incredulo poi si avvicinò piano fino a che la sua cappella non fu proprio di fronte alle mie labbra, non mi mossi, non distolsi lo sguardo e finalmente la sentii appoggiarsi, la sentii sulla punta della lingua, entrare e la accolsi leccandola, succhiandola. Ne saggia il sapore di uomo, la esplorai cercando il frenulo, percorrendolo per poi risalire e girarci intorno, trovai il buchino, lo stimolai con la lingua e poi lo succhiai forte facendolo ululare di piacere. Mi vietai di usare le mani mentre lo pompavo con passione, mentre lo sentivo gonfiarsi ma era presto per farlo godere, volevo ancora dargli tanto e inizia ad avanzare, lo feci entrare in me, con uno sforzo ormai abituale sentii la sua cappella toccare e superare l'ugola, sentii l'aria diminuire ma per la prima volta fu con piacere che lo lascia penetrare fino a gonfiarmi la gola, fino a tapparmi fino a che anche l'ultimo millimetro non fu in me e solo allora alzai lo sguardo per incontrare i suoi occhi stupiti. Ero orgogliosa di me. Raggiunsi i suoi fianchi con le mani e lo feci indietreggiare un po' solo per poi farlo riaffondare, ancora indietro e poi dentro fino a che non si rilassò, fino a che non capì che poteva farlo, che volevo che lo facesse, che desideravo lo facesse, fino a che sentii che mi sfondava la gola senza più preoccuparsi di rompermi, di danneggiarmi e allora lo spinsi indietro. Sorridente, gli occhi negli occhi, con sguardo di sfida gli presi le mani, le portai alla mia nuca in modo che mi afferrasse bene e spalancai ancora la bocca portandomi le mani dietro la schiena. Impiegò qualche secondo a capire il mio invito e poi:
“sicura?”
Io sorrisi, a bocca aperta, per questo uomo che desiderava ma non rubava, che desiderava più il mio bene di quanto desiderasse con il pene:
“si, si, ti prego si, mille volte si”
Mi scopò la bocca con forza, all'inizio ancora titubante poi, resosi conto che potevo accettarlo, con sempre maggio forza, vigore fino a non aver più remore, fino a lasciarsi andare completamente ma si fermava, prima di perdere il controllo si fermava per guardarmi, per assicurarsi che tutto andasse bene tanto che dovetti sgridarlo:
“se ti fermi ancora giuro che ti mordo” lo dissi arrossendo, facevo la dura ma mi sentivo così insicura, lo avevo fatto decine di volte ma non avevo mai voluto, desiderato farlo e non sapevo come farglielo capire: “ti prego, giuro che se dovesse servire ti fermerò io” lo dissi con tanta sincerità che mi credette.
Lo lascia fare mentre sentivo la gola spalancarsi, mentre quel dolore che spesso avevo subito diventava un dolore desiderato, un dolore che mi eccitava sempre più, felice di essere quello che ero senza essere costretta ad esserlo. Continuammo per più di due ore, mi scopò con forza, con passione, con amore, mi fece sentire donna e mi fece sentire amata tanto che, sentendo che stava per svuotarsi nella mia fica, sdraiato sopra di me, sdraiato fra le mie gambe spalancate, mentre mi baciava con passione:
“aspetta, aspetta, voglio farti felice”
Stupito si fermò: “ma tu mi stai facendo felice”
“Posso farlo di più, posso darti quello che hai sempre voluto, è il minimo”
Lo feci alzare un po' e poi tirai indietro le gambe fino a mettere i piedi, incrociati, dietro la testa, le lunghe sessione con in miei aguzzini mi avevano fatto diventare molto snodata.
Con le mani gli afferrai il cazzo e poi lo guidai verso il mio buchino che ricordavo desiderava tanto. Lui, inebetito mi guardava stupito. Utilizzando gli abbondanti succhi della fica gli lubrificai il cazzo e lo tirai a me, sentii la cappella incontrare il buchino per poi affondarci docilmente, mi godetti l'asta tesa che scivolava nel mio ano centimetro dopo centimetro tirandosi dietro il padrone fino a farlo cozzare contro le mie chiappe:
“non trattenerti, ti prego, fallo come vuoi, finché vuoi, lo desidero infinitamente, voglio darti tutto quello che posso, sodomizzami senza alcuna remora, dammi il peggio di te, non vi è cosa che desideri di più in questo momento” e lui mi sodomizzò a lungo, senza cattiveria ma con passione, in modo profondo, in modo forte ma anche in modo amorevole. Lasciai che mi sfondasse il culo per non so quanto tempo e in non so quanti modi e alla fine, quando mi stappò puntando verso la mia bocca per eiaculare, mentre, avida, succhiavo la sua sborra fino all'ultima goccia lo specchio di fronte a noi mi rimandò l'immagine del mio ano aperto e dilatato che tardava a richiudersi e questo mi fece sorridere soddisfatta di me. Ci addormentammo sudati e sfiniti ma al risveglio io non c'ero più, dovevo tornare alla mia vita, alle condizioni che avevo accettato.
Erano passate tre settimane da quella notte infuocata, ci stavo ancora ripensando mentre triste tornavo a casa dopo aver passato il pomeriggio dal dottore, non avendo bisogno di me mi aveva dato alla servitù che mi aveva usata per sei ore a piacimento fra scopate, inculate e torture di ogni genere. Avevo le tette in fiamme, la cuoca si era divertita a colpirle un centinaio di volte per mammella con un cucchiaio di legno, diceva di volerle ammorbidire e avevo una gran sete, dovevo aver ingoiato almeno un litro di sperma quel pomeriggio e mi sentivo la bocca impastata. Prendendo la posta dalla cassetta notai che c'era una lettera consegnata a mano e indirizzata a me, dentro un foglio con poche parole:
“ti stanno ingannando, posso aiutarti, credimi. Marco”
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