Venerdì, sabato e domenica - da praticante legale a schiavo - 1^parte
di
Ottobre Rosso 66
genere
dominazione
Il telefono sulla scrivania di Giorgio squillò. Il ragazzo rispose con timore perchè sapeva chi lo stava chiamando. Dall'altro capo una voce stridula di donna con imperio gli disse: “Vieni subito!”
Pochi secondi e Giorgio si trovò a bussare dietro la porta della stanza dove una targhetta diceva “Avvocato Stefania Villardita di Casalotto”.
“Avanti” filtrò dalla porta la voce stridula ancora con imperio.
“Eccomi...” ebbe appena il tempo di dire Giorgio entrando nella stanza, che la donna, sulla quarantina, bianco pallido di carnagione, magra ossuta, naso aquilino, occhi azzurri dallo sguardo torvo contornato da lunghi capelli biondo platino, seduta al PC dietro una antica sontuosa scrivania di ciliegio, gli ordinò: “ Ho due documenti da protocollare e un paio di faldoni da sistemare! Sbrigati!”
“Si...si...ehm...avvocato, subito...” rispose il ragazzo a voce bassa per deferenza
“Come!!?? Non ho sentito!? Avvocato!!??” lo redarguì stizzita la donna
“Ehm...padrona, volevo dire...padrona!” ripeté il giovane con un filo di voce
“Non ho sentito bene! Ripeti!” lo riprese ancora stizzito Stefania
“Si subito padrona!” disse Giorgio stavolta a voce più alta
La donna, a quel punto, sembrò rasserenarsi. Appoggiò le spalle allo schienale della poltrona come a rilassarsi e con voce più calma ma sempre con fermezza, gli disse:“Ecco, adesso ci siamo! Avvocato mi chiami quando c'è gente...quando siamo soli, te l'ho già detto, mi devi chiamare padrona! O lo hai dimenticato?”
“No, non l'ho dimenticato, padrona...le chiedo scusa...stavo per dirlo, ma poi per un attimo ho titubato perchè pensavo che con la porta aperta ci potesse sentire qualcuno...qui in ufficio c'è un certo via vai” provò a giustificarsi Giorgio
Stefania lo guardò, ma non gli rispose subito. Come se la giustificazione l'avesse convinta. Abbassò lo sguardo verso il monitor del PC, digitò qualcosa alla tastiera e poi gli disse: “Va' a fare quello che ti ho ordinato e poi...lo sai, questa è l'ora della mia pausa preferita! Sbrigati e torna veloce, che non mi piace aspettare i comodi del mio schiavo!”
Giorgio obbedì e dopo un poco tornò con un caffè in tazzina di vetro su un vassoietto d'argento che poggiò sulla scrivania davanti la sua padrona. Chiuse la porta bene in modo che nessuno potesse entrare improvvisamente. Prese una sedia che posizionò di fianco la poltrona dove stava seduta la donna, alla distanza giusta per cui ella potesse stendere le gambe, e si sedette.
Stefania, quindi, staccò l'attenzione dal PC, girò la poltrona verso il suo schiavo, si sfilò le chanel in pelle tacco a rocchetto, gli piazzò sulle gambe, ad incrocio, i piedi magri, ben curati da smalto rosso vivo sulle unghia, inguainati da collant velati avana. Reclinò la testa all'indietro ad occhi chiusi rilassata sullo schienale ed iniziò a sorbire lentamente il caffè, mentre il ragazzo, coi pollici a pressare sulle piante, poi sulle dita, sulla monta, fino alla caviglia e con i pugni di nuovo sulle piante, iniziò un lento e sensuale massaggio ai suoi piedi.
Dopo una manciata di minuti di questo rilassante massaggio, Stefania, riaprendo gli occhi e cambiando decisamente espressione – da rilassata ad un ghigno sadico - posò lentamente la tazzina sul vassoio, alzò un piede e prese a strusciarglielo in faccia, mentre con l'altro gli premette la patta. A quel punto il ragazzo, prima glielo annusò e poi prese a leccarlo. Poi improvvisamente, con piacere sadico, Stefania glielo affondò in bocca fino in gola, ad entra ed esci, fino a procurargli conati di vomito. Alla stessa maniera, sadica senza pietà, fece con l'altro piede, facendo durare questo suplizio parecchi minuti. Quindi, mentre il ragazzo si riaveva per evitare il vomito, si sfilò i collant autoreggenti e gli piazzò entrambi i piedi nudi sulla faccia, ghignando: “Leccali ancora schiavo! Leccali!!”.
Giorgio così riprese a leccare ed annusare quei piedi nudi e ossuti che la sua padrona gli sfregava sul viso umiliandolo senza pietà. Dopo un po' glieli tolse dalla faccia. Sembrava volesse dargli un attimo di tregua, anche perchè il suo schiavo sembrava un pugile suonato alle corde, invece no! Continuò a non averne pietà. Così prese ad una a una le scarpe e gliele schiacciò con una mano sul naso perchè ne odorasse l'afrore e leccasse l'interno. Sghignazzando di sadico piacere lo fece soffocare così un bel po', fino a che il ragazzo stremato cadde sul pavimento in ginocchio. Quando sembrava fosse appagata di quei supplizi, qualcuno bussò alla porta.
Erano dei clienti per definire una causa. Stefania prese l'occasione per un altra trovata sadica. Prima di aprire la porta ordinò al suo schiavo di stendersi sotto la poltrona per lungo in verticale in modo che la sua testa finisse accanto la sponda della sua scrivania che copriva interamente la zona delle gambe da non far vedere nulla sotto. Giorgio, mezzo barcollante, si posizionò e la sua padrona gli posizionò i piedi nudi sulla faccia. Quindi aprì col comando elettrico, li fece accomodare e iniziò tranquillamente a colloquiare con loro, mentre usava il suo schiavo a mo di pedana, come se nulla fosse.
Stefania disquisiva con disinvoltura di leggi e codice penale e intanto con quei piedi nudi tormentava quel povero ragazzo senza pietà: glieli sfregava sugli occhi, sul naso, glieli infilava in bocca e poi con un calcetto gli faceva capire che voleva la lingua tra gli interstizi delle dita. Ogni tanto col calcagno gli dava un colpo sul torace per fargli male, per poi fargli aprire la bocca e metterglielo dentro come appoggio, in modo da incrociarci l'altro piede sopra e fargli pressione. Il tutto senza che i suoi interlocutori si accorgessero di nulla.
Questo supplizio durò parecchio. Giorgio stremato era ridotto come un vero e proprio straccio alla mercè dei piedi senza pietà della sua padrona che non gli davano tregua. Poi finalmente quando i clienti andarono via e richiusero la porta, Stefania, ridendo sadicamente, si alzò e gli diede un attimo di tregua. Ma fu solo un attimo, infatti mentre il ragazzo stava per alzarsi, lo prese per i capelli, si risedette a gambe larghe, alzò la gonna del tailleur fino all'inguine, dove era senza slip, e lo costrinse a leccargli la figa bagnata per l'eccitazione di averlo abusato in quella maniera.
Perchè l'avvocato Stefania Villardita di Casalotto era una vera sadica. Il suo non era solo un gioco erotico. Era uno stile di vita. Dagli uomini non voleva un rapporto alla pari, non a caso era felicemente single, ma solo quello di sottomissione e adorazione, e con Giorgio aveva trovato la situazione ideale che aveva sempre sognato.
Così il suo schiavo la leccò, mentre lei lo teneva stretto per la testa appoggiato alla sua fica, e in breve la fece venire fra urletti e spasmi di piacere. Poi una volta soddisfatta e rilassata, lo scalcio via da se.
“Vattene adesso, non mi servi più! Sparisci!” gli ordinò con sdegno
Giorgio, quindi, si alzò per andare, ma sull'uscio della porta Stefania, mentre si rimetteva le calze e si ricomponeva, lo bloccò ancora.
“Ah! Questo fine settimana mi servi a casa mia!” gli disse con decisione, senza degnarlo di uno sguardo.
“Come? A casa sua, padrona?” rispose stupito il ragazzo
“Si, hai sentito bene! A casa mia questo fine settimana...venerdì sera sto organizzando una cena ed ho bisogno di un domestico che serva in tavola, che la mia filippina da sola non ce la fa...” gli ribadì la donna, stavolta guardandolo negli occhi con aria di sfida.
“Ah...capisco...no, è che avevo un invito ad un compleanno proprio venerdì sera da una mia parente, e...e gli ho detto che sarei andato...ecco, perchè pensavo di farle da schiavo solo qui in ufficio, non pensavo mai a casa...per cui, ecco...non so se...” imbarazzato Giorgio tentò di rispondere
“Non so se, cosa!!??” gli urlò arrabbiata Stefania interrompendolo e poi aggiungendo: “Non ci vai a questo cazzo di compleanno perchè servi a me! Tu sei il mio schiavo! Tendi ancora a dimenticare questo particolare! Sei il mio schiavo! Sei mia proprietà! Appartieni a me! Come questo computer, coma la mia auto! Come la mia casa! Come tutto qui dentro!! E decido io e solo io dove mi servi! In ufficio si...ma adesso ho deciso pure a casa! E tu lasci tutto per obbedire alla volontà della tua padrona...senza pensare! Pensa lui...che cazzo pensi!?...tu devi solo obbedire e sottometterti! E' chiaro?”
“Si padrona...chiaro, chiaro...e non dimentico, non volevo...” tentò una difesa Giorgio. Ma la donna come una furia si alzò dalla sua postazione e, ancora urlando, gli si avvicinò interrompendolo.
“Non volevo, cosa!!??...Hai dimenticato che mi devi diecimila euro!!?? I diecimila euro che ti ho elargito e che ti hanno salvato la vita da quegli strozzini per il tuo cazzo di vizio delle scommesse e del poker!? Hai dimenticato!!??...quelli se non riavevano i loro soldi, nella migliore delle ipotesi ti avrebbero gambizzato,,,e nella peggiore ti avrebbero ammazzato! Perciò se sei sano e salvo lo devi solo a me! Brutto inetto vizioso che non sei altro!” gli rinfacciò Stefania
“No, padrona...non ho dimenticato...e per questo le sarò per sempre grato e devoto” disse quasi piangendo Giorgio
“Non mi sembra!...eppure il patto tra noi era chiaro. Tu non avendo la possibilità economica di restituirmeli, hai accettato, con tanto di documento scritto e firmato, la mia proposta di farteli scontare diventando il mio schiavo! Ricordi? Ricordi quella cosa che ti dissi su come si usava nell'antica Roma? Dove se un debitore non poteva saldare il suo debito diventava schiavo del suo creditore? E tu hai accettato per di più pure ringranandomi, ricordi!? Dunque...o mi restituisci adesso, subito, quel prestito...e con gli interessi, così ti libero e te ne vai al tuo cazzo di compleanno...o se no, zitto e ubbidiente mi fai da schiavo pure a casa mia...e fai solo quello che voglio io, come e quando dico io! Disdici impegni, appuntamenti e cazzi vari con chiunque, perchè io vengo prima di tutto...e questo fino a quando avrò deciso che il tuo debito sarà estinto! Fino a quel momento tu sei di mia proprietà! Mi appartieni! E chiaro il concetto o devo ripetertelo ancora!!??” gli rinfacciò ancora rabbiosa la padrona puntandogli un dito in faccia
“No padrona...no...chiarissimo! E non ho dimenticato quella cosa della Roma antica. Si è vero ho accettato di essere il suo schiavo e sua proprietà, non mi posso sottrarre a questo destino...vuol dire che inventerò una scusa alla mia parente e venerdì sera si...sarò al suo servizio in casa sua...anzi mi perdoni se ho osato cercare di anteporre un mio impegno invece di eseguire senza tentennamenti una sua volontà...” rispose rassegnato a fil di voce e testa bassa Giorgio.
A quel punto, la donna si placò. Lo guardò compiaciuta per come quel bel ragazzo, che tanto bramava e che adesso con lo stratagemma del prestito era ormai tutto suo, si umiliava davanti a lei. Quindi soddisfatta tornò lentamente alla sua postazione e dopo essersi seduta a digitare sul PC, aggiunse: “Entro e non oltre le sette...puntuale! Odio i ritardatari...l'ho già detto prima! Odio...soprattutto se a ritardare è il mio schiavo! La mia proprietà!”
Fine 1^ parte – sottomesso1966@gmail.com
Pochi secondi e Giorgio si trovò a bussare dietro la porta della stanza dove una targhetta diceva “Avvocato Stefania Villardita di Casalotto”.
“Avanti” filtrò dalla porta la voce stridula ancora con imperio.
“Eccomi...” ebbe appena il tempo di dire Giorgio entrando nella stanza, che la donna, sulla quarantina, bianco pallido di carnagione, magra ossuta, naso aquilino, occhi azzurri dallo sguardo torvo contornato da lunghi capelli biondo platino, seduta al PC dietro una antica sontuosa scrivania di ciliegio, gli ordinò: “ Ho due documenti da protocollare e un paio di faldoni da sistemare! Sbrigati!”
“Si...si...ehm...avvocato, subito...” rispose il ragazzo a voce bassa per deferenza
“Come!!?? Non ho sentito!? Avvocato!!??” lo redarguì stizzita la donna
“Ehm...padrona, volevo dire...padrona!” ripeté il giovane con un filo di voce
“Non ho sentito bene! Ripeti!” lo riprese ancora stizzito Stefania
“Si subito padrona!” disse Giorgio stavolta a voce più alta
La donna, a quel punto, sembrò rasserenarsi. Appoggiò le spalle allo schienale della poltrona come a rilassarsi e con voce più calma ma sempre con fermezza, gli disse:“Ecco, adesso ci siamo! Avvocato mi chiami quando c'è gente...quando siamo soli, te l'ho già detto, mi devi chiamare padrona! O lo hai dimenticato?”
“No, non l'ho dimenticato, padrona...le chiedo scusa...stavo per dirlo, ma poi per un attimo ho titubato perchè pensavo che con la porta aperta ci potesse sentire qualcuno...qui in ufficio c'è un certo via vai” provò a giustificarsi Giorgio
Stefania lo guardò, ma non gli rispose subito. Come se la giustificazione l'avesse convinta. Abbassò lo sguardo verso il monitor del PC, digitò qualcosa alla tastiera e poi gli disse: “Va' a fare quello che ti ho ordinato e poi...lo sai, questa è l'ora della mia pausa preferita! Sbrigati e torna veloce, che non mi piace aspettare i comodi del mio schiavo!”
Giorgio obbedì e dopo un poco tornò con un caffè in tazzina di vetro su un vassoietto d'argento che poggiò sulla scrivania davanti la sua padrona. Chiuse la porta bene in modo che nessuno potesse entrare improvvisamente. Prese una sedia che posizionò di fianco la poltrona dove stava seduta la donna, alla distanza giusta per cui ella potesse stendere le gambe, e si sedette.
Stefania, quindi, staccò l'attenzione dal PC, girò la poltrona verso il suo schiavo, si sfilò le chanel in pelle tacco a rocchetto, gli piazzò sulle gambe, ad incrocio, i piedi magri, ben curati da smalto rosso vivo sulle unghia, inguainati da collant velati avana. Reclinò la testa all'indietro ad occhi chiusi rilassata sullo schienale ed iniziò a sorbire lentamente il caffè, mentre il ragazzo, coi pollici a pressare sulle piante, poi sulle dita, sulla monta, fino alla caviglia e con i pugni di nuovo sulle piante, iniziò un lento e sensuale massaggio ai suoi piedi.
Dopo una manciata di minuti di questo rilassante massaggio, Stefania, riaprendo gli occhi e cambiando decisamente espressione – da rilassata ad un ghigno sadico - posò lentamente la tazzina sul vassoio, alzò un piede e prese a strusciarglielo in faccia, mentre con l'altro gli premette la patta. A quel punto il ragazzo, prima glielo annusò e poi prese a leccarlo. Poi improvvisamente, con piacere sadico, Stefania glielo affondò in bocca fino in gola, ad entra ed esci, fino a procurargli conati di vomito. Alla stessa maniera, sadica senza pietà, fece con l'altro piede, facendo durare questo suplizio parecchi minuti. Quindi, mentre il ragazzo si riaveva per evitare il vomito, si sfilò i collant autoreggenti e gli piazzò entrambi i piedi nudi sulla faccia, ghignando: “Leccali ancora schiavo! Leccali!!”.
Giorgio così riprese a leccare ed annusare quei piedi nudi e ossuti che la sua padrona gli sfregava sul viso umiliandolo senza pietà. Dopo un po' glieli tolse dalla faccia. Sembrava volesse dargli un attimo di tregua, anche perchè il suo schiavo sembrava un pugile suonato alle corde, invece no! Continuò a non averne pietà. Così prese ad una a una le scarpe e gliele schiacciò con una mano sul naso perchè ne odorasse l'afrore e leccasse l'interno. Sghignazzando di sadico piacere lo fece soffocare così un bel po', fino a che il ragazzo stremato cadde sul pavimento in ginocchio. Quando sembrava fosse appagata di quei supplizi, qualcuno bussò alla porta.
Erano dei clienti per definire una causa. Stefania prese l'occasione per un altra trovata sadica. Prima di aprire la porta ordinò al suo schiavo di stendersi sotto la poltrona per lungo in verticale in modo che la sua testa finisse accanto la sponda della sua scrivania che copriva interamente la zona delle gambe da non far vedere nulla sotto. Giorgio, mezzo barcollante, si posizionò e la sua padrona gli posizionò i piedi nudi sulla faccia. Quindi aprì col comando elettrico, li fece accomodare e iniziò tranquillamente a colloquiare con loro, mentre usava il suo schiavo a mo di pedana, come se nulla fosse.
Stefania disquisiva con disinvoltura di leggi e codice penale e intanto con quei piedi nudi tormentava quel povero ragazzo senza pietà: glieli sfregava sugli occhi, sul naso, glieli infilava in bocca e poi con un calcetto gli faceva capire che voleva la lingua tra gli interstizi delle dita. Ogni tanto col calcagno gli dava un colpo sul torace per fargli male, per poi fargli aprire la bocca e metterglielo dentro come appoggio, in modo da incrociarci l'altro piede sopra e fargli pressione. Il tutto senza che i suoi interlocutori si accorgessero di nulla.
Questo supplizio durò parecchio. Giorgio stremato era ridotto come un vero e proprio straccio alla mercè dei piedi senza pietà della sua padrona che non gli davano tregua. Poi finalmente quando i clienti andarono via e richiusero la porta, Stefania, ridendo sadicamente, si alzò e gli diede un attimo di tregua. Ma fu solo un attimo, infatti mentre il ragazzo stava per alzarsi, lo prese per i capelli, si risedette a gambe larghe, alzò la gonna del tailleur fino all'inguine, dove era senza slip, e lo costrinse a leccargli la figa bagnata per l'eccitazione di averlo abusato in quella maniera.
Perchè l'avvocato Stefania Villardita di Casalotto era una vera sadica. Il suo non era solo un gioco erotico. Era uno stile di vita. Dagli uomini non voleva un rapporto alla pari, non a caso era felicemente single, ma solo quello di sottomissione e adorazione, e con Giorgio aveva trovato la situazione ideale che aveva sempre sognato.
Così il suo schiavo la leccò, mentre lei lo teneva stretto per la testa appoggiato alla sua fica, e in breve la fece venire fra urletti e spasmi di piacere. Poi una volta soddisfatta e rilassata, lo scalcio via da se.
“Vattene adesso, non mi servi più! Sparisci!” gli ordinò con sdegno
Giorgio, quindi, si alzò per andare, ma sull'uscio della porta Stefania, mentre si rimetteva le calze e si ricomponeva, lo bloccò ancora.
“Ah! Questo fine settimana mi servi a casa mia!” gli disse con decisione, senza degnarlo di uno sguardo.
“Come? A casa sua, padrona?” rispose stupito il ragazzo
“Si, hai sentito bene! A casa mia questo fine settimana...venerdì sera sto organizzando una cena ed ho bisogno di un domestico che serva in tavola, che la mia filippina da sola non ce la fa...” gli ribadì la donna, stavolta guardandolo negli occhi con aria di sfida.
“Ah...capisco...no, è che avevo un invito ad un compleanno proprio venerdì sera da una mia parente, e...e gli ho detto che sarei andato...ecco, perchè pensavo di farle da schiavo solo qui in ufficio, non pensavo mai a casa...per cui, ecco...non so se...” imbarazzato Giorgio tentò di rispondere
“Non so se, cosa!!??” gli urlò arrabbiata Stefania interrompendolo e poi aggiungendo: “Non ci vai a questo cazzo di compleanno perchè servi a me! Tu sei il mio schiavo! Tendi ancora a dimenticare questo particolare! Sei il mio schiavo! Sei mia proprietà! Appartieni a me! Come questo computer, coma la mia auto! Come la mia casa! Come tutto qui dentro!! E decido io e solo io dove mi servi! In ufficio si...ma adesso ho deciso pure a casa! E tu lasci tutto per obbedire alla volontà della tua padrona...senza pensare! Pensa lui...che cazzo pensi!?...tu devi solo obbedire e sottometterti! E' chiaro?”
“Si padrona...chiaro, chiaro...e non dimentico, non volevo...” tentò una difesa Giorgio. Ma la donna come una furia si alzò dalla sua postazione e, ancora urlando, gli si avvicinò interrompendolo.
“Non volevo, cosa!!??...Hai dimenticato che mi devi diecimila euro!!?? I diecimila euro che ti ho elargito e che ti hanno salvato la vita da quegli strozzini per il tuo cazzo di vizio delle scommesse e del poker!? Hai dimenticato!!??...quelli se non riavevano i loro soldi, nella migliore delle ipotesi ti avrebbero gambizzato,,,e nella peggiore ti avrebbero ammazzato! Perciò se sei sano e salvo lo devi solo a me! Brutto inetto vizioso che non sei altro!” gli rinfacciò Stefania
“No, padrona...non ho dimenticato...e per questo le sarò per sempre grato e devoto” disse quasi piangendo Giorgio
“Non mi sembra!...eppure il patto tra noi era chiaro. Tu non avendo la possibilità economica di restituirmeli, hai accettato, con tanto di documento scritto e firmato, la mia proposta di farteli scontare diventando il mio schiavo! Ricordi? Ricordi quella cosa che ti dissi su come si usava nell'antica Roma? Dove se un debitore non poteva saldare il suo debito diventava schiavo del suo creditore? E tu hai accettato per di più pure ringranandomi, ricordi!? Dunque...o mi restituisci adesso, subito, quel prestito...e con gli interessi, così ti libero e te ne vai al tuo cazzo di compleanno...o se no, zitto e ubbidiente mi fai da schiavo pure a casa mia...e fai solo quello che voglio io, come e quando dico io! Disdici impegni, appuntamenti e cazzi vari con chiunque, perchè io vengo prima di tutto...e questo fino a quando avrò deciso che il tuo debito sarà estinto! Fino a quel momento tu sei di mia proprietà! Mi appartieni! E chiaro il concetto o devo ripetertelo ancora!!??” gli rinfacciò ancora rabbiosa la padrona puntandogli un dito in faccia
“No padrona...no...chiarissimo! E non ho dimenticato quella cosa della Roma antica. Si è vero ho accettato di essere il suo schiavo e sua proprietà, non mi posso sottrarre a questo destino...vuol dire che inventerò una scusa alla mia parente e venerdì sera si...sarò al suo servizio in casa sua...anzi mi perdoni se ho osato cercare di anteporre un mio impegno invece di eseguire senza tentennamenti una sua volontà...” rispose rassegnato a fil di voce e testa bassa Giorgio.
A quel punto, la donna si placò. Lo guardò compiaciuta per come quel bel ragazzo, che tanto bramava e che adesso con lo stratagemma del prestito era ormai tutto suo, si umiliava davanti a lei. Quindi soddisfatta tornò lentamente alla sua postazione e dopo essersi seduta a digitare sul PC, aggiunse: “Entro e non oltre le sette...puntuale! Odio i ritardatari...l'ho già detto prima! Odio...soprattutto se a ritardare è il mio schiavo! La mia proprietà!”
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