Venerdì, sabato e domenica - da praticante legale a schiavo - 2^parte
di
Ottobre Rosso 66
genere
dominazione
Quel venerdì sera, così, Giorgio alle sei e mezza del pomeriggio fu davanti il cancello dell'elegante villetta dell'avvocato Stefania Villardita di Casalotto. Fu la colf filippina a farlo entrare ed accomodare nel grande salone arredato in stile classico nobiliare, segno della discendenza di sangue blu della famiglia della sua padrona, e piena pure di cimeli nazifascisti, come busti di Mussolini e ritratti di Hitler.
Dopo una decina di minuti di attesa, arrivò Stefania. Vestaglia di seta nera, i capelli biondi legati a trecce a loro volta piegate a chiffon alla nuca, con ai piedi delle eleganti ciabattine a sabot. Una mise, che con quella pelle pallida dallo sguardo torvo, le dava un'aria sinistra da valchiria.
Vide Giorgio in piedi che l'aspettava e nemmeno lo salutò. Lo guardò solo con aria di sufficienza e rivolgendosi alla colf, con assolta naturalezza, disse: “Questo è Giorgio, il mio schiavo (la colf fece una smorfia di stupore) ...si, il mio schiavo, hai capito bene, Mary, tranquilla, si uno schiavo proprio nel vero senso della parola, che ci faccio quello che voglio e lui zitto obbedisce altrimenti lo frusto, anche perchè mi è pure costato caro: diecimila euro! ...è qui per darti una mano per la cena. Dunque iniziate a sistemare la sala da pranzo, apparecchiate la tavola, se c'è da spostare mobili o altri lavori pesanti li fa lui...insomma vedi tu di cosa c'è bisogno, mi fido di te...e meno di questo...questo inetto (guardando Giorgio con aria ironica) buono solo come poggiapiedi...voglio tutto alla perfezione e fai presto perchè l'inetto ha altri lavori da fare, ok?”
Sistemata la sala da pranzo e ricevuto lo sta bene dalla padrona, Giorgio fu, quindi, spedito a fare mansioni pure di giardiniere. Stefania, pigramente seduta su una poltroncina nel patio della villa, gambe accavallate e pantofolina penzolante ma con cipiglio deciso, lo guidava mentre gli faceva rasare il prato, potare le siepi e mettere a dimora delle piantine fiorite. Una volta finito, sudato e stanco, lo mandò a fare una doccia. Mentre anche lei si andò a vestire perchè mancava poco all'arrivo degli ospiti.
Quando si rividero, il ragazzo rimase di stucco: la sua padrona era vestita da gerarca nazista della Gestapo tutta in pelle nero-lucida: giacca con le varie effige del terzo raich, croce e svastica, gonna stretta al ginocchio, calze a rete e décolleté tacco dodici ai piedi. Frustino da fantino in mano coperte da guanti sempre neri, con tanto di cappello col simbolo della morte.
“Che cazzo guardi così imbambolato?” gli disse Stefania sprezzante come se vestirsi da Gestapo fosse una cosa normalissima, e poi, porgendogli una busta da lavanderia aggiunse: “Piuttosto non perdere tempo, qui c'è una livrea da maggiordomo...indossala, ti voglio impeccabile con i miei ospiti, sbrigati!”
Arrivarono gli invitati, una decina circa. Per Giorgio fu stupore su stupore. Anche loro, uomini e donne, erano vestiti da nazisti. Chi con le divise grige degli ufficiali da campo, chi in camicia bruna della gioventù hitleriana e chi, come la sua padrona, in nero da Gestapo. Tutta gente ricca e potente di cui amava circondarsi la nobile Stefania e grazie alla quale era diventata una principessa del foro, molto ricca, stimata e temuta.
Tra questi ospiti potenti c'era pure un alto prelato. Un vescovo. In tonaca, non vestito da nazista. Un uomo sulla sessantina, grasso pelato, occhialini d'oro sulla punta del naso grosso da sembrare un grugno. Intrallazzato con certi lauti affari immobiliari che riguardavano beni della curia, ma sul quale giravano voci che lo dipingevano come un grandissimo porco, non solo perchè non si perdeva mai un pranzo o una cena, ma per quanti giovani seminaristi, si dice, si sia inculato.
Infatti, iniziata la cena, per tutta la sera non faceva altro che guardare con bramosia il giovane bel Giorgio che serviva al tavolo, con certi sorrisetti ammiccanti e inequivocabili che gli rivolgeva tutte le volte che gli serviva una pietanza nel piatto.
Così avvenne che in una pausa tra le portate, Stefania, a cui non sfuggiva mai nulla, avvicinò il vescovo e in maniera molto discreta s'intrattenne un bel po a parlare con lui.
Finito il colloquio, la donna, chiamò da parte il suo schiavo e guardandolo imperiosamente negli occhi gli disse: “Apri bene le orecchie. Perchè se osi sbagliare ti riempio di frustate e ti riduco peggio di come faccio quando ti metto sotto i piedi, chiaro? (il ragazzo annuì spaventato) Allora, a fine cena, quando ci sposteremo nel salone per onorare la memoria del Furher, tu scenderai sotto nelle cantine, li ho una piccola spa. Ci troverai il monsignore. Quello che ti mangiava con gli occhi. Non voglio sapere cosa ti farà o vorrà fatto, anche se non è difficile intuirlo. Voglio, anzi pretendo, che tu ti metta a sua totale disposizione. Gli obbedirai come fossi io. Qualsiasi cosa ti ordinerà, tu la fai! Chiaro? C'è un affare che m'interessa di parecchi milioni in ballo che dipende da te, se il vescovo non sarà soddisfatto e me lo fai saltare, ti ripeto...ti faccio passare i guai! Mi raccomando!”
“Si padrona...anche se però...però...non si arrabbi, non è che mi vada tanto, io non sono omosessuale, lei lo sa... “ tentò di salvarsi da quel destino Giorgio
“Non me ne frega un cazzo di cosa sei! Tu sei il mio schiavo e se ti ordino di farti inculare da quel porco, tu lo fai!! Hai capito? A meno che domani mattina hai pronti i diecimila euro, con gli interessi, che mi devi! “ gli intimò Stefania con fermezza, sebbene a bassa voce per non farsi sentire dagli ospiti, colpendolo poi un paio di volte col frustino e aggiungendo sempre adirata: “Ce li hai!? (Giorgio scosse la testa a mimare un no) E allora non osare mai più discutere un mio ordine! (due copi di frustino) mai più!!”
Quindi quando a fine cena tutti gli invitati si spostarono nel salone, mentre partiva l'inno nazista, Giorgio scese nel piano cantinato e potè ammirare la piccola lussuosa spa della sua padrona: c'era una sauna, un bagno turco ed una vasca idromassaggio, dove vide immerso il monsignore nudo con le braccia stese sui bordi che lo guardava con un sorrisino depravato, aveva anche un rivolo di saliva che li scendeva da un lato della bocca. Segno che quel giovanotto gli procurava l'acquolina e non gli pareva vero che fra poco fosse tutto a sua disposizione.
“Spogliati, però piano...” ordinò con voce melliflua al ragazzo che gli si era lentamente avvicinato.
Giorgio obbedì, mentre quell'uomo si arrapava sempre di più vedendolo denudarsi lentamente. Quando fu completamente nudo, lo fece entrare nella vasca in piedi e iniziò a ad accarezzarlo, sul petto, sul viso, scese nelle natiche, sul cazzo. Poi passò ai bacetti e leccatine sempre su tutto il corpo. Si soffermò sul cazzo e glielo leccò con più passione, e fra bacetti e leccatine, con quel tono mellifluo da depravato, ripeteva: “Oh Dio quanto sei bello...oh quanto ti desidero...”
Dopo un po' si fermò e ordinò al ragazzo in tono sarcastico: “Adesso tocca a te, fammi lo stesso, baciami e leccami dal collo fino a sotto...dai, fammi godere! Non vorrai deludermi e soprattutto deludere la tua padrona, vero?”
“Oh no monsignore...no!” rispose intimorito Giorgio, che capì che Stefania gli aveva raccontato tutto, della sua situazione di schiavo causa debito e, dunque, come tale che poteva abusarlo a suo piacimento.
Quindi, malgrado quell'uomo grasso, dall'aspetto suinesco, glabro,senza un pelo, se si escludono i pochi capelli ai lati e qualcuno grigionero sul pube, lo ripugnasse, si mise all'opera.
Mentre lo leccava dal collo sentiva il sapore dolciastro nauseante della sua pelle rugosa. Il monsignore, intanto, se la godeva alla grande stando con la testa reclinata all'indietro, occhi chiusi, sentendo la lingua e la bocca di Giorgio arrivare fino alla sua grossa pancia. Poi sempre più eccitato, d'improvviso, afferrò un braccio del ragazzo e lo spostò in modo che con la mano potesse afferrargli il cazzo.
Giorgio così si ritrovò il cazzo del vescovo in mano. Cazzo che a dispetto di età e grasso, era veramente grosso e duro, scappellato dal glande violaceo. Glielo masturbò alcuni secondi. Poi l'uomo prima si sistemò seduto in modo da uscirlo da sotto l'acqua, e poi mise una mano sulla testa del giovane, in modo da abbassargliela fino a quando non gli infilò il cazzo in bocca e gli ordinò con voce arrapata: “Succhiamelo schiavo Succhiamelo bene!!”
Giorgio partì col pompino. Non ne aveva mai fatti, ma dopo un inizio stentato, imparò presto, mentre quel porco del vescovo ansimava di piacere. Anzi forse quella lentezza di chi ha paura, gli fece provare più piacere. Se lo fece succhiare per un po'. Poi lo interruppe, glielo uscì dalla bocca e glielo sfregò sulla faccia, per poi rimetterglielo in bocca. Dopo, lo fece mettere a novanta gradi appoggiato sul bordo della vasca. Gli inumidì il buco del culo e glielo spinse lentamente ma con decisione dentro e prese a scopargli il culo.
Il ragazzo sentiva dolore e pregava piagnucolando che finisse in fretta, intanto il depravato porco mentre lo trombava ridacchiando sadicamente gli ammise senza pudore chi era, che quelle voci su di lui erano vere. Gli disse, inframezzando degli “oh si” di piacere: “Fantastico, quanto sto godendo con te...mi ricordi un seminarista che mi sono scopato qualche settimana fa...uno dei tanti davanti ai quali non resisto e coi quali mi sollazzo sto bel pisello mai sazio...un frocetto moretto come te, dalla bocca e dal culo dolcissimo...proprio come il tuo adesso...quanto me lo ha sollazzato il cazzo anche lui, sapessi quanto...e a lui, come del resto a te, anche se frigni, è piaciuto...ma mi voleva denunciare, perchè in realtà voleva solo dei soldi...infatti poi glieli ho dati e si è azzittito. Voleva fare il furbo il frocio bastardo, hai capito?”
“Si monsignore, si...però basta...abbiate pietà di me! Mi sta spaccando il culo così...pietà, basta, la scongiuro” implorava il povero Giorgio che veniva sbattuto come una marionetta sul bordo della vasca.
“Sta zitto schiavo! Zitto...che ti piace!” rispose sadicamente il vescovo aumentando i colpi dell'inculata.
Poi dopo alcuni secondi, improvvisamente finì. Fece girare il ragazzo e quel cazzo duro e venoso glielo rimise in bocca e gliela scopò fino a sborrargli dentro copiosamente grugnendo di piacere.
A Giorgio, invece, vennero potenti conati di vomito.
Quindi dopo essersi un attimo rilassato, il monsignore, rivolgendosi al ragazzo tramortito dal dolore all'ano, rimasto rannicchiato a terra non riuscendo a trattenere il vomito, con sarcasmo disse: “Sei stato bravo. Ti voglio rivedere di nuovo!”.
Poi canticchiando soddisfatto una canzone da chiesa, si rivestì e raggiunse gli altri ospiti nel salone. Giorgio come si riprese, si rivestì pure lui, ripulì il suo vomito, e raggiunse Mary nelle cucine.
La serata volgeva al termine. Era ormai notte inoltrata e gli ospiti mano a mano andavano via. Giorgio assieme alla colf stava ultimando le pulizie in cucina, quando li raggiunse l'ufficiale della Gestapo, Stefania, che congedò la filippina e rimase sola col ragazzo, vistosamente preoccupato perchè consapevole di cosa lo stava aspettando.
“Sei stato bravo, lo sai? Il monsignore è rimasto molto soddisfatto e vorrebbe rivederti presto, stavolta da lui” disse la donna sedendosi e mettendo i piedi incrociati sul tavolo.
“Si, grazie...padrona...ho fatto del mio meglio affinché lei fosse contenta ed ottenesse quello che voleva...” rispose intimorito Giorgio
“Certo, certo...ho ottenuto quello che volevo. Domani andrò nella sua segreteria per firmare, grazie al tuo culo ed alla tua bocca, dei documenti molto importanti con la quale chiuderò a mio favore un affare molto lucroso che seguivo da tempo e per questo, in segno di ringraziamento, gli ho promesso che potrà averti ancora...solo che c'è un problema” disse con tono infastidito Stefania, togliendosi lentamente i guanti, poi posando il cappello ed il frustino sul tavolo e sciogliendo le trecce in modo che i capelli le caddero fluenti sulle spalle
“Che problema...padrona?” chiese più intimorito Giorgio
“Che adesso sono gelosa! Gelosa del mio schiavo! Gelosa che il mio schiavo, il mio schiavo!...lo abbia soddisfatto così bene che quel porco lo voglia nei suoi appartamento per abusarne ancora...e che magari si dimentichi che la sua padrona...la sua padrona!...è l'unica che lo possiede e l'unica che ne può abusare!” rispose stizzita la donna, impugnando di nuovo il frustino
“Oh no padrona, non lo farò mai! Lei sola è la mia padrona, unica e insostituibile...” disse il ragazzo come preso dal panico
“E allora dimostramelo adesso! Occupandoti delle mie scarpe e dei miei piedi subito!” ordinò con fermezza la donna sfiorandosi le décolleté con il frustino per tutta la loro superficie.
Quindi il ragazzo veloce si inginocchiò davanti le scarpe ai piedi incrociati della sua padrona e ne iniziò a leccare le punte, per poi passare alla monta, nei laterali, per poi succhiarne i lunghi tacchi. Lo fece per più passate in entrambe che per la saliva la vernice nera scintillava ancor di più. Così quando si ritenne soddisfatta, Stefania, con sguardo fra l'arrogate e lo sdegnato, se le sfilò con un gesto deciso, lasciandole cadere a terra. Afferrò Giorgio per i capelli e ne schiaffò il volto tre le piante incrociate dei suoi piedi scalzi in calze a rete.
“Adorali e leccali, schiavo!!” gli ordinò con un ghigno satanico, assestandogli un paio di frustate ai fianchi.
Il ragazzo impaurito iniziò ad odorarne l'afrore misto di sudore e cuoio, mentre le sue guance venivano strapazzate da quelle piante implacabili. Poi, al solito, Stefania feroce, un piede per volta, gli penetrò la bocca con le dita fino alla monta quasi a farlo soffocare. Dopo aver fatto un bel po' di volte entra ed esci, fino a stordirlo, se li fece leccare millimetro per millimetro per parecchi minuti.
Poi, improvvisamente li scese dal tavolo, si alzò, ordinò al ragazzo di rimanere in ginocchio. Da un cassetto prese un collare borchiato e glielo mise al collo. Gli attaccò un guinzaglio e facendolo camminare a quattro zampe come un cane se lo portò in una stanza occultata da una finta libreria, che la donna aprì con un piccolo telecomando.
Dentro c'era un vero e proprio dungeon bdsm completissimo di ogni attrezzo e macchina per supplizi. Quindi la padrona fece spogliare completamente nudo il suo schiavo e lo legò polsi e caviglie ad una croce a X. Una volta immobilizzato, si mise a giocare col cazzo divertendosi, un po' con la mano a segarlo e un po' con la bocca a spompinarlo, a portarlo quasi a sborrare, per poi fermarsi proprio sul più bello e poi pungerglielo con uno spillo, mentre il povero ragazzo supplicava: “Pietà padrona, pietà...”.
Ma più la supplicava e più Stefania si eccitava. Cosicché, stancatasi del gioco col cazzo, lo frustò dappertutto e, fra una risata e l'altra, gli intimava: “Zitto schiavo! Zitto!!”
Al chè prese delle pinzette e gliele applicò ai capezzoli per farlo soffrire ancora.
Mentre il suo schiavo ancora implorava dolorante pietà, prese una sedia e gli si sedette davanti ammirando con aria soddisfatta e sprezzante i supplizi che gli stava imponendo. Poi dopo un po', sollevò le gambe e gli poggiò sullo sterno i piedi accavallati in modo che le dita e parte delle piante toccassero il mento e la bocca.
“Succhia e lecca, schiavo di merda!” comandò la padrona premendo i piedi sulla bocca del povero schiavo che obbedì immediatamente, mentre veniva sferzato alle natiche col frustino.
Passati parecchi minuti di questo supplizio, Stefania decise di sfilarsi gli autoreggenti a rete per tornare a tormentare a piedi nudi le guance e la bocca di Giorgio. E mentre il ragazzo soffriva sotto i suoi piedi, preso un vibratore, eccitatissima iniziò a masturbarsi la figa.
Raggiunto l'orgasmo, ansimando e urlando, e strapazzato con i piedi ben bene la faccia del suo schiavo oramai sfinito, si alzò. Gli tolse con lentezza le dolorosissime pinzette dai capezzoli. Posizionò un vaso da notte sotto le gambe aperte del ragazzo, in modo che potesse pisciare senza sporcare a terra, con due dita gli alzò il mento per guardarlo in faccia, gli sputò in faccia e poi sprezzante gli disse: “Sono stanca adesso, voglio andare a dormire...ci vediamo domani mattina...sempre se mi va e quando mi va! Fai sogni d'oro, schiavo!” e andò via lasciandolo tutta la notte legato in quel modo.
Fine 2^ parte – sottomesso1966@gmail.com
Dopo una decina di minuti di attesa, arrivò Stefania. Vestaglia di seta nera, i capelli biondi legati a trecce a loro volta piegate a chiffon alla nuca, con ai piedi delle eleganti ciabattine a sabot. Una mise, che con quella pelle pallida dallo sguardo torvo, le dava un'aria sinistra da valchiria.
Vide Giorgio in piedi che l'aspettava e nemmeno lo salutò. Lo guardò solo con aria di sufficienza e rivolgendosi alla colf, con assolta naturalezza, disse: “Questo è Giorgio, il mio schiavo (la colf fece una smorfia di stupore) ...si, il mio schiavo, hai capito bene, Mary, tranquilla, si uno schiavo proprio nel vero senso della parola, che ci faccio quello che voglio e lui zitto obbedisce altrimenti lo frusto, anche perchè mi è pure costato caro: diecimila euro! ...è qui per darti una mano per la cena. Dunque iniziate a sistemare la sala da pranzo, apparecchiate la tavola, se c'è da spostare mobili o altri lavori pesanti li fa lui...insomma vedi tu di cosa c'è bisogno, mi fido di te...e meno di questo...questo inetto (guardando Giorgio con aria ironica) buono solo come poggiapiedi...voglio tutto alla perfezione e fai presto perchè l'inetto ha altri lavori da fare, ok?”
Sistemata la sala da pranzo e ricevuto lo sta bene dalla padrona, Giorgio fu, quindi, spedito a fare mansioni pure di giardiniere. Stefania, pigramente seduta su una poltroncina nel patio della villa, gambe accavallate e pantofolina penzolante ma con cipiglio deciso, lo guidava mentre gli faceva rasare il prato, potare le siepi e mettere a dimora delle piantine fiorite. Una volta finito, sudato e stanco, lo mandò a fare una doccia. Mentre anche lei si andò a vestire perchè mancava poco all'arrivo degli ospiti.
Quando si rividero, il ragazzo rimase di stucco: la sua padrona era vestita da gerarca nazista della Gestapo tutta in pelle nero-lucida: giacca con le varie effige del terzo raich, croce e svastica, gonna stretta al ginocchio, calze a rete e décolleté tacco dodici ai piedi. Frustino da fantino in mano coperte da guanti sempre neri, con tanto di cappello col simbolo della morte.
“Che cazzo guardi così imbambolato?” gli disse Stefania sprezzante come se vestirsi da Gestapo fosse una cosa normalissima, e poi, porgendogli una busta da lavanderia aggiunse: “Piuttosto non perdere tempo, qui c'è una livrea da maggiordomo...indossala, ti voglio impeccabile con i miei ospiti, sbrigati!”
Arrivarono gli invitati, una decina circa. Per Giorgio fu stupore su stupore. Anche loro, uomini e donne, erano vestiti da nazisti. Chi con le divise grige degli ufficiali da campo, chi in camicia bruna della gioventù hitleriana e chi, come la sua padrona, in nero da Gestapo. Tutta gente ricca e potente di cui amava circondarsi la nobile Stefania e grazie alla quale era diventata una principessa del foro, molto ricca, stimata e temuta.
Tra questi ospiti potenti c'era pure un alto prelato. Un vescovo. In tonaca, non vestito da nazista. Un uomo sulla sessantina, grasso pelato, occhialini d'oro sulla punta del naso grosso da sembrare un grugno. Intrallazzato con certi lauti affari immobiliari che riguardavano beni della curia, ma sul quale giravano voci che lo dipingevano come un grandissimo porco, non solo perchè non si perdeva mai un pranzo o una cena, ma per quanti giovani seminaristi, si dice, si sia inculato.
Infatti, iniziata la cena, per tutta la sera non faceva altro che guardare con bramosia il giovane bel Giorgio che serviva al tavolo, con certi sorrisetti ammiccanti e inequivocabili che gli rivolgeva tutte le volte che gli serviva una pietanza nel piatto.
Così avvenne che in una pausa tra le portate, Stefania, a cui non sfuggiva mai nulla, avvicinò il vescovo e in maniera molto discreta s'intrattenne un bel po a parlare con lui.
Finito il colloquio, la donna, chiamò da parte il suo schiavo e guardandolo imperiosamente negli occhi gli disse: “Apri bene le orecchie. Perchè se osi sbagliare ti riempio di frustate e ti riduco peggio di come faccio quando ti metto sotto i piedi, chiaro? (il ragazzo annuì spaventato) Allora, a fine cena, quando ci sposteremo nel salone per onorare la memoria del Furher, tu scenderai sotto nelle cantine, li ho una piccola spa. Ci troverai il monsignore. Quello che ti mangiava con gli occhi. Non voglio sapere cosa ti farà o vorrà fatto, anche se non è difficile intuirlo. Voglio, anzi pretendo, che tu ti metta a sua totale disposizione. Gli obbedirai come fossi io. Qualsiasi cosa ti ordinerà, tu la fai! Chiaro? C'è un affare che m'interessa di parecchi milioni in ballo che dipende da te, se il vescovo non sarà soddisfatto e me lo fai saltare, ti ripeto...ti faccio passare i guai! Mi raccomando!”
“Si padrona...anche se però...però...non si arrabbi, non è che mi vada tanto, io non sono omosessuale, lei lo sa... “ tentò di salvarsi da quel destino Giorgio
“Non me ne frega un cazzo di cosa sei! Tu sei il mio schiavo e se ti ordino di farti inculare da quel porco, tu lo fai!! Hai capito? A meno che domani mattina hai pronti i diecimila euro, con gli interessi, che mi devi! “ gli intimò Stefania con fermezza, sebbene a bassa voce per non farsi sentire dagli ospiti, colpendolo poi un paio di volte col frustino e aggiungendo sempre adirata: “Ce li hai!? (Giorgio scosse la testa a mimare un no) E allora non osare mai più discutere un mio ordine! (due copi di frustino) mai più!!”
Quindi quando a fine cena tutti gli invitati si spostarono nel salone, mentre partiva l'inno nazista, Giorgio scese nel piano cantinato e potè ammirare la piccola lussuosa spa della sua padrona: c'era una sauna, un bagno turco ed una vasca idromassaggio, dove vide immerso il monsignore nudo con le braccia stese sui bordi che lo guardava con un sorrisino depravato, aveva anche un rivolo di saliva che li scendeva da un lato della bocca. Segno che quel giovanotto gli procurava l'acquolina e non gli pareva vero che fra poco fosse tutto a sua disposizione.
“Spogliati, però piano...” ordinò con voce melliflua al ragazzo che gli si era lentamente avvicinato.
Giorgio obbedì, mentre quell'uomo si arrapava sempre di più vedendolo denudarsi lentamente. Quando fu completamente nudo, lo fece entrare nella vasca in piedi e iniziò a ad accarezzarlo, sul petto, sul viso, scese nelle natiche, sul cazzo. Poi passò ai bacetti e leccatine sempre su tutto il corpo. Si soffermò sul cazzo e glielo leccò con più passione, e fra bacetti e leccatine, con quel tono mellifluo da depravato, ripeteva: “Oh Dio quanto sei bello...oh quanto ti desidero...”
Dopo un po' si fermò e ordinò al ragazzo in tono sarcastico: “Adesso tocca a te, fammi lo stesso, baciami e leccami dal collo fino a sotto...dai, fammi godere! Non vorrai deludermi e soprattutto deludere la tua padrona, vero?”
“Oh no monsignore...no!” rispose intimorito Giorgio, che capì che Stefania gli aveva raccontato tutto, della sua situazione di schiavo causa debito e, dunque, come tale che poteva abusarlo a suo piacimento.
Quindi, malgrado quell'uomo grasso, dall'aspetto suinesco, glabro,senza un pelo, se si escludono i pochi capelli ai lati e qualcuno grigionero sul pube, lo ripugnasse, si mise all'opera.
Mentre lo leccava dal collo sentiva il sapore dolciastro nauseante della sua pelle rugosa. Il monsignore, intanto, se la godeva alla grande stando con la testa reclinata all'indietro, occhi chiusi, sentendo la lingua e la bocca di Giorgio arrivare fino alla sua grossa pancia. Poi sempre più eccitato, d'improvviso, afferrò un braccio del ragazzo e lo spostò in modo che con la mano potesse afferrargli il cazzo.
Giorgio così si ritrovò il cazzo del vescovo in mano. Cazzo che a dispetto di età e grasso, era veramente grosso e duro, scappellato dal glande violaceo. Glielo masturbò alcuni secondi. Poi l'uomo prima si sistemò seduto in modo da uscirlo da sotto l'acqua, e poi mise una mano sulla testa del giovane, in modo da abbassargliela fino a quando non gli infilò il cazzo in bocca e gli ordinò con voce arrapata: “Succhiamelo schiavo Succhiamelo bene!!”
Giorgio partì col pompino. Non ne aveva mai fatti, ma dopo un inizio stentato, imparò presto, mentre quel porco del vescovo ansimava di piacere. Anzi forse quella lentezza di chi ha paura, gli fece provare più piacere. Se lo fece succhiare per un po'. Poi lo interruppe, glielo uscì dalla bocca e glielo sfregò sulla faccia, per poi rimetterglielo in bocca. Dopo, lo fece mettere a novanta gradi appoggiato sul bordo della vasca. Gli inumidì il buco del culo e glielo spinse lentamente ma con decisione dentro e prese a scopargli il culo.
Il ragazzo sentiva dolore e pregava piagnucolando che finisse in fretta, intanto il depravato porco mentre lo trombava ridacchiando sadicamente gli ammise senza pudore chi era, che quelle voci su di lui erano vere. Gli disse, inframezzando degli “oh si” di piacere: “Fantastico, quanto sto godendo con te...mi ricordi un seminarista che mi sono scopato qualche settimana fa...uno dei tanti davanti ai quali non resisto e coi quali mi sollazzo sto bel pisello mai sazio...un frocetto moretto come te, dalla bocca e dal culo dolcissimo...proprio come il tuo adesso...quanto me lo ha sollazzato il cazzo anche lui, sapessi quanto...e a lui, come del resto a te, anche se frigni, è piaciuto...ma mi voleva denunciare, perchè in realtà voleva solo dei soldi...infatti poi glieli ho dati e si è azzittito. Voleva fare il furbo il frocio bastardo, hai capito?”
“Si monsignore, si...però basta...abbiate pietà di me! Mi sta spaccando il culo così...pietà, basta, la scongiuro” implorava il povero Giorgio che veniva sbattuto come una marionetta sul bordo della vasca.
“Sta zitto schiavo! Zitto...che ti piace!” rispose sadicamente il vescovo aumentando i colpi dell'inculata.
Poi dopo alcuni secondi, improvvisamente finì. Fece girare il ragazzo e quel cazzo duro e venoso glielo rimise in bocca e gliela scopò fino a sborrargli dentro copiosamente grugnendo di piacere.
A Giorgio, invece, vennero potenti conati di vomito.
Quindi dopo essersi un attimo rilassato, il monsignore, rivolgendosi al ragazzo tramortito dal dolore all'ano, rimasto rannicchiato a terra non riuscendo a trattenere il vomito, con sarcasmo disse: “Sei stato bravo. Ti voglio rivedere di nuovo!”.
Poi canticchiando soddisfatto una canzone da chiesa, si rivestì e raggiunse gli altri ospiti nel salone. Giorgio come si riprese, si rivestì pure lui, ripulì il suo vomito, e raggiunse Mary nelle cucine.
La serata volgeva al termine. Era ormai notte inoltrata e gli ospiti mano a mano andavano via. Giorgio assieme alla colf stava ultimando le pulizie in cucina, quando li raggiunse l'ufficiale della Gestapo, Stefania, che congedò la filippina e rimase sola col ragazzo, vistosamente preoccupato perchè consapevole di cosa lo stava aspettando.
“Sei stato bravo, lo sai? Il monsignore è rimasto molto soddisfatto e vorrebbe rivederti presto, stavolta da lui” disse la donna sedendosi e mettendo i piedi incrociati sul tavolo.
“Si, grazie...padrona...ho fatto del mio meglio affinché lei fosse contenta ed ottenesse quello che voleva...” rispose intimorito Giorgio
“Certo, certo...ho ottenuto quello che volevo. Domani andrò nella sua segreteria per firmare, grazie al tuo culo ed alla tua bocca, dei documenti molto importanti con la quale chiuderò a mio favore un affare molto lucroso che seguivo da tempo e per questo, in segno di ringraziamento, gli ho promesso che potrà averti ancora...solo che c'è un problema” disse con tono infastidito Stefania, togliendosi lentamente i guanti, poi posando il cappello ed il frustino sul tavolo e sciogliendo le trecce in modo che i capelli le caddero fluenti sulle spalle
“Che problema...padrona?” chiese più intimorito Giorgio
“Che adesso sono gelosa! Gelosa del mio schiavo! Gelosa che il mio schiavo, il mio schiavo!...lo abbia soddisfatto così bene che quel porco lo voglia nei suoi appartamento per abusarne ancora...e che magari si dimentichi che la sua padrona...la sua padrona!...è l'unica che lo possiede e l'unica che ne può abusare!” rispose stizzita la donna, impugnando di nuovo il frustino
“Oh no padrona, non lo farò mai! Lei sola è la mia padrona, unica e insostituibile...” disse il ragazzo come preso dal panico
“E allora dimostramelo adesso! Occupandoti delle mie scarpe e dei miei piedi subito!” ordinò con fermezza la donna sfiorandosi le décolleté con il frustino per tutta la loro superficie.
Quindi il ragazzo veloce si inginocchiò davanti le scarpe ai piedi incrociati della sua padrona e ne iniziò a leccare le punte, per poi passare alla monta, nei laterali, per poi succhiarne i lunghi tacchi. Lo fece per più passate in entrambe che per la saliva la vernice nera scintillava ancor di più. Così quando si ritenne soddisfatta, Stefania, con sguardo fra l'arrogate e lo sdegnato, se le sfilò con un gesto deciso, lasciandole cadere a terra. Afferrò Giorgio per i capelli e ne schiaffò il volto tre le piante incrociate dei suoi piedi scalzi in calze a rete.
“Adorali e leccali, schiavo!!” gli ordinò con un ghigno satanico, assestandogli un paio di frustate ai fianchi.
Il ragazzo impaurito iniziò ad odorarne l'afrore misto di sudore e cuoio, mentre le sue guance venivano strapazzate da quelle piante implacabili. Poi, al solito, Stefania feroce, un piede per volta, gli penetrò la bocca con le dita fino alla monta quasi a farlo soffocare. Dopo aver fatto un bel po' di volte entra ed esci, fino a stordirlo, se li fece leccare millimetro per millimetro per parecchi minuti.
Poi, improvvisamente li scese dal tavolo, si alzò, ordinò al ragazzo di rimanere in ginocchio. Da un cassetto prese un collare borchiato e glielo mise al collo. Gli attaccò un guinzaglio e facendolo camminare a quattro zampe come un cane se lo portò in una stanza occultata da una finta libreria, che la donna aprì con un piccolo telecomando.
Dentro c'era un vero e proprio dungeon bdsm completissimo di ogni attrezzo e macchina per supplizi. Quindi la padrona fece spogliare completamente nudo il suo schiavo e lo legò polsi e caviglie ad una croce a X. Una volta immobilizzato, si mise a giocare col cazzo divertendosi, un po' con la mano a segarlo e un po' con la bocca a spompinarlo, a portarlo quasi a sborrare, per poi fermarsi proprio sul più bello e poi pungerglielo con uno spillo, mentre il povero ragazzo supplicava: “Pietà padrona, pietà...”.
Ma più la supplicava e più Stefania si eccitava. Cosicché, stancatasi del gioco col cazzo, lo frustò dappertutto e, fra una risata e l'altra, gli intimava: “Zitto schiavo! Zitto!!”
Al chè prese delle pinzette e gliele applicò ai capezzoli per farlo soffrire ancora.
Mentre il suo schiavo ancora implorava dolorante pietà, prese una sedia e gli si sedette davanti ammirando con aria soddisfatta e sprezzante i supplizi che gli stava imponendo. Poi dopo un po', sollevò le gambe e gli poggiò sullo sterno i piedi accavallati in modo che le dita e parte delle piante toccassero il mento e la bocca.
“Succhia e lecca, schiavo di merda!” comandò la padrona premendo i piedi sulla bocca del povero schiavo che obbedì immediatamente, mentre veniva sferzato alle natiche col frustino.
Passati parecchi minuti di questo supplizio, Stefania decise di sfilarsi gli autoreggenti a rete per tornare a tormentare a piedi nudi le guance e la bocca di Giorgio. E mentre il ragazzo soffriva sotto i suoi piedi, preso un vibratore, eccitatissima iniziò a masturbarsi la figa.
Raggiunto l'orgasmo, ansimando e urlando, e strapazzato con i piedi ben bene la faccia del suo schiavo oramai sfinito, si alzò. Gli tolse con lentezza le dolorosissime pinzette dai capezzoli. Posizionò un vaso da notte sotto le gambe aperte del ragazzo, in modo che potesse pisciare senza sporcare a terra, con due dita gli alzò il mento per guardarlo in faccia, gli sputò in faccia e poi sprezzante gli disse: “Sono stanca adesso, voglio andare a dormire...ci vediamo domani mattina...sempre se mi va e quando mi va! Fai sogni d'oro, schiavo!” e andò via lasciandolo tutta la notte legato in quel modo.
Fine 2^ parte – sottomesso1966@gmail.com
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