Bestiale 4. 1° parte
di
samas2
genere
tradimenti
Dissolte la paura e la vergogna, resta solo un’infernale fornace di lascivia fra le mie cosce.
Le sue mani, brutalmente, sopra di me, dentro di me. Sono molto eccitata, bagnata fradicia proprio lì.
Ho ricordi confusi su come fosse iniziata quell’avventura.
Sposati da qualche anno, Tullio ed io, eravamo alla ricerca di qualcosa di trasgressivo, che non fosse troppo in contrasto con la nostra mentalità tradizionale e addirittura un po’ codina.
Scoprimmo così le chat porno; dapprima costituite solo di contatti mail , ma via via approdammo a situazioni più spinte con nell’utilizzo di web cam.
Mi fingevo donna insoddisfatta sessualmente del mio matrimonio e desiderosa di nuove emozioni che mi elevassero dalla noia quotidiana. In fondo, era la verità.
Quel gioco, pur condiviso con mio marito, mi aveva coinvolto sempre di più. Trovavo, in contrasto con la mia abituale timidezza, emozionante l’utilizzo del live streaming, dove consentivo al mio anonimo interlocutore di chiedermi ciò che lui desiderava, di essere la sua obbediente allieva, provavo compiacimento nell’immaginare la sua eccitazione per il mio corpo e per la mia sottomissione. Divenni abilissima nello spogliarmi voluttuosamente, espormi libidinosamente, masturbarmi, e sapiente nell’uso della voce, con mugolii e grida che sottolineavano il mio godimento.
Il gioco eccitava, è vero, anche mio marito e faceva da preludio a focosi amplessi in un letto popolato anche da altri immaginari attori, ma dopo un certo tempo a lui
la situazione venne a noia e, inaspettatamente, sentenziò:
- Da domani la faremo finita. Penso che ci siamo spinti troppo avanti e non vorrei che la situazione ci stesse sfuggendo di mano.
Per quanto mi riguardava, la situazione era già sfuggita al mio controllo.
Continuai a giocare a insaputa di mio marito fino all’idea di un incontro reale, di far esperienza di una trasgressione fisica, carnale.
L'anonimo interlocutore divenne un volto, un nome: Umberto, che continuò ad essere il regista del nostro rapporto, decidendo lui, sempre e comunque, diventando una presenza sempre più pervasiva della mia esistenza e dei miei pensieri.
Il contatto divenne progressivamente più stringente: ci scambiammo foto, numeri di telefono. Flirtavamo, ma non sapevo ancora quando lui avrebbe deciso il nostro incontro. Non vedevo l’ora, anche se una certa inquietudine mi turbava.
Un piovoso e uggioso venerdì pomeriggio, ecco il telefono che trilla, mentre mi accingo a uscire dal lavoro.
- Rossana vieni da me, voglio scoparti adesso, ho deciso. Le mie parole ti fanno ribollire, non dir di no.
- Ma, non so, così all’improvviso, mi trovi impreparata. Avrei necessità di passare da casa per sistemarmi.
Molto deciso, con tono concitato:
- Vieni subito, non farmelo ripetere. Lo voglio, come del resto, lo vuoi tu. Sei o no la mia puttana?
L’emozione per qualcosa di voluto, ma al tempo stesso temuto, mi prende violentemente, le gambe tremano. Esco dal luogo di lavoro in uno stato d’animo dominato dalla voglia dell’incontro ma offuscata da paura e vergogne. Le persone che incrocio sembrano guardarmi con la sottile malizia di chi conosce il tuo segreto. I sorrisi dipinti sui volti mi appaiono beffardi, perché sembrano indovinare il tradimento che mi accingo a compiere. Persino le ombre degli alberi del parco, che attraverso per raggiungere Umberto, mi scrutano occhiute. Finalmente giungo a destinazione.
Suono il campanello.
- Ultimo piano. Salgo.
La porta è semiaperta, una morbida luce diffusa, filtra. Entro con il cuore in tumulto.
Umberto mi aspetta: il suo volto mi appare tenebroso e bellissimo. Mi aiuta a liberarmi del mio Burberry e, più che baciarmi, sembra divorare la mia bocca, il mio collo. Forse sono Cappuccetto Rosso nella tana del lupo cattivo? Mi solleva di peso portandomi in camera da letto. Mi toglie gli stivaletti, i jeans, freneticamente.
Osservo inerte, passiva, ma dentro di me sto bollendo lussuriosa.
Apprestandosi a sfilarmi il collant scuro, il suo volto si avvicina ai miei piedi, e noto, sorridendo con imbarazzato compiacimento, le sue narici dilatarsi per catturare l’aroma così caratteristico del nylon delle calze. La sua febbrile avidità, rallenta, fa una sosta, per gustare con calma questo morbido, erotico, piacere olfattivo. Poi la sua lingua sulla pianta, sul dorso, fra le mie dita. Dalla mia bocca fuoriesce un risolino eccitato.
Riprende a denudarmi frenetico, rabbioso. Stesa sul letto, sono abbandonata al suo volere, il mio volto avvampa, infuocato, però, mai quanto il mio sesso. Le mie belle tette si alzano e abbassano al ritmo di un respiro divenuto affannoso. Il bel viso di Umberto appare adombrato da una sorta di noia, di disgusto in contrasto con il fuoco bramoso dei suoi occhi neri.
Provo un po’ di paura per la situazione in cui mi trovo: andrà tutto bene? Poi mi lascio andare; fremo, quando allargandomi le gambe, il suo palmo si appoggia fra le mie cosce, sulla figa liscia, depilata, zuppa per il piacere che sta provando e ancora di più per quello che l’aspetta.
Ora il suo naso, le sue labbra e la lingua toccano, gustano, annusano il mio sesso e il liquido del mio piacere. Il clitoride titillato mi fa impazzire. Provo un godimento grandissimo, nonostante siamo appena all’inizio.
E’ sopra di me con il suo corpo muscoloso, levigato, e quando mi penetra violento col suo cazzo, duro, imponente, allargandomi, squartandomi, mi sento perdutamente beata e urlo, disinibita, il mio godimento ripetutamente, squassata da un amplesso così appagante, che mai avevo provato prima. Inebriata, percepisco il suo seme invadermi e colare all’esterno. Il lupo cattivo con il suo grosso pene continua ad affascinarmi, dominarmi: gli appartengo, perché così ho deciso: non mi sono mai sentita così.
Però non mi basta, non gli basta. Mi getto sul suo uccello che aveva perso consistenza, lo lecco, succhio, gustandomi il sapore delle secrezioni di entrambi, che lo bagnano. Il suo pene è rianimato, di nuovo eretto, duro: possiamo continuare a giocare. Potrà fare di me ciò che più desidera. Il lupo può anche mangiarmi.
Udiamo il cigolio della porta d’ingresso che si apre e il rumore sordo successivo alla sua chiusura.
C’è qualcuno.
Le sue mani, brutalmente, sopra di me, dentro di me. Sono molto eccitata, bagnata fradicia proprio lì.
Ho ricordi confusi su come fosse iniziata quell’avventura.
Sposati da qualche anno, Tullio ed io, eravamo alla ricerca di qualcosa di trasgressivo, che non fosse troppo in contrasto con la nostra mentalità tradizionale e addirittura un po’ codina.
Scoprimmo così le chat porno; dapprima costituite solo di contatti mail , ma via via approdammo a situazioni più spinte con nell’utilizzo di web cam.
Mi fingevo donna insoddisfatta sessualmente del mio matrimonio e desiderosa di nuove emozioni che mi elevassero dalla noia quotidiana. In fondo, era la verità.
Quel gioco, pur condiviso con mio marito, mi aveva coinvolto sempre di più. Trovavo, in contrasto con la mia abituale timidezza, emozionante l’utilizzo del live streaming, dove consentivo al mio anonimo interlocutore di chiedermi ciò che lui desiderava, di essere la sua obbediente allieva, provavo compiacimento nell’immaginare la sua eccitazione per il mio corpo e per la mia sottomissione. Divenni abilissima nello spogliarmi voluttuosamente, espormi libidinosamente, masturbarmi, e sapiente nell’uso della voce, con mugolii e grida che sottolineavano il mio godimento.
Il gioco eccitava, è vero, anche mio marito e faceva da preludio a focosi amplessi in un letto popolato anche da altri immaginari attori, ma dopo un certo tempo a lui
la situazione venne a noia e, inaspettatamente, sentenziò:
- Da domani la faremo finita. Penso che ci siamo spinti troppo avanti e non vorrei che la situazione ci stesse sfuggendo di mano.
Per quanto mi riguardava, la situazione era già sfuggita al mio controllo.
Continuai a giocare a insaputa di mio marito fino all’idea di un incontro reale, di far esperienza di una trasgressione fisica, carnale.
L'anonimo interlocutore divenne un volto, un nome: Umberto, che continuò ad essere il regista del nostro rapporto, decidendo lui, sempre e comunque, diventando una presenza sempre più pervasiva della mia esistenza e dei miei pensieri.
Il contatto divenne progressivamente più stringente: ci scambiammo foto, numeri di telefono. Flirtavamo, ma non sapevo ancora quando lui avrebbe deciso il nostro incontro. Non vedevo l’ora, anche se una certa inquietudine mi turbava.
Un piovoso e uggioso venerdì pomeriggio, ecco il telefono che trilla, mentre mi accingo a uscire dal lavoro.
- Rossana vieni da me, voglio scoparti adesso, ho deciso. Le mie parole ti fanno ribollire, non dir di no.
- Ma, non so, così all’improvviso, mi trovi impreparata. Avrei necessità di passare da casa per sistemarmi.
Molto deciso, con tono concitato:
- Vieni subito, non farmelo ripetere. Lo voglio, come del resto, lo vuoi tu. Sei o no la mia puttana?
L’emozione per qualcosa di voluto, ma al tempo stesso temuto, mi prende violentemente, le gambe tremano. Esco dal luogo di lavoro in uno stato d’animo dominato dalla voglia dell’incontro ma offuscata da paura e vergogne. Le persone che incrocio sembrano guardarmi con la sottile malizia di chi conosce il tuo segreto. I sorrisi dipinti sui volti mi appaiono beffardi, perché sembrano indovinare il tradimento che mi accingo a compiere. Persino le ombre degli alberi del parco, che attraverso per raggiungere Umberto, mi scrutano occhiute. Finalmente giungo a destinazione.
Suono il campanello.
- Ultimo piano. Salgo.
La porta è semiaperta, una morbida luce diffusa, filtra. Entro con il cuore in tumulto.
Umberto mi aspetta: il suo volto mi appare tenebroso e bellissimo. Mi aiuta a liberarmi del mio Burberry e, più che baciarmi, sembra divorare la mia bocca, il mio collo. Forse sono Cappuccetto Rosso nella tana del lupo cattivo? Mi solleva di peso portandomi in camera da letto. Mi toglie gli stivaletti, i jeans, freneticamente.
Osservo inerte, passiva, ma dentro di me sto bollendo lussuriosa.
Apprestandosi a sfilarmi il collant scuro, il suo volto si avvicina ai miei piedi, e noto, sorridendo con imbarazzato compiacimento, le sue narici dilatarsi per catturare l’aroma così caratteristico del nylon delle calze. La sua febbrile avidità, rallenta, fa una sosta, per gustare con calma questo morbido, erotico, piacere olfattivo. Poi la sua lingua sulla pianta, sul dorso, fra le mie dita. Dalla mia bocca fuoriesce un risolino eccitato.
Riprende a denudarmi frenetico, rabbioso. Stesa sul letto, sono abbandonata al suo volere, il mio volto avvampa, infuocato, però, mai quanto il mio sesso. Le mie belle tette si alzano e abbassano al ritmo di un respiro divenuto affannoso. Il bel viso di Umberto appare adombrato da una sorta di noia, di disgusto in contrasto con il fuoco bramoso dei suoi occhi neri.
Provo un po’ di paura per la situazione in cui mi trovo: andrà tutto bene? Poi mi lascio andare; fremo, quando allargandomi le gambe, il suo palmo si appoggia fra le mie cosce, sulla figa liscia, depilata, zuppa per il piacere che sta provando e ancora di più per quello che l’aspetta.
Ora il suo naso, le sue labbra e la lingua toccano, gustano, annusano il mio sesso e il liquido del mio piacere. Il clitoride titillato mi fa impazzire. Provo un godimento grandissimo, nonostante siamo appena all’inizio.
E’ sopra di me con il suo corpo muscoloso, levigato, e quando mi penetra violento col suo cazzo, duro, imponente, allargandomi, squartandomi, mi sento perdutamente beata e urlo, disinibita, il mio godimento ripetutamente, squassata da un amplesso così appagante, che mai avevo provato prima. Inebriata, percepisco il suo seme invadermi e colare all’esterno. Il lupo cattivo con il suo grosso pene continua ad affascinarmi, dominarmi: gli appartengo, perché così ho deciso: non mi sono mai sentita così.
Però non mi basta, non gli basta. Mi getto sul suo uccello che aveva perso consistenza, lo lecco, succhio, gustandomi il sapore delle secrezioni di entrambi, che lo bagnano. Il suo pene è rianimato, di nuovo eretto, duro: possiamo continuare a giocare. Potrà fare di me ciò che più desidera. Il lupo può anche mangiarmi.
Udiamo il cigolio della porta d’ingresso che si apre e il rumore sordo successivo alla sua chiusura.
C’è qualcuno.
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