La storia di Anna (CAP VII)

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LA STORIA DI ANNA ( CAP VII)

Passarono diversi giorni, ero preoccupato di aver rovinato tutto e di aver perso Anna a cui tenevo moltissimo e quindi presi il telefono e la chiamai, scusandomi per il mio silenzio ed allo stesso tempo mostrandomi comprensivo con quanto aveva dovuto subire. La risposta mi sorprese: “ Subire non è il termine corretto, non ho subito, ma partecipato volontariamente, e se un poco mi conosci dovresti sapere che difficilmente subisco qualcosa che non voglia io stessa subire. Ma il racconto non è ancora finito e se vuoi sapere il seguito ci vediamo questa pomeriggio alle cinque al solito bar. Vedi di non mancare perchè ci saranno sorprese che forse ti sconvolgeranno”. A quelle parole il mio pene cominciò ad indurirsi sotto l'accappatoio e tornai in bagno a farmi un'altra doccia fredda. Nel pomeriggio ci sedemmo al nostro solito tavolo e subito Anna cominciò a raccontare:” Comincio subito perchè oggi ho poco tempo: dopo l'esperienza con l'allieva di Giovi che in fine non mi era dispiaciuta affatto, come ti avevo già detto la mia stima verso mio marito cominciava a scemare e avevo solo un pensiero: benchè mi fossi divertita pensavo solo al modo di vendicarmi di Giovi ed una sera gli chiesi che cosa ne pensasse di un mio rapporto completo con il padre, naturalmente alla sua presenza. La sua risposta venne dai fatti: mi spinse in ginocchio e mi scopò la bocca venendo quasi subito, tanto l'idea lo aveva “attizzato”. Per un paio di giorni non se ne parlò fino a che una sera, prima di cena, mi disse di prepararmi perché l'incontro era previsto per il dopocena. Mi bagnai immediatamente ed a cena sbocconcellai appena il cibo, mentre padre e figlio parlavano del più e del meno come se niente fosse. Chiesi il permesso di alzarmi (le formalità prima di tutto) e mi ritirai nella nostra camera e dopo una doccia mi sdraiai languidamente sul letto lasciando semiaperta la vestaglia lasciando scoperta una coscia sino allo slip e un pezzo abbondante di seno. Dovetti aspettare quasi un'ora prima che, annunciati da un leggero bussare, si presentassero padre e figlio. Notai che il padre si era cambiato ed indossava una giacca da camera su pantaloni larghi bianchi. Giovi prese posto sulla solita seggiola mentre Enrico, il padre, si avvicinò al letto e cominciò a carezzarmi la gamba scoperta, e, saltando la figa, passò direttamente al seno che scoprì interamente e prese a tintillarmi i capezzoli con la lingua. C'era in lui una sorta di rispetto, di gentilezza, forse innata nella persona, che non conoscevo nel figlio. Presi l'iniziativa e cercai con la mano la sua virilità che mi sorprese per il suo turgore e per le proporzioni rispetto all'esperienza di giorni prima (vedi cap. VI n.d.a.), forse era effetto del viagra che ritenni avesse preso. Gli abbassai i pantaloni e comincia a spompinarlo leccando alternativamente il cazzo e le palle. Poi fui presa da una voglia: scesi più giù e la mia lingua trovò il suo ano, tutto pulitissimo e profumato per la verità, e nel tentativo di penetrarlo sentii che il vecchietto era venuto e il suo sperma colò fino alla mia bocca. Seguitai a leccarlo nel tentativo inutile di rianimargli il pene. Enrico si scusò con un sorriso che mi fece tenerezza ed io, un poco delusa per quel mezzo fallimento, feci l'atto di rimettermi la vestaglia, ma Giovi, che intanto stava aiutando il padre a ricomporsi mi fermò: “Aspetta, puttana, che te ancora non hai finito!” A quelle parole rimasi interdetta e dopo un rapido saluto ad Enrico, comincia a fantasticare su quello che mi aspettava. Ma la realtà, come al solito, superò la fantasia. Di lì a poco rientrò Giovi seguito da Massimo, il giardiniere. Era una persona sgradevole, sulla cinquantina, peloso, sempre sudato perchè abbondantemente sovrappeso, e con un ridicolo riporto che cercava di nascondere una calvizie oramai senza speranza. “Ecco l'oggetto dei tuoi desideri” disse Giovi indicandomi, “Non credere che non ti abbia visto quando ti seghi guardandola prendere il sole a bordo piscina. Puoi farle quello che vuoi.” Ecco che quella che doveva essere la mia vendetta mi si ritorceva contro, ma si sa, non tutti i mali vengono per nuocere. Mi sistemai sul letto mentre Massimo cominciò a sbottonarsi la salopette e tirò fuori un arnese già in tiro che in verità mi sembrò alquanto sporco con residui bianchi che forse erano i resti delle sue seghe. Si avvicinò al mio viso e fui assalita da un odore non proprio afrodisiaco ma comunque dischiusi le labbra e lo accolsi in bocca e cominciai a succhiarlo, mentre lui con la sua mano pelosa esplorava la mia figa ed all'improvviso fui trafitta da un palo ( era solo il suo medio, ma era grosso come un palo) che mi fece inarcare e sentire una scossa che mi squassò tutte le viscere. Invitai Giovi ad avvicinarsi, che non si fece pregare, e lasciata quell'immondizia che avevo in bocca lo baciai profondamente perchè anche lui potesse gustare quel sapore che mi aveva lasciato il giardiniere. Quello che mi sorprese fu che Giovi non si ritrasse, anzi partecipò attivamente come se ripulisse una coppetta di gelato. Dentro di me pensai che cosa mi avrebbe riservato ancora quella serata.
Ma ora si è fatto tardi e devo rientrare, mi disse facendo una smorfietta come se avessi capito non so che cosa, ma non ti voglio far stare sulle spine ed allora ci vediamo domani mattina sempre qui con il seguito”.
scritto il
2018-09-26
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