Le lacrime delle donne 3/8

di
genere
sentimentali

- Penso cose orribili, dico cose orribili, faccio cose orribili. Sono qui perché mi trovo orribile come persona. Non so fino a quando riuscirò a mantenere il controllo di me stessa.

- Non è mica la prima. Adesso, prima di spiegarmi perché si trova orribile, mi dica qual è secondo lei il motivo principale per cui è qui.

Il dottor Fagiani di gente come Annalisa ne ha vista. Gli agenti del Caos non sono tanti, ma quasi tutti, soprattutto se operativi, sono prima o poi venuti a bussare alla porta del suo studio. L’assoluta mancanza di scrupoli con la quale l'agenzia regola le sue azioni di contrasto al terrorismo destabilizza le persone. Torturare ed uccidere anche dei perfetti bastardi non è semplice per nessuno. Ne avrebbe da raccontare, il dottor Fagiani, ma non le racconta a nessuno. E il motivo in fondo è facile da capire.

- Lei, dottore, è vincolato al segreto professionale, vero?

- Eh... non solo a quello. Se andassi in giro a dire quello che so, credo che non vivrei cinque minuti di più. Si fidi signorina. Mi dica, parli, faccia uscire fuori tutto quello che si sente.

- Due mesi e mezzo fa ho perso la mia compagna...

- Mi dispiace molto, come è successo?

- Si ricorda il caso di quella ragazza uccisa misteriosamente per strada senza motivo?

- Oddio, sì, mi dispiace, mi dispiace davvero tanto. Fu una specie di esecuzione se non sbaglio...

- Il motivo ero io. Poi avrebbero fatto la stessa cosa con me ma prima, eliminando lei, volevano mettermi in ginocchio, farmi morire dentro. E devo dire che ci sono riusciti.

- Lei come fa a sapere che il loro obiettivo era quello?

Annalisa racconta dell'indagine su Penelope Rambaudi, di come abbiano ucciso Valentina e di come lei abbia poi liquidato la cellula terroristica. Di come abbia fatto sbranare dai lupi l'esecutore materiale dell'omicidio della sua ragazza e di come abbia torturato lungamente e a morte Penelope. Di come ancora oggi per aiutarsi a prendere sonno ascolti con soddisfazione le urla strazianti della donna ustionata goccia dopo goccia dal più potente acido esistente sulla faccia della Terra. Racconta di come abbia passato due mesi in un albergo sulle Dolomiti, seduta quasi tutto il tempo infagottata su un balcone a guardare quelle montagne che Valentina amava così tanto e che, le aveva strappato la promessa, presto le avrebbero viste sciare insieme.

Nell’albergo era diventato quasi un caso, quello della ragazza della 424. Non usciva quasi mai, non parlava con nessuno, la sera mangiava pochissimo. E il caso era poi esploso quando uno sciatore tedesco già ubriaco, dopo cena, l'aveva afferrata per un braccio per convincerla a bere una grappa nella stube con lui e i suoi amici. Non gli era andata benissimo: Annalisa lo aveva colpito con una ginocchiata in mezzo alle gambe e gli aveva spaccato naso e sopracciglio con una testata. La titolare dell'hotel aveva avuto il suo daffare per mettere le cose a tacere con i carabinieri e Annalisa aveva dichiarato di essere stata vittima di una molestia e di una aggressione. La sua versione era stata confermata da tutti i presenti: "La mia è stata una reazione istintiva, non volevo nemmeno colpirlo così". Un maestro di sci, che nei mesi senza neve insegnava difesa personale, confidò al sommelier dell'albergo di non avere mai visto una manovra meno istintiva e più violenta di quella. Ma questo incidente era rimasto l'unico episodio a turbare il ritiro di Annalisa. Già mettendosi a dormire quella notte lo aveva dimenticato. Anzi, già mentre saliva in camera aveva ripreso la sua occupazione praticamente esclusiva di quei giorni: il suo dialogo continuo con Valentina. "Buongiorno amore", "come mi sta sto maglione?", "oggi fa un freddo boia, eh?", "facciamo una passeggiatina finché c'è il sole?", "sti paccheri sono una delizia, vero?", “Buonanotte amore, sogni d’oro”.

Valentina era sempre con lei, al suo fianco, anche le attività più quotidiane come lavarsi i denti o allacciarsi gli scarponcini erano fatte come se lei fosse lì vicino. Non entrava più in nessun luogo chiuso a comprare le sigarette: Valentina era stata uccisa su un marciapiede proprio mentre lei era in fila dentro una tabaccheria, ora cercava solo i distributori automatici. La cosa che mancava di più ad Annalisa era poterle tenere la mano. Era un delirio continuo, un paradiso, una tortura. Quando per brevi momenti ritornava in sé il risveglio era sempre doloroso: "Perché non posso toccarti?", e scoppiava a piangere.

Si masturbava molto raramente e solo per scaricarsi, e comunque mai al buio. Nell’oscurità o con gli occhi chiusi le succedeva sempre di rivedere Valentina distesa sul marciapiede con il buco in fronte e lo sguardo sbarrato. Se teneva gli occhi aperti invece la vedeva sopra di sé. Sorridere, godere violentemente come lei. E anche in questi momenti, una volta finito, scoppiava a piangere.

Il dottor Fagiani chiede di più, torna indietro nella vita di Annalisa, la vuole conoscere, vuole conoscere i suoi successi e i suoi fallimenti, le motivazioni che l'hanno spinta a fare delle scelte piuttosto che altre. Vuole farsi un'idea del grado di consapevolezza di certe scelte. Del perché Annalisa abbia deciso di diventare un'agente del Caos, ma anche di ciò che c’è stato prima. Del perché di un matrimonio di cui lei, adesso, dice di non essere mai stata molto convinta. Persino della sua attrazione, divenuta in un certo periodo ossessiva, per il sesso occasionale.

Annalisa non ha nessuna reticenza, parla di tutto. Della sua tendenza a mantenere relazioni stabili solo con pochissime persone, dei suoi altalenanti disturbi del sonno. “Sono stata una studentessa brillante, vengo considerata una problem solver di alto livello, eppure in certi momenti mi sento una perfetta cretina. In altri momenti tendo a ipervalutare me stessa”. Pensieri strani, ossessioni, compulsività sessuale. Bisogno, lo definisce proprio così, di vivere talvolta esperienze masochistiche, di provare piacere a farsi maltrattare e umiliare da gente mai vista prima e mai frequentata in seguito.

La sola domanda cui si ribella è quando il dottore le chiede di parlare della sua famiglia.

- No guardi dottore, non ho tempo né voglia di entrare in analisi e metterci cinque, dieci anni... amo mia madre e adoro mio padre ma non me lo sono mai voluto scopare, le assicuro. E nemmeno la mia sorella maggiore, anche se è una bella figa.

- Ahahahah no, no signorina, non sono uno psicanalista. E a rigore nemmeno uno psicoterapeuta. In realtà io sono uno psichiatra, ma ormai servono competenze allargate. Soprattutto, mi scusi, con pazienti come lei.

- Lei cosa mi consiglierebbe? – domanda Annalisa.

- Io non do consigli, signorina, io prescrivo cure. E lei secondo me ne ha urgente bisogno, soprattutto perché non si è mai curata.

- Quanto dura la terapia? – domanda Annalisa.

- Boh? E’ possibile che duri anche tutta la vita, bisogna vedere. E bisogna fare anche altri accertamenti clinici, naturalmente. Mi dispiace molto per la sua fidanzata, mi creda, ma la sua morte non c’entra nulla con il suo stato. Lei era così già da prima: ha una sindrome principale, forse non molto grave, e diverse sindromi collaterali. Perdoni la battuta, ma dal punto di vista psichiatrico non le ha proprio tutte ma quasi… Le dirò che questa sua mania di confabulare continuamente con la sua ragazza scomparsa un po’ mi preoccupa, vediamo come evolve, eh?

- Dottore, io ho soprattutto paura di perdere lucidità e controllo in certe situazioni.

- Le prescriverò dei farmaci e poi faremo dei check. Li prenda, li deve prendere, altrimenti questo accadrà fatalmente.

- Ma io non posso andare sotto psicofarmaci, non posso proprio permettermelo…

- Non ha capito… se vuole restare in equilibrio lei deve prenderli. Non abbia timore, non la faccio andare in giro come uno zombie. A proposito, lei fa uso di sostanze stupefacenti?

- Sì, talvolta.

- Pesanti?

- Anche.

- La pianti. E non è un consiglio moralistico. Rischia episodi psicotici, allucinazioni, attacchi di panico.

- Senta dottore, è sicuro che la morte della mia ragazza non c’entri niente?

- Può essere stato un fattore scatenante di qualche episodio, ma in realtà lei manifesta dei disordini tipici, la sua situazione può degenerare molto rapidamente, a meno che non sia già degenerata.

- Le confesso che ho molta paura di andare fuori giri – dice Annalisa.

- Signorina, è quello che succederà se non si cura. Adesso mi dica una cosa: ha notato ultimamente qualcosa nei suoi comportamenti che non aveva mai notato in precedenza?

- Beh, non so, da quando è morta la mia fidanzata ho perso molti interessi. Gliel’ho detto, è come se fossi morta dentro, non trovo più piacere in nulla, lavoro per non impazzire, per arrivare la sera a casa talmente stanca da crollare…

- Questo è abbastanza normale, visto il lutto che ha avuto… intendevo altro. Il suo modo di relazionarsi agli altri, per esempio. Amici, parenti…

- Non saprei, ieri sera ho avuto un rapporto sessuale…

- Ah…

- L’ho fatto per fare un tentativo, per vedere se sono in grado di provare qualcosa. Cercavo una conferma o una smentita.

- Si tratta di una persona che le è vicina?

- No, era un perfetto sconosciuto. Mi sono fatta rimorchiare in un pub da un perfetto sconosciuto, con tanto di tutore alla spalla e braccio al collo. E ho dormito con lui.

Annalisa non entra nei dettagli, ma davanti ai suoi occhi scorrono le immagini della sera precedente, a cominciare dalla risposta divertita a quell’uomo che le chiedeva cosa si fosse fatta al braccio: “La prossima domanda sarà cerchi compagnia, baby?". "Scusa, di solito non rompo le scatole ma sono stato attirato dall’armatura… comunque scusa di nuovo", "Ma no, non ti preoccupare, la verità è che sì, cerco compagnia...". E così si erano ritrovati a casa di lui, sul letto di lui, entrambi senza vestiti addosso. Lei con il braccio sinistro al collo e il fianco destro pieno di lividi e graffi. Lui che non sapeva bene dove mettere le mani e che si limitava a dire "mammamia quanto sei fregna", oppure un divertito "è la prima volta che scopo con una ragazza con la spalla rotta". Un uomo gentile, un padre separato, un quarantenne che quando lei gli aveva detto che aveva paura di puzzare come una capra perché “sono tre giorni che mi lavo a pezzi” l'aveva anche aiutata a togliersi il tutore e l'aveva messa sotto la doccia passandole addosso una morbida spugna. "E' così che lavo mia figlia quando viene qui". Persino lo shampoo, persino il balsamo e il phon. "Sei mai stata asciugata da un uomo nudo?", "Onestamente no, se mi aiuti a rivestirmi, beh, io andrei...". Invece non se ne era andata, era rimasta per soddisfare le richieste e il desiderio dell'uomo. "Ti dispiace se mi metto così?". "Non ti fa male?". "Credo di no, e poi mi piace essere presa da dietro...". In quella posizione curiosa, con un braccio al collo e un gomito puntato sul materasso, si era lasciata scopare. Gli aveva anche detto "scatenati, fottimi forte" e “oddio che bel cazzo, quanto mi fai godere”. Gli aveva chiesto un dito nel culo, gliel’aveva anche offerto ma l’uomo aveva rifiutato. Aveva finto due orgasmi non sentendo assolutamente niente ma pensando “sono una persona orribile, sono una persona orribile”. Aveva continuato a pensare di essere una persona orribile anche dopo che Alex, questo il nome dell’uomo, si era sfogato dentro di lei e si era lasciato andare sulle lenzuola. Prima di prenderglielo in bocca per ripulirlo, gli aveva anche detto come forma di ringraziamento “pochi mi hanno scopata così”, ma non aveva nemmeno lontanamente sentito il piacere – che pure aveva sempre provato – di tenere in bocca quella carne calda bagnata dai sapori mischiati di femmina e di maschio.

- Insomma, pensavo che sarei stata almeno travolta dai sensi di colpa nei confronti della mia fidanzata, della sua memoria – dice Annalisa al dottor Fagiani – ma la verità è che non ho sentito nulla, né mentalmente né fisicamente.

- Nemmeno fisicamente?

- Nemmeno… voglio dire, in un certo senso il mio corpo, tra virgolette, funziona, raggiungo un certo grado di eccitazione, come dire… meccanica? In realtà molto meno del solito, ma comunque un po’ sì. Tuttavia non ho provato nulla, né piacere né dispiacere. E non facevo altro che dirmi che sono una persona orribile.

- Con quell'uomo ne ha parlato?

- No. Che gli dovevo dire? Che l'ho usato come cavia?

- Perché ha detto che cercava una conferma?

- Perché mi è successa la stessa cosa sabato scorso.

- E nemmeno con quello ne ha parlato, immagino...

- Nemmeno, anche perché dopo qualche ora, uh… l'ho ammazzato. Avrà sentito della strage di Massimina...

- Ah...

- Dottore, nel mio lavoro succede. Fare sesso con qualcuno dal quale tirare fuori informazioni, intendo. Sono una bella ragazza, ne sono consapevole, è un’arma come un’altra… Tuttavia le confesso che i rapporti sessuali anche in questi casi sono stati spesso soddisfacenti. Ma sabato scorso, con quel delinquente, non è stato così. E nemmeno ieri sera, con uno che è assolutamente una brava persona.

- Io non… su questo non saprei che dirle, signorina. Dovrebbe parlarne con uno specialista, anche se il fatto che il suo corpo reagisca agli stimoli mi porta a pensare che sia soprattutto un problema di testa. Ma è la prima volta che sento una cosa del genere.

- E poi c’è dell’altro, dimenticavo. Sabato sera ho ucciso quattro persone in quello scontro a fuoco. E l’altro giorno ho liquidato un boss della Mafia con una iniezione letale. E ho capito una cosa.

- E sarebbe? - domanda il dottor Fagiani.

- Che adesso mi eccito quando uccido.

- Dice sul serio?

- Sì, c'è un momento in cui arrivo ad uno stato di eccitazione in tutto e per tutto simile a quella sessuale.

- Prenda le medicine che le prescrivo, signorina – dice il dottor Fagiani fissando Annalisa - le prenda assolutamente. Cominci stasera stessa.


3. CONTINUA

scritto il
2021-12-14
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