Emanuele e la puttana capitolo secondo
di
RunningRiot
genere
etero
- Ehi, buon anno! Spero di non essere stata io a svegliarti, ti faccio il caffè?
Mi osserva dall'ingresso del bagno, mezzo intontito. Ha sempre un'aria trasandata, ma è quel trasandato di chi si è appena alzato dal letto. Se ne sta immobile, con la maglietta e i pantaloncini celesti del pigiama che gli ho dato ieri sera. "Mettiti questo, è il più grande che ho", "com'è che hai un pigiama da uomo? hai detto che a casa non lavori...", "infatti ha ancora l'etichetta attaccata, però non si sa mai".
- Sicuro di essere sveglio? - domando ancora - dai, torna a letto che ti porto il caffè.
Solo a questo punto mi risponde "buon anno" in automatico, senza grande partecipazione. E soprattutto continuando a guardarmi come se fossimo al Bioparco, lui da una parte e io dall'altra del vetro. Mi volto verso lo specchio, mi studio il viso. La crema si è completamente assorbita, dunque non è quello... boh, magari è l'asciugamano messo a mo' di turbante sui capelli che lo incuriosisce. Ok, è rosa confetto, ma a casa di una ragazza ci sta, eh? Cosa si aspettava, un set giallorosso con il marchio della Roma? Per il resto, non penso che non abbia mai visto una donna nuda. Che è quella faccia?
- Ieri sera non ti avevo... cioè, con quelle cose addosso, no? Ma vista così sembri davvero uscita dalla spuma del mare...
- Ehi grazie! - gli sorrido andandogli incontro - Venere di Botticelli me l'hanno già detto, ma mai così.
- Così come?
- Così gratis et amore dei - rispondo.
Gli vado vicino. Due bacetti, uno per guancia, e un altro "buon anno, Emanuele". Finalmente mette giù lo sguardo da pesce lesso e sorride. Mi dà un "buon anno Annalisa" più convinto. Mi dice, forse perché siamo proprio uno di fronte all'altra, "sei alta, stai meglio senza quei ridicoli zatteroni". Rido e gli obietto che quelle che lui chiama "zatteroni" sono delle platform shoes di Miu Miu da settecento euro, "comunque sì, neanche a me piacciono i tacchi tanto alti, ma i clienti se li aspettano". Gli ripeto per la terza volta di tornare a letto e aspettare il caffè, ne ho uno con dei filamenti di cioccolato che è una specialità. Mi chiede se può usare il dentifricio, perché è la seconda cosa che fa la mattina. Apprezzo il fatto che non mi dica qual è la prima e rispondo che in qualche cassetto deve esserci uno spazzolino ancora sigillato. "Sempre perché non si sa mai, dovessi portarti a casa qualche cliente...", sorride. "Uh, no, è che ne compro tre-quattro per volta, comunque un po' di tempo ce l'hai".
Quando torno in camera da letto con il vassoio lo trovo infilato sotto il piumone, seduto contro la testiera. Sa di buono, sapone e dentifricio. Gli porgo un bicchiere d'acqua prima del caffè, butto su una poltrona il telo che mi asciugava i capelli, li scrollo, mi infilo anche io sotto il piumone e gli chiedo di passarmi la mia tazzina.
- Non mi piace fumare a letto, ma un'eccezione ogni tanto è possibile farla, no? Ti dà fastidio? O ne vuoi una anche tu? - domando con il pacchetto di sigarette in mano.
- Hai qualcosa di strano, questa mattina - dice prendendone una e facendosela accendere - cioè, strano rispetto a ieri sera.
E' vero, ha ragione. Mi sento addosso qualcosa di strano da quando sono andata in cucina a preparargli il caffè, ma soprattutto ora che gli ho acceso la sigaretta. Qualcosa che per una come me è paradossale, inattesa, impropria. Qualcosa che potrei definire come una incalzante, inesorabile, formidabile voglia di cazzo. Da non credere. Per un attimo avverto anche la sensazione di lui che mi penetra e mi apre come un avocado. Da non credere proprio.
- A parte il trucco che non ho più - rispondo cercando di dominarmi - non ho niente addosso, ma non è che ieri sera fossi molto più vestita...
- Stai anche meglio senza trucco, però non è quello...
- Ti riferisci al fatto che non parlo più come una coattona? Posso anche fare di meglio, posso usare la parola "prolegomeni", se voglio.
- Prolegomeni? - domanda ridendo.
- Eh, prolegomeni, pro-le-go-me-ni... - rispondo - sai quando devi parlare di una cosa ma prima ne esponi i principi generali? Una specie di introduzione, un abstract...
Straparlo, è chiaro. Straparlo cercando di resistere a me stessa. Ma è una battaglia persa. Devo ammettere che, per un motivo che non saprei spiegare nemmeno sotto tortura, ho voglia di questo tipo qui. Premetto: non so che effetto abbia fatto a lui, ma a me dormire con uno sconosciuto senza fare sesso non fa né caldo né freddo. Ho un paio di clienti fissi che mi pagano anche, per questo. Uno vuole addirittura che faccia finta di essere la sua segretaria, gli piace che receptionist e cameriere che ci portano la colazione in camera la mattina pensino che è uno che si scopa la segretaria strafiga. Lo rassicura, si vede, lo gratifica. Ogni tanto ok, allunga le mani, ma tanto nemmeno gli viene duro. Emanuele invece non ha insistito né allungato le mani, stanotte. E nemmeno ora ha fatto nulla, a parte quel complimento sulla Venere di Botticelli. Sto facendo, inspiegabilmente, tutto io.
- E a proposito di cosa vorresti usare la parola "prolegomeni"? - domanda.
- Boh, non lo so, vedremo... ma tu com'è che hai ancora il pigiama?
- Perché?
- Non vuoi scopare?
- Cosa? Ma lo sai che non ho un euro, te l'ho detto!
- E io ti ho detto che a casa mia non lavoro...
- Sei sicura?
- Te l'avrei chiesto? A me va di scopare, a te no? E' pure il primo dell'anno... no, alt non te ne uscire con quella cosa che "chi scopa a capodanno...", non la sopporto.
Fa per togliersi la maglietta, lo blocco. Gli dico "eh no, scusa, se ti avessi trovato nudo nel letto, ok, ma poiché tu hai visto me, adesso scendi e mi fai la sfilatina". "Uno spogliarello?", domanda. "Qualcosa del genere, come ti viene meglio, vuoi la musica?". "Canto io, preferenze?" "Non particolari, mi accontento di toni e semitoni al posto giusto".
Scende dal letto e improvvisa una specie di balletto. Sedicente sensuale, diciamo così. In realtà è molto goffo, mi sistemo sul materasso con le mani sulle gambe e lo guardo ora sorridendo ora sghignazzando. Sorride anche lui, non gliene frega niente. Canta benissimo, però: parole francesi che non capisco distillate in una melodia dolce, avvolgente, ipnotica. Smetto di ridere e lo ascolto affascinata. Io. Affascinata. Inginocchiata nuda su un materasso. Roba che dovrebbero fare irruzione gli infermieri e portarmi via.
- Cos'è questa canzone? - domando.
- Oh è vecchissima - risponde continuando a dondolarsi come se seguisse ancora il ritmo - parla del mare, "lo guardiamo danzare lungo i golfi chiari con riflessi d'argento, cangianti sotto la pioggia".
- Bella!
- Come te, che sembri uscita dal mare.
Ora, di fronte a questa ridicola smanceria potrei fare due cose: scoppiare a ridere e mandarlo a fare in culo, oppure tirargli qualcosa che ho a portata di mano. Verosimilmente una lampada da comodino o il vassoietto del caffè con tutta la zuccheriera. Ipotesi un po' più radicale: scendere al quarto piano dal vicino bono, quello sempre abbronzato, e farmi prestare il fucile da sub. Invece inopinatamente sorrido, perché sono imbarazzata e non so cosa rispondere.
- E infatti non devi rispondere - dice sorprendendomi, come se avesse letto nei miei pensieri - basta quel sorriso lì.
Ci resto come una scema, ma quando si toglie maglietta e pantaloncini esco dall'imbarazzo e dalla sorpresa. Dal punto di vista dell'estetica dei movimenti, un disastro: voto 2, a essere buona. Dal punto di vista dell'estetica-e-basta: voto wow+. E più lo guardo più il voto sale. Ieri sera non me ne ero proprio resa conto, anche perché non si è mica messo il pigiama davanti a me. Aspettate un attimo però, ok? Lo so che poiché stiamo su questo sito voi pensate che stia parlando del cazzo. No, macché cazzo, non c'entra un cazzo il cazzo, quello semmai vedremo dopo. Sto parlando proprio del pacchetto complessivo. Che va da un più che discreto apparato di pettorali, addominali, spalle e cosce alla distribuzione ideale della sua peluria sul corpo. Ideale per me, è chiaro. A me piace la peluria dell'uomo. Non dico che debba essere un orango, ma il glabro non è il mio tipo. Un po' di peluria sparsa qua e là invece sì, fa maschio. E se non succede qualcosa tra un po' gli basterà guardarmi tra le gambe o sul lenzuolo per rendersi conto di quanto lo trovi maschio. Avete presente l'armadillo di Zerocalcare? Beh, fate conto che io e la mia fica si abbia lo stesso rapporto, in questo momento. Mi sta dicendo "senti, non te lo saprei spiegare ma stamattina ho proprio voglia, quindi vedi di darti da fare".
- Ti tieni in forma, eh? - gli dico cercando di fare la vaga il più possibile.
- Dieta ipocalorica, sai com'è... piaciuto lo spogliarello?
- Diciamo che come go-go dancer non ti prenderei mai, nel mio letto invece sì...
- Arrivo...
- No, aspetta, siediti qui, sul bordo.
Si siede, mi guarda. A me viene da accarezzare quella sua guancia ispida, a lui di dirmi "un bacio?". E' un bacio lungo, di quelli che riservo solo ai clienti più affezionati o a quelli che pagano di più. Baci che sconfinano nel non-professionale, spesso, perché non c'è nulla di meglio che far dimenticare al cliente che sei una professionista. Tuttavia, visto che lui un cliente non è, dovrei domandarmi come mai stiamo qui a limonare come due adolescenti per così tanto tempo. E come mai quando mi sfiora il seno sento una cosa più simile a una frustata che a un brivido.
- Potrei fare alcuni cenni introduttivi alla teoria del pompino... - gli sussurro stendendolo sulle lenzuola, passando la lingua sulla pelle, mordicchiandogli i capezzoli e tirandogli i peli con le labbra - forse ti potrebbero interessare...
- Dei prolegomeni, intendi?
- Proprio quelli - rispondo.
- Magari le introduzioni le rimandiamo a dopo - sospira.
- Sono d'accordo...
Scendo dal letto e mi inginocchio tra le sue gambe. I clienti possono scegliere ciò che vogliono, ma nel mio giorno libero i bocchini li faccio come piace a me e come mi riescono bene. E desidero che questo in particolare mi venga benissimo. Perché? Boh, non saprei dire. Continuo ad avere una strana attrazione per lui e una strana voglia di regalargli il meglio. Motivo per cui faccio ciò che davvero mi riesce meglio, seguendo il mio istinto, il mio talento e il mio piacere. E anche il mio orgoglio. E sì, perché puoi anche essere una professionista esemplare ma se non sai succhiare un uccello come Cristo comanda, se non ci sei portata o non hai le giuste skill, se non ti piace da matti come piace a me, se non ne vai fiera... beh, non riuscirai mai a svuotarli come li svuoto io.
Con Emanuele tuttavia c'è qualcosa di diverso da ogni altra volta. Me ne accorgo subito, dalla prima carezza lenta e leggera. Difficile da spiegare: i coglioni sono gonfi e pieni, ma non più di altri; il cazzo è cicciotto come piace a me, ma non sopra la media. Nulla però mi ha mai dato queste sensazioni. La prima cosa che mi colpisce è il calore, dai primi colpetti leggeri fino agli assaggi più profondi. Quando glielo prendo tutto in gola il suo sospiro mi scuote facendomi sbrodare, i suoi peli pubici sono come fili scoperti sulle mie labbra, un live wire che mi dà la scossa lungo tutta la spina dorsale. E sotto la sua pelle sento le contrazioni muscolari, le sento quando gli passo la mano sul ventre, sul sedere, sulle cosce. Pulsazioni in perfetta consonanza con le mie, anche quelle del cazzo naturalmente. Chi è che possiede e chi è posseduto? Non lo saprei dire, sembriamo una cosa sola.
Se fosse una prova olimpica, salirei di corsa sul gradino più alto del podio a raccogliere la sua medaglia liquida e densa. Vorrei che non finisse mai, mai, mai. O almeno non prima della fine dell'inno nazionale. Vai Emanuele, vai. Sporcami, penso poi io a ripulire tutto.
Che vi dicevo? Come Cristo comanda. Un pompino come Cristo comanda.
- Grazie...
Sono io che parlo, eh? Sono io a dire "grazie". Non vi sembri strano, lo dico spesso. Nonostante tu sia una puttana fatta e finita, al cliente deve sembrare che ti ha offerto un'esperienza privilegiata, che nessun soffocone ti è mai piaciuto tanto come quello che gli hai appena fatto. Tuttavia, e questo posso saperlo solo io, stavolta non è marketing, è la verità.
- Prego…
- Quanta ne avevi…
Risalgo sul letto, mi muovo a gattoni. Potrebbe sembrare un atteggiamento provocatorio ma non è così, in realtà sono confusa e ho perso molte delle mie certezze. Emanuele esce dal suo Paradiso privato e mi guarda. Basta quell'occhiata a farmi capire quanta e quanto disperata voglia io abbia in questo momento di fare sesso. Anzi, più che "fare" direi "subire". Cosa che sul lavoro non faccio mai, eh? Se sei una prof puoi fingere quanto ti pare, puoi persino godertela, ma non devi mai perdere il controllo di te stessa, una certa quota devi sempre mantenerla. Qui, invece, addio. Mi stendo, spalanco le cosce e lo aspetto. Più ci guardiamo più vorrei supplicare "fammi tua". Ma non c'è nemmeno bisogno di sprecare il fiato, sono certa che mi si legga in faccia.
E qui si aprirebbe un capitolo dal titolo "conoscenza ravvicinata con la lingua di Emanuele", ma lasciate che ve lo racconti in un modo un po' particolare, ok? Fidatevi.
Ce ne sono tanti di clienti che mi vogliono leccare. Per svariati motivi che non sto qui ad elencare. In genere si tratta di imbranati: approssimativi, sbrigativi, convinti a torto di avere delle qualità. Non tutti, eh? Non esageriamo. Il 98 per cento, diciamo, qualcuno bravo si trova. Quasi mai però come una ragazza, e soprattutto mai-mai-mai come due che conosco io. Lucrezia e Giovanna, si chiamano, sono compagne nella vita. Proprio ragazze non sono, hanno la stessa età di Emanuele. Le ho conosciute a Roma che facevano le turiste. Per caso. No, non facevano le turiste per caso, che cazzo andate a pensare, per caso ci siamo conosciute. Loro sono di su, un posto freddo: Merano, Gorizia, Salisburgo... quella zona lì. Abbiamo passato un pomeriggio-sera molto divertente e anche parecchio alcolico. Dopo tre ore avevo rivelato loro che sì, almeno figurativamente lavoro in una impresa dell'energia ma che in realtà se mi posso permettere di vivere come vivo è perché faccio la troia, e anche ben pagata. Non hanno mosso paglia, come si dice a Roma, se avessi detto che la mattina mi alzo per andare ad avvitare bulloni al cantiere o ad allestire vetrine sarebbe stata la stessa cosa. Abbiamo persino riso sui cazzi che avevo preso quella settimana. E no, quella sera non è successo nulla, che cosa credevate? Però ci siamo tenute in contatto: una volta sono scese di nuovo a Roma (e per la prima volta qualcuno ha dormito sul mio divano, cioè io perché il letto l'ho lasciato a loro), un'altra sono andata su, a Udine, ecco dove cazzo vivono. Avete presente, no? Prendete gli Champs Elysées, girate a destra all'Arc de Trionphe e poi sempre dritto. Dopo un po' ci siete.
Mi hanno portata a una festa, ma secondo me qualcosa in mente già ce l'avevano, o comunque l'ispirazione gli è venuta lì, perché quando siamo rientrate Lucrezia ha fatto alla compagna "hai visto quante ragazze c'erano? e quante minigonne ultracorte?". "E quante ragazze in minigonna senza niente sotto?", le ha fatto eco Giovanna. D'accordo, avrei potuto cavarmela con un "mi fischiano le orecchie, non è che state parlando di me?". Invece mi sono avvicinata a Giovanna, tra l'altro l'unica che alla festa aveva i pantaloni. Mi era piaciuta l'occhiata sorniona che mi aveva lanciato. Senza alcun preavviso le ho sbottonato i pantaloni e ho infilato la mano dentro chiedendole "e tu sotto cos'hai?". A Lucrezia non l'ho detto, ma non ho avuto proprio nessuna difficoltà, nemmeno una, a slittarle dentro con le dita. Morbida e bagnata. Prima di baciarla le ho sussurrato "questa fregna chi aspettava?". Beh, è così che abbiamo cominciato.
Potrei anche dirvi della mangiata di fragole aromatizzate alla fica-di-Annalisa, ma preferisco raccontarvi del ditalino che mi stavo sparando guardandole scopare. Sensuali, ansimanti, sudate, intrecciate per le cosce: avevano chiaramente già imboccato la discesa. Lucrezia stava già smaniando quando Giò si è fermata - anche un po' sadicamente, direi - e vedendo ciò che facevo mi ha fatto l'occhiolino e dopo avermi baciata mi ha detto "ora la faccio godere come una troia". "Ma guarda che le troie non è che godano poi tanto", ho risposto come una perfetta cretina. Non l'avessi mai fatto (si fa per dire). Non saprei esattamente per quanto, ma comunque non meno di un'ora, tanto è durato il loro passatempo con la ragazzina-giocattolo da leccare come un cucchiaino, da mordere come un maritozzo, da violare come una quarantena. Fino al botto finale. Avete mai pianto per un orgasmo? No, dico, "pianto". Non i lamenti, il piagnucolio, la lagna fastidiosa. Ché da quel punto di vista potrei ottenere una cattedra all'università. Intendo proprio "pianto", scoppiare a piangere calde lacrime con una lingua che ti frulla davanti e una che ti frulla dietro. Intorno, sul bordo, dentro. Ecco, se trovate un uomo che vi fa piangere leccandovela fatemi un fischio, eh?
Tornando a me e Emanuele, non dico che mi faccia piangere ma ci va molto vicino. E in ogni caso è il primo orgasmo vero dopo un sacco di tempo. La sua barba ispida sull’interno delle cosce me lo accelera, me lo amplifica. E’ da implorare pietà, è da implorare “basta, scopami!”. Cosa che faccio, certo, ma lui se ne frega. Mi giustizia reprimendo con la forza le mie convulsioni e ignorando le mie mani che gli strappano i capelli. E’ squassante. Di quelli che un po' ti fanno dire "ok, fantastico, svegliami tra un mese" e un po' "senti, ho un assoluto bisogno di riempire un vuoto". Evidentemente anche lui ha lo stesso bisogno, perché invece di lasciarmi perdere mi sale sopra. Il compasso delle mie gambe si apre ma non sono io a deciderlo, fanno da sole. Non sono in grado di dire una parola, l'unica cosa che riesco a fare è guardarlo ancora negli occhi e aspettare. Anche se più lo guardo negli occhi meno riesco ad aspettare.
- E' il momento di quell'introduzione di cui parlavi - mi sussurra sulle labbra che ancora mi tremano.
Non rispondo. Non potrei in ogni caso, ma in questo momento sono dominata da una percezione assurda. Una cazzata, una di quelle cose che si dicono e si ripetono tante di quelle volte che alla fine non vogliono più dire niente, luoghi comuni: “Tu non sei umano”.
CONTINUA
Mi osserva dall'ingresso del bagno, mezzo intontito. Ha sempre un'aria trasandata, ma è quel trasandato di chi si è appena alzato dal letto. Se ne sta immobile, con la maglietta e i pantaloncini celesti del pigiama che gli ho dato ieri sera. "Mettiti questo, è il più grande che ho", "com'è che hai un pigiama da uomo? hai detto che a casa non lavori...", "infatti ha ancora l'etichetta attaccata, però non si sa mai".
- Sicuro di essere sveglio? - domando ancora - dai, torna a letto che ti porto il caffè.
Solo a questo punto mi risponde "buon anno" in automatico, senza grande partecipazione. E soprattutto continuando a guardarmi come se fossimo al Bioparco, lui da una parte e io dall'altra del vetro. Mi volto verso lo specchio, mi studio il viso. La crema si è completamente assorbita, dunque non è quello... boh, magari è l'asciugamano messo a mo' di turbante sui capelli che lo incuriosisce. Ok, è rosa confetto, ma a casa di una ragazza ci sta, eh? Cosa si aspettava, un set giallorosso con il marchio della Roma? Per il resto, non penso che non abbia mai visto una donna nuda. Che è quella faccia?
- Ieri sera non ti avevo... cioè, con quelle cose addosso, no? Ma vista così sembri davvero uscita dalla spuma del mare...
- Ehi grazie! - gli sorrido andandogli incontro - Venere di Botticelli me l'hanno già detto, ma mai così.
- Così come?
- Così gratis et amore dei - rispondo.
Gli vado vicino. Due bacetti, uno per guancia, e un altro "buon anno, Emanuele". Finalmente mette giù lo sguardo da pesce lesso e sorride. Mi dà un "buon anno Annalisa" più convinto. Mi dice, forse perché siamo proprio uno di fronte all'altra, "sei alta, stai meglio senza quei ridicoli zatteroni". Rido e gli obietto che quelle che lui chiama "zatteroni" sono delle platform shoes di Miu Miu da settecento euro, "comunque sì, neanche a me piacciono i tacchi tanto alti, ma i clienti se li aspettano". Gli ripeto per la terza volta di tornare a letto e aspettare il caffè, ne ho uno con dei filamenti di cioccolato che è una specialità. Mi chiede se può usare il dentifricio, perché è la seconda cosa che fa la mattina. Apprezzo il fatto che non mi dica qual è la prima e rispondo che in qualche cassetto deve esserci uno spazzolino ancora sigillato. "Sempre perché non si sa mai, dovessi portarti a casa qualche cliente...", sorride. "Uh, no, è che ne compro tre-quattro per volta, comunque un po' di tempo ce l'hai".
Quando torno in camera da letto con il vassoio lo trovo infilato sotto il piumone, seduto contro la testiera. Sa di buono, sapone e dentifricio. Gli porgo un bicchiere d'acqua prima del caffè, butto su una poltrona il telo che mi asciugava i capelli, li scrollo, mi infilo anche io sotto il piumone e gli chiedo di passarmi la mia tazzina.
- Non mi piace fumare a letto, ma un'eccezione ogni tanto è possibile farla, no? Ti dà fastidio? O ne vuoi una anche tu? - domando con il pacchetto di sigarette in mano.
- Hai qualcosa di strano, questa mattina - dice prendendone una e facendosela accendere - cioè, strano rispetto a ieri sera.
E' vero, ha ragione. Mi sento addosso qualcosa di strano da quando sono andata in cucina a preparargli il caffè, ma soprattutto ora che gli ho acceso la sigaretta. Qualcosa che per una come me è paradossale, inattesa, impropria. Qualcosa che potrei definire come una incalzante, inesorabile, formidabile voglia di cazzo. Da non credere. Per un attimo avverto anche la sensazione di lui che mi penetra e mi apre come un avocado. Da non credere proprio.
- A parte il trucco che non ho più - rispondo cercando di dominarmi - non ho niente addosso, ma non è che ieri sera fossi molto più vestita...
- Stai anche meglio senza trucco, però non è quello...
- Ti riferisci al fatto che non parlo più come una coattona? Posso anche fare di meglio, posso usare la parola "prolegomeni", se voglio.
- Prolegomeni? - domanda ridendo.
- Eh, prolegomeni, pro-le-go-me-ni... - rispondo - sai quando devi parlare di una cosa ma prima ne esponi i principi generali? Una specie di introduzione, un abstract...
Straparlo, è chiaro. Straparlo cercando di resistere a me stessa. Ma è una battaglia persa. Devo ammettere che, per un motivo che non saprei spiegare nemmeno sotto tortura, ho voglia di questo tipo qui. Premetto: non so che effetto abbia fatto a lui, ma a me dormire con uno sconosciuto senza fare sesso non fa né caldo né freddo. Ho un paio di clienti fissi che mi pagano anche, per questo. Uno vuole addirittura che faccia finta di essere la sua segretaria, gli piace che receptionist e cameriere che ci portano la colazione in camera la mattina pensino che è uno che si scopa la segretaria strafiga. Lo rassicura, si vede, lo gratifica. Ogni tanto ok, allunga le mani, ma tanto nemmeno gli viene duro. Emanuele invece non ha insistito né allungato le mani, stanotte. E nemmeno ora ha fatto nulla, a parte quel complimento sulla Venere di Botticelli. Sto facendo, inspiegabilmente, tutto io.
- E a proposito di cosa vorresti usare la parola "prolegomeni"? - domanda.
- Boh, non lo so, vedremo... ma tu com'è che hai ancora il pigiama?
- Perché?
- Non vuoi scopare?
- Cosa? Ma lo sai che non ho un euro, te l'ho detto!
- E io ti ho detto che a casa mia non lavoro...
- Sei sicura?
- Te l'avrei chiesto? A me va di scopare, a te no? E' pure il primo dell'anno... no, alt non te ne uscire con quella cosa che "chi scopa a capodanno...", non la sopporto.
Fa per togliersi la maglietta, lo blocco. Gli dico "eh no, scusa, se ti avessi trovato nudo nel letto, ok, ma poiché tu hai visto me, adesso scendi e mi fai la sfilatina". "Uno spogliarello?", domanda. "Qualcosa del genere, come ti viene meglio, vuoi la musica?". "Canto io, preferenze?" "Non particolari, mi accontento di toni e semitoni al posto giusto".
Scende dal letto e improvvisa una specie di balletto. Sedicente sensuale, diciamo così. In realtà è molto goffo, mi sistemo sul materasso con le mani sulle gambe e lo guardo ora sorridendo ora sghignazzando. Sorride anche lui, non gliene frega niente. Canta benissimo, però: parole francesi che non capisco distillate in una melodia dolce, avvolgente, ipnotica. Smetto di ridere e lo ascolto affascinata. Io. Affascinata. Inginocchiata nuda su un materasso. Roba che dovrebbero fare irruzione gli infermieri e portarmi via.
- Cos'è questa canzone? - domando.
- Oh è vecchissima - risponde continuando a dondolarsi come se seguisse ancora il ritmo - parla del mare, "lo guardiamo danzare lungo i golfi chiari con riflessi d'argento, cangianti sotto la pioggia".
- Bella!
- Come te, che sembri uscita dal mare.
Ora, di fronte a questa ridicola smanceria potrei fare due cose: scoppiare a ridere e mandarlo a fare in culo, oppure tirargli qualcosa che ho a portata di mano. Verosimilmente una lampada da comodino o il vassoietto del caffè con tutta la zuccheriera. Ipotesi un po' più radicale: scendere al quarto piano dal vicino bono, quello sempre abbronzato, e farmi prestare il fucile da sub. Invece inopinatamente sorrido, perché sono imbarazzata e non so cosa rispondere.
- E infatti non devi rispondere - dice sorprendendomi, come se avesse letto nei miei pensieri - basta quel sorriso lì.
Ci resto come una scema, ma quando si toglie maglietta e pantaloncini esco dall'imbarazzo e dalla sorpresa. Dal punto di vista dell'estetica dei movimenti, un disastro: voto 2, a essere buona. Dal punto di vista dell'estetica-e-basta: voto wow+. E più lo guardo più il voto sale. Ieri sera non me ne ero proprio resa conto, anche perché non si è mica messo il pigiama davanti a me. Aspettate un attimo però, ok? Lo so che poiché stiamo su questo sito voi pensate che stia parlando del cazzo. No, macché cazzo, non c'entra un cazzo il cazzo, quello semmai vedremo dopo. Sto parlando proprio del pacchetto complessivo. Che va da un più che discreto apparato di pettorali, addominali, spalle e cosce alla distribuzione ideale della sua peluria sul corpo. Ideale per me, è chiaro. A me piace la peluria dell'uomo. Non dico che debba essere un orango, ma il glabro non è il mio tipo. Un po' di peluria sparsa qua e là invece sì, fa maschio. E se non succede qualcosa tra un po' gli basterà guardarmi tra le gambe o sul lenzuolo per rendersi conto di quanto lo trovi maschio. Avete presente l'armadillo di Zerocalcare? Beh, fate conto che io e la mia fica si abbia lo stesso rapporto, in questo momento. Mi sta dicendo "senti, non te lo saprei spiegare ma stamattina ho proprio voglia, quindi vedi di darti da fare".
- Ti tieni in forma, eh? - gli dico cercando di fare la vaga il più possibile.
- Dieta ipocalorica, sai com'è... piaciuto lo spogliarello?
- Diciamo che come go-go dancer non ti prenderei mai, nel mio letto invece sì...
- Arrivo...
- No, aspetta, siediti qui, sul bordo.
Si siede, mi guarda. A me viene da accarezzare quella sua guancia ispida, a lui di dirmi "un bacio?". E' un bacio lungo, di quelli che riservo solo ai clienti più affezionati o a quelli che pagano di più. Baci che sconfinano nel non-professionale, spesso, perché non c'è nulla di meglio che far dimenticare al cliente che sei una professionista. Tuttavia, visto che lui un cliente non è, dovrei domandarmi come mai stiamo qui a limonare come due adolescenti per così tanto tempo. E come mai quando mi sfiora il seno sento una cosa più simile a una frustata che a un brivido.
- Potrei fare alcuni cenni introduttivi alla teoria del pompino... - gli sussurro stendendolo sulle lenzuola, passando la lingua sulla pelle, mordicchiandogli i capezzoli e tirandogli i peli con le labbra - forse ti potrebbero interessare...
- Dei prolegomeni, intendi?
- Proprio quelli - rispondo.
- Magari le introduzioni le rimandiamo a dopo - sospira.
- Sono d'accordo...
Scendo dal letto e mi inginocchio tra le sue gambe. I clienti possono scegliere ciò che vogliono, ma nel mio giorno libero i bocchini li faccio come piace a me e come mi riescono bene. E desidero che questo in particolare mi venga benissimo. Perché? Boh, non saprei dire. Continuo ad avere una strana attrazione per lui e una strana voglia di regalargli il meglio. Motivo per cui faccio ciò che davvero mi riesce meglio, seguendo il mio istinto, il mio talento e il mio piacere. E anche il mio orgoglio. E sì, perché puoi anche essere una professionista esemplare ma se non sai succhiare un uccello come Cristo comanda, se non ci sei portata o non hai le giuste skill, se non ti piace da matti come piace a me, se non ne vai fiera... beh, non riuscirai mai a svuotarli come li svuoto io.
Con Emanuele tuttavia c'è qualcosa di diverso da ogni altra volta. Me ne accorgo subito, dalla prima carezza lenta e leggera. Difficile da spiegare: i coglioni sono gonfi e pieni, ma non più di altri; il cazzo è cicciotto come piace a me, ma non sopra la media. Nulla però mi ha mai dato queste sensazioni. La prima cosa che mi colpisce è il calore, dai primi colpetti leggeri fino agli assaggi più profondi. Quando glielo prendo tutto in gola il suo sospiro mi scuote facendomi sbrodare, i suoi peli pubici sono come fili scoperti sulle mie labbra, un live wire che mi dà la scossa lungo tutta la spina dorsale. E sotto la sua pelle sento le contrazioni muscolari, le sento quando gli passo la mano sul ventre, sul sedere, sulle cosce. Pulsazioni in perfetta consonanza con le mie, anche quelle del cazzo naturalmente. Chi è che possiede e chi è posseduto? Non lo saprei dire, sembriamo una cosa sola.
Se fosse una prova olimpica, salirei di corsa sul gradino più alto del podio a raccogliere la sua medaglia liquida e densa. Vorrei che non finisse mai, mai, mai. O almeno non prima della fine dell'inno nazionale. Vai Emanuele, vai. Sporcami, penso poi io a ripulire tutto.
Che vi dicevo? Come Cristo comanda. Un pompino come Cristo comanda.
- Grazie...
Sono io che parlo, eh? Sono io a dire "grazie". Non vi sembri strano, lo dico spesso. Nonostante tu sia una puttana fatta e finita, al cliente deve sembrare che ti ha offerto un'esperienza privilegiata, che nessun soffocone ti è mai piaciuto tanto come quello che gli hai appena fatto. Tuttavia, e questo posso saperlo solo io, stavolta non è marketing, è la verità.
- Prego…
- Quanta ne avevi…
Risalgo sul letto, mi muovo a gattoni. Potrebbe sembrare un atteggiamento provocatorio ma non è così, in realtà sono confusa e ho perso molte delle mie certezze. Emanuele esce dal suo Paradiso privato e mi guarda. Basta quell'occhiata a farmi capire quanta e quanto disperata voglia io abbia in questo momento di fare sesso. Anzi, più che "fare" direi "subire". Cosa che sul lavoro non faccio mai, eh? Se sei una prof puoi fingere quanto ti pare, puoi persino godertela, ma non devi mai perdere il controllo di te stessa, una certa quota devi sempre mantenerla. Qui, invece, addio. Mi stendo, spalanco le cosce e lo aspetto. Più ci guardiamo più vorrei supplicare "fammi tua". Ma non c'è nemmeno bisogno di sprecare il fiato, sono certa che mi si legga in faccia.
E qui si aprirebbe un capitolo dal titolo "conoscenza ravvicinata con la lingua di Emanuele", ma lasciate che ve lo racconti in un modo un po' particolare, ok? Fidatevi.
Ce ne sono tanti di clienti che mi vogliono leccare. Per svariati motivi che non sto qui ad elencare. In genere si tratta di imbranati: approssimativi, sbrigativi, convinti a torto di avere delle qualità. Non tutti, eh? Non esageriamo. Il 98 per cento, diciamo, qualcuno bravo si trova. Quasi mai però come una ragazza, e soprattutto mai-mai-mai come due che conosco io. Lucrezia e Giovanna, si chiamano, sono compagne nella vita. Proprio ragazze non sono, hanno la stessa età di Emanuele. Le ho conosciute a Roma che facevano le turiste. Per caso. No, non facevano le turiste per caso, che cazzo andate a pensare, per caso ci siamo conosciute. Loro sono di su, un posto freddo: Merano, Gorizia, Salisburgo... quella zona lì. Abbiamo passato un pomeriggio-sera molto divertente e anche parecchio alcolico. Dopo tre ore avevo rivelato loro che sì, almeno figurativamente lavoro in una impresa dell'energia ma che in realtà se mi posso permettere di vivere come vivo è perché faccio la troia, e anche ben pagata. Non hanno mosso paglia, come si dice a Roma, se avessi detto che la mattina mi alzo per andare ad avvitare bulloni al cantiere o ad allestire vetrine sarebbe stata la stessa cosa. Abbiamo persino riso sui cazzi che avevo preso quella settimana. E no, quella sera non è successo nulla, che cosa credevate? Però ci siamo tenute in contatto: una volta sono scese di nuovo a Roma (e per la prima volta qualcuno ha dormito sul mio divano, cioè io perché il letto l'ho lasciato a loro), un'altra sono andata su, a Udine, ecco dove cazzo vivono. Avete presente, no? Prendete gli Champs Elysées, girate a destra all'Arc de Trionphe e poi sempre dritto. Dopo un po' ci siete.
Mi hanno portata a una festa, ma secondo me qualcosa in mente già ce l'avevano, o comunque l'ispirazione gli è venuta lì, perché quando siamo rientrate Lucrezia ha fatto alla compagna "hai visto quante ragazze c'erano? e quante minigonne ultracorte?". "E quante ragazze in minigonna senza niente sotto?", le ha fatto eco Giovanna. D'accordo, avrei potuto cavarmela con un "mi fischiano le orecchie, non è che state parlando di me?". Invece mi sono avvicinata a Giovanna, tra l'altro l'unica che alla festa aveva i pantaloni. Mi era piaciuta l'occhiata sorniona che mi aveva lanciato. Senza alcun preavviso le ho sbottonato i pantaloni e ho infilato la mano dentro chiedendole "e tu sotto cos'hai?". A Lucrezia non l'ho detto, ma non ho avuto proprio nessuna difficoltà, nemmeno una, a slittarle dentro con le dita. Morbida e bagnata. Prima di baciarla le ho sussurrato "questa fregna chi aspettava?". Beh, è così che abbiamo cominciato.
Potrei anche dirvi della mangiata di fragole aromatizzate alla fica-di-Annalisa, ma preferisco raccontarvi del ditalino che mi stavo sparando guardandole scopare. Sensuali, ansimanti, sudate, intrecciate per le cosce: avevano chiaramente già imboccato la discesa. Lucrezia stava già smaniando quando Giò si è fermata - anche un po' sadicamente, direi - e vedendo ciò che facevo mi ha fatto l'occhiolino e dopo avermi baciata mi ha detto "ora la faccio godere come una troia". "Ma guarda che le troie non è che godano poi tanto", ho risposto come una perfetta cretina. Non l'avessi mai fatto (si fa per dire). Non saprei esattamente per quanto, ma comunque non meno di un'ora, tanto è durato il loro passatempo con la ragazzina-giocattolo da leccare come un cucchiaino, da mordere come un maritozzo, da violare come una quarantena. Fino al botto finale. Avete mai pianto per un orgasmo? No, dico, "pianto". Non i lamenti, il piagnucolio, la lagna fastidiosa. Ché da quel punto di vista potrei ottenere una cattedra all'università. Intendo proprio "pianto", scoppiare a piangere calde lacrime con una lingua che ti frulla davanti e una che ti frulla dietro. Intorno, sul bordo, dentro. Ecco, se trovate un uomo che vi fa piangere leccandovela fatemi un fischio, eh?
Tornando a me e Emanuele, non dico che mi faccia piangere ma ci va molto vicino. E in ogni caso è il primo orgasmo vero dopo un sacco di tempo. La sua barba ispida sull’interno delle cosce me lo accelera, me lo amplifica. E’ da implorare pietà, è da implorare “basta, scopami!”. Cosa che faccio, certo, ma lui se ne frega. Mi giustizia reprimendo con la forza le mie convulsioni e ignorando le mie mani che gli strappano i capelli. E’ squassante. Di quelli che un po' ti fanno dire "ok, fantastico, svegliami tra un mese" e un po' "senti, ho un assoluto bisogno di riempire un vuoto". Evidentemente anche lui ha lo stesso bisogno, perché invece di lasciarmi perdere mi sale sopra. Il compasso delle mie gambe si apre ma non sono io a deciderlo, fanno da sole. Non sono in grado di dire una parola, l'unica cosa che riesco a fare è guardarlo ancora negli occhi e aspettare. Anche se più lo guardo negli occhi meno riesco ad aspettare.
- E' il momento di quell'introduzione di cui parlavi - mi sussurra sulle labbra che ancora mi tremano.
Non rispondo. Non potrei in ogni caso, ma in questo momento sono dominata da una percezione assurda. Una cazzata, una di quelle cose che si dicono e si ripetono tante di quelle volte che alla fine non vogliono più dire niente, luoghi comuni: “Tu non sei umano”.
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