La cosa (parte 5)
di
Kugher
genere
sadomaso
Ada era stata costretta a leccare i piedi della Padrona.
La eccitava il sapore del cuoio sui piedi dei dominanti, meglio se appena velati di sudore, quello dovuto alla tensione ed eccitazione del dominio. Le dava la sensazione di “sporco”, di sottomissione. La eccitava ogni leccata con quel sapore che poi si sentiva in bocca.
I Padroni, fino a quel momento seduti in poltrona a godersi la sua umiliazione, si alzarono ordinandole di seguirli.
Lei accennò ad alzarsi.
“Stai giù a terra!”.
Il Padrone le aveva messo un piede sulla schiena per spingerla giù, impedendole di alzarsi.
“Seguici strisciando”.
La voce dei Padroni tradiva eccitazione, anche se cercavano di mascherarlo.
Quella donna, anche se trattata da oggetto, a loro piaceva molto, per i suoi modi delicati, per la sua postura elegante frutto di una vita di attenzione per sé stessa.
L’eleganza e la bellezza del corpo sono segni rivelatori della cura che si ha verso sé stessi.
Anche loro avevano sempre avuto cura di sé stessi, per piacersi ancor prima di piacere.
Apprezzavano così la bellezza e le qualità di Ada, per quel poco che avevano avuto modo di osservare e capire, conoscere.
Alfredo e Giulia osservavano, eccitati, quella bella donna che, nuda, strisciava ai loro piedi.
La Padrona, più per eccitazione che per necessità, ogni tanto spingeva il viso della schiava con le scarpe, invitandola a muoversi, salvo poi, a capriccio, posarle il tacco sulla schiena e schiacciare, divertendosi con il suo tentativo di resistere senza contorcersi e lamentarsi.
La degradazione sa eccitare e reclama ulteriori attività tese al raggiungimento di questo fine, spostando sempre avanti questa esigenza.
Il desiderio è come la pioggia che cade in un invaso, fino al punto che questo, pieno, necessita di un atto liberatorio.
Fu la Padrona, per prima, mentre la schiava strisciava ai suoi piedi, a sputarle sulla schiena, quale ulteriore conferma della sua degradazione e del loro potere.
Il marito provò eccitazione e imitò la moglie, mentre, col piede sul viso, incitava la schiava a procedere verso il luogo cui era destinata.
L’appartamento era al piano terreno di un caseggiato antico. Dal pavimento era possibile accedere alla cantina. I proprietari avevano fatto chiudere la scalinata per ricavare una sorta di buca che poteva essere coperta da una grata o da un vetro.
Ada fece qualche resistenza ad entrare, non amando i posti piccoli e chiusi.
Fu il Padrone, colpendola col frustino, a vincere ogni sua resistenza.
Una volta dentro, le sputarono ancora addosso, sempre più eccitati dalla situazione e dalla nuova esperienza, per loro, di avere una schiava da trattare come un oggetto, nei confronti della quale non avevano instaurato alcun rapporto umano.
Trovavano diversa l’eccitazione che questa situazione creava, rispetto al possesso di una donna come invece erano abituati.
La motivazione, ciò che regge alla base le azioni, è la vera fonte del piacere. Rinchiudere nella buca una donna della quale non si sa nulla delle sue emozioni, è cosa diversa dal mettere nello stesso posto una schiava le cui sensazioni sono state conosciute e condivise, seppure nella loro specularità.
Scelsero la grata, nel centro della quale, alla chiusura delle due antine, restava un buco tale da chiudere il collo della schiava, la cui testa avanzava dal pavimento.
Furono i Padroni ad accollarsi l’onere della preparazione del pasto, il cui piacere era amplificato dalla visione della testa di quella giovane donna rinchiusa nella buca.
Ogni tanto la Padrona si avvicinava. Con la punta della scarpa giocava con le labbra, oppure si toglieva la calzatura per infilare in bocca il piede.
La posizione era in realtà programmata per il pasto. I coniugi portarono il tavolo sopra la buca per poter pasteggiare tenendo la testa della schiava tra i loro piedi.
Giocavano dandole piccoli calcetti, oppure infilando i piedi in bocca o pretendendo che venissero loro leccati.
La schiava eseguiva.
La schiava era chiusa in gabbia come un animale, ma trattata peggio, come una cosa.
La schiava era eccitata, nonostante la costrizione la cui sensazione negativa, paradossalmente, alimentava il suo stato di soggezione e di annullamento.
Ogni tanto, pur continuando a leccare, si agitava nella buca, insofferente per essere rinchiusa ma, in risposta, riceveva colpetti coi piedi dai Padroni infastiditi che promisero una punizione con la frusta.
La cena ebbe il compito di creare aspettative ed alimentare l’eccitazione che, al termine del pasto, avrebbe dovuto trovare fogo, ormai non più contenibile al punto da voler anticipare l’orgasmo che si vorrebbe ritardare fino al momento in cui l’attesa deve trovare il suo termine.
L’esigenza del raggiungimento dell’apice del piacere con conseguente orgasmo liberatorio può accadere in un istante o montare lentamente.
Quella sera si verificò la seconda ipotesi, verso un piacere cercato nella posizione voluta dai Padroni.
La schiava, stesa a terra, avvertiva sulla schiena il dolore provocato dal frustino, quale esecuzione della punizione. Il contatto con il pavimento freddo le dava ulteriori sensazioni.
I Padroni vollero usare contemporaneamente l’oggetto umano-sessuale per il loro piacere.
Giulia era inginocchiata sul viso della schiava, con la figa a contatto della bocca, pretendendo le attenzioni della lingua sulle labbra e dentro essa.
La Padrona era rivolta verso il marito che, inginocchiato a sua volta tra le cosce dello strumento sessuale, la stava penetrando mentre baciava e accarezzava il seno della moglie.
La donna provava particolare piacere nel sedersi pesantemente sulla faccia sotto di lei fino a sentirla agitarsi per l’assenza di aria. Si alzava quel tanto per farla respirare facendole capire che avrebbe potuto risedersi da un momento all’altro.
Alfredo la scopava e sentiva il cazzo durissimo, frutto delle ore precedenti. Godeva della difficoltà della schiava sotto di loro.
Mentre la sua lingua accarezzava quella della moglie, torceva i capezzoli della cosa sotto di loro nel momento in cui si accorgeva che Giulia si era seduta sulla faccia privandola dell’aria.
Il dominio può essere fonte autonoma di eccitazione e di piacere, che si somma a quello fisico, procurato dal rapporto carnale il quale, a sua volta, si inserisce nel primo.
Il piacere diviene come il lago nel quale vi siano due affluenti la cui quantità di acqua può aumentare prima a tratti e, poi, impetuosamente, in maniera che, inizialmente controllata, arriva ad avere una forza sua, fino a portare alla necessità di godere.
Alfredo strinse forte il capezzolo della schiava mentre, spingendo la lingua nella bocca della moglie, godette nella figa dell’oggetto sessuale.
Per Giulia occorse ancora qualche tempo. Staccatosi il marito dalla sua bocca, pretese maggiore attenzione dalla lingua sotto di sé finché non fu percorsa dal piacere liberatorio, non più rimandabile.
Non la mandarono via, volendo provare altro tipo di piacere, più sottile, quello che si insinua sottopelle e che non è detto debba necessariamente portare all’orgasmo.
Quella sera, a cena, avevano ospiti.
Poco prima che questi arrivassero, rinchiusero la cosa nella buca, con i polsi ammanettati dietro la schiena. Chiusero la grata ma, questa volta, la sua testa non sporgeva più dal pavimento, dovendo celare ai loro amici il segreto della buca.
Sopra la grata misero un vetro oscurato, in modo che dall’alto non si vedesse l’interno, ma che dall’interno si potesse vedere verso l’alto.
Cenarono, sapendo che nella buca sotto di loro c’era la schiava, la cui unica visione erano i piedi e le gambe dei Padroni e dei loro amici.
L’eccitazione era anche procurata dalla tensione, dal rischio che qualcosa potesse accadere e rivelasse l’oggetto nella buca.
Ada si sentiva ciò che era, provando piacere nell’essere trattata come un oggetto di casa, chiusa, traendo perversamente piacere dalla sua difficoltà, da quella scomodità che le ricordava in ogni istante la sua posizione, molto bassa.
Era stata spesso ai piedi dei Padroni. Mai sotto il pavimento.
Con una visuale completamente diversa, cambiano anche le emozioni.
Le mani incatenate dietro la schiena produssero altra sensazione, inizialmente non prevista in quanto concentrata nella postura e nella costrizione: non poteva masturbarsi.
Anche questo era dominio, era potere ceduto e che, una volta trasferito, riempiva il vuoto di ciò che si era donato con l’eccitazione ed il desiderio.
Cercò di arrivarci ma, accortasi del rumore che stava provocando, intimidita dalla possibile punizione e dalla disubbidienza che questo avrebbe comportato, violando il compito del suo ruolo, si fermò, lasciando inappagato il desiderio che premeva e che, sapeva, sarebbe stato rinviato in là nel tempo, quel tempo del quale aveva perso la cognizione, chiusa, in quella buca, con la scomodità che rallentava i secondi già di per sé lentissimi.
Non aveva mai provato la perdita della cognizione del tempo nei momenti di sottomissione, non in quel modo, non mentre non veniva usata.
Si rassegnò all’attesa del piacere e guardò verso l’alto, attratta dal movimento arrogante dei piedi della Padrona che, sapeva, li stava muovendo a suo beneficio, quasi un richiamo, alimentando il desiderio della schiava di leccarli e dando alla barriera il compito di far maggiormente desiderare ciò che non si può avere.
I Padroni avevano appena terminato l’antipasto.
La eccitava il sapore del cuoio sui piedi dei dominanti, meglio se appena velati di sudore, quello dovuto alla tensione ed eccitazione del dominio. Le dava la sensazione di “sporco”, di sottomissione. La eccitava ogni leccata con quel sapore che poi si sentiva in bocca.
I Padroni, fino a quel momento seduti in poltrona a godersi la sua umiliazione, si alzarono ordinandole di seguirli.
Lei accennò ad alzarsi.
“Stai giù a terra!”.
Il Padrone le aveva messo un piede sulla schiena per spingerla giù, impedendole di alzarsi.
“Seguici strisciando”.
La voce dei Padroni tradiva eccitazione, anche se cercavano di mascherarlo.
Quella donna, anche se trattata da oggetto, a loro piaceva molto, per i suoi modi delicati, per la sua postura elegante frutto di una vita di attenzione per sé stessa.
L’eleganza e la bellezza del corpo sono segni rivelatori della cura che si ha verso sé stessi.
Anche loro avevano sempre avuto cura di sé stessi, per piacersi ancor prima di piacere.
Apprezzavano così la bellezza e le qualità di Ada, per quel poco che avevano avuto modo di osservare e capire, conoscere.
Alfredo e Giulia osservavano, eccitati, quella bella donna che, nuda, strisciava ai loro piedi.
La Padrona, più per eccitazione che per necessità, ogni tanto spingeva il viso della schiava con le scarpe, invitandola a muoversi, salvo poi, a capriccio, posarle il tacco sulla schiena e schiacciare, divertendosi con il suo tentativo di resistere senza contorcersi e lamentarsi.
La degradazione sa eccitare e reclama ulteriori attività tese al raggiungimento di questo fine, spostando sempre avanti questa esigenza.
Il desiderio è come la pioggia che cade in un invaso, fino al punto che questo, pieno, necessita di un atto liberatorio.
Fu la Padrona, per prima, mentre la schiava strisciava ai suoi piedi, a sputarle sulla schiena, quale ulteriore conferma della sua degradazione e del loro potere.
Il marito provò eccitazione e imitò la moglie, mentre, col piede sul viso, incitava la schiava a procedere verso il luogo cui era destinata.
L’appartamento era al piano terreno di un caseggiato antico. Dal pavimento era possibile accedere alla cantina. I proprietari avevano fatto chiudere la scalinata per ricavare una sorta di buca che poteva essere coperta da una grata o da un vetro.
Ada fece qualche resistenza ad entrare, non amando i posti piccoli e chiusi.
Fu il Padrone, colpendola col frustino, a vincere ogni sua resistenza.
Una volta dentro, le sputarono ancora addosso, sempre più eccitati dalla situazione e dalla nuova esperienza, per loro, di avere una schiava da trattare come un oggetto, nei confronti della quale non avevano instaurato alcun rapporto umano.
Trovavano diversa l’eccitazione che questa situazione creava, rispetto al possesso di una donna come invece erano abituati.
La motivazione, ciò che regge alla base le azioni, è la vera fonte del piacere. Rinchiudere nella buca una donna della quale non si sa nulla delle sue emozioni, è cosa diversa dal mettere nello stesso posto una schiava le cui sensazioni sono state conosciute e condivise, seppure nella loro specularità.
Scelsero la grata, nel centro della quale, alla chiusura delle due antine, restava un buco tale da chiudere il collo della schiava, la cui testa avanzava dal pavimento.
Furono i Padroni ad accollarsi l’onere della preparazione del pasto, il cui piacere era amplificato dalla visione della testa di quella giovane donna rinchiusa nella buca.
Ogni tanto la Padrona si avvicinava. Con la punta della scarpa giocava con le labbra, oppure si toglieva la calzatura per infilare in bocca il piede.
La posizione era in realtà programmata per il pasto. I coniugi portarono il tavolo sopra la buca per poter pasteggiare tenendo la testa della schiava tra i loro piedi.
Giocavano dandole piccoli calcetti, oppure infilando i piedi in bocca o pretendendo che venissero loro leccati.
La schiava eseguiva.
La schiava era chiusa in gabbia come un animale, ma trattata peggio, come una cosa.
La schiava era eccitata, nonostante la costrizione la cui sensazione negativa, paradossalmente, alimentava il suo stato di soggezione e di annullamento.
Ogni tanto, pur continuando a leccare, si agitava nella buca, insofferente per essere rinchiusa ma, in risposta, riceveva colpetti coi piedi dai Padroni infastiditi che promisero una punizione con la frusta.
La cena ebbe il compito di creare aspettative ed alimentare l’eccitazione che, al termine del pasto, avrebbe dovuto trovare fogo, ormai non più contenibile al punto da voler anticipare l’orgasmo che si vorrebbe ritardare fino al momento in cui l’attesa deve trovare il suo termine.
L’esigenza del raggiungimento dell’apice del piacere con conseguente orgasmo liberatorio può accadere in un istante o montare lentamente.
Quella sera si verificò la seconda ipotesi, verso un piacere cercato nella posizione voluta dai Padroni.
La schiava, stesa a terra, avvertiva sulla schiena il dolore provocato dal frustino, quale esecuzione della punizione. Il contatto con il pavimento freddo le dava ulteriori sensazioni.
I Padroni vollero usare contemporaneamente l’oggetto umano-sessuale per il loro piacere.
Giulia era inginocchiata sul viso della schiava, con la figa a contatto della bocca, pretendendo le attenzioni della lingua sulle labbra e dentro essa.
La Padrona era rivolta verso il marito che, inginocchiato a sua volta tra le cosce dello strumento sessuale, la stava penetrando mentre baciava e accarezzava il seno della moglie.
La donna provava particolare piacere nel sedersi pesantemente sulla faccia sotto di lei fino a sentirla agitarsi per l’assenza di aria. Si alzava quel tanto per farla respirare facendole capire che avrebbe potuto risedersi da un momento all’altro.
Alfredo la scopava e sentiva il cazzo durissimo, frutto delle ore precedenti. Godeva della difficoltà della schiava sotto di loro.
Mentre la sua lingua accarezzava quella della moglie, torceva i capezzoli della cosa sotto di loro nel momento in cui si accorgeva che Giulia si era seduta sulla faccia privandola dell’aria.
Il dominio può essere fonte autonoma di eccitazione e di piacere, che si somma a quello fisico, procurato dal rapporto carnale il quale, a sua volta, si inserisce nel primo.
Il piacere diviene come il lago nel quale vi siano due affluenti la cui quantità di acqua può aumentare prima a tratti e, poi, impetuosamente, in maniera che, inizialmente controllata, arriva ad avere una forza sua, fino a portare alla necessità di godere.
Alfredo strinse forte il capezzolo della schiava mentre, spingendo la lingua nella bocca della moglie, godette nella figa dell’oggetto sessuale.
Per Giulia occorse ancora qualche tempo. Staccatosi il marito dalla sua bocca, pretese maggiore attenzione dalla lingua sotto di sé finché non fu percorsa dal piacere liberatorio, non più rimandabile.
Non la mandarono via, volendo provare altro tipo di piacere, più sottile, quello che si insinua sottopelle e che non è detto debba necessariamente portare all’orgasmo.
Quella sera, a cena, avevano ospiti.
Poco prima che questi arrivassero, rinchiusero la cosa nella buca, con i polsi ammanettati dietro la schiena. Chiusero la grata ma, questa volta, la sua testa non sporgeva più dal pavimento, dovendo celare ai loro amici il segreto della buca.
Sopra la grata misero un vetro oscurato, in modo che dall’alto non si vedesse l’interno, ma che dall’interno si potesse vedere verso l’alto.
Cenarono, sapendo che nella buca sotto di loro c’era la schiava, la cui unica visione erano i piedi e le gambe dei Padroni e dei loro amici.
L’eccitazione era anche procurata dalla tensione, dal rischio che qualcosa potesse accadere e rivelasse l’oggetto nella buca.
Ada si sentiva ciò che era, provando piacere nell’essere trattata come un oggetto di casa, chiusa, traendo perversamente piacere dalla sua difficoltà, da quella scomodità che le ricordava in ogni istante la sua posizione, molto bassa.
Era stata spesso ai piedi dei Padroni. Mai sotto il pavimento.
Con una visuale completamente diversa, cambiano anche le emozioni.
Le mani incatenate dietro la schiena produssero altra sensazione, inizialmente non prevista in quanto concentrata nella postura e nella costrizione: non poteva masturbarsi.
Anche questo era dominio, era potere ceduto e che, una volta trasferito, riempiva il vuoto di ciò che si era donato con l’eccitazione ed il desiderio.
Cercò di arrivarci ma, accortasi del rumore che stava provocando, intimidita dalla possibile punizione e dalla disubbidienza che questo avrebbe comportato, violando il compito del suo ruolo, si fermò, lasciando inappagato il desiderio che premeva e che, sapeva, sarebbe stato rinviato in là nel tempo, quel tempo del quale aveva perso la cognizione, chiusa, in quella buca, con la scomodità che rallentava i secondi già di per sé lentissimi.
Non aveva mai provato la perdita della cognizione del tempo nei momenti di sottomissione, non in quel modo, non mentre non veniva usata.
Si rassegnò all’attesa del piacere e guardò verso l’alto, attratta dal movimento arrogante dei piedi della Padrona che, sapeva, li stava muovendo a suo beneficio, quasi un richiamo, alimentando il desiderio della schiava di leccarli e dando alla barriera il compito di far maggiormente desiderare ciò che non si può avere.
I Padroni avevano appena terminato l’antipasto.
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