Sesso e ginnastica.

di
genere
etero


Nell'estate del 1986, giunsi alle vacanze estive dopo aver superato l'ultimo esame: di fronte a me, si apriva l' "alto mare remoto" della tesi di laurea.
Quanto tempo avrei impiegato per giungere "a piaggia"?
Non mi importava, pel momento; l' "imperativo categorico" era: "godersi il meritato riposo".
Durante la prima settimana, mi recai a fare visita alla Signora Dina, la quale mi accolse, come sempre, con materna cordialità.
Indossava una tuta rosa ed un paio di scarpette da ginnastica.
Nonostante i precedenti, da me puntualmente narrati nel "trittico" intitolato "Quell'estate del 1976" e, per finire, nel racconto intitolato "Quel pomeriggio di un lontano dicembre", mi comportai da perfetto gentiluomo intavolando una conversazione assolutamente superficiale.
Dopo qualche minuto, fu lei a dirmi:
- Stavo per scendere in garage per fare ginnastica, mi accompagni?
Acconsentii e scendemmo.
Una volta entrati, passando per una porta comunicante con l'androncino d'ingresso, la Signora Dina mi disse:
- Chiudi la porta e tira il nottolino...
Non appena eseguito l'ordine, senza por tempo in mezzo, la Signora Dina si sfilò la tuta.
Nessun indumento intimo: era del tutto nuda!
Per finire, la Signora Dina si tolse le scarpe dando, all'insieme, un ulteriore tocco di sensualità.
Il Lettore deve, a questo punto, essere informato del fatto che, il marito della Signora Dina, il Signor Gino, insegnante di educazione fisica, aveva attrezzato a palestra il garage di pertinenza del proprio appartamento, collocandovi una spalliera, altri attrezzi ginnici e, persino, una doccia.
La Signora Dina si appoggiò la schiena alla spalliera, tenendo basse le mani afferrò uno dei pioli e, divaricate leggermente le gambe, cominciò a fare delle flessioni.
La sensualità del suo corpo aumentava man mano che il sudore stillava dalla sua pelle, integralmente abbronzata, rendendola magicamente lucida.
L'esercizio durò una mezza dozzina di minuti, fino a quando la donna, fatto "dietrofront", afferrò il piolo che si trovava all'altezza dei suoi occhi e flesse il busto in avanti e, conseguentemente, le natiche all'indietro.
- Posso...entrare? - domandai timidamente.
- Devi: altrimenti...potrei iniziare a pensar male...
- Credevo che...e Mark?...
- Dai, dai, niente chiacchiere...
Mi denudai anch'io e, subito, introdussi il mio scettro, eretto all'inverosimile, nella rovente vagina della Signora Dina, stillante di secrezioni.
Iniziai il coito, eccitato, al massimo, dal forte odore delle secrezioni vaginali della donna frammisto a quello del suo sudore: un afrore animalesco, non di donna, ma di femmina, di pura, autentica femmina che impregnava tutto l'ambiente, invero non troppo grande, ed inebriava i sensi esaltandoli al parossismo.
Beninteso, passai al "secondo canale" agendo, in contemporanea, sul clitoride; fu allora che appoggiò la testa sulle braccia, tenendo aperta la bocca, senza emettere alcun suono.
Dopo pochi minuti esplosi in lei, mantenendo, tuttavia, l'erezione.
Fu allora che la Signora Dina staccò da me per tornare in una posizione frontale; alzò le braccia sino al piolo posto sopra alla sua testa, lo agguantò ed alzò, nel contempo, le gambe a squadra.
La penetrai di nuovo mentre circondava le mie reni con le sue gambe, acconsertendo i piedi dietro la mia schiena.
Agguantai anch'io il suo medesimo piolo e ripresi il galoppo; la donna alternava flebili grida ad un silenzioso digrignare di denti.
Quando sentii "montare la marea" uscii dal suo corpo e, messele le mani sotto le ascelle, l'adagiai a sedere sul pavimento.
Aprì le labbra ed io tornai in lei: non passarono che pochi minuti e le inondai la bocca di sperma che, traboccando, le colo', in basso, sul collo, sino ai suoi seni.
Esausti, ci sedemmo su di una panchetta; dopo qualche minuto, fu lei, con uno scatto di un'eleganza assoluta, degno di una "etoile" della danza classica, e che denotava l'assenza, totale, di ogni rigidità muscolare, ad alzarsi per prima.
Mi disse:
- Vieni, prendiamo una doccia.
Mentre l'acqua fresca ritemprava i nostri corpi, io non le levavo gli occhi di dosso: mai avevo visto nulla di più bello, ed erotico, ad un tempo.
L'acqua, scorrendo sulle sue membra, trasformava la Signora Dina in una scultura vivente: una Naiade in carne ed ossa al cui richiamo al sesso era assolutamente impossibile resistere.
Mi avvicinai a lei e, presele entrambe le mani, gliele portai sopra la testa tenendogliele ben ferme, baciandole la bocca con tutto il mio ardore.
La Signora Dina mi corrispose, mentre il mio scettro, di nuovo in assoluta erezione, la forzò ad allargare le gambe ed entrò, ancora una volta, in modo prorompente, in lei.
Il coito durò per un periodo che mi sembrò senza tempo.
Stavo, per la prima volta, possedendo la Signora Dina, "da uomo" per cui, una volta entrato in lei, la presi con tutte le mie "forze virili", senza alcuna traccia di quel "timore reverenziale" nutrito dallo "allievo" nei confronti della "maestra", e derivante, come ancora pochi minuti prima, dal "suo" invito alla penetrazione: esprimevo, così, tutta la mia padronanza di maschio sulla sua femminilità.
Non mi sentivo più il "ragazzetto da divertirsi a divezzare" per poi "mandare a giocare" con le coetanee, magari proprio con Valentina che, come seppi in seguito, aveva, e da tempo, iniziato a "farsi le ossa".
Ero "un uomo", un uomo nel pieno delle sue forze, che possedeva, beninteso col suo pieno consenso, non una donna, intesa nell'accezione più alta e nobile di tale sostantivo, come si sarebbe, di lì a poco, potuta identificare nella mia adorata "Lady Rowena" ed in altre nobilissime esponenti del sesso femminile, ma una "femmina", un vero e proprio "animale da letto", permanentemente in preda al più totale calore, resa ancora più seducente dall'assoluta mancanza di cosmesi che accentuava, al massimo, la sua ctonicita'.
Al momento dell'eiaculazione, detti una spinta fortissima di reni, quasi a mimare un "virtuale" squartamento nell'ambito di un atavicissimo sacrificio umano. Sacrificio, beninteso, non di una "vergine consacrata", ma di una sorta di selvaggio animale femmina, il cui spargimento di sangue sarebbe servito a placare, ed ingraziarsi, le potenze celesti.
Il mio seme venne lanciato nei più profondi recessi del suo corpo, mentre le nostre bocche continuavano a baciarsi, ferocemente quasi a volersi sopraffare l'un l'altra.
La doccia finì; quando, asciutti e rivestiti, stavamo per aprire la porta, la Signora Dina, sorridendo, mi disse:
- Te lo ripeto: sei diventato un vero uomo...e se mi avessi messo incinta?...
Le risposi:
- Ma dai...una come te non può non prendere la pillola...
comunque, al massimo, Valentina avrà un fratellino, od una sorellina, tu un figlio, od una figlia, da istruire nelle arti del sesso ed...il buon Gino...come sempre, abboccherà.
"Absit iniuria verbis": cornuti si nasce.
Ne convieni?
A queste mie parole, ridemmo entrambi, per poi baciarci di nuovo, profondamente.
Dopodiché, uscii per rincasare.
EPILOGO.
Ho appreso, pochi giorni or sono, delle precarie condizioni di salute della Signora Dina.
La cosa mi ha rattristato, profondissimamente, fermi restando i "crediti morali", assolutamente imprescrittibili, da me vantati nei suoi confronti.
Auspico, che le sue condizioni di salute possano migliorare e, col miglioramento, possa trovare, una volta per tutte, nel fondo del suo animo, quella "carica" di onestà intellettuale atta a farle comprendere la gravità e, vieppiù, la superlativa idiozia dei propri errori.
Auspico che il Cielo possa concedere, altresì, alla Signora Dina, tutto quel tempo, che, invero, ritengo lunghissimo, necessario ad emendarli.

scritto il
2022-07-02
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