La gabbia
di
Kugher
genere
sadomaso
I due operai entrarono in casa portando quanto i clienti avevano acquistato, optando per la consegna a domicilio, viste le dimensioni dell’oggetto.
Era una via residenziale e non avevano avuto problemi con il parcheggio del camion che avevano lasciato proprio davanti alla porta di ingresso.
Lo scatolone non era molto pesante, ma era abbastanza grosso. Una persona, da sola, non ce l’avrebbe fatta.
Vennero accolti da un uomo distinto che, all’apparenza, aveva già superato i 50 anni.
Fece loro strada fino alla sala dove avrebbero dovuto posare l’acquisto.
Non sapevano cosa ci fosse dentro ma non si posero il problema fino a quando, entrati in casa, non videro la moglie dell’uomo, anch’essa di pari età, appesantita dagli anni, seduta in poltrona, vestita bene, per essere abbigliamento da casa.
Stesa a terra, ai suoi piedi, vi era una giovane donna, alla quale non diedero più di 25 anni, nuda, con evidenti tracce di sperma tra le cosce.
La donna, che aveva una ciabatta posata sul viso della ragazza, chiuse il libro che stava leggendo tenendo dentro il dito indice quale segno per la successiva ripresa.
I due uomini restarono sbigottiti, dimentichi del pacco che avevano in mano, fermi immobili ad osservare la scena, vissuta dai padroni di casa con assoluta naturalezza.
La donna, Marta, fu gentile ed ignorò il loro sbigottimento dal quale, anche se non traspariva, trasse il piacere per l’esibizione della scena di dominio. Lei e suo marito, Andrea, da sempre attratti dalla normalità di una situazione anormale.
Anche l’uomo, pur conservando impassibilità, stava provando lo stesso piacere della moglie e di Ileana, la ragazza sottomessa, eccitata nel mostrare, seppure ad un pubblico ridotto ed ignaro, la sua situazione.
In episodi simili, spesso ricercati, non era chiaro se fosse la anormalità a divenire normale oppure se la normalità si tingesse di anormalità.
In ogni caso quei forti contrasti generavano emozioni ed eccitazione, quella che da il sale alla vita e crea quella particolare situazione al basso ventre che, accumulandosi in tante e simili esperienze, creava tra i protagonisti una complicità sempre più forte.
“Ma...è vostra figlia”?
I due uomini erano sbigottiti e non sapevano se eccitarsi o spaventarsi. La domanda venne senza ragionamento, spontanea, sia per cercare di capire la situazione sia perché la differenza di età avrebbe potuto tranquillamente portare a quel dubbio.
In casa vi erano fotografie di marito e moglie accanto ad una giovane ragazza. La posizione a terra, col viso coperto dal piede, non dava modo di riconoscerla.
Marta non si scompose e mantenne, nel rispondere, il piede, ancora calzato dalla ciabattina, sul viso della ragazza stesa a terra, confermando, così, la “loro” normalità della situazione.
“No, nostra figlia è a Londra per lavoro, lei è la nostra schiava”.
Marta avrebbe potuto usare tante parole, tante altre definizioni, ma scelse quella più forte che, pronunciata con naturalezza, assunse ancora più forza, colpendo l’immaginario di quegli uomini.
Tutti e tre avevano intenzione di trarre il maggiore piacere da quella circostanza, immaginando anche cosa avrebbero raccontato i due operai, magari ingigantendo o, forse, sminuendo per il timore di non essere creduti se avessero ecceduto con i particolari.
Avevano ancora il pacco in mano e sembravano non accorgersene, non sapendo dire da quanto tempo fossero lì inebetiti. Il minuto, forse qualcosa di più, a loro parve essersi fermato, con la mente che cercava soluzioni a quella scena che, comunque, era eccitante.
“Schiava? L’avete comperata?”.
Colui che pose la domanda fece trasparire un certo irrigidimento, per il timore che ci fosse una situazione di illegalità.
Fu Ileana a rispondere, sollecitata da Marta che accompagnò l’invito con una piccola ma evidente pressione del piede sul viso.
Il peso dell’articolazione della donna andava a gravare anche sulla bocca rendendo difficoltosa l’espressione che divenne fonte di ulteriore eccitazione.
“No, sono loro proprietà per mia scelta”.
Anche la ragazza fece ricorso a parole forti, evitando di ripetere quella che già aveva sortito il suo effetto e scegliendone altra che, confermando la prima, ne sottolineava maggiormente la potenza.
Il dubbio sgomberato fece sì che questo venisse sostituito da definita eccitazione.
“Posate sul tappeto il pacco ed apritelo per cortesia, così ci farete anche la cortesia di portare via il cartone che, per noi, sarebbe solo un ingombro”.
L’eccitazione, per tutti, aumentò quando i due uomini scoprirono il contenuto costituito da una gabbia che, per dimensioni, era evidente che sarebbe stata destinata ad ospitare la ragazza al suo interno.
Se i due uomini avessero potuto vedere l’espressione della schiava a terra non avrebbero potuto decifrare lo sguardo misto di eccitazione ed apprensione o, anche se lo avessero potuto osservare, avrebbero pensato che fossero emozioni contrastanti dettate dall’eccitazione per la costrizione e dalla preoccupazione per essere chiusa dentro.
Ad alimentare il fuoco dei brividi nel basso ventre contribuì Andrea che, da una innocente scatoletta posta sul tavolino, estrasse un grosso lucchetto, il cui scopo era evidentemente di impedire alla schiava di uscire.
L’uomo si avvicinò ad ammirare la robusta fattura dell’acciaio e provò immediatamente il lucchetto che entrò bene tra le sbarre della porticina.
“Firmo io, mentre mio marito controlla”.
Marta voleva che uno dei due uomini si avvicinasse a lei in modo che avesse ai propri piedi la ragazza stesa a terra, forzando quella situazione di normale anormalità.
La eccitava anche pensare che Ileana avrebbe avuto davanti al proprio viso gli scarponi sporchi di quello sconosciuto, involontario testimone della sua sottomissione e nudità.
L'inguine dell’uomo, che era già evidentemente messo alla prova, subì un ulteriore sollecitazione quando, avvicinatosi, notò due evidenti segni sulla pelle della ragazza, sicuramente procurati da quel frustino che, posato innocentemente in un angolo, inizialmente non era stato notato e dal quale, ora, non riusciva a staccare lo sguardo.
Ritirato il documento munito della firma, gli uomini erano ancora bloccati, non volendo fare ciò che, invece, avrebbero dovuto, cioè andarsene.
Fu Andrea a toglier loro dall’imbarazzo.
“Aspettate, prima che ve ne andiate proviamo la gabbia perché, se non andasse bene, la dovremmo cambiare”.
Marta tolse il piede e si alzò, dirigendosi verso il nuovo acquisto e, battendo la mano aperta sulla propria gamba, invitò la schiava a seguirla, con quel gesto tipico, che non sfuggì agli ospiti, che si fa coi cani.
Ileana si mosse obbediente ma con incertezza. Raggiunta la Padrona si prostrò ai suoi piedi manifestando tutta la sua ansia.
“Soffro di claustrofobia”.
Dalla voce preoccupata avrebbe agevolmente essere percepita l’eccitazione per essere costretta a fare qualcosa che non voleva, ulteriore testimonianza della sua sottomissione.
Andrea sorrise, mentre Marta si abbassò e cominciò ad accarezzare la ragazza con movimenti lenti che avevano lo scopo di calmarla.
Si conoscevano ormai da tempo, avendo così avuto modo di comprendere i rispettivi limiti ed il potere guadagnato su di lei, fonte di eccitazione per chi lo esercitava ma anche per chi lo subiva.
Quando si fu calmata, la voce calma e rassicurante della donna infranse le ultime resistenze.
“Lo sai che non ha importanza. Devi ubbidire”.
Andrea aveva aperto la porticina e teneva in mano il lucchetto, pronto per essere chiuso.
I due operai, eccitati per quella costrizione che non ebbe l’effetto di impietosirli, provarono piacere nell’osservare Marta che, alzatasi, col piede spinse la ragazza verso la gabbia.
“Dentro!”.
Le sbarre limitavano molto lo spazio e Ileana stava dentro con poco agio.
Inizialmente stette prostrata poi, piano piano, riuscì ad accucciarsi su un fianco, restando rannicchiata avendo così la sola visuale delle caviglie di tutti i presenti, non riuscendo, pur potendo, ad alzare lo sguardo.
I battiti cardiaci di coloro che erano in piedi aumentarono quando la schiava cominciò a mostrare ansia nella sua costrizione.
La Padrona, a quel punto, si sedette sulla gabbia e, come si aspettava, la ragazza si tranquillizzò dalla sua vicina presenza, rassicurata quando, alzando finalmente gli occhi, si vide le natiche di Marta che incombevano su lei. Scendendo con gli occhi provò piacere nel vedere le cosce piene fino alle caviglie ed ai piedi.
I battiti di Ileana continuarono a battere ma privati dell’ansia che aveva fatto posto all’eccitazione.
Dalla sua comoda posizione, mentre il marito chiudeva col lucchetto la porticina, Marta si rivolse agli operai.
“La gabbia è perfetta, grazie, potete andare”.
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krugher.1863@gmail.com
Era una via residenziale e non avevano avuto problemi con il parcheggio del camion che avevano lasciato proprio davanti alla porta di ingresso.
Lo scatolone non era molto pesante, ma era abbastanza grosso. Una persona, da sola, non ce l’avrebbe fatta.
Vennero accolti da un uomo distinto che, all’apparenza, aveva già superato i 50 anni.
Fece loro strada fino alla sala dove avrebbero dovuto posare l’acquisto.
Non sapevano cosa ci fosse dentro ma non si posero il problema fino a quando, entrati in casa, non videro la moglie dell’uomo, anch’essa di pari età, appesantita dagli anni, seduta in poltrona, vestita bene, per essere abbigliamento da casa.
Stesa a terra, ai suoi piedi, vi era una giovane donna, alla quale non diedero più di 25 anni, nuda, con evidenti tracce di sperma tra le cosce.
La donna, che aveva una ciabatta posata sul viso della ragazza, chiuse il libro che stava leggendo tenendo dentro il dito indice quale segno per la successiva ripresa.
I due uomini restarono sbigottiti, dimentichi del pacco che avevano in mano, fermi immobili ad osservare la scena, vissuta dai padroni di casa con assoluta naturalezza.
La donna, Marta, fu gentile ed ignorò il loro sbigottimento dal quale, anche se non traspariva, trasse il piacere per l’esibizione della scena di dominio. Lei e suo marito, Andrea, da sempre attratti dalla normalità di una situazione anormale.
Anche l’uomo, pur conservando impassibilità, stava provando lo stesso piacere della moglie e di Ileana, la ragazza sottomessa, eccitata nel mostrare, seppure ad un pubblico ridotto ed ignaro, la sua situazione.
In episodi simili, spesso ricercati, non era chiaro se fosse la anormalità a divenire normale oppure se la normalità si tingesse di anormalità.
In ogni caso quei forti contrasti generavano emozioni ed eccitazione, quella che da il sale alla vita e crea quella particolare situazione al basso ventre che, accumulandosi in tante e simili esperienze, creava tra i protagonisti una complicità sempre più forte.
“Ma...è vostra figlia”?
I due uomini erano sbigottiti e non sapevano se eccitarsi o spaventarsi. La domanda venne senza ragionamento, spontanea, sia per cercare di capire la situazione sia perché la differenza di età avrebbe potuto tranquillamente portare a quel dubbio.
In casa vi erano fotografie di marito e moglie accanto ad una giovane ragazza. La posizione a terra, col viso coperto dal piede, non dava modo di riconoscerla.
Marta non si scompose e mantenne, nel rispondere, il piede, ancora calzato dalla ciabattina, sul viso della ragazza stesa a terra, confermando, così, la “loro” normalità della situazione.
“No, nostra figlia è a Londra per lavoro, lei è la nostra schiava”.
Marta avrebbe potuto usare tante parole, tante altre definizioni, ma scelse quella più forte che, pronunciata con naturalezza, assunse ancora più forza, colpendo l’immaginario di quegli uomini.
Tutti e tre avevano intenzione di trarre il maggiore piacere da quella circostanza, immaginando anche cosa avrebbero raccontato i due operai, magari ingigantendo o, forse, sminuendo per il timore di non essere creduti se avessero ecceduto con i particolari.
Avevano ancora il pacco in mano e sembravano non accorgersene, non sapendo dire da quanto tempo fossero lì inebetiti. Il minuto, forse qualcosa di più, a loro parve essersi fermato, con la mente che cercava soluzioni a quella scena che, comunque, era eccitante.
“Schiava? L’avete comperata?”.
Colui che pose la domanda fece trasparire un certo irrigidimento, per il timore che ci fosse una situazione di illegalità.
Fu Ileana a rispondere, sollecitata da Marta che accompagnò l’invito con una piccola ma evidente pressione del piede sul viso.
Il peso dell’articolazione della donna andava a gravare anche sulla bocca rendendo difficoltosa l’espressione che divenne fonte di ulteriore eccitazione.
“No, sono loro proprietà per mia scelta”.
Anche la ragazza fece ricorso a parole forti, evitando di ripetere quella che già aveva sortito il suo effetto e scegliendone altra che, confermando la prima, ne sottolineava maggiormente la potenza.
Il dubbio sgomberato fece sì che questo venisse sostituito da definita eccitazione.
“Posate sul tappeto il pacco ed apritelo per cortesia, così ci farete anche la cortesia di portare via il cartone che, per noi, sarebbe solo un ingombro”.
L’eccitazione, per tutti, aumentò quando i due uomini scoprirono il contenuto costituito da una gabbia che, per dimensioni, era evidente che sarebbe stata destinata ad ospitare la ragazza al suo interno.
Se i due uomini avessero potuto vedere l’espressione della schiava a terra non avrebbero potuto decifrare lo sguardo misto di eccitazione ed apprensione o, anche se lo avessero potuto osservare, avrebbero pensato che fossero emozioni contrastanti dettate dall’eccitazione per la costrizione e dalla preoccupazione per essere chiusa dentro.
Ad alimentare il fuoco dei brividi nel basso ventre contribuì Andrea che, da una innocente scatoletta posta sul tavolino, estrasse un grosso lucchetto, il cui scopo era evidentemente di impedire alla schiava di uscire.
L’uomo si avvicinò ad ammirare la robusta fattura dell’acciaio e provò immediatamente il lucchetto che entrò bene tra le sbarre della porticina.
“Firmo io, mentre mio marito controlla”.
Marta voleva che uno dei due uomini si avvicinasse a lei in modo che avesse ai propri piedi la ragazza stesa a terra, forzando quella situazione di normale anormalità.
La eccitava anche pensare che Ileana avrebbe avuto davanti al proprio viso gli scarponi sporchi di quello sconosciuto, involontario testimone della sua sottomissione e nudità.
L'inguine dell’uomo, che era già evidentemente messo alla prova, subì un ulteriore sollecitazione quando, avvicinatosi, notò due evidenti segni sulla pelle della ragazza, sicuramente procurati da quel frustino che, posato innocentemente in un angolo, inizialmente non era stato notato e dal quale, ora, non riusciva a staccare lo sguardo.
Ritirato il documento munito della firma, gli uomini erano ancora bloccati, non volendo fare ciò che, invece, avrebbero dovuto, cioè andarsene.
Fu Andrea a toglier loro dall’imbarazzo.
“Aspettate, prima che ve ne andiate proviamo la gabbia perché, se non andasse bene, la dovremmo cambiare”.
Marta tolse il piede e si alzò, dirigendosi verso il nuovo acquisto e, battendo la mano aperta sulla propria gamba, invitò la schiava a seguirla, con quel gesto tipico, che non sfuggì agli ospiti, che si fa coi cani.
Ileana si mosse obbediente ma con incertezza. Raggiunta la Padrona si prostrò ai suoi piedi manifestando tutta la sua ansia.
“Soffro di claustrofobia”.
Dalla voce preoccupata avrebbe agevolmente essere percepita l’eccitazione per essere costretta a fare qualcosa che non voleva, ulteriore testimonianza della sua sottomissione.
Andrea sorrise, mentre Marta si abbassò e cominciò ad accarezzare la ragazza con movimenti lenti che avevano lo scopo di calmarla.
Si conoscevano ormai da tempo, avendo così avuto modo di comprendere i rispettivi limiti ed il potere guadagnato su di lei, fonte di eccitazione per chi lo esercitava ma anche per chi lo subiva.
Quando si fu calmata, la voce calma e rassicurante della donna infranse le ultime resistenze.
“Lo sai che non ha importanza. Devi ubbidire”.
Andrea aveva aperto la porticina e teneva in mano il lucchetto, pronto per essere chiuso.
I due operai, eccitati per quella costrizione che non ebbe l’effetto di impietosirli, provarono piacere nell’osservare Marta che, alzatasi, col piede spinse la ragazza verso la gabbia.
“Dentro!”.
Le sbarre limitavano molto lo spazio e Ileana stava dentro con poco agio.
Inizialmente stette prostrata poi, piano piano, riuscì ad accucciarsi su un fianco, restando rannicchiata avendo così la sola visuale delle caviglie di tutti i presenti, non riuscendo, pur potendo, ad alzare lo sguardo.
I battiti cardiaci di coloro che erano in piedi aumentarono quando la schiava cominciò a mostrare ansia nella sua costrizione.
La Padrona, a quel punto, si sedette sulla gabbia e, come si aspettava, la ragazza si tranquillizzò dalla sua vicina presenza, rassicurata quando, alzando finalmente gli occhi, si vide le natiche di Marta che incombevano su lei. Scendendo con gli occhi provò piacere nel vedere le cosce piene fino alle caviglie ed ai piedi.
I battiti di Ileana continuarono a battere ma privati dell’ansia che aveva fatto posto all’eccitazione.
Dalla sua comoda posizione, mentre il marito chiudeva col lucchetto la porticina, Marta si rivolse agli operai.
“La gabbia è perfetta, grazie, potete andare”.
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