Una ragazza docile
di
RunningRiot
genere
etero
Cadelinha, che con la mano infilata nei miei leggings mi illustri le opportunità che offre l'Erasmus, quelle che sul sito non si trovano. Che stacchi la lingua dalla mia per prenderti il mio ultimo spasmo e il mio ultimo singhiozzo, i miei brividi, aspettando che il mio respiro ritrovi tranquillità. E ora? La notte è lunghissima e questo bagno è troppo piccolo, troppo richiesto. L'impazienza delle altre avrà bussato almeno tre volte alla sua porta. Le abbiamo ignorate, le abbiamo insultate, ci siamo comportate come non ci comporteremmo mai. Sono pronta ad uscire, sono pronta alla rissa, sono pronta a lasciarmi baciare scandalosamente un'altra volta davanti a tutte. Dobbiamo andare, vogliamo andare.
Piccola tossica, che mi mostri le meraviglie del sistema scolastico portoghese con il tuo inglese perfetto, anche migliore del mio. Ora che sono venuta mi sussurri all'orecchio "you're so beautiful" mentre ti attorcigli una mia ciocca su un dito, mi prendi una mano e te la porti al seno sussurrando "feel my heartbeat", piena di rimpianto mi dici "we got to go", mi guardi con i tuoi occhi scuri e domandi muta se ti voglio.
Yes I do, little slut. Ti voglio ora, ti voglio tanto, ti voglio tutta. Usciamo da questo bagno, usciamo da questo locale. Sono impazzita, e poiché sono impazzita voglio fare pazzie: facciamo un sessantanove sul marciapiede? Voglio che mi spogli, voglio sentire che effetto fa quel piercing che hai sulla lingua quando lo presenterai al mio grilletto. Voglio sbottonarti i jeans, voglio vedere il colore delle tue mutandine. Voglio vederti allargare un po' le gambe e sentirti sospirare che non resisti più. Voglio baciare, voglio leccare, voglio la tua smania liquida sulla bocca, voglio mischiarla con la mia saliva, voglio vederti perdere la testa.
Galeotto è stato questo bagno, sia per me che per lei, Micaela. Quando ci siamo quasi scontrate all’uscita si è paralizzata, guardandomi in modo strano. Quel modo che ti fa domandare cosa c'è che non va. Ti fa venire voglia di tornare a guardarti allo specchio. Più tardi, ma molto più tardi, saprò invece che in quello sguardo c'erano già, mescolati insieme e inconsapevoli, il desiderio e il timore che non l'avessi nemmeno notata e che non l'avrei fatto mai.
Invece l'ho fatto, perché una cosa da notare c'era, è stata quella che ha attirato la mia attenzione. Una cosa piccola, una alterazione minima, ma che andava cancellata subito. Non perché nessuno se ne accorgesse. Qui dentro, anzi, figuriamoci... Ma perché deturpava l'immagine del suo viso.
Mi sono picchiettata la punta del naso con un dito. Lei se l'è strusciata con il palmo, si è guardata la mano, ha cercato il mio sguardo e la mia approvazione. Ha cercato il mio sorriso che le diceva "adesso è ok". E poi è scoppiata a ridere, ha dovuto proprio appoggiarsi alla porta. E mentre rideva l’ho guardata bene. Dall'alto in basso, perché una certa differenza di statura c'è e lei arriverà forse all'uno e sessantacinque. I suoi occhi scuri, come i capelli sciolti sulle spalle, il nasino non più macchiato di bianco, i suoi denti candidi, la sua carnagione un po’ scura. Il top che faticava a nascondere un push up di cui avrei bisogno molto più io che lei. Fianchi e pancia scoperti, cosce fasciate e strette negli slim fit. Contagiosa, la sua risata, da imitare. Tutto è scomparso, tutte sono scomparse, e a confrontarsi all'uscita di quel bagno sono rimaste solo la pallida e bionda cicogna e la moretta formosetta. Finché la spinta di una tipa sulla porta ha infranto l'attimo sospeso.
"Want some?". Grazie, ma mi sono appena calata. Cosa... boh. Mister Adam, I guess. Forse, così mi hanno detto. Sulla pastiglietta lo stampino con lo smile c’era, anche se poi come fai a esserne sicura? Dovrei fidarmi, quello che me l'ha data non è uno sconosciuto, è un ragazzo che ha il suo giro. Due-tre locali, se ci vado ho discrete probabilità di incontrarlo. E anche discrete probabilità di rimediare qualcosina gratis. Ma quale benefattore dell'umanità... è che gli piaccio. Lui invece non è nemmeno tutto sto granché, tuttavia una sera gliel'ho succhiato. In quel momento neanche lo sapevo che fosse una farmacia ambulante, fu una cosa assolutamente disinteressata dopo che mi aveva offerto due tiri del formaggino blu. Lo contrabbandai per un ringraziamento ma in realtà mi andava di farne uno senza senso, per riscaldare la serata. Credo proprio che lui - che delle idee nei miei riguardi ce le aveva, eccome - nemmeno si aspettasse di ottenere così tanto in così poco tempo. Ma andò in questo modo, e adesso quasi ogni volta che ci incontriamo mi offre qualcosa, senza nulla pretendere. Vedete che ad essere troie ogni tanto ci si guadagna? Solo che comincio a sentirmi in debito e stasera gliel'ho anche detto: "Mi sa che una volta o l'altra dovrò ringraziarti ancora". "Ahah, io ho segnato tutto, eh?", ha risposto ridendo. Non sarà attraente, ma almeno è simpatico. Sì lo so, non dovrei. No, non dico i bocchini, sto parlando delle paste e di tutta l'altra roba. Lo so, lo so, ma lo faccio ugualmente. A volte ho bisogno di uscire da me stessa, di perdermi. Ciao, ci vediamo domani. Probabilmente con il mal di testa.
Non ho la minima idea del motivo per cui mi metto a raccontare tutto ciò – esclusa la pompino-story - a questa ragazza. Qui, al cesso, tra i lavandini e le porte dei box, tra le altre che pisciano, si truccano, elemosinano un'assorbente, assistono un'amica che ha appena vomitato. Le parlo del mio distributore di pastiglie come se fossimo a prendere un tè a Buckingham palace, forse perché quella roba ha già cominciato a fare effetto. Veloce, però. O sono io che ho perso la cognizione del tempo?
Anche per lei è come se tutto intorno non esistesse. Si lamenta di quanto sia difficile rimediare qualcosa qui a Roma. A Lisbona te la offrono per strada senza tanti problemi, soprattutto il venerdì sera. È una cosa che fa con le sue amiche quando vanno a ballare, e sottolinea che a lei piace parecchio ballare. Piace anche a me? Beh, sì, ma per la verità io stasera avevo solo voglia di uscire fuori di testa. Voglia di ballare, mah, un po' meno. Qui non è bello. Il piano di sotto, quello dal quale arrivano musica e vibrazioni, è troppo piccolo, c'è troppa gente. E da quando mi hanno fatto notare come i maniglioni antipanico delle porte di sicurezza siano bloccati da una catena, non ci scendo nemmeno tanto volentieri. Però, qui di sopra, se cerchi qualcuno che ti offra da bere e qualcos'altro, è il posto giusto, c'è più luce e ti rendi conto meglio di certi dettagli. Prima di incontrare quel ragazzo che mi ha passato la roba mi ero già fatta tre bicchieri, avevo rifiutato tre avances. Uno shot val bene un bacio o una mano sul culo, le racconto ridendo. Esagero, di mano sul culo ne ho sentita solo una, di baci nemmeno l'ombra. "Drink, thank and fly away ahahahah", ecco la strategia. Almeno finché non trovi, se lo trovi, uno che ti attizza davvero per meriti propri o perché le tue difese si abbassano drasticamente. In quel caso magari ti attardi con lui e vedi come va. Ma questo a lei non lo dico.
Al contrario le dico sì quando mi propone di farlo insieme, si affida a quella che definisce "la tua tecnica". Non c'è una grande tecnica, amica mia: tu sei figa, loro ci provano, that’s all. Ti invitano a ballare o ti offrono da bere. Spesso le due cose insieme. Prima di tutto da bere, però, perché si sa, se la puttanella beve un po' è meglio. Non posso credere che non le sia mai capitato, quindi interpreto la sua richiesta come una scusa. Sarò pure in trip, ma non ci vuole un genio. Perciò d'accordo, vediamo se qualcuno ci offre da bere. Lo faccio perché mi va di cazzeggiare insieme a questa ragazza, passarci del tempo, guardarla, ascoltare la sua voce. Se non balli, in effetti, un po' ti annoi.
Poi però non c'è bisogno di fare nulla, perché siamo intercettate da un tipo che le mette la mano sulla pancia e la lingua nell'orecchio, le passa una Corona già stappata. Matej, sloveno. "Your boyfriend?", le domando quando il ragazzo si dilegua dopo avermi fatto una Tac con gli occhi. Muove la mano come a dire "metà e metà". Un suo coinquilino, più che altro. I suoi sono convinti che conviva con due ragazze, e fino a un paio di mesi fa era così. Ma poi nell'appartamento c'è stato un certo turn over e ora lei lo divide con due ragazzi. Uno è frocio, l'altro è Matej, appunto. Ogni tanto lei gli apre la porta della sua camera, e non solo. Ride ammettendo di avere fantasticato a lungo, prima di partire, sui ragazzi italiani. E invece è andata a sbattere su uno sloveno, ahahah…
Ride, non smette mai di ridere. Quello che lei ha tirato su la fa ridere, la fa parlare e straparlare. Quello che io ho buttato giù mi fa essere ben disposta, attenta, empatica. Mi fa essere curiosa dei particolari morbosi. Come ad esempio sapere se quello che vive con loro non dice niente. Perché… beh, sì, i rompicoglioni esistono, no? Sì certo, risponde, esistono ma non è questo il caso. Perché il ragazzo gay non si scandalizza, il ragazzo gay è riservato, il ragazzo gay è innamorato, il ragazzo gay è fidanzato, il ragazzo gay non tradisce, il ragazzo gay si fa le seghe sentendoli scopare. E tu come lo sai? La mia domanda resta senza risposta, si vede che anche il suo cervello è impaziente di farsi accendere dalle curiosità più scabrose. Per esempio sapere se invece io, proprio io, mi eccito se sento qualcuno scopare.
Eccoci, siamo sintonizzate sulla frequenza “sesso”, ci siamo arrivate. È stato merito dei miei capelli? Davvero ti piacciono così tanto? Ti piace arricciarli su un dito? Vuoi davvero sapere se mi è mai capitato di vedere qualcuno scopare? Davvero? Beh, ho visto due mie amiche scopare su una spiaggia. Tra loro? No, con due ragazzi. E tu che facevi? Nulla. E poi? Poi sono andata a fare una fumata illegale e a masturbarmi. Ti sarebbe piaciuto di più se le avessi viste farlo tra di loro? Non lo so, perché? Le tue amiche ti piacciono? Una sì, molto. Ci hai mai fatto qualcosa? Sì. E chi comandava tra voi due? Scusa, in che senso, perché me lo chiedi?
Eeeeh... me lo chiede perché è una sua fantasia. La sua fantasia è una ragazza, ma è una fantasia con diverse sfaccettature: la sua fantasia è baciare una ragazza; la sua fantasia è baciare una ragazza dopo averla legata; la sua fantasia è baciare una ragazza bionda; la sua fantasia è baciare me. Assisto arrendevole alla cascata di immagini e parole che mi riversa addosso, subisco arrendevole il suo inevitabile bacio. A dire il vero non mi sento neanche troppo arrendevole, tuttavia alle sue labbra cedo praticamente subito. Come quando cedo agli abbracci, alle lingue e alle mani dei ragazzi. Se sei un po' fatta è anche più facile, no?
A lei però non lo dico, non dico nulla. Accetto il suo bacio e ci sorridiamo. Trovo un po' curioso che mi chieda adesso, dopo che mi ha baciata, se mi piace. Sì, certo che mi piaci. Cosa sei, insicura? O è solo un vezzo? Sei bellissima e - sai, le due cose non vanno sempre insieme - sei arrapante. Mi punta l'indice sul petto, lo sfiora, lo sfiora proprio lì. Eh no, non ho il reggiseno. Eh sì, ho i capezzoli eccitati. Eh sì, sono eccitata, sei stata tu. Non ti è mai capitato che una ragazza ti facesse decollare?
Sì, le è capitato. Una sera le è capitato anche parecchio, tanto che a un certo punto aveva proprio pensato che sarebbe andata fino in fondo, che era impossibile che non succedesse niente. Invece, alla fine, niente, le androgine le fanno paura. Quindi eccitata sì ma combinarci qualcosa no. Perciò le fantasie sono rimaste tali ed è vero, se ne rende conto anche lei, quelle che mi ha descritte sono fantasie un po' dom. Ma oltre ai baci ubriachi, più o meno rubati ad amiche ubriache, non è mai andata. Io? Io sì, te l'ho detto, sono andata oltre i baci. Quanto a comandare o essere comandata... beh, sai, i ruoli non sono prestabiliti, cambiano. Ma comunque essere legata e baciata non è ciò che intendo io per essere sottomessa.
No, rispondo al suo sguardo interrogativo, non intendo violenza, catene, fruste e tutte quelle cazzate lì. Intendo quando ti fottono il cervello, per prima cosa. Che ti devo dire, si vede che non sono una submissive classica. Sono talmente poco ortodossa che, se immagino quegli stereotipi lì - che una tantum possono pure essere divertenti, non lo nego - più che eccitarmi ci rido sopra. Però... però: visto che studi medicina, chissà, se ti presentassi con il camice bianco e nient’altro sotto sarebbe interessante, ahahahah. Ci ride sopra anche lei, come sempre. Sì, la cosa è un po' ridicola ma magari si potrebbe usare lo stetoscopio come sex toy, ahahahah... Sì, qualche sex toy l'ho usato, sì. Ma poco, non da sola comunque. Altri oggetti... beh, anche quelli poco. Tu, invece?
Fa una faccia come se ci dovesse pensare, poi risponde subito, però non ricorda la parola inglese. "Abobrinha? Che è?". Googla e vedo prima l'immagine che la traduzione, mi metto a ridere. Beh, è vero, le zucchine possono avere un uso alternativo e interessante. Da sola? In che senso "anche da sola"? Ah, sì, ho capito, ahahahahah. Smetto di ridere e ancora una volta sento il calore avvolgermi quando mi dice che potrebbe anche non limitarsi a legarmi e baciarmi. Non so se sia una idea vaga, una promessa o una cosa detta tanto per dire. Il mio corpo però si scioglie lo stesso e benedico di essermi messa i leggings, altrimenti a quest'ora avrei rivoli di voglia tra le cosce. È "l'istante della perversione", da come mi guarda penso proprio che tra un attimo andrà in scena il replay del bacio, è impossibile che non sia così.
Invece no, invece mi chiede se la riaccompagno al bagno, deve fare pipì. Penso che d'accordo, dovrà fare pipì, ma è una scusa. Prima di chiedermelo si è morsa leggermente il labbro, il gesto universale. Ci avviamo camminando allacciate, non come due amiche ma come due fidanzate che non vedono l'ora di saltare addosso l'una all'altra. Mentre entriamo nei bagni noto che non siamo sfuggite al radar perplesso di Matej.
Sfido gli sguardi di quelle che ci osservano, sono abituata a farlo. Sostengo le occhiate nei bagni dei maschi figuriamoci le vostre, troie rompicazzo. Sono troppo proiettata verso quello che, adesso sì, finalmente, sarà il replay della scena del bacio perché me ne possa fregare qualcosa dei giudizi delle altre: non avete mai scopato in un bagno? Beh, vi perdete qualcosa, fatelo.
Appena richiusa la porta, mi volto e vedo che si è già abbassata pantaloni e mutandine. Per un attimo non dico che ci resto male, ma quasi. Ehi, volevo farlo io. Le vedo il sedere, non male, vorrei mordicchiarlo e passarci le labbra. Vedo la scritta nera su una chiappa. Wow, un tatuaggio nascosto? Non capisco la lingua, non capisco quei cazzo di caratteri gotici o chissà che. La sfioro con un dito. Sì, ok, tecnicamente le sto toccando il culo, ma sappiamo entrambe che non è così. Si siede e, in effetti, fa pipì. Mi sorride ancora, dice qualcosa nella sua lingua. Al mio sguardo interrogativo la ripete: "Farpa de locura", è il tattoo. Scheggia di follia. Zero significati reconditi: aveva visto quella scritta dentro la vetrina di un negozio e aveva deciso di farsela tatuare, tutto qui. Perché proprio su una chiappa, al contrario, resta da chiarire. Le dico che a volte siamo le prime a non capire il significato delle nostre azioni. Micaela sorride ancora, annuisce, mi prende la mano e si alza. Adesso sì che è il momento del bacio. Non si può neanche dire chi cominci, le nostre bocche si cercano simultaneamente e si incollano per quella che pare un'eternità. Solo dopo un po' mi rendo conto che sto baciando una ragazza con i pantaloni e le mutandine abbassati alle caviglie e che non le sto più sfiorando il tatuaggio, ma proprio il culo. Seta al posto del cuoio dei maschi. La sua mano invece è molto meno statica. Resta sopra i leggings, resta sopra la maglietta ma va dove deve andare. Cerca i miei capelli che le piacciono così tanto, li scompiglia e torna rapidamente giù. Stavolta si fa strada dentro leggings e mutandine. Un dito esita, non so per quanto ma a me pare un secolo. Sembra che non conosca la strada, ma non è possibile. La bacio più forte tirandole la testa verso di me, più che passione è una richiesta di pietà: ti prego, così mi fai diventare scema. A volte siamo le prime a non capire il significato delle nostre azioni, tu invece hai idea di cosa stai facendo e di cosa vuoi fare? Di colpo scivola in me senza sforzo ma mi fa quasi male, subito dopo esce e mi tortura il grilletto. Poi l'ossimoro che mi fa impazzire tutte le volte, eppure dovrei esserci abituata: il sussurro perentorio. Dice che devo alzarmi la maglietta e io lo faccio, mi sento quasi obbligata a farlo, non posso rifiutarmi di eseguire. Ecco, se volete un esempio di mentalità dom è questo: poteva tranquillamente mettercela lei una mano sotto la maglietta, invece dice a me di farlo, devo essere io a mostrarmi. Lo faccio, lentissimamente, guardandola. Offrendole il seno da baciare e succhiare piano. Al contrario, vorrei un trattamento ruvido, adesso, un bello scrub del mio amor proprio. È una voglia che sale repentina e incontrollata: vorrei che se ne fosse scopata decine come me, con modi rapidi e rapaci che significano implicitamente "non ti illudere, sei solo una quickie in un cesso".
Ma non è così, me ne accorgo, lo avverto, probabilmente è vero che non l'ha mai fatto e quasi mi vergogno di essermi lasciata andare così, di contorcermi e bagnarle la mano in questo modo. Non lo so perché, ma per un attimo mi pare di averla adescata e traviata. Scema, vero? Però, anche se dura un lampo, la sensazione è esattamente questa: vergogna.
Vergogna che non provo minimamente quando litigo con la stronza dall'altra parte della porta, quando la insulto con una sbroccata coatta della quale nemmeno mi considero capace: vai a pisciare in bocca a tua sorella. Dovrei spiegare a Micaela che qui in Italia le sorelle giocano sempre, inconsapevoli, un certo ruolo. Ma un attimo dopo sticazzi, mi riconsegno a lei che con imperterrita coscienziosità non ha smesso per un secondo di succhiarmi una tetta, non ha mai smesso di masturbarmi. Anzi no, di scoparmi. Adesso mi sta proprio scopando: un dito, due dita, sì, così, riempimi, muoviti di più. È per questo che non me ne frega più un cazzo di niente. Ansimo e l'unica cosa che sento di dover fare è dirle di non smettere. A dire il vero non riesco nemmeno a dirglielo, ma comunque lei non smette. Anche io ho voglia del suo seno e lo afferro, peccato questo bra. Ci ripenso, artiglio il mio, quello libero dalla sua bocca. Lo stringo perché ho bisogno di sentire un piccolo dolore, quasi le infilo le unghie sulla spalla per reprimere un gemito che le dice ciò che a parole non mi esce fuori: così mi fai venire.
Certe volte, dopo un orgasmo, le prime cose che vedo dopo avere riaperto gli occhi mi sembrano banali, se confrontate al paradiso dove sono appena stata. Altre, al contrario, mi restano impresse nella mente. Come lo sguardo di Micaela che si osserva quasi esterrefatta le dita ricoperte dalla mia gelatina. Di norma mi ci fionderei con la bocca su quelle dita. È il mio modo di dire che voglio ricambiare, quasi più per gratitudine che per foia. Invece un po' di lucidità mi è ritornata e mi rendo conto di colpo che qui dentro non ci possiamo mica passare la notte. Lei però fa qualcosa che rischia davvero di far saltare ogni consapevolezza e ogni decenza: si penetra con quelle dita sporche di me. Labbra socchiuse, sospiro e un'espressione sorpresa, come se non fosse lei stessa ad averlo fatto. Dio mio, oddio che cazzo stai...? Prende la mia mano e se la porta sul cuore. Tum-tum-tum. Poi gli altri colpi, quelli sulla porta e più forti di sempre, frantumano tutto. Boom boom boom!
Ok, scappiamo via. Portiamo fuori di qui le nostre dignità sdrucite, affrontiamo questo piccolo pubblico di stronze, sfidiamo i loro sguardi, cerchiamo quelli più invidiosi. Qualcuna ci sarà pure che si sta facendo il suo personale film, no? Ce lo facciamo tutte, prima o poi, e il titolo è sempre uguale: "Come vorrei". Come vorrei una testa tra le gambe, come vorrei avere la bocca piena, come vorrei avere un ragazzo impazzito dietro di me che mi insegna a vivere, eccetera eccetera. Ma stronze, arrapate o indifferenti che siano, il nostro interesse per loro dura lo spazio di un battito di ciglia. È il momento del vaffanculo al mondo. E se sei fatta, credetemi, è un vaffanculo davvero molto grande.
È un locale gay? No, non direi. Eppure, se qualcuno ci passasse davanti adesso si farebbe quell'idea lì, con due ragazze che si baciano proprio davanti all'entrata. Che si baciano in quel modo, intendo dire. Non me ne sono nemmeno accorta che siamo uscite, ripetendo meccanicamente i gesti che si fanno tutte le volte: le borse, le giacche, i saluti forse. Non mi ricordo se ho salutato. Sticazzi. Sono troppo concentrata sulle sue mani che mi tengono la faccia mentre ci baciamo. Sull'odore che arriva da quelle dita, il mio e il suo mischiati insieme. La cosa che mi fa impazzire è che lo sa perfettamente che tra un po' i baci non basteranno più, che si sta dirigendo verso la-sua-prima-volta-con-una-ragazza. Eppure continua a non mostrare né imbarazzo né timidezza, non ha ritegni. Nemmeno con le parole. Vuole sapere, lo vuole sapere assolutamente, qual è la cosa che mi piace di più quando faccio sesso. Lo vuole sapere perché vuole soddisfarmi. Sissignore, "satisfy you", non ha problemi a dirlo. Mi eccita sentirglielo dire ma non so cosa rispondere, davvero non lo so. Anche se detto da me suona strano, un po' di imbarazzo sono io ad averlo e provo a dissimularlo con l’ironia: “Scopare nel bagno di un locale non è male, no?”. Si stringe ancora di più, mi passa una mano sul culo, mi arrapa e si arrapa. Racconta a bassa voce, come se fosse un segreto militare, che la prima volta che ha scopato con Matej è stata proprio dentro il bagno di un locale, completamente fuori di testa sia lui che lei. Eppure erano già tre settimane che vivevano sotto lo stesso tetto. Elargisce particolari luridi, mi fa venire voglia di fare a gara a chi ne tira fuori di più. Le racconto che giusto una settimana fa, dentro un bagno, l'ho preso in bocca a un ragazzo, è venuto subito ma se fosse stato per me gliel'avrei data volentieri lì.
Per un istante è come se la sorpresa la irrigidisca completamente. Avete presente quando avvertite che qualcosa che è cambiato, che non va, ma non avete idea di cosa sia? Lei mi guarda, io la guardo, lei domanda, io rispondo: un ragazzo, sì, perché?
- I thought you were a lesbian, aren't you?
Oddio no, aspetta, scusa un attimo... Sì, ok, ho fatto roba con qualche ragazza ma... che c'entra? Se non sono proprio lesbica è un problema? Ho il timore improvviso di non essere quello che si aspettava. Anzi, per dirla proprio tutta, ho il timore che fosse lei a cercare qualcosa e pensasse di averla trovata, ma che io l'abbia delusa, tradita. Ho paura che si incazzi e mi dica qualcosa tipo "vaffanculo, dovevi dirmelo prima".
- ...mmm heteroflexible ahahahahah... - rispondo. Preferisco sempre così che "bisex", ma lo dico in un modo che mi esce giustificatorio, difensivo, con una risatina imbarazzata.
Continua a guardarmi e sorride indecifrabile, friggo un po'. Razionalmente, non dovrei. Ma chi è razionale adesso? Si solleva sulle punte e cerca un bacio, in quel bacio mi ci sciolgo, affondo. Mi appiattisco sul suo corpo, mi struscio, la stringo, non voglio lasciarla andare. La scarica di adrenalina mi fa desiderare molto di più di quel bacio. Qualcuno dal sedile posteriore di un maxiscooter urla "fateve 'na cura de cazzo". Di solito mi guarderei intorno con prudenza perché... beh, non si può mai dire. Questo quartiere è un po' una zona franca, ma non puoi sapere se qualcuno decide di rompere i coglioni a due ragazze. È già successo. Eppure non me ne frega nulla nemmeno di questo, spero solo che non smetta di baciarmi.
Il silenzio nel quale riprendiamo a camminare abbracciate è di quelli che dicono "è tutto a posto, Annalisa, stai tranquilla". Penso che, nonostante qualche passo ogni tanto sia un po' incerto, ormai anche l'effetto dell'alcol stia scemando. Avrei voglia di un'altra pasta, o di qualcos'altro. Chissà se esiste qualcosa che mi fa dimenticare il mio nome ma non il suo, che fa scomparire tutto ma non lei. Per la prima volta mi rendo conto che non stiamo semplicemente camminando, ma che stiamo andando verso una destinazione che lei conosce e io no, che mi sta guidando e che io la sto seguendo. Vorrei tanto dirle portami dove ti pare, fammi quel che ti pare, sono tua. Ma ho paura di rompere questo silenzio rassicurante.
Micaela no, riprende a parlare, domanda, sembra scegliere con cura le parole quando mi dice che non l'avrebbe mai detto, ma che quando mi sono messa a chiacchierare con lei dentro a quel bagno ha pensato "questa ci sta provando con me" e un po' si è eccitata. No, probabilmente no, non sarebbe successo niente, probabilmente si sarebbe tenuta l'eccitazione e sarebbe tornata a casa con Matej. Però cazzo, dice. Cazzo cosa? Dice che, cazzo, sono così bella e così completamente diversa dall'idea di una cacciatrice lez che non ha potuto fare a meno di volere la stessa cosa che ho voluto io: passare un po' di tempo insieme, fare le sceme. Quell’altra voglia – aggiunge - è arrivata in fretta, sì, ma dopo. Quando ha capito che tipo sono.
Perché, che tipo sono? Vorrei saperlo anche io tante volte che tipo sono. Per lei sono una che non sa dire no, sono la parte debole. E questa beh, me l'ha già detto, è la sua fantasia, il suo sogno: bionda, occhi azzurri, fatta, docile... cazzo, nemmeno a ordinarla su Amazon la trova una come me.
Controbattere che non è così, che si è fatta un'idea sbagliata, è inutile. Con le ragazze è diverso, ma non so come spiegarglielo. C'è una dimensione di gioco e di complicità che con i maschi cerco raramente. È una specie di role play che può davvero prevedere di tutto. Però sì, lo ammetto, quando prima eravamo nel bagno avrei proprio voluto che fosse più... come dire, più senza pietà. Però è stato bello lo stesso.
La bacio come se dovessi mettere un sigillo sulle mie parole, lei mi guarda e dice che è un peccato. Nel senso che non sapeva bene cosa fare, che ha improvvisato. Un po' come se volesse scusarsi, ma il suo tono non è quello del rammarico. Il tono è più che altro "dammi un'altra occasione". O magari sono io che voglio intenderlo così. Le rispondo che a me non me ne frega un cazzo di quanto sia o non sia brava, le ripeto che per me è stato bello. Le confesso che quella parola che ha usato con me, “tame”, "docile", mi ha aperta delicatamente e adesso mi sento un'ostrica.
- Tame, I can be that kind of girl, if you like...
Posso essere docile, se vuoi. I miei occhi sono nei suoi occhi, il mio fiato nel suo fiato, la sua lingua sulle mie labbra semiaperte e nella mia bocca ansimante. E la sua mano finisce in mezzo alle mie gambe, non sopra i leggings, dentro. Qui in mezzo alla strada per qualche secondo siamo un caso da codice penale, ma non me ne potrebbe fregare di meno. Slave, slave, "wanna be your slave". Incredibile che io riesca a dirlo senza mettermi a ridere. Maneskin, mi dispiace ma siete arrivati secondi e con un bel po' di ritardo.
Subito dentro il portone, mi sussurra che ne ha ancora un po' e se vogliamo farcela, non c'è nemmeno bisogno di dire a cosa si riferisca. Anzi, non le lascio nemmeno finire la frase. Il mio "siiiiiì" è carico di voglia, nemmeno fosse il più romantico dei ragazzi che ti dice "ho i preservativi, ti fai scopare?". È la consapevolezza che sto per flippare ancora che mi fa tirare fuori quel "sì", la voglia di esaltarmi di brutto e di portare all'estremo ogni singola sensazione.
Se fossi un attimo più presente a me stessa, le chiederei perché qui, perché non su in casa. E magari mi risponderei da sola dicendomi che se si è tatuata sul culo la scritta "scheggia di follia" un motivo ci sarà. Invece assisto febbrile al suo inginocchiarsi davanti al muretto di marmo che separa le scale condominiali dall'ascensore per preparare le strisce. Pazzia al quadrato, potrebbe arrivare chiunque da fuori, da sopra, da sotto. Lei però sembra non pensarci e a me continua non fregarmene un cazzo.
Le scale che portano al suo appartamento diventano un'alcova. Uno, due stop per rampa. Baci, mani, strusciate… Scopami, scopami! La conquista della sua porta di casa prima, della sua stanza poi, è un delirio pornografico, infinito e squassante. Adesso sì che siamo accese, adesso sì che ogni cosa mi sembra possibile. Aspetta, ti prego, prima spogliami, spogliami tutta. Voglio rimanere nuda davanti a lei non per farmi ammirare ma per offrirmi, per sentirmi indifesa. Mi toglie di dosso le mie quattro cose con una lentezza infinita, costellata da una mano che conquista la mia pelle poco a poco, da piccole penetrazioni sempre troppo brevi che mi fanno contrarre, contorcere, che mi fanno dire "sì" e "ti prego". Intinge le sue dita dentro di me con movimenti ripetuti e se le asciuga sul mio pube, sulle mie labbra, sulle mie tette. Più che il gioco erotico di chi vuole spingerti al limite estremo senza soddisfarti mai, di chi vuole sentirti implorare, ci colgo tutta la sua incertezza. È come se fosse indecisa e non sapesse da dove cominciare. Come quando hai di fronte una tavola imbandita di ogni ben di Dio e non sai scegliere cosa mangiare per prima cosa. Lo avverto chiaramente e mi eccita. Strano, vero? È eccitante finire tra le braccia di qualcuno che "ci sa fare", che ti prende e ti possiede senza tanti ritegni e senza tanta cura. Non pensavo che fosse così eccitante anche essere preda di una ragazza la cui "esperienza" - usiamo pure questa parola orribile, meglio non mi viene - non è all'altezza delle sue fantasie. Certe sue esitazioni le trovo arrapantissime, forse dovrei dirle "sono qui, prendimi, va bene tutto, non avere paura di deludermi", ma non glielo dico. In un certo senso, quando le ho chiesto di denudarmi, è come se gliel'avessi già detto.
Come prima però, quando eravamo chiuse in quel bagno, arriva qualcosa a infrangere tutto. Chissà se è istinto animale o se è la sua distrazione di un attimo. Chissà se è lo sguardo che lancia oltre la mia spalla. Qualcuno, ci sta osservando qualcuno, dietro di me c'è qualcuno.
Volto la testa e vedo Matej appoggiato allo stipite. Cinque secondi di para. L'idea di essere al centro di qualcosa di preordinato, di una trappola in cui non pensavo di cadere e in cui non voglio cadere. Mi sposto di lato, la mossa del cavallo. Li lascio l'uno di fronte all'altra, con me stessa in mezzo che li guarda e dice "no, I don't want". È tutto persino quasi troppo rapido per avere paura.
Uno dei milioni di sorrisi che Micaela elargisce stasera finisce per illuminare anche lui. Lo guarda, mi guarda, mentre lo fa si toglie in un colpo solo jeans, mutandine e un calzino, l'altro le rimane appeso per metà al piede. Del tutto incongruamente penso che così sia buffa. Non posso ancora saperlo, ma altrettanto incongruamente quel calzino penzolante è tra le immagini di questa serata che rimarranno più nettamente impresse nella mia memoria. Avanza nuda dalla vita in giù verso di lui, si solleva sulle punte per baciarlo con leggerezza, gli blocca le mani già protese a impossessarsi delle sue natiche, gli passa il palmo sul pacco presumibilmente già dotato di una certa consistenza. Una volta, due volte. Spontanea la prima, smaccatamente più oscena e studiata la seconda, accompagnata da movenze e versetti artefatti.
Gesti elaborati, che a me sembrano durare tantissimo. Eppure non capisco un cazzo, non riesco nemmeno a domandarmi cosa stia succedendo. Vedo la mano di Micaela sul petto di Matej, la vedo spingerlo fuori dalla stanza e scomparire con lui, la vedo rientrare, chiudere la porta, girare la chiave. Si volta verso di me, mi guarda reprimendo una risata. Non ce la fa, chiude gli occhi e scoppia in una sghignazzata silenziosa, scivolando con la schiena sulla porta fino a toccare con il sedere il parquet di laminato. Deve essere un vizio, quello di appoggiarsi a una porta quando ride. Riapre gli occhi e ammicca alle sue spalle, li richiude continuando a ridere, con una mano si copre la bocca e con l'altra mima il gesto della sega. Stanotte se ne fa qualcuna anche Matej, sembra dirmi silenziosamente. Non solo il frocetto che è nell'altra stanza, aggiungo io altrettanto silenziosamente. Chissà perché mi viene in mente proprio lui, chissà perché me lo immagino efebico e delicato. Un luogo comune del cazzo, lo ammetto. Non c'è più nessuno. Siamo sole, finalmente imprigionate qui dentro, assolutamente fuori controllo.
Quando si calma le rimane in faccia un sorriso e uno sguardo di una dolcezza che non avevo ancora visto. Quando dice "do you like...?" penso chissà perché me lo chiede ancora, gliel'ho già detto che mi piace. Ma sono troppo precipitosa, lei completa la frase - "do you like... HER?" - e allora colgo il senso. Non mi sta chiedendo di guardare il suo sorriso, mi sta chiedendo di guardare in mezzo alle sue gambe spalancate, mi sta chiedendo di guardare LEI. La dolcezza sparisce di colpo, si nebulizza per lasciare spazio a uno sguardo di perversione pura.
Capisco cosa devo fare, capisco da dove devo cominciare. Devo cominciare dal prostrarmi sul pavimento, quasi strisciare verso di LEI. Devo omaggiare LEI. Devo finalmente sentire il sapore di LEI, devo stordirmi annusando insieme a LEI tutta la sua voglia. Arrivo, bella ragazza, gattono e striscio per te, come se dovessi eseguire un ordine che non mi hai dato. Sono la tua ancella obbediente, sarò docile, sarò qualsiasi cosa pur di darti piacere. Non importa che tu non sappia bene cosa fare, non me frega davvero un cazzo. La tua imperizia mi eccita quasi quanto la tua voglia. Mi sento spalancata e non ho più nemmeno la protezione delle mutandine e dei leggings. Sto colando di fronte al tuo sguardo che mi chiama impertinente e lascivo, la tua voce mi parla e mi regala un anticipo di orgasmo: la prossima volta comprerò le zucchine.
Piccola tossica, che mi mostri le meraviglie del sistema scolastico portoghese con il tuo inglese perfetto, anche migliore del mio. Ora che sono venuta mi sussurri all'orecchio "you're so beautiful" mentre ti attorcigli una mia ciocca su un dito, mi prendi una mano e te la porti al seno sussurrando "feel my heartbeat", piena di rimpianto mi dici "we got to go", mi guardi con i tuoi occhi scuri e domandi muta se ti voglio.
Yes I do, little slut. Ti voglio ora, ti voglio tanto, ti voglio tutta. Usciamo da questo bagno, usciamo da questo locale. Sono impazzita, e poiché sono impazzita voglio fare pazzie: facciamo un sessantanove sul marciapiede? Voglio che mi spogli, voglio sentire che effetto fa quel piercing che hai sulla lingua quando lo presenterai al mio grilletto. Voglio sbottonarti i jeans, voglio vedere il colore delle tue mutandine. Voglio vederti allargare un po' le gambe e sentirti sospirare che non resisti più. Voglio baciare, voglio leccare, voglio la tua smania liquida sulla bocca, voglio mischiarla con la mia saliva, voglio vederti perdere la testa.
Galeotto è stato questo bagno, sia per me che per lei, Micaela. Quando ci siamo quasi scontrate all’uscita si è paralizzata, guardandomi in modo strano. Quel modo che ti fa domandare cosa c'è che non va. Ti fa venire voglia di tornare a guardarti allo specchio. Più tardi, ma molto più tardi, saprò invece che in quello sguardo c'erano già, mescolati insieme e inconsapevoli, il desiderio e il timore che non l'avessi nemmeno notata e che non l'avrei fatto mai.
Invece l'ho fatto, perché una cosa da notare c'era, è stata quella che ha attirato la mia attenzione. Una cosa piccola, una alterazione minima, ma che andava cancellata subito. Non perché nessuno se ne accorgesse. Qui dentro, anzi, figuriamoci... Ma perché deturpava l'immagine del suo viso.
Mi sono picchiettata la punta del naso con un dito. Lei se l'è strusciata con il palmo, si è guardata la mano, ha cercato il mio sguardo e la mia approvazione. Ha cercato il mio sorriso che le diceva "adesso è ok". E poi è scoppiata a ridere, ha dovuto proprio appoggiarsi alla porta. E mentre rideva l’ho guardata bene. Dall'alto in basso, perché una certa differenza di statura c'è e lei arriverà forse all'uno e sessantacinque. I suoi occhi scuri, come i capelli sciolti sulle spalle, il nasino non più macchiato di bianco, i suoi denti candidi, la sua carnagione un po’ scura. Il top che faticava a nascondere un push up di cui avrei bisogno molto più io che lei. Fianchi e pancia scoperti, cosce fasciate e strette negli slim fit. Contagiosa, la sua risata, da imitare. Tutto è scomparso, tutte sono scomparse, e a confrontarsi all'uscita di quel bagno sono rimaste solo la pallida e bionda cicogna e la moretta formosetta. Finché la spinta di una tipa sulla porta ha infranto l'attimo sospeso.
"Want some?". Grazie, ma mi sono appena calata. Cosa... boh. Mister Adam, I guess. Forse, così mi hanno detto. Sulla pastiglietta lo stampino con lo smile c’era, anche se poi come fai a esserne sicura? Dovrei fidarmi, quello che me l'ha data non è uno sconosciuto, è un ragazzo che ha il suo giro. Due-tre locali, se ci vado ho discrete probabilità di incontrarlo. E anche discrete probabilità di rimediare qualcosina gratis. Ma quale benefattore dell'umanità... è che gli piaccio. Lui invece non è nemmeno tutto sto granché, tuttavia una sera gliel'ho succhiato. In quel momento neanche lo sapevo che fosse una farmacia ambulante, fu una cosa assolutamente disinteressata dopo che mi aveva offerto due tiri del formaggino blu. Lo contrabbandai per un ringraziamento ma in realtà mi andava di farne uno senza senso, per riscaldare la serata. Credo proprio che lui - che delle idee nei miei riguardi ce le aveva, eccome - nemmeno si aspettasse di ottenere così tanto in così poco tempo. Ma andò in questo modo, e adesso quasi ogni volta che ci incontriamo mi offre qualcosa, senza nulla pretendere. Vedete che ad essere troie ogni tanto ci si guadagna? Solo che comincio a sentirmi in debito e stasera gliel'ho anche detto: "Mi sa che una volta o l'altra dovrò ringraziarti ancora". "Ahah, io ho segnato tutto, eh?", ha risposto ridendo. Non sarà attraente, ma almeno è simpatico. Sì lo so, non dovrei. No, non dico i bocchini, sto parlando delle paste e di tutta l'altra roba. Lo so, lo so, ma lo faccio ugualmente. A volte ho bisogno di uscire da me stessa, di perdermi. Ciao, ci vediamo domani. Probabilmente con il mal di testa.
Non ho la minima idea del motivo per cui mi metto a raccontare tutto ciò – esclusa la pompino-story - a questa ragazza. Qui, al cesso, tra i lavandini e le porte dei box, tra le altre che pisciano, si truccano, elemosinano un'assorbente, assistono un'amica che ha appena vomitato. Le parlo del mio distributore di pastiglie come se fossimo a prendere un tè a Buckingham palace, forse perché quella roba ha già cominciato a fare effetto. Veloce, però. O sono io che ho perso la cognizione del tempo?
Anche per lei è come se tutto intorno non esistesse. Si lamenta di quanto sia difficile rimediare qualcosa qui a Roma. A Lisbona te la offrono per strada senza tanti problemi, soprattutto il venerdì sera. È una cosa che fa con le sue amiche quando vanno a ballare, e sottolinea che a lei piace parecchio ballare. Piace anche a me? Beh, sì, ma per la verità io stasera avevo solo voglia di uscire fuori di testa. Voglia di ballare, mah, un po' meno. Qui non è bello. Il piano di sotto, quello dal quale arrivano musica e vibrazioni, è troppo piccolo, c'è troppa gente. E da quando mi hanno fatto notare come i maniglioni antipanico delle porte di sicurezza siano bloccati da una catena, non ci scendo nemmeno tanto volentieri. Però, qui di sopra, se cerchi qualcuno che ti offra da bere e qualcos'altro, è il posto giusto, c'è più luce e ti rendi conto meglio di certi dettagli. Prima di incontrare quel ragazzo che mi ha passato la roba mi ero già fatta tre bicchieri, avevo rifiutato tre avances. Uno shot val bene un bacio o una mano sul culo, le racconto ridendo. Esagero, di mano sul culo ne ho sentita solo una, di baci nemmeno l'ombra. "Drink, thank and fly away ahahahah", ecco la strategia. Almeno finché non trovi, se lo trovi, uno che ti attizza davvero per meriti propri o perché le tue difese si abbassano drasticamente. In quel caso magari ti attardi con lui e vedi come va. Ma questo a lei non lo dico.
Al contrario le dico sì quando mi propone di farlo insieme, si affida a quella che definisce "la tua tecnica". Non c'è una grande tecnica, amica mia: tu sei figa, loro ci provano, that’s all. Ti invitano a ballare o ti offrono da bere. Spesso le due cose insieme. Prima di tutto da bere, però, perché si sa, se la puttanella beve un po' è meglio. Non posso credere che non le sia mai capitato, quindi interpreto la sua richiesta come una scusa. Sarò pure in trip, ma non ci vuole un genio. Perciò d'accordo, vediamo se qualcuno ci offre da bere. Lo faccio perché mi va di cazzeggiare insieme a questa ragazza, passarci del tempo, guardarla, ascoltare la sua voce. Se non balli, in effetti, un po' ti annoi.
Poi però non c'è bisogno di fare nulla, perché siamo intercettate da un tipo che le mette la mano sulla pancia e la lingua nell'orecchio, le passa una Corona già stappata. Matej, sloveno. "Your boyfriend?", le domando quando il ragazzo si dilegua dopo avermi fatto una Tac con gli occhi. Muove la mano come a dire "metà e metà". Un suo coinquilino, più che altro. I suoi sono convinti che conviva con due ragazze, e fino a un paio di mesi fa era così. Ma poi nell'appartamento c'è stato un certo turn over e ora lei lo divide con due ragazzi. Uno è frocio, l'altro è Matej, appunto. Ogni tanto lei gli apre la porta della sua camera, e non solo. Ride ammettendo di avere fantasticato a lungo, prima di partire, sui ragazzi italiani. E invece è andata a sbattere su uno sloveno, ahahah…
Ride, non smette mai di ridere. Quello che lei ha tirato su la fa ridere, la fa parlare e straparlare. Quello che io ho buttato giù mi fa essere ben disposta, attenta, empatica. Mi fa essere curiosa dei particolari morbosi. Come ad esempio sapere se quello che vive con loro non dice niente. Perché… beh, sì, i rompicoglioni esistono, no? Sì certo, risponde, esistono ma non è questo il caso. Perché il ragazzo gay non si scandalizza, il ragazzo gay è riservato, il ragazzo gay è innamorato, il ragazzo gay è fidanzato, il ragazzo gay non tradisce, il ragazzo gay si fa le seghe sentendoli scopare. E tu come lo sai? La mia domanda resta senza risposta, si vede che anche il suo cervello è impaziente di farsi accendere dalle curiosità più scabrose. Per esempio sapere se invece io, proprio io, mi eccito se sento qualcuno scopare.
Eccoci, siamo sintonizzate sulla frequenza “sesso”, ci siamo arrivate. È stato merito dei miei capelli? Davvero ti piacciono così tanto? Ti piace arricciarli su un dito? Vuoi davvero sapere se mi è mai capitato di vedere qualcuno scopare? Davvero? Beh, ho visto due mie amiche scopare su una spiaggia. Tra loro? No, con due ragazzi. E tu che facevi? Nulla. E poi? Poi sono andata a fare una fumata illegale e a masturbarmi. Ti sarebbe piaciuto di più se le avessi viste farlo tra di loro? Non lo so, perché? Le tue amiche ti piacciono? Una sì, molto. Ci hai mai fatto qualcosa? Sì. E chi comandava tra voi due? Scusa, in che senso, perché me lo chiedi?
Eeeeh... me lo chiede perché è una sua fantasia. La sua fantasia è una ragazza, ma è una fantasia con diverse sfaccettature: la sua fantasia è baciare una ragazza; la sua fantasia è baciare una ragazza dopo averla legata; la sua fantasia è baciare una ragazza bionda; la sua fantasia è baciare me. Assisto arrendevole alla cascata di immagini e parole che mi riversa addosso, subisco arrendevole il suo inevitabile bacio. A dire il vero non mi sento neanche troppo arrendevole, tuttavia alle sue labbra cedo praticamente subito. Come quando cedo agli abbracci, alle lingue e alle mani dei ragazzi. Se sei un po' fatta è anche più facile, no?
A lei però non lo dico, non dico nulla. Accetto il suo bacio e ci sorridiamo. Trovo un po' curioso che mi chieda adesso, dopo che mi ha baciata, se mi piace. Sì, certo che mi piaci. Cosa sei, insicura? O è solo un vezzo? Sei bellissima e - sai, le due cose non vanno sempre insieme - sei arrapante. Mi punta l'indice sul petto, lo sfiora, lo sfiora proprio lì. Eh no, non ho il reggiseno. Eh sì, ho i capezzoli eccitati. Eh sì, sono eccitata, sei stata tu. Non ti è mai capitato che una ragazza ti facesse decollare?
Sì, le è capitato. Una sera le è capitato anche parecchio, tanto che a un certo punto aveva proprio pensato che sarebbe andata fino in fondo, che era impossibile che non succedesse niente. Invece, alla fine, niente, le androgine le fanno paura. Quindi eccitata sì ma combinarci qualcosa no. Perciò le fantasie sono rimaste tali ed è vero, se ne rende conto anche lei, quelle che mi ha descritte sono fantasie un po' dom. Ma oltre ai baci ubriachi, più o meno rubati ad amiche ubriache, non è mai andata. Io? Io sì, te l'ho detto, sono andata oltre i baci. Quanto a comandare o essere comandata... beh, sai, i ruoli non sono prestabiliti, cambiano. Ma comunque essere legata e baciata non è ciò che intendo io per essere sottomessa.
No, rispondo al suo sguardo interrogativo, non intendo violenza, catene, fruste e tutte quelle cazzate lì. Intendo quando ti fottono il cervello, per prima cosa. Che ti devo dire, si vede che non sono una submissive classica. Sono talmente poco ortodossa che, se immagino quegli stereotipi lì - che una tantum possono pure essere divertenti, non lo nego - più che eccitarmi ci rido sopra. Però... però: visto che studi medicina, chissà, se ti presentassi con il camice bianco e nient’altro sotto sarebbe interessante, ahahahah. Ci ride sopra anche lei, come sempre. Sì, la cosa è un po' ridicola ma magari si potrebbe usare lo stetoscopio come sex toy, ahahahah... Sì, qualche sex toy l'ho usato, sì. Ma poco, non da sola comunque. Altri oggetti... beh, anche quelli poco. Tu, invece?
Fa una faccia come se ci dovesse pensare, poi risponde subito, però non ricorda la parola inglese. "Abobrinha? Che è?". Googla e vedo prima l'immagine che la traduzione, mi metto a ridere. Beh, è vero, le zucchine possono avere un uso alternativo e interessante. Da sola? In che senso "anche da sola"? Ah, sì, ho capito, ahahahahah. Smetto di ridere e ancora una volta sento il calore avvolgermi quando mi dice che potrebbe anche non limitarsi a legarmi e baciarmi. Non so se sia una idea vaga, una promessa o una cosa detta tanto per dire. Il mio corpo però si scioglie lo stesso e benedico di essermi messa i leggings, altrimenti a quest'ora avrei rivoli di voglia tra le cosce. È "l'istante della perversione", da come mi guarda penso proprio che tra un attimo andrà in scena il replay del bacio, è impossibile che non sia così.
Invece no, invece mi chiede se la riaccompagno al bagno, deve fare pipì. Penso che d'accordo, dovrà fare pipì, ma è una scusa. Prima di chiedermelo si è morsa leggermente il labbro, il gesto universale. Ci avviamo camminando allacciate, non come due amiche ma come due fidanzate che non vedono l'ora di saltare addosso l'una all'altra. Mentre entriamo nei bagni noto che non siamo sfuggite al radar perplesso di Matej.
Sfido gli sguardi di quelle che ci osservano, sono abituata a farlo. Sostengo le occhiate nei bagni dei maschi figuriamoci le vostre, troie rompicazzo. Sono troppo proiettata verso quello che, adesso sì, finalmente, sarà il replay della scena del bacio perché me ne possa fregare qualcosa dei giudizi delle altre: non avete mai scopato in un bagno? Beh, vi perdete qualcosa, fatelo.
Appena richiusa la porta, mi volto e vedo che si è già abbassata pantaloni e mutandine. Per un attimo non dico che ci resto male, ma quasi. Ehi, volevo farlo io. Le vedo il sedere, non male, vorrei mordicchiarlo e passarci le labbra. Vedo la scritta nera su una chiappa. Wow, un tatuaggio nascosto? Non capisco la lingua, non capisco quei cazzo di caratteri gotici o chissà che. La sfioro con un dito. Sì, ok, tecnicamente le sto toccando il culo, ma sappiamo entrambe che non è così. Si siede e, in effetti, fa pipì. Mi sorride ancora, dice qualcosa nella sua lingua. Al mio sguardo interrogativo la ripete: "Farpa de locura", è il tattoo. Scheggia di follia. Zero significati reconditi: aveva visto quella scritta dentro la vetrina di un negozio e aveva deciso di farsela tatuare, tutto qui. Perché proprio su una chiappa, al contrario, resta da chiarire. Le dico che a volte siamo le prime a non capire il significato delle nostre azioni. Micaela sorride ancora, annuisce, mi prende la mano e si alza. Adesso sì che è il momento del bacio. Non si può neanche dire chi cominci, le nostre bocche si cercano simultaneamente e si incollano per quella che pare un'eternità. Solo dopo un po' mi rendo conto che sto baciando una ragazza con i pantaloni e le mutandine abbassati alle caviglie e che non le sto più sfiorando il tatuaggio, ma proprio il culo. Seta al posto del cuoio dei maschi. La sua mano invece è molto meno statica. Resta sopra i leggings, resta sopra la maglietta ma va dove deve andare. Cerca i miei capelli che le piacciono così tanto, li scompiglia e torna rapidamente giù. Stavolta si fa strada dentro leggings e mutandine. Un dito esita, non so per quanto ma a me pare un secolo. Sembra che non conosca la strada, ma non è possibile. La bacio più forte tirandole la testa verso di me, più che passione è una richiesta di pietà: ti prego, così mi fai diventare scema. A volte siamo le prime a non capire il significato delle nostre azioni, tu invece hai idea di cosa stai facendo e di cosa vuoi fare? Di colpo scivola in me senza sforzo ma mi fa quasi male, subito dopo esce e mi tortura il grilletto. Poi l'ossimoro che mi fa impazzire tutte le volte, eppure dovrei esserci abituata: il sussurro perentorio. Dice che devo alzarmi la maglietta e io lo faccio, mi sento quasi obbligata a farlo, non posso rifiutarmi di eseguire. Ecco, se volete un esempio di mentalità dom è questo: poteva tranquillamente mettercela lei una mano sotto la maglietta, invece dice a me di farlo, devo essere io a mostrarmi. Lo faccio, lentissimamente, guardandola. Offrendole il seno da baciare e succhiare piano. Al contrario, vorrei un trattamento ruvido, adesso, un bello scrub del mio amor proprio. È una voglia che sale repentina e incontrollata: vorrei che se ne fosse scopata decine come me, con modi rapidi e rapaci che significano implicitamente "non ti illudere, sei solo una quickie in un cesso".
Ma non è così, me ne accorgo, lo avverto, probabilmente è vero che non l'ha mai fatto e quasi mi vergogno di essermi lasciata andare così, di contorcermi e bagnarle la mano in questo modo. Non lo so perché, ma per un attimo mi pare di averla adescata e traviata. Scema, vero? Però, anche se dura un lampo, la sensazione è esattamente questa: vergogna.
Vergogna che non provo minimamente quando litigo con la stronza dall'altra parte della porta, quando la insulto con una sbroccata coatta della quale nemmeno mi considero capace: vai a pisciare in bocca a tua sorella. Dovrei spiegare a Micaela che qui in Italia le sorelle giocano sempre, inconsapevoli, un certo ruolo. Ma un attimo dopo sticazzi, mi riconsegno a lei che con imperterrita coscienziosità non ha smesso per un secondo di succhiarmi una tetta, non ha mai smesso di masturbarmi. Anzi no, di scoparmi. Adesso mi sta proprio scopando: un dito, due dita, sì, così, riempimi, muoviti di più. È per questo che non me ne frega più un cazzo di niente. Ansimo e l'unica cosa che sento di dover fare è dirle di non smettere. A dire il vero non riesco nemmeno a dirglielo, ma comunque lei non smette. Anche io ho voglia del suo seno e lo afferro, peccato questo bra. Ci ripenso, artiglio il mio, quello libero dalla sua bocca. Lo stringo perché ho bisogno di sentire un piccolo dolore, quasi le infilo le unghie sulla spalla per reprimere un gemito che le dice ciò che a parole non mi esce fuori: così mi fai venire.
Certe volte, dopo un orgasmo, le prime cose che vedo dopo avere riaperto gli occhi mi sembrano banali, se confrontate al paradiso dove sono appena stata. Altre, al contrario, mi restano impresse nella mente. Come lo sguardo di Micaela che si osserva quasi esterrefatta le dita ricoperte dalla mia gelatina. Di norma mi ci fionderei con la bocca su quelle dita. È il mio modo di dire che voglio ricambiare, quasi più per gratitudine che per foia. Invece un po' di lucidità mi è ritornata e mi rendo conto di colpo che qui dentro non ci possiamo mica passare la notte. Lei però fa qualcosa che rischia davvero di far saltare ogni consapevolezza e ogni decenza: si penetra con quelle dita sporche di me. Labbra socchiuse, sospiro e un'espressione sorpresa, come se non fosse lei stessa ad averlo fatto. Dio mio, oddio che cazzo stai...? Prende la mia mano e se la porta sul cuore. Tum-tum-tum. Poi gli altri colpi, quelli sulla porta e più forti di sempre, frantumano tutto. Boom boom boom!
Ok, scappiamo via. Portiamo fuori di qui le nostre dignità sdrucite, affrontiamo questo piccolo pubblico di stronze, sfidiamo i loro sguardi, cerchiamo quelli più invidiosi. Qualcuna ci sarà pure che si sta facendo il suo personale film, no? Ce lo facciamo tutte, prima o poi, e il titolo è sempre uguale: "Come vorrei". Come vorrei una testa tra le gambe, come vorrei avere la bocca piena, come vorrei avere un ragazzo impazzito dietro di me che mi insegna a vivere, eccetera eccetera. Ma stronze, arrapate o indifferenti che siano, il nostro interesse per loro dura lo spazio di un battito di ciglia. È il momento del vaffanculo al mondo. E se sei fatta, credetemi, è un vaffanculo davvero molto grande.
È un locale gay? No, non direi. Eppure, se qualcuno ci passasse davanti adesso si farebbe quell'idea lì, con due ragazze che si baciano proprio davanti all'entrata. Che si baciano in quel modo, intendo dire. Non me ne sono nemmeno accorta che siamo uscite, ripetendo meccanicamente i gesti che si fanno tutte le volte: le borse, le giacche, i saluti forse. Non mi ricordo se ho salutato. Sticazzi. Sono troppo concentrata sulle sue mani che mi tengono la faccia mentre ci baciamo. Sull'odore che arriva da quelle dita, il mio e il suo mischiati insieme. La cosa che mi fa impazzire è che lo sa perfettamente che tra un po' i baci non basteranno più, che si sta dirigendo verso la-sua-prima-volta-con-una-ragazza. Eppure continua a non mostrare né imbarazzo né timidezza, non ha ritegni. Nemmeno con le parole. Vuole sapere, lo vuole sapere assolutamente, qual è la cosa che mi piace di più quando faccio sesso. Lo vuole sapere perché vuole soddisfarmi. Sissignore, "satisfy you", non ha problemi a dirlo. Mi eccita sentirglielo dire ma non so cosa rispondere, davvero non lo so. Anche se detto da me suona strano, un po' di imbarazzo sono io ad averlo e provo a dissimularlo con l’ironia: “Scopare nel bagno di un locale non è male, no?”. Si stringe ancora di più, mi passa una mano sul culo, mi arrapa e si arrapa. Racconta a bassa voce, come se fosse un segreto militare, che la prima volta che ha scopato con Matej è stata proprio dentro il bagno di un locale, completamente fuori di testa sia lui che lei. Eppure erano già tre settimane che vivevano sotto lo stesso tetto. Elargisce particolari luridi, mi fa venire voglia di fare a gara a chi ne tira fuori di più. Le racconto che giusto una settimana fa, dentro un bagno, l'ho preso in bocca a un ragazzo, è venuto subito ma se fosse stato per me gliel'avrei data volentieri lì.
Per un istante è come se la sorpresa la irrigidisca completamente. Avete presente quando avvertite che qualcosa che è cambiato, che non va, ma non avete idea di cosa sia? Lei mi guarda, io la guardo, lei domanda, io rispondo: un ragazzo, sì, perché?
- I thought you were a lesbian, aren't you?
Oddio no, aspetta, scusa un attimo... Sì, ok, ho fatto roba con qualche ragazza ma... che c'entra? Se non sono proprio lesbica è un problema? Ho il timore improvviso di non essere quello che si aspettava. Anzi, per dirla proprio tutta, ho il timore che fosse lei a cercare qualcosa e pensasse di averla trovata, ma che io l'abbia delusa, tradita. Ho paura che si incazzi e mi dica qualcosa tipo "vaffanculo, dovevi dirmelo prima".
- ...mmm heteroflexible ahahahahah... - rispondo. Preferisco sempre così che "bisex", ma lo dico in un modo che mi esce giustificatorio, difensivo, con una risatina imbarazzata.
Continua a guardarmi e sorride indecifrabile, friggo un po'. Razionalmente, non dovrei. Ma chi è razionale adesso? Si solleva sulle punte e cerca un bacio, in quel bacio mi ci sciolgo, affondo. Mi appiattisco sul suo corpo, mi struscio, la stringo, non voglio lasciarla andare. La scarica di adrenalina mi fa desiderare molto di più di quel bacio. Qualcuno dal sedile posteriore di un maxiscooter urla "fateve 'na cura de cazzo". Di solito mi guarderei intorno con prudenza perché... beh, non si può mai dire. Questo quartiere è un po' una zona franca, ma non puoi sapere se qualcuno decide di rompere i coglioni a due ragazze. È già successo. Eppure non me ne frega nulla nemmeno di questo, spero solo che non smetta di baciarmi.
Il silenzio nel quale riprendiamo a camminare abbracciate è di quelli che dicono "è tutto a posto, Annalisa, stai tranquilla". Penso che, nonostante qualche passo ogni tanto sia un po' incerto, ormai anche l'effetto dell'alcol stia scemando. Avrei voglia di un'altra pasta, o di qualcos'altro. Chissà se esiste qualcosa che mi fa dimenticare il mio nome ma non il suo, che fa scomparire tutto ma non lei. Per la prima volta mi rendo conto che non stiamo semplicemente camminando, ma che stiamo andando verso una destinazione che lei conosce e io no, che mi sta guidando e che io la sto seguendo. Vorrei tanto dirle portami dove ti pare, fammi quel che ti pare, sono tua. Ma ho paura di rompere questo silenzio rassicurante.
Micaela no, riprende a parlare, domanda, sembra scegliere con cura le parole quando mi dice che non l'avrebbe mai detto, ma che quando mi sono messa a chiacchierare con lei dentro a quel bagno ha pensato "questa ci sta provando con me" e un po' si è eccitata. No, probabilmente no, non sarebbe successo niente, probabilmente si sarebbe tenuta l'eccitazione e sarebbe tornata a casa con Matej. Però cazzo, dice. Cazzo cosa? Dice che, cazzo, sono così bella e così completamente diversa dall'idea di una cacciatrice lez che non ha potuto fare a meno di volere la stessa cosa che ho voluto io: passare un po' di tempo insieme, fare le sceme. Quell’altra voglia – aggiunge - è arrivata in fretta, sì, ma dopo. Quando ha capito che tipo sono.
Perché, che tipo sono? Vorrei saperlo anche io tante volte che tipo sono. Per lei sono una che non sa dire no, sono la parte debole. E questa beh, me l'ha già detto, è la sua fantasia, il suo sogno: bionda, occhi azzurri, fatta, docile... cazzo, nemmeno a ordinarla su Amazon la trova una come me.
Controbattere che non è così, che si è fatta un'idea sbagliata, è inutile. Con le ragazze è diverso, ma non so come spiegarglielo. C'è una dimensione di gioco e di complicità che con i maschi cerco raramente. È una specie di role play che può davvero prevedere di tutto. Però sì, lo ammetto, quando prima eravamo nel bagno avrei proprio voluto che fosse più... come dire, più senza pietà. Però è stato bello lo stesso.
La bacio come se dovessi mettere un sigillo sulle mie parole, lei mi guarda e dice che è un peccato. Nel senso che non sapeva bene cosa fare, che ha improvvisato. Un po' come se volesse scusarsi, ma il suo tono non è quello del rammarico. Il tono è più che altro "dammi un'altra occasione". O magari sono io che voglio intenderlo così. Le rispondo che a me non me ne frega un cazzo di quanto sia o non sia brava, le ripeto che per me è stato bello. Le confesso che quella parola che ha usato con me, “tame”, "docile", mi ha aperta delicatamente e adesso mi sento un'ostrica.
- Tame, I can be that kind of girl, if you like...
Posso essere docile, se vuoi. I miei occhi sono nei suoi occhi, il mio fiato nel suo fiato, la sua lingua sulle mie labbra semiaperte e nella mia bocca ansimante. E la sua mano finisce in mezzo alle mie gambe, non sopra i leggings, dentro. Qui in mezzo alla strada per qualche secondo siamo un caso da codice penale, ma non me ne potrebbe fregare di meno. Slave, slave, "wanna be your slave". Incredibile che io riesca a dirlo senza mettermi a ridere. Maneskin, mi dispiace ma siete arrivati secondi e con un bel po' di ritardo.
Subito dentro il portone, mi sussurra che ne ha ancora un po' e se vogliamo farcela, non c'è nemmeno bisogno di dire a cosa si riferisca. Anzi, non le lascio nemmeno finire la frase. Il mio "siiiiiì" è carico di voglia, nemmeno fosse il più romantico dei ragazzi che ti dice "ho i preservativi, ti fai scopare?". È la consapevolezza che sto per flippare ancora che mi fa tirare fuori quel "sì", la voglia di esaltarmi di brutto e di portare all'estremo ogni singola sensazione.
Se fossi un attimo più presente a me stessa, le chiederei perché qui, perché non su in casa. E magari mi risponderei da sola dicendomi che se si è tatuata sul culo la scritta "scheggia di follia" un motivo ci sarà. Invece assisto febbrile al suo inginocchiarsi davanti al muretto di marmo che separa le scale condominiali dall'ascensore per preparare le strisce. Pazzia al quadrato, potrebbe arrivare chiunque da fuori, da sopra, da sotto. Lei però sembra non pensarci e a me continua non fregarmene un cazzo.
Le scale che portano al suo appartamento diventano un'alcova. Uno, due stop per rampa. Baci, mani, strusciate… Scopami, scopami! La conquista della sua porta di casa prima, della sua stanza poi, è un delirio pornografico, infinito e squassante. Adesso sì che siamo accese, adesso sì che ogni cosa mi sembra possibile. Aspetta, ti prego, prima spogliami, spogliami tutta. Voglio rimanere nuda davanti a lei non per farmi ammirare ma per offrirmi, per sentirmi indifesa. Mi toglie di dosso le mie quattro cose con una lentezza infinita, costellata da una mano che conquista la mia pelle poco a poco, da piccole penetrazioni sempre troppo brevi che mi fanno contrarre, contorcere, che mi fanno dire "sì" e "ti prego". Intinge le sue dita dentro di me con movimenti ripetuti e se le asciuga sul mio pube, sulle mie labbra, sulle mie tette. Più che il gioco erotico di chi vuole spingerti al limite estremo senza soddisfarti mai, di chi vuole sentirti implorare, ci colgo tutta la sua incertezza. È come se fosse indecisa e non sapesse da dove cominciare. Come quando hai di fronte una tavola imbandita di ogni ben di Dio e non sai scegliere cosa mangiare per prima cosa. Lo avverto chiaramente e mi eccita. Strano, vero? È eccitante finire tra le braccia di qualcuno che "ci sa fare", che ti prende e ti possiede senza tanti ritegni e senza tanta cura. Non pensavo che fosse così eccitante anche essere preda di una ragazza la cui "esperienza" - usiamo pure questa parola orribile, meglio non mi viene - non è all'altezza delle sue fantasie. Certe sue esitazioni le trovo arrapantissime, forse dovrei dirle "sono qui, prendimi, va bene tutto, non avere paura di deludermi", ma non glielo dico. In un certo senso, quando le ho chiesto di denudarmi, è come se gliel'avessi già detto.
Come prima però, quando eravamo chiuse in quel bagno, arriva qualcosa a infrangere tutto. Chissà se è istinto animale o se è la sua distrazione di un attimo. Chissà se è lo sguardo che lancia oltre la mia spalla. Qualcuno, ci sta osservando qualcuno, dietro di me c'è qualcuno.
Volto la testa e vedo Matej appoggiato allo stipite. Cinque secondi di para. L'idea di essere al centro di qualcosa di preordinato, di una trappola in cui non pensavo di cadere e in cui non voglio cadere. Mi sposto di lato, la mossa del cavallo. Li lascio l'uno di fronte all'altra, con me stessa in mezzo che li guarda e dice "no, I don't want". È tutto persino quasi troppo rapido per avere paura.
Uno dei milioni di sorrisi che Micaela elargisce stasera finisce per illuminare anche lui. Lo guarda, mi guarda, mentre lo fa si toglie in un colpo solo jeans, mutandine e un calzino, l'altro le rimane appeso per metà al piede. Del tutto incongruamente penso che così sia buffa. Non posso ancora saperlo, ma altrettanto incongruamente quel calzino penzolante è tra le immagini di questa serata che rimarranno più nettamente impresse nella mia memoria. Avanza nuda dalla vita in giù verso di lui, si solleva sulle punte per baciarlo con leggerezza, gli blocca le mani già protese a impossessarsi delle sue natiche, gli passa il palmo sul pacco presumibilmente già dotato di una certa consistenza. Una volta, due volte. Spontanea la prima, smaccatamente più oscena e studiata la seconda, accompagnata da movenze e versetti artefatti.
Gesti elaborati, che a me sembrano durare tantissimo. Eppure non capisco un cazzo, non riesco nemmeno a domandarmi cosa stia succedendo. Vedo la mano di Micaela sul petto di Matej, la vedo spingerlo fuori dalla stanza e scomparire con lui, la vedo rientrare, chiudere la porta, girare la chiave. Si volta verso di me, mi guarda reprimendo una risata. Non ce la fa, chiude gli occhi e scoppia in una sghignazzata silenziosa, scivolando con la schiena sulla porta fino a toccare con il sedere il parquet di laminato. Deve essere un vizio, quello di appoggiarsi a una porta quando ride. Riapre gli occhi e ammicca alle sue spalle, li richiude continuando a ridere, con una mano si copre la bocca e con l'altra mima il gesto della sega. Stanotte se ne fa qualcuna anche Matej, sembra dirmi silenziosamente. Non solo il frocetto che è nell'altra stanza, aggiungo io altrettanto silenziosamente. Chissà perché mi viene in mente proprio lui, chissà perché me lo immagino efebico e delicato. Un luogo comune del cazzo, lo ammetto. Non c'è più nessuno. Siamo sole, finalmente imprigionate qui dentro, assolutamente fuori controllo.
Quando si calma le rimane in faccia un sorriso e uno sguardo di una dolcezza che non avevo ancora visto. Quando dice "do you like...?" penso chissà perché me lo chiede ancora, gliel'ho già detto che mi piace. Ma sono troppo precipitosa, lei completa la frase - "do you like... HER?" - e allora colgo il senso. Non mi sta chiedendo di guardare il suo sorriso, mi sta chiedendo di guardare in mezzo alle sue gambe spalancate, mi sta chiedendo di guardare LEI. La dolcezza sparisce di colpo, si nebulizza per lasciare spazio a uno sguardo di perversione pura.
Capisco cosa devo fare, capisco da dove devo cominciare. Devo cominciare dal prostrarmi sul pavimento, quasi strisciare verso di LEI. Devo omaggiare LEI. Devo finalmente sentire il sapore di LEI, devo stordirmi annusando insieme a LEI tutta la sua voglia. Arrivo, bella ragazza, gattono e striscio per te, come se dovessi eseguire un ordine che non mi hai dato. Sono la tua ancella obbediente, sarò docile, sarò qualsiasi cosa pur di darti piacere. Non importa che tu non sappia bene cosa fare, non me frega davvero un cazzo. La tua imperizia mi eccita quasi quanto la tua voglia. Mi sento spalancata e non ho più nemmeno la protezione delle mutandine e dei leggings. Sto colando di fronte al tuo sguardo che mi chiama impertinente e lascivo, la tua voce mi parla e mi regala un anticipo di orgasmo: la prossima volta comprerò le zucchine.
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