Lezioni di Anatomia - Cap. I - L'idea di Lara
di
Baal
genere
prime esperienze
Tra gli esami del primo anno, spiccava – per la voluminosità del manuale – anatomia.
Molti suoi colleghi di università avevano iniziato con scansare quella materia, rinviandone l’esame a fine anno. Lei no: lei, pur ubriaca di nozioni, a causa del frastuono mentale dato dal passaggio dal liceo all’Università, era affascinata da quelle articolazioni scientifiche, da quelle immagini idonee a svelare i misteri del corpo umano. Da sempre curiosa delle materie scientifiche, subiva il magnetismo della progressiva scoperta di organi, funzioni, il miracolo della vita che diviene oggetto di analisi, e – finalmente – di consapevolezza.
I pomeriggi di studio si susseguivano, a volte favorendo la sua concentrazione, a volte scorrendo sonnacchiosi mentre lei dilatava le proprie pause, talvolta riempiendole con uno spuntino, talvolta orientandola su pensieri più audaci….
Fu un pomeriggio primaverile, il palcoscenico della sua concentrazione, allorquando si trovò ad affrontare un titolo promettente: “L’apparato riproduttivo”. Le fitte didascalie facevano da cornice ad eloquenti illustrazioni, che mostravano vagine in sezione, labbra che immaginò accoglienti, ed un membro maschile, che – anche se soltanto disegnato – la fece sussultare tra le gambe….Trovò magnetica la sezione di profilo, accattivanti le dimensioni generose fatte apposta per rendere agevole lo studio..
Per un attimo sfiorò con le dita il foglio di carta..come a volere che quel maschio prendesse vita..
Si trovò a scattare una foto di quella rappresentazione, e mandarla al Padrone, con un commento eloquente “che bel cazzo…”.
Decise quindi di affrontare l’argomento, ma i suoi occhi continuavano ad essere attratti da quel disegno.
Le venne in mente quando, nei primi approcci, aveva una sorta di disagio ad affrontare il pene: come se fosse qualcosa di strano, o di sporco, o che voleva tenere lontano da sé, per timidezza, o per paura di non saperlo maneggiare. Uno sconosciuto, insomma.
Da qualche tempo, invece, aveva imparato ad amare le sensazioni che la virilità contenuta nelle sue mani poteva donare. E l’orgoglio che il pene del Padrone le dava, ingrossandosi, mentre le mani forti si impossessavano della sua pelle.
Il cazzo. Il cazzo del Padrone: è così che si chiamava, è così che lo amava.
Si ritrovò a sorridere nel pensare alla reazione del suo Signore le prime volte che lo chiamava “pene”: “non è un trattato di anatomia…ho un cazzo, troietta”. “E che cazzo!”, mormorò…mentre la mano scivolava tra le sue gambe e, scostando l’elastico dei leggins, si intrufolò nelle sue mutandine.
Bagnata. Era quello l’effetto che le faceva la mazza del Padrone….immaginò le vene in rilievo, la cappella gonfia ed arrogante, e lasciò ai suoi polpastrelli la libertà di carezzarsi il clitoride.
Guardò di nuovo l’immagine sul manuale di anatomia: che desiderio di baciarlo, sentire tra le labbra la magia del cazzo che cresce. Puntò i piedi sul pavimento, allargando di più le gambe.
Proprio in quel momento, la notifica sul suo cellulare le ricordò chi era: “per te esiste soltanto il mio cazzo, puttanella” …Ricordò anche un’altra cosa: i suoi sensi appartenevano al Padrone, e le regole erano chiare…Digitò rapida: “Posso toccarmi, Padrone?”…”Concesso…se pensi a come mi hai servito l’ultima volta….”.
Le immagini si accavallarono nella sua mente: un cazzo disegnato, dinanzi a lei, l’evocazione del Padrone – maschio, imperioso, da servire con ogni sua cura, con ogni dedizione, con ogni suo buco – e gli altri sensi si acuirono: le sembrò di sentire odori, sapore..lo voleva, voleva essere riempita dal Signore..
Le parve di sentire il rumore della cintura, la mano sulla testa. Respirò forte…roteò i polpastrelli sul clitoride, regolare, con piaceva a lei…pensò a come pochi giorni prima il Padrone l’avesse posseduta…Dopo aver marchiato la sua pelle, i suoi seni, le aveva forzato la bocca col palo di carne: per lei, bocca piena e vagina umida, pelle segnata, e mano sulla testa….Un lieve capogiro di piacere, una folla di immagini, di bisogni, di consapevolezza di volere essere di nuovo presto a disposizione del suo Signore…e strinse le gambe, venendo in silenzio come quasi sempre accadeva quando era sola.
Si rilassò per un lungo minuto. Riguardò il disegno sul libro, e ormai placata dalle sue dita - si ritrovò a sorridere della sua follia quasi infantile…. “Un disegno”, mormorò… Fu in quel momento che pensò che nessun modello di pene poteva – per lei – superare in virilità l’uomo che adorava. “Mi piace guardarlo, sfiorarlo, studiarlo..”, pensò. E le venne in mente che era un peccato che la sua migliore amica, alle prese con la stessa materia, non fosse altrettanto fortunata. Un’idea. Una fantasia. Un lampo di genio. “Ehm..e perché mai non avrebbe potuto esserlo?”.
Molti suoi colleghi di università avevano iniziato con scansare quella materia, rinviandone l’esame a fine anno. Lei no: lei, pur ubriaca di nozioni, a causa del frastuono mentale dato dal passaggio dal liceo all’Università, era affascinata da quelle articolazioni scientifiche, da quelle immagini idonee a svelare i misteri del corpo umano. Da sempre curiosa delle materie scientifiche, subiva il magnetismo della progressiva scoperta di organi, funzioni, il miracolo della vita che diviene oggetto di analisi, e – finalmente – di consapevolezza.
I pomeriggi di studio si susseguivano, a volte favorendo la sua concentrazione, a volte scorrendo sonnacchiosi mentre lei dilatava le proprie pause, talvolta riempiendole con uno spuntino, talvolta orientandola su pensieri più audaci….
Fu un pomeriggio primaverile, il palcoscenico della sua concentrazione, allorquando si trovò ad affrontare un titolo promettente: “L’apparato riproduttivo”. Le fitte didascalie facevano da cornice ad eloquenti illustrazioni, che mostravano vagine in sezione, labbra che immaginò accoglienti, ed un membro maschile, che – anche se soltanto disegnato – la fece sussultare tra le gambe….Trovò magnetica la sezione di profilo, accattivanti le dimensioni generose fatte apposta per rendere agevole lo studio..
Per un attimo sfiorò con le dita il foglio di carta..come a volere che quel maschio prendesse vita..
Si trovò a scattare una foto di quella rappresentazione, e mandarla al Padrone, con un commento eloquente “che bel cazzo…”.
Decise quindi di affrontare l’argomento, ma i suoi occhi continuavano ad essere attratti da quel disegno.
Le venne in mente quando, nei primi approcci, aveva una sorta di disagio ad affrontare il pene: come se fosse qualcosa di strano, o di sporco, o che voleva tenere lontano da sé, per timidezza, o per paura di non saperlo maneggiare. Uno sconosciuto, insomma.
Da qualche tempo, invece, aveva imparato ad amare le sensazioni che la virilità contenuta nelle sue mani poteva donare. E l’orgoglio che il pene del Padrone le dava, ingrossandosi, mentre le mani forti si impossessavano della sua pelle.
Il cazzo. Il cazzo del Padrone: è così che si chiamava, è così che lo amava.
Si ritrovò a sorridere nel pensare alla reazione del suo Signore le prime volte che lo chiamava “pene”: “non è un trattato di anatomia…ho un cazzo, troietta”. “E che cazzo!”, mormorò…mentre la mano scivolava tra le sue gambe e, scostando l’elastico dei leggins, si intrufolò nelle sue mutandine.
Bagnata. Era quello l’effetto che le faceva la mazza del Padrone….immaginò le vene in rilievo, la cappella gonfia ed arrogante, e lasciò ai suoi polpastrelli la libertà di carezzarsi il clitoride.
Guardò di nuovo l’immagine sul manuale di anatomia: che desiderio di baciarlo, sentire tra le labbra la magia del cazzo che cresce. Puntò i piedi sul pavimento, allargando di più le gambe.
Proprio in quel momento, la notifica sul suo cellulare le ricordò chi era: “per te esiste soltanto il mio cazzo, puttanella” …Ricordò anche un’altra cosa: i suoi sensi appartenevano al Padrone, e le regole erano chiare…Digitò rapida: “Posso toccarmi, Padrone?”…”Concesso…se pensi a come mi hai servito l’ultima volta….”.
Le immagini si accavallarono nella sua mente: un cazzo disegnato, dinanzi a lei, l’evocazione del Padrone – maschio, imperioso, da servire con ogni sua cura, con ogni dedizione, con ogni suo buco – e gli altri sensi si acuirono: le sembrò di sentire odori, sapore..lo voleva, voleva essere riempita dal Signore..
Le parve di sentire il rumore della cintura, la mano sulla testa. Respirò forte…roteò i polpastrelli sul clitoride, regolare, con piaceva a lei…pensò a come pochi giorni prima il Padrone l’avesse posseduta…Dopo aver marchiato la sua pelle, i suoi seni, le aveva forzato la bocca col palo di carne: per lei, bocca piena e vagina umida, pelle segnata, e mano sulla testa….Un lieve capogiro di piacere, una folla di immagini, di bisogni, di consapevolezza di volere essere di nuovo presto a disposizione del suo Signore…e strinse le gambe, venendo in silenzio come quasi sempre accadeva quando era sola.
Si rilassò per un lungo minuto. Riguardò il disegno sul libro, e ormai placata dalle sue dita - si ritrovò a sorridere della sua follia quasi infantile…. “Un disegno”, mormorò… Fu in quel momento che pensò che nessun modello di pene poteva – per lei – superare in virilità l’uomo che adorava. “Mi piace guardarlo, sfiorarlo, studiarlo..”, pensò. E le venne in mente che era un peccato che la sua migliore amica, alle prese con la stessa materia, non fosse altrettanto fortunata. Un’idea. Una fantasia. Un lampo di genio. “Ehm..e perché mai non avrebbe potuto esserlo?”.
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