La Contessa schiava (parte 4)
di
Kugher
genere
sadomaso
Non ci fu bisogno di darle un’altra frustata e questo dispiacque ad entrambi i contadini che, evidentemente, ci avevano preso gusto.
Avevano preso qualche frustata dal Padrone anni addietro. Loro mai avevano provato ad alzare la frusta su altro essere umano.
Era molto eccitante la cosa. Il cazzo di François era duro ed anche Annette si sentiva bagnata e sconvolta alla bocca dello stomaco.
La fecero uscire in cortile. Faceva caldo ed Eloise si sentiva la pelle scottata dal sole, conscia che era più un effetto dell’eccitazione e, sicuramente, anche dal fatto di essere nuda davanti ad altre persone. Solitamente la nudità era riservata alle serve ed ai suoi amanti, oltre che a sé stessa quando, allo specchio, ammirava la sua bellezza.
Essere letteralmente gettata all’aperto era una sensazione fortissima che le amplificava l’effetto del sole sulla pelle.
Pur sapendo che nessuno avrebbe potuto vederla, l’aria aperta e l’esposizione ad un probabile visitatore le trasmetteva sensazioni contrastanti, tra le quali anche l’eccitazione per la novità, il pericolo, anche se calcolato, l’incertezza su ciò che stava per accadere ed il potere su di sé che sentiva sempre più trasferito a quei due contadini che si erano rivelati una sorpresa.
“Non puoi permetterti di abbandonare il carro ed il cavallo. Siamo i tuoi Padroni, non i tuoi servi. Ritira”.
Eloise venne colta dal panico.
Aveva cavalcato e guidato calessi e carri, anche carrozze, sempre alla ricerca di nuove esperienze. Ma non aveva mai provveduto al rimessaggio. Per quello c’erano i servi.
“Non so come si fa”.
Lei stessa si stupì della sua voce rotta, quasi in colpa per non essere in grado di eseguire l’ordine.
Il frustino la colpì sulla schiena e la fece cadere a terra, nuda, nella polvere del cortile.
La scarpa dell’uomo posata sul viso la schiacciava sulla terra ruvida e le faceva male, eppure continuava a schiacciare, non solo la sua faccia ma anche il suo orgoglio, lasciando spazio all’umiliazione che tanto la eccitava.
Le facevano male i sassi sotto una guancia ed il tacco della scarpa sull’altra.
“Impari, cagna”.
Aveva sentito appena cosa avesse detto. L’offesa invece era stata compresa benissimo e anch’essa la gettava ancor più nella terra.
“Alzati e porta il calesse sotto il portico”.
Dovette poi imparare a liberare il cavallo dall'imbracatura e portarlo nella stalla, luogo nel quale lei non era mai stata nemmeno quando era vestita. Ora doveva entrarci nuda e l’odore del locale sembrava che le volesse attaccarsi alla sua pelle.
L’esitazione le costò un altro colpo di frustino. A quell’uomo piaceva la schiena e sempre lì cercava di colpire. Se la immaginava arrossata al pari della sua anima.
“Sistema il cavallo e dagli da mangiare”.
Le venne istintivo, visto quanto accaduto poco prima, di chiedere come si facesse, ma aveva paura della forza dominante dell’uomo.
Trovava comunque la situazione eccitante e forte e decise di convincere il Padrone della sua sottomissione dettata, non se lo negò, dalla paura che il contadino le infondeva, cosa che non avrebbe mai pensato e che la lasciò con il tremore alla bocca dello stomaco.
Si dovette fare forza per posare le ginocchia a terra davanti al Padrone.
“Scusatemi, Signore, dovrete insegnarmi. Non l’ho mai fatto”.
Le venne istintivo alzare appena il capo che aveva tenuto molto chino, ben sotto alla cinta dell’uomo, prendere la mano del Padrone tra le sue e baciarla. Volle mostrare la sua deferenza, sentita.
Pose le sue labbra sul dorso e le trattenne, quasi timorosa di toglierle.
Ora era il puro istinto che guidava i suoi movimenti. Tolse le labbra e leccò la mano, quella che impugnava il frustino.
Abbassò ancora la testa sotto la cinta del Padrone, ma sopra il livello delle ginocchia.
Sopra di sé sentì del movimento ma non osò alzare lo sguardo.
Si sentì presa per i capelli, chiusi fortemente nella mano che prima aveva baciato e leccato che la costrinse ad alzare il capo.
Si trovò di fronte il cazzo duro dell’uomo. Non servirono ordini per farle aprire la bocca ed accogliere l’eccitazione della quale ebbe modo di accertare ed apprezzare la consistenza.
L’odore della stalla ed il dolore alle ginocchia ebbero l’effetto di amplificare la sensazione che il suo stato le dava. Il suo unico pensiero era concentrarsi sul cazzo, dargli piacere, soddisfarlo, portarlo ad essere durissimo. Quel cazzo era divenuto il simbolo del potere su di lei e voleva dimostrargli tutta la sua devozione.
Lo avvolgeva con la bocca e lo accarezzava con la lingua.
Pensava di avere il controllo del suo piacere quando la mano che ancora le teneva la testa le confermò di essere solo uno strumento del piacere, senza lasciarle iniziativa.
Si ritrovò quel cazzo durissimo fino in gola. Puzzava ma non le dava fastidio, anzi.
Il Padrone le tirò bruscamente indietro la testa tenendole i capelli. Il cazzo era a pochi millimetri dalle sue labbra.
La schiava avvertì la sua frustrazione nel non riuscire a raggiungerlo e a dargli il piacere che desiderava lui avesse.
Spingeva con la testa cercando di forzare la mano che le tratteneva i capelli procurandole dolore, eppure il suo unico desiderio era quello di averlo in bocca, duro, durissimo come era prima e leccarlo, succhiarlo per dimostrare la sua devozione.
Più lei spingeva più il Padrone le teneva indietro la testa facendo sfiorare il cazzo alle sue labbra che si aprivano come il pesce alla ricerca dell’amo.
Il Padrone le spinse di colpo la testa fino a farle trovare il cazzo in gola. Tossì senza che il cazzo le lasciasse spazio o aria e comunque succhiava.
Fu il Padrone a tirarlo fuori strattonandole i capelli e spingendola quasi a terra.
Si rimise il cazzo nei pantaloni.
“La giornata è lunga per godere subito, puttana”.
Avevano preso qualche frustata dal Padrone anni addietro. Loro mai avevano provato ad alzare la frusta su altro essere umano.
Era molto eccitante la cosa. Il cazzo di François era duro ed anche Annette si sentiva bagnata e sconvolta alla bocca dello stomaco.
La fecero uscire in cortile. Faceva caldo ed Eloise si sentiva la pelle scottata dal sole, conscia che era più un effetto dell’eccitazione e, sicuramente, anche dal fatto di essere nuda davanti ad altre persone. Solitamente la nudità era riservata alle serve ed ai suoi amanti, oltre che a sé stessa quando, allo specchio, ammirava la sua bellezza.
Essere letteralmente gettata all’aperto era una sensazione fortissima che le amplificava l’effetto del sole sulla pelle.
Pur sapendo che nessuno avrebbe potuto vederla, l’aria aperta e l’esposizione ad un probabile visitatore le trasmetteva sensazioni contrastanti, tra le quali anche l’eccitazione per la novità, il pericolo, anche se calcolato, l’incertezza su ciò che stava per accadere ed il potere su di sé che sentiva sempre più trasferito a quei due contadini che si erano rivelati una sorpresa.
“Non puoi permetterti di abbandonare il carro ed il cavallo. Siamo i tuoi Padroni, non i tuoi servi. Ritira”.
Eloise venne colta dal panico.
Aveva cavalcato e guidato calessi e carri, anche carrozze, sempre alla ricerca di nuove esperienze. Ma non aveva mai provveduto al rimessaggio. Per quello c’erano i servi.
“Non so come si fa”.
Lei stessa si stupì della sua voce rotta, quasi in colpa per non essere in grado di eseguire l’ordine.
Il frustino la colpì sulla schiena e la fece cadere a terra, nuda, nella polvere del cortile.
La scarpa dell’uomo posata sul viso la schiacciava sulla terra ruvida e le faceva male, eppure continuava a schiacciare, non solo la sua faccia ma anche il suo orgoglio, lasciando spazio all’umiliazione che tanto la eccitava.
Le facevano male i sassi sotto una guancia ed il tacco della scarpa sull’altra.
“Impari, cagna”.
Aveva sentito appena cosa avesse detto. L’offesa invece era stata compresa benissimo e anch’essa la gettava ancor più nella terra.
“Alzati e porta il calesse sotto il portico”.
Dovette poi imparare a liberare il cavallo dall'imbracatura e portarlo nella stalla, luogo nel quale lei non era mai stata nemmeno quando era vestita. Ora doveva entrarci nuda e l’odore del locale sembrava che le volesse attaccarsi alla sua pelle.
L’esitazione le costò un altro colpo di frustino. A quell’uomo piaceva la schiena e sempre lì cercava di colpire. Se la immaginava arrossata al pari della sua anima.
“Sistema il cavallo e dagli da mangiare”.
Le venne istintivo, visto quanto accaduto poco prima, di chiedere come si facesse, ma aveva paura della forza dominante dell’uomo.
Trovava comunque la situazione eccitante e forte e decise di convincere il Padrone della sua sottomissione dettata, non se lo negò, dalla paura che il contadino le infondeva, cosa che non avrebbe mai pensato e che la lasciò con il tremore alla bocca dello stomaco.
Si dovette fare forza per posare le ginocchia a terra davanti al Padrone.
“Scusatemi, Signore, dovrete insegnarmi. Non l’ho mai fatto”.
Le venne istintivo alzare appena il capo che aveva tenuto molto chino, ben sotto alla cinta dell’uomo, prendere la mano del Padrone tra le sue e baciarla. Volle mostrare la sua deferenza, sentita.
Pose le sue labbra sul dorso e le trattenne, quasi timorosa di toglierle.
Ora era il puro istinto che guidava i suoi movimenti. Tolse le labbra e leccò la mano, quella che impugnava il frustino.
Abbassò ancora la testa sotto la cinta del Padrone, ma sopra il livello delle ginocchia.
Sopra di sé sentì del movimento ma non osò alzare lo sguardo.
Si sentì presa per i capelli, chiusi fortemente nella mano che prima aveva baciato e leccato che la costrinse ad alzare il capo.
Si trovò di fronte il cazzo duro dell’uomo. Non servirono ordini per farle aprire la bocca ed accogliere l’eccitazione della quale ebbe modo di accertare ed apprezzare la consistenza.
L’odore della stalla ed il dolore alle ginocchia ebbero l’effetto di amplificare la sensazione che il suo stato le dava. Il suo unico pensiero era concentrarsi sul cazzo, dargli piacere, soddisfarlo, portarlo ad essere durissimo. Quel cazzo era divenuto il simbolo del potere su di lei e voleva dimostrargli tutta la sua devozione.
Lo avvolgeva con la bocca e lo accarezzava con la lingua.
Pensava di avere il controllo del suo piacere quando la mano che ancora le teneva la testa le confermò di essere solo uno strumento del piacere, senza lasciarle iniziativa.
Si ritrovò quel cazzo durissimo fino in gola. Puzzava ma non le dava fastidio, anzi.
Il Padrone le tirò bruscamente indietro la testa tenendole i capelli. Il cazzo era a pochi millimetri dalle sue labbra.
La schiava avvertì la sua frustrazione nel non riuscire a raggiungerlo e a dargli il piacere che desiderava lui avesse.
Spingeva con la testa cercando di forzare la mano che le tratteneva i capelli procurandole dolore, eppure il suo unico desiderio era quello di averlo in bocca, duro, durissimo come era prima e leccarlo, succhiarlo per dimostrare la sua devozione.
Più lei spingeva più il Padrone le teneva indietro la testa facendo sfiorare il cazzo alle sue labbra che si aprivano come il pesce alla ricerca dell’amo.
Il Padrone le spinse di colpo la testa fino a farle trovare il cazzo in gola. Tossì senza che il cazzo le lasciasse spazio o aria e comunque succhiava.
Fu il Padrone a tirarlo fuori strattonandole i capelli e spingendola quasi a terra.
Si rimise il cazzo nei pantaloni.
“La giornata è lunga per godere subito, puttana”.
3
2
voti
voti
valutazione
5.4
5.4
Continua a leggere racconti dello stesso autore
racconto precedente
La Contessa schiava (parte 3)racconto sucessivo
La Contessa schiava (parte 5)
Commenti dei lettori al racconto erotico