Cheikh

di
genere
tradimenti

Sdraiata sul tavolo a cosce aperte. Cheikh, il negro tuttofare la sta possedendo con grande energia. È vicina all’ennesimo orgasmo, che sta per esplodere in tutta la sua potenza. Le gambe poste sopra le sue spalle, così da penetrarla profondamente mentre con le mani le tortura i capezzoli. Sente un’ondata di piacere scorrere dalla testa verso il ventre, incontenibile. La stupisce la facilità con cui riesce a portarla così velocemente all’orgasmo.
La gira. Sente la cappella avvicinarsi allo sfintere. Ha un attimo di esitazione. Sente il membro, abbondantemente lubrificato dalle sue voglie, farsi strada dentro di lei. Non vorrebbe ma la voce le muore in gola. Spalanca la bocca senza riuscire a dire nulla. È un attimo: quando entra dentro di lei con forza; la voce non esce dalla bocca, l’urlo lo sente solo dentro di lei.
La sensazione che ne ricava è come se fosse stata sverginata per la seconda volta! Allunga la mano e scopre che una parte del sesso non è ancora penetrato nella sua carne mentre prende a muoversi dentro e fuori. Ad ogni affondo, ne entra ancora un po' di più. Il fiato non torna, la bocca è sempre spalancata. Un debole lamento è tutto quello che riesce a far udire, mentre si abbandona come una bambola di pezza. Lascia che lui la sbatta, abbandona ogni reazione, è sua. Un giocattolo nelle sue mani, sopraffatta dalla potenza del membro che la scopa, la sfonda, la impala e la uccide di un piacere mai provato prima. È in uno stato di semi incoscienza dovuto al piacere di tanto dolore.
Il suo grugnito mette la parola fine quell’accoppiamento animalesco. Esce da lei; si ricompone e, senza pronunciare parola, si congeda. È stato sesso consenziente od una brutale violenza sessuale? Non saprebbe dirlo. Il dolore è lancinante ma non potrebbe fare a meno di lui. La fa sentire viva in quella casa dove ogni cosa odora di morte. Forse vorrebbe solamente che fosse più romantico e gentile. Forse il suo modo rude di possederla è dovuto alla diversa estrazione sociale. Eppure, sebbene il femminismo che la attanaglia, ama sentirsi dominata da quell’uomo nero. Le piace soffocare sotto al suo peso e adora il ruolo di femmina fragile ed indifesa, soffocata tra i muscoli del maschio alfa.
Quando lo raggiunge, lui è già in salone: senza sforzo solleva il vecchio dalla poltrona e lo porta a letto. La prestanza di Cheikh rende la gracilità del marito ancora più evidente. Lei li segue: il dolore è ancora vivo e le impedisce di camminare normalmente. Freddamente ringrazia Cheikh e lo congeda. Dopo una breve toilette si sdraia vicino al marito: come ogni sera da quarant’anni, lo abbraccia e gli augura una buona notte. Poi si rigira. e pensa a quanto sia ancora selvaggio il mondo dei negri.


Il vecchio è appisolato di fronte alla TV. Una vecchia cariatide con più soldi che vita davanti a lui.
La moglie, vent’anni più giovane ma comunque datata, è invece sdraiata sul tavolo da pranzo sovrastata da un Ercole africano al cui confronto lei appare piccolina. Con le unghie smaltate di rosso si abbarbica alle spalle del gigante d’ebano. Le gambe magre, inguaiate nei collant stringono la vita dell’uomo, che stantuffa come un mantice nella fucina di un fabbro. Le natiche sode dell’africano, lasciate completamente scoperte dai pantaloni calati fino alle caviglie, vibrano ad ogni affondo.
Le labbra di corallo della signora tremano per gli spasmi del piacere. Se la gode Cheikh, pensando a tutte le volte che il marito l’ha umiliato; a tutte le volte che lo ha guardato dall’alto in basso, come se per dargli un lavoro da tuttofare nella propria villa lo avesse reso il Padreterno. A tutte le volte che non si è fatto problemi a chiamarlo “negro”.
Cheikh possiede la donna con vigore animalesco. Chi li vedesse in quel momento penserebbe che la donna stia per spezzarsi, come la banchina polare sotto la prua di una rompighiaccio. La brava signora Erica, apparentemente tutta casa e chiesa ma sotto sotto sordida come una meretrice di Babilonia, oscena nella sua ipocrisia borghese, lo incita ripetendo “Si, Cheikh, si! Sei il mio Mandingo!”.
Sarebbe tentato di dirle che i Mandinghi sono un gruppo etnico ben preciso, che lui è nigeriano e che utilizzare il loro nome per indicare genericamente gli africani in riferimento a certe loro prestanze fisiche è offensivo, ma si trattiene. Perché dovrebbe concederle l’onore di rischiare la sua ignoranza da donna del Primo Mondo?
Certo, gli fa rabbia che il mondo giri così. Lui, laureato in ingegneria e costretto a fuggire dalla terra natale per le guerre, debba fare da servo a gente come la signora Erica ed il marito, che nella vita non hanno fatto nulla per possedere tutto.
Forse, farsi la moglie dell’uomo bianco è una vendetta divina. Oppure, se non esiste Dio, è il karma che gira. O forse è semplicemente culo. E a proposito di culo, forse la signora si merita una ripassata anche dietro, come riparazione per i crimini del colonialismo. Tu uomo bianco depauperi un continente e tracci confini a cazzo per alimentare guerre civili per i prossimi cent’anni e io ti inculo la donna: uno scambio equo, no?
A quel pensiero Cheikh si eccita, la gira, ed aumenta il ritmo dell’amplesso. Il tavolo traballa, cigola, sembra sul punto di rompersi ma continua a reggere, mentre un intero continente sfruttato e schiavizzato si prende la sua rivincita sull’uomo bianco schiavista e sfruttatore.
scritto il
2024-07-16
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