Il trittico
di
RomanDeVil
genere
comici
- …Mi perdoni, Padre, perché ho peccato.
- Pensieri, opere o omissioni, figliola?
- Tutti e tre, Padre, ma soprattutto opere.
- Ahi, ahi, ahi…
- Che c'è, Padre? Così mi spaventa!
- Vedi, l'en plein del peccato è sempre roba insidiosa e delicata… capisci, mia pecorella? Ma non ti preoccupare, cara, qui sei nel posto giusto… sei, come dire, tra professionisti.
- Allora continuo, Padre?
- Vai con fiducia. Lasciati andare, apriti…
- Dunque… era sera, Padre, una sera d'estate, e il sole dipingeva il cielo sciogliendosi in tinte accese. Incantevole, mi creda: le nuvole color violetto parevano gli ultimi sospiri del giorno, e il bosco frusciava al vento, in languido saluto c…
- STOP!! Peccati, figliola, non acquerelli. Ché son qui per lavorare, io.
- Chiedo perdono, Padre, volevo solo descrivere un momento struggente e bellissimo, uno di quelli che libera gli istinti e anestetizza le coscienze. No so se essere prigioniere di simili circostanze possa essere considerata un'attenuante, ma in cuor mio lo spero, perché… perché sembrava di essere in paradiso, Padre. Persino quando si è messo a piovere, le gocce calde sembravano come baci e carezze sulla pelle…
- Avanti, bambina, avanti, che il cero si consuma e la processione non avanza: concreta. Strin-gi! [segno di »spruz spruz« con le mani]
- E va bene… il fatto è che con me c'era un ragazzo e…
- Il tuo ragazzo?
- No, Padre, no, per carità!… Uno che ho conosciuto quella mattina.
- AH!… Ho capito tutto! Ti ha toccata, vero? S'è approfittato d'un tramonto estivo (tipica illusione tentatrice del Maligno) e ti ha toccata, è così? Non negare, non ci provare! Non ci pensare nemmeno! Magari t'ha baciata… dimmi, dimmi, piccina. Esterna dettagliatamente, liberatene, fammi partecipe… magari ha lisciato le prime gocce di pioggia sfiorandoti il braccio, magari ha leccato via dal collo quelle più impudiche e svergognate, quelle che scivolano giù dal viso come lacrime lussuriose… [pausa per necessità inspiratorie].
- Calma, Padre, calma! Non m'incalzi, mi dia tregua! Comunque no, non ci siamo toccati né baciati. Ci siamo riparati sotto una pergola di glicine che faceva ombra a una microscopica chiesetta, isolata tra i boschi.
- Bene. BENE! Benissimo! Nelle avversità è sempre cosa buona rifugiarsi sotto l'ala protettiva del Signore.
- Infatti, è quello che ci siamo detti anche noi quando la pioggia ha cominciato a venire giù a catinelle, inzuppandoci d'acqua e di petali di glicine. Due spallate alla porta, e siamo entrati nel santuario.
- Cioè… aspe', avete sfondato la porta?
- Beh, sì Padre. È sempre la casa di Dio, ed Egli avrebbe accolto due viandanti, dico bene?
- Mmm… sì, filosoficamente è corretto. Resterebbe il problema terreno dell'effrazione, però… cavoli, ce ne preoccuperemo poi. Ora continua, concentrati.
- Dunque… la chiesa all'interno era un gioiellino. Coccola, povera, con inginocchiatoi in legno e un bell'altare di marmo policromo sormontato da un trittico naïf ma ispirato e…
- Al sodo, figliola, al sodo, per pietà della Madonna (Dio sempre l'abbia in gloria), ché io non sono un critico d'arte. Parla, avete fatto danni? Rovinato qualcosa? Il peccatore che era con te s'è fottuto qualche paramento? Concretezza, per l'Altissimo!
- Suvvia, Padre, che andate a pensare! È che… sì, insomma, tutto è iniziato per caso e in principio dev'esserci stato l'odore, mi pare.
- Il Verbo, figlia mia, in principio era il Verbo.
- No Padre, nessuno di noi ha fiatato, giuro! Era l'odore, quell'odore di pelle bagnata misto a glicine. Insomma, ci siamo seduti ai piedi dell'altare inebriati e…
- Oh cièlo, come in osteria!
- In rispettoso silenzio, Padre! Però il silenzio, sa com'è, a volte è un po' complice. Come le ombre della sera, quelle che disegnano le sagome rubandone i colori. E allora… allora, ecco, a dirla tutta sono stata io a prendergli la mano e portarmela alla bocca. Sono stata io a baciargli i polpastrelli, le dita, a succhiarne una guardandolo negli occhi, quegli occhi strani che brillano un po' nell'oscurità.
- Sa… sasa… sa-ta-ni-ci?!
- Felini, più che altro li definirei felini. Così come felino è stato lui, nell'afferrarmi il collo con una zampata morbida. Mi ha bloccata, baciata con labbra umide e soffici. Poi mi ha distesa sull'altare, a faccia in sù. Io mi sono liberata dalla camicia fradicia, mentre le sue mani risalivano le caviglie, indugiavano sulle ginocchia, s'insinuavano calde sotto la gonna sollevandola piano, strusciante e umida come il desiderio.
- P-profanazione! PROFANAZIONE!
- Non ancora, Padre. Non corra, la prego!
- IDOLATRIA!
- Prego?
- Di nuovo? Che il Signore ti perdoni, figliola.
- Non la seguo, Padre…
- Ommammamia, ma dove sei cresciuta, tra i selvaggi?
- In Italia, Padre, ma con questi sofismi mi confonde. Di grazia, mi faccia concludere, mi aiuti a liberarmi la coscienza. Dunque, dicevo, l'abbiamo fatto sull'altare, sì. Bagnati, tra i marmi gelidi e mille petali lilla. Mi sono fatta sfiorare, mordicchiare e graffiare piano. Ho imposto alle sue labbra e alla lingua un percorso improvvisato: spalle, seni, tutta la piccola depressione verticale che va dalla gola alla cicala, ma ho lasciato alle sue dita ogni iniziativa, senza preclusioni.
- OH! AH! Ehp…! Ma ti rendi conto di cos'hai fatto, disgraziata?!
- L'amore, Padre. Dio è amore, no?
- Ma no, cazzo, no! Non quell'amore… quell'altro!
- Non si inquieti, Padre, la supplico. Così mi fa paura… le assicuro che dopo abbiamo fatto anche quello, giuro!
- Co-come?
- È andata così: lui mi ha girata, bocconi sull'altare. Poi si è allontanato e ha raccolto dell'acqua piovana in una bacinella di pietra indegnamente dimenticata da qualcuno per terra, in un angolo.
- L'acquasantiera… mioddìo!
- Mi ha preso i capelli. Delicatamente mi ha costretta a sollevarmi sui gomiti, con la schiena in diagonale. Poi ha rovesciato il contenuto della ciotola tra le scapole e un rivolo di cristallo è sceso giù, irregolare, disegnandomi i fianchi e le natiche, fluendo al suolo. Ho ansimato, mugolato… per non guastare la ieraticità del luogo, ho perfino dovuto mordermi le labbra quando stille ghiacciate hanno invaso l'inguine. E ho chiuso gli occhi quando lui è sceso giù, a spalmarle con la lingua. Su ogni increspatura, profanandomi con discrezione e preparandosi il terreno.
- Bestiale! Demoniaco… ee-em-pio… scell… scell… scellerato.
- Quando mi ha presa l'ha fatto con energia e passione. Ho gridato per la sorpresa e per quel piccolo strappo di dolore che c'è sempre quando si fa sesso in un certo modo, ma lui m'ha subito coccolata: aveva preso un grappolo di glicine e me l'ha passato sul volto, mi ha stordito col suo profumo, mi ha rapito i sensi mentre mi violava fino alla radice. A quel punto, Padre, ho peccato d'orgoglio: gli ho afferrato la mano con le labbra e coi denti e gliel'ho morsa forte, quasi a sangue, mentre lui mi profanava sempre più in profondità.
- Agh… mmmghh… ach…
- L'ho liberato esalando un sospiro di snodevole sottomissione e lui è subito scivolato davanti, ha pizzicato, rotolato, lusingato il mio bottoncino gonfio facendomi godere come un fiume mentre si sfogava dall'altra parte. È stato allora che ho sbattuto la testa, padre… una, due, più volte su quel trittico sacro che evidentemente non era stato fissato bene al muro, e perciò ci è rovinato addosso. Ecco allora il sibilo acuto della tela strappata, ecco una craniata bitonale sulla struttura lignea che nemmeno le descrivo. Quando mi sono ripresa ho alzato gli occhi, incrociando lo sguardo coi resti di una Madonna addolorata e l'immagine sfondata di San Sebastiano in estasi, trafitto da mille frecce, che sembrava dirmi: "Guarda me, ragazza mia, che tra i due sono quello che più può capire".
- …
- Ora, Padre, so che moralmente non ho nulla da rimproverarmi, ma quel trittico… sì, insomma, magari non valeva nemmeno granché, ma le posso assicurare che la coscienza mi tormenta. Sono lacerata… son pronta a ripagarlo, si capisce, ma vorrei farlo con la sua benedizione, comprende, Padre?
- Ghhgghhhhh… YKE!…
- Padre… Padre? Tutto bene, Padre? …Paaadreeee?!?
* * *
- Hai fatto?
- Sì
- Com'è andata?
- Come da programma…!
- Pensieri, opere o omissioni, figliola?
- Tutti e tre, Padre, ma soprattutto opere.
- Ahi, ahi, ahi…
- Che c'è, Padre? Così mi spaventa!
- Vedi, l'en plein del peccato è sempre roba insidiosa e delicata… capisci, mia pecorella? Ma non ti preoccupare, cara, qui sei nel posto giusto… sei, come dire, tra professionisti.
- Allora continuo, Padre?
- Vai con fiducia. Lasciati andare, apriti…
- Dunque… era sera, Padre, una sera d'estate, e il sole dipingeva il cielo sciogliendosi in tinte accese. Incantevole, mi creda: le nuvole color violetto parevano gli ultimi sospiri del giorno, e il bosco frusciava al vento, in languido saluto c…
- STOP!! Peccati, figliola, non acquerelli. Ché son qui per lavorare, io.
- Chiedo perdono, Padre, volevo solo descrivere un momento struggente e bellissimo, uno di quelli che libera gli istinti e anestetizza le coscienze. No so se essere prigioniere di simili circostanze possa essere considerata un'attenuante, ma in cuor mio lo spero, perché… perché sembrava di essere in paradiso, Padre. Persino quando si è messo a piovere, le gocce calde sembravano come baci e carezze sulla pelle…
- Avanti, bambina, avanti, che il cero si consuma e la processione non avanza: concreta. Strin-gi! [segno di »spruz spruz« con le mani]
- E va bene… il fatto è che con me c'era un ragazzo e…
- Il tuo ragazzo?
- No, Padre, no, per carità!… Uno che ho conosciuto quella mattina.
- AH!… Ho capito tutto! Ti ha toccata, vero? S'è approfittato d'un tramonto estivo (tipica illusione tentatrice del Maligno) e ti ha toccata, è così? Non negare, non ci provare! Non ci pensare nemmeno! Magari t'ha baciata… dimmi, dimmi, piccina. Esterna dettagliatamente, liberatene, fammi partecipe… magari ha lisciato le prime gocce di pioggia sfiorandoti il braccio, magari ha leccato via dal collo quelle più impudiche e svergognate, quelle che scivolano giù dal viso come lacrime lussuriose… [pausa per necessità inspiratorie].
- Calma, Padre, calma! Non m'incalzi, mi dia tregua! Comunque no, non ci siamo toccati né baciati. Ci siamo riparati sotto una pergola di glicine che faceva ombra a una microscopica chiesetta, isolata tra i boschi.
- Bene. BENE! Benissimo! Nelle avversità è sempre cosa buona rifugiarsi sotto l'ala protettiva del Signore.
- Infatti, è quello che ci siamo detti anche noi quando la pioggia ha cominciato a venire giù a catinelle, inzuppandoci d'acqua e di petali di glicine. Due spallate alla porta, e siamo entrati nel santuario.
- Cioè… aspe', avete sfondato la porta?
- Beh, sì Padre. È sempre la casa di Dio, ed Egli avrebbe accolto due viandanti, dico bene?
- Mmm… sì, filosoficamente è corretto. Resterebbe il problema terreno dell'effrazione, però… cavoli, ce ne preoccuperemo poi. Ora continua, concentrati.
- Dunque… la chiesa all'interno era un gioiellino. Coccola, povera, con inginocchiatoi in legno e un bell'altare di marmo policromo sormontato da un trittico naïf ma ispirato e…
- Al sodo, figliola, al sodo, per pietà della Madonna (Dio sempre l'abbia in gloria), ché io non sono un critico d'arte. Parla, avete fatto danni? Rovinato qualcosa? Il peccatore che era con te s'è fottuto qualche paramento? Concretezza, per l'Altissimo!
- Suvvia, Padre, che andate a pensare! È che… sì, insomma, tutto è iniziato per caso e in principio dev'esserci stato l'odore, mi pare.
- Il Verbo, figlia mia, in principio era il Verbo.
- No Padre, nessuno di noi ha fiatato, giuro! Era l'odore, quell'odore di pelle bagnata misto a glicine. Insomma, ci siamo seduti ai piedi dell'altare inebriati e…
- Oh cièlo, come in osteria!
- In rispettoso silenzio, Padre! Però il silenzio, sa com'è, a volte è un po' complice. Come le ombre della sera, quelle che disegnano le sagome rubandone i colori. E allora… allora, ecco, a dirla tutta sono stata io a prendergli la mano e portarmela alla bocca. Sono stata io a baciargli i polpastrelli, le dita, a succhiarne una guardandolo negli occhi, quegli occhi strani che brillano un po' nell'oscurità.
- Sa… sasa… sa-ta-ni-ci?!
- Felini, più che altro li definirei felini. Così come felino è stato lui, nell'afferrarmi il collo con una zampata morbida. Mi ha bloccata, baciata con labbra umide e soffici. Poi mi ha distesa sull'altare, a faccia in sù. Io mi sono liberata dalla camicia fradicia, mentre le sue mani risalivano le caviglie, indugiavano sulle ginocchia, s'insinuavano calde sotto la gonna sollevandola piano, strusciante e umida come il desiderio.
- P-profanazione! PROFANAZIONE!
- Non ancora, Padre. Non corra, la prego!
- IDOLATRIA!
- Prego?
- Di nuovo? Che il Signore ti perdoni, figliola.
- Non la seguo, Padre…
- Ommammamia, ma dove sei cresciuta, tra i selvaggi?
- In Italia, Padre, ma con questi sofismi mi confonde. Di grazia, mi faccia concludere, mi aiuti a liberarmi la coscienza. Dunque, dicevo, l'abbiamo fatto sull'altare, sì. Bagnati, tra i marmi gelidi e mille petali lilla. Mi sono fatta sfiorare, mordicchiare e graffiare piano. Ho imposto alle sue labbra e alla lingua un percorso improvvisato: spalle, seni, tutta la piccola depressione verticale che va dalla gola alla cicala, ma ho lasciato alle sue dita ogni iniziativa, senza preclusioni.
- OH! AH! Ehp…! Ma ti rendi conto di cos'hai fatto, disgraziata?!
- L'amore, Padre. Dio è amore, no?
- Ma no, cazzo, no! Non quell'amore… quell'altro!
- Non si inquieti, Padre, la supplico. Così mi fa paura… le assicuro che dopo abbiamo fatto anche quello, giuro!
- Co-come?
- È andata così: lui mi ha girata, bocconi sull'altare. Poi si è allontanato e ha raccolto dell'acqua piovana in una bacinella di pietra indegnamente dimenticata da qualcuno per terra, in un angolo.
- L'acquasantiera… mioddìo!
- Mi ha preso i capelli. Delicatamente mi ha costretta a sollevarmi sui gomiti, con la schiena in diagonale. Poi ha rovesciato il contenuto della ciotola tra le scapole e un rivolo di cristallo è sceso giù, irregolare, disegnandomi i fianchi e le natiche, fluendo al suolo. Ho ansimato, mugolato… per non guastare la ieraticità del luogo, ho perfino dovuto mordermi le labbra quando stille ghiacciate hanno invaso l'inguine. E ho chiuso gli occhi quando lui è sceso giù, a spalmarle con la lingua. Su ogni increspatura, profanandomi con discrezione e preparandosi il terreno.
- Bestiale! Demoniaco… ee-em-pio… scell… scell… scellerato.
- Quando mi ha presa l'ha fatto con energia e passione. Ho gridato per la sorpresa e per quel piccolo strappo di dolore che c'è sempre quando si fa sesso in un certo modo, ma lui m'ha subito coccolata: aveva preso un grappolo di glicine e me l'ha passato sul volto, mi ha stordito col suo profumo, mi ha rapito i sensi mentre mi violava fino alla radice. A quel punto, Padre, ho peccato d'orgoglio: gli ho afferrato la mano con le labbra e coi denti e gliel'ho morsa forte, quasi a sangue, mentre lui mi profanava sempre più in profondità.
- Agh… mmmghh… ach…
- L'ho liberato esalando un sospiro di snodevole sottomissione e lui è subito scivolato davanti, ha pizzicato, rotolato, lusingato il mio bottoncino gonfio facendomi godere come un fiume mentre si sfogava dall'altra parte. È stato allora che ho sbattuto la testa, padre… una, due, più volte su quel trittico sacro che evidentemente non era stato fissato bene al muro, e perciò ci è rovinato addosso. Ecco allora il sibilo acuto della tela strappata, ecco una craniata bitonale sulla struttura lignea che nemmeno le descrivo. Quando mi sono ripresa ho alzato gli occhi, incrociando lo sguardo coi resti di una Madonna addolorata e l'immagine sfondata di San Sebastiano in estasi, trafitto da mille frecce, che sembrava dirmi: "Guarda me, ragazza mia, che tra i due sono quello che più può capire".
- …
- Ora, Padre, so che moralmente non ho nulla da rimproverarmi, ma quel trittico… sì, insomma, magari non valeva nemmeno granché, ma le posso assicurare che la coscienza mi tormenta. Sono lacerata… son pronta a ripagarlo, si capisce, ma vorrei farlo con la sua benedizione, comprende, Padre?
- Ghhgghhhhh… YKE!…
- Padre… Padre? Tutto bene, Padre? …Paaadreeee?!?
* * *
- Hai fatto?
- Sì
- Com'è andata?
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