Il silenzio dei "media"

di
genere
incesti

Jim era del tutto estraneo a quanto era accaduto, ma ci voleva tempo per chiarire che lui non c'entrava per niente nella faccenda. Era uno sfortunato caso di omonimia.

Il «Free Press», quotidiano della Louisiana, aveva pubblicato che James Fowler, di Houston, Texas, era una delle menti ideatrici e realizzatrici della truffa ai danni dei sottoscrittori che avevano perduto i loro risparmi. In genere era povera gente, per lo più di colore, che aveva creduto nelle mirabolanti prospettive di guadagno. Avevano versato i pochi dollari che erano riusciti a racimolare e, in cambio, avevano ricevuto le policrome azioni della Heaven Co., che garantivano un dividendo non inferiore al 7%.
Il tutto si era rivelata una colossale fregatura.
Si era costituito un Comitato di difesa. Gente furibonda, imbestialita, e alcuni «volontari» avevano giurato e spergiurato che avrebbero cercato e trovato i colpevoli, i quali avrebbero dovuti risarcirli, con danaro o col sangue. Sì, avevano proprio detto "…col sangue". E non erano tipi da prendere alla leggera.
Jim non ne sapeva niente, ma si chiamava Fowler, ed era di Houston. Pensò bene di filarsela, incaricando un avvocato di sbrogliare la matassa, perché lui, in effetti, non sapeva neanche dell'esistenza della Heaven Co.. Disse al suo legale che si sarebbe fatto sentire lui, e che intanto cercava di sparire dalla circolazione. Aggiunse che aveva in mente di raggiungere alcuni parenti in Florida.
Invece, prese un taxi e si fece portare alla stazione ferroviaria. Da lì, a piedi, scarpinò per tre miglia e andò alla fermata degli autobus. Salì sul primo pullman in partenza. Prima prelevò il massimo possibile dallo sportello bancario.

Viaggiò per oltre due giorni, cambiando in continuazione. Arrivò a Chicago. Poco distante, a Darien, viveva sua sorella Meg, la sua prima sorella, vedova da qualche anno e con la quale si sentiva solo per scambiarsi gli auguri nelle feste.
Anche l'ultimo pezzo di strada lo fece a piedi. Dal bus stop fino ad Evergreen Lane, dov'era la villetta di Meg.

Essendo sabato, Meg era in casa. Come sempre sola; la sua aiuto a ore, che dal Messico era venuta fin quassù nell'Illinois, nell'entroterra di Chicago, era come d'uso in libertà.
Lei era in procinto di mettersi a tavola.
Rimase sorpresa quando vide Jim. Lo immaginava a Houston.
"Jim… che bella sorpresa. Perché non mi hai avvisata? Vieni, entra…".
Jim entrò. Aveva solo una sacca con poche cose. La barba un po' lunga.
Meg lo abbracciò stretto. Il suo fratellone. Lei aveva quasi dieci anni più di lui, e lo aveva cullato, da piccolo, era stato un po' il suo bambolotto vivente. E poi Jim le era stato tanto vicino quando aveva perduto Donald, il marito. La puntura di un insetto, una setticemia galoppante, ribelle ad ogni terapia!
"Ciao Meg. Scusa l'irruzione. Ti dirò… ora, però, avrei bisogno solo d'una doccia… sono in viaggio da non so quanto…".
"Vieni, Jim. Il bagno è di là, ricordi? Nell'armadietto troverai anche il necessario per la barba. È tutto come l'ha lasciato Don. Lascia fuori vestito e biancheria, penserò a tutto io. Ti preparo qualcosa per cambiarti… meno male che tu e Don avete la stessa taglia…".

Jim entrò nel bagno, si svestì, mise fuori della porta quanto indossava.
Meg andò verso la sua camera, pensosa. Le rifrullava in testa quello che aveva detto: "…tu e Don avete la stessa taglia…".
Sì, taglia… statura… corporatura… dimensione… grandezza…
Era umano che il pensiero andasse a «tutto» Don, dalla testa ai piedi, senza trascurare nulla. Nell'intimità lo chiamavano dick, e la sua era fanny. Chissà com'era il dick di Jim. Si accorse che sorrideva nel pensarlo, ma anche che qualcosa si muoveva nel grembo.
Scosse la testa. Jim aveva quasi dieci anni meno di lei, e lei si avviava ai cinquanta.
Mezzo secolo. Ma vaglielo a dire agli istinti, alle pulsioni!

Meg aprì l'armadio, prese un paio di pantaloni, una camiciola, le scarpe. Dal cassetto trasse una T-shirt e dei boxer ancora mai messi. Tornò verso la stanza da bagno. Entrò, mise il tutto sullo sgabello, in angolo.
Prima di uscire dette uno sguardo furtivo al box della doccia. Tenda aperta. Jim, ancora insaponato, stava facendo scorrere pigramente l'acqua sul suo corpo, e la schiuma scivolava lentamente.
Un gran bell'uomo, Jim, forse più di Don. Ora che lo notava, poi, sembrava che la natura non aveva badato a spese quando gli aveva assegnato il suo dick!

La lunga inattività sessuale non aveva inaridito Meg. Tutt'altro: lei non immaginava che alla sua età potesse avere ancora di tali pressanti stimoli, e più volte era stata sul punto di cercare il modo di sfamare tali suoi appetiti. Non gliene mancava certamente la possibilità. Un personale perfetto, ben curato: ginnastica, nuoto, tennis nel fine settimana, opportuna massoterapia. Carni sode. Un seno non eccessivamente prosperoso, ma da fare invidia a molte giovani donne. Ventre piatto, glutei pronunciati ma non ingombranti. Donald lo carezzava spesso quel sederino, chiamandolo il suo «mandoline bum». Sì, era proprio un gran bel culo a mandolino!
Meg, in fondo, era orgogliosa del suo fisico, solo diceva che era sprecato, unexploited, inutilizzato. Se lo carezzava, lungamente, specie nei punti più sensibili. Qualche volta, nel suo letto deserto, aveva anche indugiato in qualche diddling con la sua fanny. Ma era ben misera cosa in confronto…!
Bah! Meglio non pensarci.
Jim stava per uscire dalla doccia.
Era l'ora del lunch. Per fortuna aveva abbondanti provviste.

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Jim aveva fatto onore alla cucina della sorella. Ora erano sul divano, in salotto, con la TV accesa ma l'audio silenziato.
Meg gli aveva portato il suo drink preferito. Lei lo sapeva: bourbon, straight, liscio.
Jim le stava raccontando il perché della sua fuga, e si vedeva che aveva veramente timore di quei forsennati, anche se, ripeteva sempre, era del tutto estraneo a quella vicenda.
Meg aveva letto della grande truffa Heaven Co., e si rendeva conto dello stato d'animo del fratello. Gli si era avvicinata, aveva preso il braccio di lui e se lo era messo intorno alla vita, aveva appoggiato la testa sul petto di lui.
Era bello stare così. Col suo fratellone.
Jim le carezzava i capelli, quasi distrattamente. Poi prese a carezzarle il volto, col dito intorno alle labbra. Le prese il viso tra le mani. Quasi nessuna ruga, pelle liscia, vellutata. La guardò teneramente. Le baciò gli occhi, le gote… le labbra. Erano calde, umide, piacevolissime.
"Sei sempre splendida, Meg!".
Lei si rannicchiò ancor più vicina a lui.
Era delizioso stare così. Un senso di sicurezza, benessere, calma, tranquillità, misto però a un sottile, confuso turbamento che non riusciva a valutare, a identificare con chiarezza. Era bello essere così, raccolta, tra le braccia di Jim, suo fratello, sentirsi carezzata, coccolata, vezzeggiata, trattata teneramente… ma c'era anche qualcosa di diverso: erano le braccia di un uomo, di un maschio. E lei non le provava da tanto tempo.
Jim le carezzava la spalla. Gli prese la mano, la condusse sotto la sua ascella, voleva sentirla vicino al seno.
Che meravigliosa sensazione! Le dita di Jim presero a carezzarla, anzi a palparla, a sentire la consistenza di quel petto sodo e desideroso di moine. Lei sperava che seguitasse, che…

Jim sentiva Meg sempre più vicina a lui, si era accorto che il capezzolo era inturgidito. Lo prese tra le dita, lo strinse con delicatezza. Cominciava ad eccitarsi. Pensò che era meglio smetterla. Baciò ancora la sorella, con tanta dolcezza, sulle labbra, tenendole il volto tra le mani.
"Sono un po' stanco, Meg, credo che andrò a riposare…".

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Meg non riusciva a dormire.
Era preoccupata per il pericolo che correva il fratello. Contenta, orgogliosa, che si fosse rifugiato da lei. Felice di averlo con lei.
Quei momenti sul divano erano impagabili. Ma c'era sempre la nebbia che non le faceva distinguere l'affetto per il fratello dall'attrazione fisica che sentiva per lui, sempre più forte.
Nella camera accanto, in un letto, c'era un uomo. Giovane e forte, bello, affascinante, seducente, stuzzicante, allettante… appetitoso! Lei era nel suo letto, sola, abbattuta, depressa, sconsolata…
Trattenne il fiato, tese l'orecchio. Lo poggiò alla parete… le parve di cogliere il respiro di Jim…

Accese la luce sul comodino, aprì il cassetto. C'era un flaconcino con delle pillole che le avevano prescritto per i casi di insonnia ribelle. Ne deglutì una… non si accorse quando si assopì. Ma era appena mattino quando si svegliò, un po' stordita, molto agitata, smaniosa.
Tolse il pigiama. Stava per andare nel bagno, per una doccia che sperava ristoratrice. Sentì un passo leggero nel corridoio, poi la voce che proveniva dalla TV, sia pure a volume ridotto. Infilò una vestaglia, le pantofole, aprì la porta. Si avviò verso il salotto.
Jim era lì, aveva acceso la TV, stava ascoltando le notizie. Sperava di sapere qualcosa del suo caso, ma il telegiornale non ne aveva parlato.
Meg si era seduta vicino a lui.
Quando il notiziario finì, si rivolse al fratello.
"Ciao Jim…".
"Ciao Meg…".
Si chinò su lei per baciarla. Sulla guancia.
"Hai dormito bene?".
"Ero stanco, sono stato preso subito dal sonno, ma mi sono svegliato presto. E tu?".
"Un po', ma con la pillola…".
Jim l'abbracciò.
"Povera sorellina. Colpa mia, vero? Ho sconvolto la tua vita…".
Gli sorrise, con tanta dolcezza, col volto rivolto verso lui che la sovrastava d'un palmo.
"No… nessuno sconvolgimento. Però devo dire che la tua presenza è una meravigliosa novità. È bello averti con me, Jim, anche se il motivo mi tiene in ansia. Ma sono certa che ne uscirai presto e bene… te lo auguro, anche se mi rattrista, perché mi lascerai…".
Era commossa, Meg. Ma anche Jim si emozionò. Prese la sorella per la vita e le fece sedere sulle sue ginocchia, la strinse a sé, la baciò, con trasporto. Questa volta sulle labbra. Bevve le lacrime che le rigavano il volto. La cullò.
La vestaglia s'era dischiusa. Il seno era lì, bello, palpitante, invitante. Jim, introdusse la mano nella scollatura, lo carezzò amorevolmente, a lungo, stuzzicò i capezzoli.

Fu Meg a baciarlo, sulla bocca. Con passione.
Era decisamente eccitata, in quel momento non aveva età, sentiva tutte le pulsioni imperiose di una donna, una femmina ancora appetitosa, soprattutto sessualmente. E cupida, famelica, bramosa, avida. E aveva anche bisogno di tenerezza, di amore, di carezze, gesti affettuosi.
Si baciarono a lungo, in un misto di voluttà, eccitazione, frenesia, delirio, felicità, gioia, dolcezza, affetto, commozione.
Rimasero così, a lungo, mentre Jim la carezzava lentamente.

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Jim si sorprendeva di scoprire come in fondo avesse sempre ammirato Meg, sin da quando, da ragazzini, fingendo di dormire, ne poteva scorgere la bellezza del corpo, l'avvenenza, la procacità. Lei fu la prima femmina che avesse visto nuda nella sua vita. Sì, doveva confessarlo, si era anche eccitato, ma era naturale, alla sua età. E a volte si era anche masturbato pensando a Meg; come, del resto, si masturbava guardando le squallide fotografie della popolare edizione del «Kamasutra».
La vita poi li aveva allontanati. Erano, però, rimasti sempre legati da quell'impalpabile sensazione che unisce gli esseri nati dalla stessa mamma. Un affetto profondo, ma anche carnale: siamo fatti della stessa carne!
Ed era questo, ora, che riaffiorava, mescolando affettuosità e attrazione.

In silenzio, ognuno meditava e agitava dentro di sé la stessa domanda: «…come andrà a finire?». Erano vicinissimi, emotivamente ed anche razionalmente.
Si conoscevano da sempre, tra loro non c'era il tormento di arrovellarsi per sapere chi l'altro fosse. Non avevano segreti, nessun mistero. Stavano bene insieme, erano, nel contempo, uguali e complementari. Si volevano bene e, pur se non era ancora mai affiorato così manifestamente, si amavano, fino a desiderarsi.
Non era la fiammata, la passione travolgente della prima gioventù; era l'affermarsi di due esseri che in effetti si erano sempre inconsciamente cercati, perché sapevano che l'uno apparteneva all'altra, e viceversa.

Meg gli carezzò il volto.
"Tu, piccolo Jim, sei sempre stato mio…". Sorrise, quasi mestamente.
Aveva pronunciato parole banali, stucchevoli, ma le erano sgorgate dal cuore come uno statement, una dichiarazione solenne di verità.
Sorrideva perché lo aveva chiamato «piccolo Jim», mentre era accoccolata sulle gambe di quell'atletico ragazzone che la abbracciava teneramente.

^^^

Quella mattina Meg uscì per pochissimi minuti, solo per qualche acquisto. Voleva trascorrere col fratello il maggior tempo possibile. Si era anche vestita con particolare accuratezza, e truccata appena. Con una certa civetteria.
Jim l'aveva notata.
"Sei una pin-up girl, Meg, dovrò mettere il tuo poster vicino al mio letto…".
Meg lo guardò, con un lieve sorriso sulle labbra, mentre un pensiero le traversava la mente: «…E se invece del poster accanto al tuo letto tu mettessi l'originale dentro il tuo letto?».
Le sembrò di aver rimosso qualcosa che la ostacolava, che cercava ipocritamente di nascondere la verità.
Strinse le mascelle.
In quel momento aveva stabilito di giocare la carta risolutiva.

Fu affettuosa come sempre, durante la cena.
Non abbondò nel versargli il bourbon. Jim doveva decidere in perfetta consapevolezza e libertà.
Gli fu accanto, carezzevole ma non provocante, tentatrice, eccitante.

Quando fu il momento di accommiatarsi e darsi la buona notte, lei gli prese una mano, lo fissò negli occhi.
"Ti va di venire a letto con me, Jim?".
Lui non rispose, la prese sulle braccia e si avviò verso la camera di lei.
La depose sul letto. Con calma, lentamente, prese a sbottonarle i vestiti. Le prese le mani, la fece alzare. Gli abiti caddero al suolo. Rimase in reggiseno e slip. Meg lo guardava fissamente, senza muoversi.
Jim le slacciò il bra, da cui balzarono fuori, bellissime e invitanti, le due tette sode con i capezzoli ben eretti. Si inginocchiò, le abbassò delicatamente lo slip, lo sfilò dai piedi.
Affondò il volto nel grembo di lei, nel delicious bush, il delizioso cespuglio. «Delicious…», pensò, come il nome della mela. La mela che Eva offrì ad Adamo. Lui era tentato di mordere quelle sensuali labbra verticali, avamposto del giardino incantato, d'una bocca voluttuosa. Si limitò a lambirle con la lingua.
Meg fu percorsa da un fremito.
Fu lei a cominciare a sbottonare la camicia del fratello.
Lui si alzò, abbassò la zip dei pantaloni.

In meno di un minuto erano nudi, uno di fronte all'altra, in preda a un sempre più incalzante desiderio.
Si sdraiarono sul letto.
Jim prese a baciarle le guance, la bocca, il petto, i capezzoli, l'ombelico… tra le gambe, a lambirle il clitoride, le piccole rosee labbra che vibravano golose e rugiadose. Meg gli prese la testa, lo attirò su di lei, aprì le gambe, alzò le ginocchia, prese il grosso fallo con due dita e lo portò alla vagina che non poteva più attendere.
Jim penetrò lentamente, inesorabilmente, col procedere d'uno stantuffo rovente che spianava ogni grinza.
Lei intrecciò le gambe sul dorso del fratello, inarcò il bacino, anche se più di quanto era entrato in lei non poteva essere. E i loro movimenti furono armonicamente sincroni, come per antica consuetudine.

La lunga astinenza la condusse a un orgasmo irrefrenabile, a urlare di piacere, ma non si fermò. Era tesa, freneticamente desiderosa di godere ancora, e il suo gemito si trasformò in gorgoglìo rauco quando si sentì invadere dal violento getto del seme caldo dell'uomo che le aveva fatto conoscere la più grande voluttà della sua vita.
Lo strinse ancora di più, con le gambe. Aderiva al sesso di lui come una ventosa. Insaziabile.
Si rilassò, esausta, sudata, ansante.

Jim si riversò, supino. Disteso, soddisfatto. La mano di Meg gli cercò il sesso, lo carezzò. Non ci volle molto a farlo tornare pronto per un nuovo assalto.
La cavalcatura era pronta.
Anche l'amazzone.
Gli salì sopra, mettendosi sulle ginocchia; impalarsi fu facile, la sua vagina ancora colava il balsamo che l'aveva estasiata.
La galoppata fu condotta con saggia maestria. Il piacere fu ancora maggiore. Sembravano instancabili, inesauribili.

Era tardi quando lei, di fianco, con la testa poggiata sul petto di Jim, una tetta aderente a lui, un ginocchio sul crespo del pube virile, si addormentò.
La mano stringeva gelosamente il fallo di Jim.

^^^

La mia «golden cage».
Jim chiamava così la casa della sorella, la sua prigione dorata, e il sesso di lei, dove spesso riponeva il suo insaziabile scettro.
I giorni passavano.
Troppo velocemente.

Quella mattina, dopo un ardente bacio, Meg uscì per le compere.
Jim accese la TV. Lo speaker annunciò che il mistero dell'Heaven Co. era stato chiarito, i veri responsabili identificati ed arrestati, e che mr. James Fowler era del tutto estraneo alla faccenda.
Jim spense la TV. Andò dietro la finestra, pensoso. Guardava la strada, da un momento all'altro sarebbe apparsa Meg. Sembrava sconvolto. Si sforzò di prendere un'espressione naturale, consueta.
Ecco Meg. Lo shopper infilato al braccio, sfogliava il «Darien Mail». Si fermò di colpo. Si vedeva che leggeva con attenzione. Una notizia l'aveva paralizzata. Accartocciò nervosamente il giornale, lo gettò nel cestino dei rifiuti. Riprese ad avvicinarsi alla casa.

Dopo un po' si udì l'uscio che si apriva.
Meg apparve con un sorriso nel volto, ma un po' tirato.
Jim le era andato incontro, L'aveva baciata, a lungo.
"Scusa, Jim, ho dimenticato di comprare il giornale. Tu hai sentito le news?".
"No, ho ascoltato un po' di musica…".
"Hai fatto bene, caro…".
Non ne parlarono più.
A volte, pensarono, non c'è niente di più prezioso del silenzio dei «media»!
scritto il
2024-07-30
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