Mai considerare sfortunato un giorno prima che sia trascorso

di
genere
etero

Mi reco a Roma per lavoro. È un mercoledì di luglio di quest’anno (il fatto è realmente avvenuto qualche giorno fa). Oggi mi sono alzato molto presto, per prendere l’aereo che in meno di un’ora mi avrebbe portato all’aeroporto di Fiumicino. La notte l’ho trascorsa in bianco, troppo caldo in questi giorni.

Sono a Roma. Sceso dall’aereo prendo un taxi che mi porterà a destinazione. Uno dei tanti Ministeri, sparsi qua e là per la città. Il caldo è insopportabile. Le strade piene di turisti. Cerco di ridurre al minimo le uscite in luogo aperto, restando il più possibile in luoghi condizionati.
Alla fine, nel tardo pomeriggio, termino le mie faccende di lavoro e mi reco all’aeroporto per attendere il volo di rientro.
Giunto a Fiumicino scopro che questo è stato cancellato. “Cancellato! E come ritorno a casa?” grido infuriato allo sportello della compagnia aerea, con la quale avevo acquistato il biglietto.
“Non sappiamo che dirle, il volo purtroppo è cancellato, faccia domanda di rimborso”.

Prendo il modulo incazzato nero, commentando a denti stretti che ci avrei pensato dopo. Il primo pensiero è quello di correre in taxi alla stazione Termini, per cercare di beccare un EuroStar. Tutto inutile. L’ultimo treno utile era partito un quarto d’ora prima. Accidenti!!! È mai possibile che in questo cazzo di Paese si viaggi a mezza giornata?
Sono incazzatissimo, non so cosa fare. Restare a dormire e poi prendere il primo aereo che mi porti fuori dall’incubo? No, no… sono ancora le 18… fa un caldo infernale… ma cosa faccio a Roma tutto il giorno?

Mentre questi pensieri affollavano la mia mente, uno fra tutti mi fa ricordare che esiste una linea di autobus che arriva nella mia città. Ma certo! Perché non tentare? Ricordo che partono dal terminal Tiburtina! Mi reco scappando lì. Altra delusione: sono tutti partiti. Ma figurati… con il culo che ho oggi… la biglietteria mi prospetta il primo utile per la Puglia alle 23:59. Mezzanotte? E che cavolo faccio a Roma fino a mezzanotte? Poi la voglia di andar via il prima possibile sovrasta il pensiero di passare un’altra notte in bianco nel pullman. «Ma sì dai…», penso, «…in fondo c’è l’aria condizionata, e nell’attesa mi vedrò un film al cinema…» (sempre con l’aria condizionata, mio chiodo fisso della giornata).

Faccio il biglietto e chiedo al tipo dell’ufficio dove potrei andare a vedere un film, non a luci rosse si intende. Mi dice che in Piazza della Repubblica c’è un tranquillo multisala della «Warner Village», con la metro ci sarei arrivato in 5 minuti. Entusiasta dell’idea ci vado.
Mi vedo la proiezione di 2 films da fare schifo, e verso le 23:00 mi preparo per la tanto agognata partenza.

Giunto al terminal Tiburtina mi avvicino, nel terminal degli autobus, all’apposito spazio dedicato al mio pullman. Ancora non c’è, vabbè, sarà questione di minuti.
C’è tanta gente, pronta a tornare a casa, molte fighe giovanissime, probabilmente universitarie. Il mio sguardo si sofferma su una coppia molto giovane. Lui avrà avuto 22-23 anni, lei poco più che maggiorenne. Si stringono forte, si baciano di continuo e lei versava fiumi di lacrime. «Ma guarda ’sti pischelli…», penso, quasi invidioso della loro naturale ingenuità. Io dalla veneranda età di 42 anni, ripenso a quando anch’io mi emozionavo per un amore perduto, a come sarà dura la loro vita e come questi attimi gli sembreranno così insignificanti in futuro. Ma per ora si gridano il folle amore. Lei è una tipina di statura normale, capelli biondissimi e riccissimi, avvolti a coda di cavallo, praticamente ha un’intera balla di paglia dietro la nuca. Ogni tanto si stacca da quei baci appassionati e lascia intravedere il visino alla luce dei lampioni, esile, bianchissimo, ma con due occhioni verdi bellissimi.
Tutti questi pensieri mi hanno fatto fissare su di lei. Inizio a formulare apprezzamenti sul fisico snello. Un paio di fuseaux neri aderenti, che mettevano in bella vista uno splendido culo tondo e all’insù. Di seno farà una misura standard, una seconda o una terza scarsa… a me piacciono comunque dalla quarta in su.

Mentre faccio queste considerazioni, il pullman è giunto finalmente al terminal; è il momento di partire. Sono saliti quasi tutti, anche la coppietta, con un lungo bacio che allontana le teste ma non li stacca, si separa e anche lei sale. Io resto ancora un attimo fuori a godermi il fresco della sera, che finalmente mitiga il caldo bestiale della giornata trascorsa.
Avevo intravisto dal vetro il mio posto e con somma meraviglia vedo che la tipetta bionda dai capelli di paglia si siede sul sedile proprio di fianco al mio. «Oh cavolo!» penso. Mi attardo ad entrare, non voglio rovinare quell’idillio di gesti tra i due, ormai separati da un vetro. Non vorrei rovinare la serata al ragazzo, vedendo al fianco della sua bella sedersi un bestione come me (sono alto un metro e novanta). Ma poi uno sprazzo di malizia mi stuzzica. «E perché no?», penso. «Voglio proprio vedere la faccia del tipo quando mi siedo di fianco a dove verrebbe essere lui. Lei forse sta tornando a casa dai genitori, dopo la fine delle lezioni all’Università. E poi, potrebbe essere di quelle tipe tutte occhi per lui… e poi, quando non lo vedono più… olè…!». Ma che bel curiosone che sono! Sarà l’età, chissà…!
Mi affretto a salire. Faccio finta di cercare il posto, che già ben conosco, guardando qua e là. Ormai sono l’ultimo a salire, e forse lui spera che quel posto di fianco alla sua bella rimanga libero. Mentre mi avvicino incrocio gli occhi di lei, sembrano proprio dire «…ecco, è arrivato il mio compagno di viaggio…». Senza dir nulla le sorrido, lei capisce, toglie lo zaino dall’altra poltrona e mi siedo, guardando fuori dal finestrino la reazione del ragazzo. Lui rimane un attimo perplesso, tra l’incredulo e lo scocciato; poi torna a fare le mossette alla fidanzata attraverso il vetro. «Bene…», penso io, «…dopo una giornata di merda almeno avrò una dolce compagnia».
Ah, devo precisare che i nostri posti a sedere sono di quel tipo con tavolino e altri due posti frontali, così da guardarsi in faccia in quattro. Il tavolo è ampio. Di fronte a noi c’è un’altra coppia di giovanissimi.

Il pullman finalmente parte. I due amorini si scambiano in una specie di alfabeto per muti la parola ti amo, mentre schizziamo via. Come sparisce la sagoma del ragazzo, la tipa diventa improvvisamente seria ed estrae dallo zaino delle cuffiette. «Accidenti!» penso. «Addio progetto di scambiare due chiacchiere». Si posiziona meglio sulla sedia, a dire il vero in poco spazio la maggior parte lo occupavo io, e nel farlo mi tocca con il sedere. Ho un brivido sulla schiena. Lei mi guarda e mi stampa un bellissimo sorriso, ad attestare la naturalezza del contatto.
Si spengono le luci. Lei si gira con il viso verso il finestrino (io sono sul lato corridoio per via delle gambe) ed inesorabilmente mi piazza parte del culo sulla coscia. Inizio a sudare. Penso a come questi giovani trovino tutto così naturale… o forse sono io troppo malizioso. Sta di fatto che decido, per creare più spazio, di distendere la spalliera del sedile. All’operazione lei si gira con la testa e, forse approvando l’iniziativa, cerca di fare altrettanto. Non vi riesce, e allora intervengo. Nell’effettuare l’operazione quasi l’avvinghio a me. Il sedile scende e in premio ricevo un altro smagliante sorriso, questa volta con l’aggiunta di un «grazie», emesso tra un lieve sottofondo di note di qualche canzone, sfuggite alle cuffiette.

Passano i minuti, ed il culo della tipa è sempre più adagiato a me. Mille idee mi passano per la testa, una l’opposto dell’altra. Ci provo? Ci potrebbe stare? E se mi fa fare la figura del porco? Ma d’altro canto non tentare è un’occasione persa…!!
Decido di appoggiare il braccio sul culo. Sento un sorpreso irrigidimento, ma rimane ferma. Oso di più, inizio a muovere il braccio tra la schiena ed il culo, complice l’oscillazione del viaggio. Questa volta si ritrae un po’, ma non troppo, giusto il tanto per staccare il contatto con il mio braccio. Ecco, penso, ho fatto la cazzata! Adesso sicuramente starà pensando: «…che cazzo vuole questo porco? Potrebbe essere mio padre!».

Una provvidenziale sosta mi toglie dall’imbarazzo. “15 minuti di pausa…”, grida al microfono l’autista. Scendo a prendere un po’ d’aria ed a pensare. Vado alla toilette e decido di salire tra i primi, prima soprattutto dell’altra coppia di fronte a noi.
Prima di sedermi, approfittando di uno sguardo di lei, le sussurro vicino all’orecchio se sta comoda.
“Prego?” mi sento rispondere con un sorriso dall’altra parte.
“Le stavo semplicemente dicendo che se vuole cercare una posizione più comoda, faccia pure come meglio crede, a me non disturba affatto…”.
Non mi risponde, ricevo un altro sorriso non so ad attestare cosa. La risposta viene nel breve tempo.

Siamo ripartiti da circa una mezz’ora e tutti sembrano dormire. Anche la tipa, sempre con le cuffiette alle orecchie. Improvvisamente si muove e si sistema ancor meglio lateralmente al finestrino. Questa volta appoggia completamente il culo sulla mia coscia, costringendomi a posare la mano sul tavolo, onde evitare di farlo su di lei. Poi penso, perché non riprovare? Riappoggio il braccio con decisione. Nessuna reazione. Riprendo lo sfregolìo lento di qualche minuto prima sulle sue chiappe perfette, a ritmo delle oscillazioni del viaggio. Questa volta si muove, ma non per togliersi, solo per appoggiare ancor meglio i glutei su di me.
Mi eccito. Sento il cazzo tesissimo. Do una veloce occhiata alla coppia di fronte e agli altri, sono tutti con gli occhi chiusi. Appoggio la mano, prima sollevata, come ho fatto con il braccio. Ancora niente. Mi faccio più intraprendente ed inizio ad accarezzarle il culo nella parte nascosta del tavolo. Sempre immobile. Le infilo l’altra mano tra la mia coscia e la sua e… sempre ferma! Non può non sentire o essere addormentata.

Inizio a palparla con più decisione lungo tutto la coscia, passando poi a farlo nell’interno. Sento un calore intenso. La magliettina alla moda, che lascia parte del fondo schiena e del sottopancia scoperti, mi potrebbe far infilare la mano nel fuseaux con facilità. Decido di farlo per ora da dietro. Accarezzo con le dita della mano destra la parte dell’osso sacro, scoperto dalla posizione assunta. L’accarezzo e pian piano mi insinuo con le dita all’interno, superando i fuseaux e l’esile mutandina.
Scorro il solco delle natiche con il dito medio. Sono dure e nello stesso tempo vellutate. Arrivo quasi subito a sfiorare il fiore del suo ano. Con il polpastrello spingo su di esso, simulando la volontà di penetrarlo. Ha un sussulto. Allora esco velocemente la mano e vado a prendere una maglietta nera, che avevo portato di ricambio nel caso di un bagno di sudore metropolitano; non voglio che qualcuno veda i miei movimenti. La stendo tra me ed il suo culo, sembra parte dei vestiti.

Con la complicità dell’indumento ora posso agire indisturbato. Parto deciso, questa volta alla scoperta del fiore. Infilo quattro dita sul pube e scendo sfiorando una morbida peluria, abbastanza rada, forse ciò è dovuto al suo genotipo chiaro.
Raggiungo le labbra e le schiudo con delicatezza. È già piena di umori. Mi soffermo a titillarle il clitoride. Allargo sempre più i petali di quello splendido fiore, fino a scoprirne il calice. Infilo un dito alla ricerca del talamo. Lo trovo, stretto, caldo e umido. Infilo un altro dito e inizio a muoverli aritmicamente. Alterno sfregate al clitoride con decise penetrazioni a due dita. Penso che avrei voluto infilarci il cazzo, che intanto mi stava esplodendo. Ma la situazione era già oltre l’immaginabile. Ad un certo punto si irrigidisce ed emette un impercettibile “hhmmmm…” di piacere. Viene copiosamente sulle mie dita.
Per la prima volta si volta a guardarmi nel profondo degli occhi. Leggo tutto il suo piacere. Tiro via le dita fradice e nel suo immenso stupore e senza farmi notare le lecco fino all’ultimo umore. Non ho mai leccato un polline così dolce e profumato, è davvero un fiore raro.

Adesso sono io a condurre il gioco. Sempre senza dire una sola parola, e prima che cessasse il suo stupore per il gesto da me fatto, la afferro per i fianchi e delicatamente le faccio capire che voglio si giri completamente. Adesso il culo lo offre alla finestrino. Sempre protetto dalla maglia nera le prendo delicatamente la mano destra e l’appoggio sul cavallo dei pantaloni. Capisce al volo cosa voglio da lei e mi rilasso per godermelo. Peccato non mi possa fare una bella pompa memorabile! Con le manine delicate abbassa la lampo e fruga all’interno alla ricerca del mio uccello. Lo trova e lo estrae con delicatezza. Lo massaggia piano, fa lo stesso con i testicoli, a voler testare la consistenza dell’intero arsenale. Poi con decisione lo scappella ed inizia a sfregare filetto e base del glande con grande maestria, segno di grande esperienza in materia.
Con il palmo lo stringe, sfrega e accarezza, per poi prendere l’asta, ormai marmorea, con decisione. Inizia una lenta sega. È abile, perché riesce a sostituire una possibile menata veloce, che potrebbe essere vista e ben interpretata dagli altri, con ritmiche carezze e sfrigolii, che partono dallo scroto fino alla punta del glande. È una senzazione bellissima, che non ho mai provato. Mi irrigidisco, sono troppo infoiato dalla situazione per durare. Lei lo capisce e scende con la mano alla base e cerca di segarmi stringendomi forte per farmi godere. Le stringo con la mano la coscia, per farle capire che di lì a poco sarei venuto. Ma voglio di più. Prima che fuoriesca il primo schizzo le tiro via la mano dalla base e la posiziono sul glande a mo’ di secchiello. Per la verità capisce al volo cosa voglio da lei. Vengo, cercando di rimanere il più fermo e zitto possibile. Lei presta attenzione a raccogliere nel palmo della mano quanto più seme possibile dai numerosi zampilli.

Ritrae piano la mano mentre io ancora sborro, per non perdere ciò che le si è incollato nel palmo, come farebbe una brava ape con le zampine colme di polline. Io continuo da solo a menarmi per completare il coito, guardando come lei, cosa che desideravo ma non avrei mai pensato facesse, con disinvoltura e di nascosto agli altri lascia scivolare sulla lingua il prezioso raccolto. Poi termina leccandosi la mano con disinvoltura, ingoiando fino all’ultima goccia di sborra.
Terminata questa operazione mi guarda soddisfatta e si gira verso il finestrino come per dormire. Io ancora incredulo della situazione, prendo un fazzoletto, mi ripulisco e, dopo essermi riassettato, cerco di dormire anch’io.

All’alba arriviamo a Bari. Lei si sveglia e velocemente, ma intontita, si accinge a scendere. Capisco che deve scendere lì e mi alzo per farla passare. Mi sorride ancora.
Esce sul corridoio delle sedie e mi accorgo che cerca maldestramente di tirar via un borsone, che era rimasto incastrato con l’abbassamento della mia spalliera. La aiuto ancora a liberarlo. Mi concede l’ultimo sorriso e finalmente sento uscire dalla sua bocca più di una parola: “Grazie di tutto”, mi dice, e scappa via senza voltarsi.
Il pullman riprende la sua corsa ed io resto a guardare il soffitto, ancora incredulo di aver vissuto questa avventura, in un giorno che alla fine ricorderò come tra i più fortunati della mia vita.
scritto il
2024-08-13
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