Belly dance

di
genere
incesti

Quella di Mary era una specie di fissazione. Fin da bambina. La «danza del ventre». Tanto fece che, giovanissima, riuscì ad iscriversi alla scuola di Yasmin Alì, una delle più famose nelle danze arabe, e in particolare, appunto, nella «belly dance».
Le suggerirono di farsi chiamare Myriam, ma lei scelse, invece, Aisha, che significa «viva», il nome della terza moglie di Maometto.
Era una delle allieve più assidue e volonterose, e cercava di penetrare nello spirito di quella danza, quasi modificando il suo soma. L'aspetto del volto assunse un qualcosa di esotico. Il corpo era stupendo, non magrissimo, ma splendidamente proporzionato.

Sì, la mia sorellina, di due anni più giovane di me, era una vera promessa in quel campo.
Mi sembrava che anche il suo modo di ragionare si fosse uniformato alla cultura, alla tradizione, agli usi e ai costumi arabi. Mi spiegò che quella danza era un misto di erotico e di religioso, ed era nata come un'espressione di omaggio e di implorazione alla divinità della fertilità.
Eravamo molto in confidenza.
Ormai era al suo quarto anno di corso. Quasi tutte le altre si fermavano al terzo, e raramente le allieve completavano l'ultimo, il sesto. Questo perché, a quanto si diceva, nella preparazione, oltre alla danza, si curava anche qualche altro aspetto, logicamente connesso alla fertilità che, come si comprende, deriva solo dal sesso. Si parlava di strane ritualità, di accurata preparazione della femmina ai fini del massimo godimento erotico.
Ogni tanto le ponevo qualche domanda indiscreta, ma Mary-Aisha riusciva ed essere evasiva.
Confermò che molto fondava sui muscoli addominali e pelvici, sui movimenti delle anche, del petto, in un insieme complesso e sensuale che comprendeva sussulti, tremolii, vibrazioni, ondulazioni del ventre. Il busto doveva roteare liberamente, guidato solo dalla sapiente maestrìa della danzatrice.
Mi confessò, arrossendo, che all'ultimo anno c'erano esercizi speciali, che mutuavano qualcosa dallo yoga. La danzatrice, ad esempio, doveva stringere un gessetto tra le natiche e, voltando le spalle alla lavagna, tracciarvi una cifra: 88888,88. I numeri dovevano essere perfetti, senza incertezze. Il tocco era dato dalla virgola, che interrompeva la serie di «8» per poi riprenderla.
Dominio del proprio corpo, contatto con la terra. Quindi piedi nudi.
Dominio dei propri muscoli; tutti, anche quelli che di solito non rispondono alla volontà.
Le chiesi se fosse vero che annodassero sul capo un cordoncino di seta lungo fino all'ingresso della vagina, e che la donna, con i soli movimenti della pelvi, doveva riuscire a farlo entrare in sé. Mi guardò senza rispondere. Ma non negò.
Analoga sorte mi fu riservata quando le dissi che mi era stato detto che la donna doveva mingere in una bottiglia dal collo stretto, goccia a goccia, senza versare nulla fuori del recipiente. "Si tratta…" mi disse, "…di esercizi difficilissimi, che poche sono all'altezza di completare…".
"E tu, Aisha?".
Mi sorrise, maliziosa.
"Io, a quanto mi dicono, sono la più brava!".

^^^

Quanti anni erano trascorsi da allora.
Aisha non aveva studiato quella danza con tanto accanimento per poi farne la sua professione. Non trascorreva, giorno, però, che, anche nel silenzio della sua camera, non facesse esercizi. Di ogni tipo.
Io l'avevo vista esibirsi. Era incantevole. Eccitante.
Poi s'era sposata, ed anche divorziata dopo breve tempo.
Ora viveva per conto proprio, in una bella casetta nel quartiere giardino, e si interessava a tempo pieno di assistenza sociale.

Io facevo il teamster, camionista, sulle lunghe distanze.
Ero rimasto scapolo. Amante della libertà. Donne? Qualcuna qua e là, nelle città che toccavo col mio pesante truck sul quale trasportavo i containers.
Ogni tanto passavo da Aisha, ed ero accolto sempre con affetto e cordialità. Mi fermavo da lei, trascorrevamo insieme qualche week-end. Immaginavo che, di tanto in tanto, avesse qualche uomo per casa, ma non ne parlavamo mai.
Aisha era nei suoi 45, ma era sempre una gran bella donna, e la danza, che non tralasciava, le assicurava un personale perfetto. Armonico, flessuoso. Con un fondoschiena da far impazzire. E io l'ammiravo, incantato, affascinato da lei, attratto ed anche eccitato. Con compiacimento. Doppio, di fratello e di maschio.

Quella volta venivo da Los Angeles, un viaggio molto lungo. Fino a Chicago, erano più di 3.500 chilometri. Avevo lasciato il truck alla sede della ditta, vicino all'aeroporto "O'Hare". Avevo preso un taxi e mi ero fatto accompagnare da Mary.
Mi accolse, come sempre, con entusiasmo. Si abbracciò stretta a me. Era bello sentire il suo calore.
"Una doccia, Tom?".
"Grazie, l'ho fatta appena giunto e mi sono cambiato…".
"Ti fermi un po'?".
"Veramente sono a riposo per una settimana…".
"Che bello. Starai qui, vero?".
"Se non sono di troppo…!".
"Ma che dici, Tommy?! Il mio fratellone è tutto per me… specie ora…".
La guardai insistentemente. Aveva i tratti del bellissimo volto un po' tirati.
"È successo qualcosa?".
"È che malgrado l'età rimango una femmina debole e indifesa…".
"Allora?".
"Aspetta, vado a prenderti un drink. Cosa preferisci?".
"Se possibile succo d'arancia, o di pompelmo".
"Okay. Torno subito".
Tornò poco dopo con due bicchieri pieni. Me ne porse uno, sedette di fronte a me.
"Vieni vicino a me, Mary. Qui…".
Le indicai che c'era posto anche per lei, sul divanetto. Mary, invece, sedette sulle mie gambe.
"Fammi stare così. Mi piace, lo sai. Mi tenevi sulle tue ginocchia anche quando ero bambina. Sarà più facile parlare…".
"Ti ascolto…".
"Ho conosciuto un uomo che ritenevo buono, affettuoso, premuroso…".
"Davvero? E poi?".
"…Si è rivelato un vero mostro. Mangiare, bere e russare. Così il primo e il secondo giorno. Poi mi chiese del denaro per andare al bar. Non mi disse che giocava. Tornò tardi, ubriaco, aveva perduto fino all'ultimo cent. E così la sera dopo. Non si curava di me, non mi guardava neppure. Per lui non esistevo. Mi chiese ancora soldi, e quando dissi che non ne avevo mi dette un pugno allo stomaco, mi buttò per terra, mi strappò il vestito, mi voltò di pancia a terra e con la cinghia mi ha frustata. Un dolore che non ti dico. Gli ho detto che nel cassetto avevo qualche dollaro, gli dissi di andare via e di non farsi vedere mai più, perché altrimenti lo avrei denunciato alla Polizia. Se ne è andato, portando via i suoi pochi stracci. È sparito… per fortuna. Ho paura che da un momento all'altro possa tornare…".
"Lo hai denunciato?".
"No, temo le sue ritorsioni. Ho rinforzato le serrature, le chiusure…".
"Povera Aisha".
La carezzai, la cullai. Si rannicchiò come una gattina. Ogni tanto mi guardava, con dolcezza infinita.
"Meno male che sei qui, Tom. È la provvidenza che ti manda…".

^^^

Mary quasi si assopì tra le braccia del fratello. Si sentiva sicura. Difesa. Dopo un po', si scosse, lo guardò, teneramente.
"Preparo la cena, Tom".
Andò in cucina.
Tom restò solo. Meditava, era furente contro quell'uomo che aveva osato alzare le mani sulla sua sorellina. Perché Mary, anche a quarantacinque anni, era sempre la sua «sorellina», la splendida fanciulla che danzava, con le sue movenze languide e flessuose. Il personale non era mutato, forse qualche oncia in più, ma ben distribuita.
Mentre si allontanava osservava l'ondeggiare dei fianchi, il muoversi delle natiche. Erano magnifiche, le natiche di Aisha!

Non scambiarono molte parole durante la cena, ma spesso si guardavano e lei gli sorrideva. Quando si chinava su lui, per riempirgli il piatto, la veste si schiudeva e lui poté constatare che il seno di Aisha era quello di sempre, senza alcuna smagliatura dovuta al tempo che passa. Attraente, affascinante, seducente, stuzzicante, invogliante. Sì. «Invogliava», stuzzicava, sembrava dire "…mordimi, mordimi…" come un paio di pesche mature e succose.
Mentre gli era accanto, intenta a raccogliere i resti della cena, Tom le mise la mano sulle natiche. Belle, sode, perfettamente rotondeggianti. Sode, sì, le palpeggiò ben bene, soffermandosi con compiacimento.
Mary lo guardò.
"Sono invecchiata, vero?".
"Non scherzare, sei sempre bellissima… anzi, ora più di quanto non sia mai stata…".
Gli sorrise, per ringraziarlo del complimento.
Era bello sentire quella mano sul suo corpo. La rassicurava.
Si misero a vedere un po' di TV.
Mary si rivolse al fratello.
"Tom, potresti guardare la mia schiena, per favore? Mi duole un po', ho cercato di metterci della pomata lenitiva, ma non è una cosa molto comoda da fare da sola. Non è che mi faccia malissimo, ma… ti spiace?".
"No, certo che no, anzi! Alzati, tira giù la vestaglia…".
"Preferirei sdraiarmi sul letto, a pancia sotto. Anzi, se ti va, potresti anche spalmarmi tu la pomata. Vuoi?".
"Okay, andiamo…".

Andarono nella camera di Mary. Lei lasciò cadere la vestaglia, si stese sul letto, in slip minuscolo e reggiseno, come quelli che indossava sotto i veli durante le sue meravigliose danze. Slacciò il reggiseno.
Tom restò a guardarla, incantato, ad occhi aperti.
Che donna era, la piccola Mary. Molto più bella e attraente di quando, anni prima, la vedeva ballare, l'ammirava al mare, in piscina. Che schiena! Che linea! Che natiche, appena nascoste dal piccolo slip. Non c'erano segni evidenti della selvaggia fustigazione di quel maniaco. Qualche piccola striscia appena più scura. Non ci voleva nessuna pomata, certo, ma quella sarebbe stata l'occasione per poterla carezzare e rilassarla allo stesso tempo.
Passò la sua mano, leggermente, su quella pelle setosa, dalla nuca fino alle fossette a valle delle deliziose e inebrianti colline tentatrici a fondo schiena. Si fermò un istante, seguitò anche sui glutei, a lungo.
"Qui, però, non ti ha picchiata, spero…".
"No, solo la schiena, il sedere era coperto dal vestito. Ci vuole un po' di crema?".
"Direi che è meglio…".
"È nel vasetto sul comodino".
Tom indugiò ancora in qualche carezza. Gli piaceva, lo eccitava. Si sarebbe volentieri abbassato a baciarla, ad addentarle quei glutei che lo ammaliavano.
«…Ora la bacio», pensò.
Si chinò. Partì dalla nuca. Piccoli baci, picchiettìo della lingua, e giù, sempre più giù. E un leggero mordere delle natiche. Sentì fremere la pelle di Mary.
Lei respirò profondamente.
"Sei un mago, Tom. Mi fai stare bene. Dovresti fare il guaritore…".
Tom sorrise, quindi ritenne opportuno ripetere ancora quella applicazione… e tornò a baciare e lambire la schiena della sorella, a morderle, sempre più decisamente, le rotondità del fondo. Così, più volte. La donna sembrò rilassarsi. Aveva gli occhi chiusi.

L'eccitazione di Tom era al massimo. A parte il fatto che era trascorso un certo tempo dal suo ultimo rapporto sessuale, uno di quelli che lui definiva «igienico-fisiologici», tanto per svuotare le seminali, non era facile incontrare una bellezza del genere.
La sua mente architettò un piano alquanto audace, senza sapere come avrebbe reagito la sorella.
"Che ne dici, Aisha, di un lungo massaggio?".
"Magari…".
"Dovrei salire anche io sul letto, assestarmi su di te. Le mani sarebbero più libere…".
"Okay".
"Aspetta, mi tolgo i vestiti. Così non si macchiano…".
"Okay".

^^^

…Rimasi in mutande, con una erezione che sembrava voler sfondare tutto. Mi accomodai a cavalcioni delle sue gambe. Il malloppo del sesso era lì, tra i suoi glutei. La sentì subito. Come prima reazione li strinse, poi, lentamente, si rilassò, la accolse. Quasi con compiacimento.
Sostenendomi sulle mani mi sdraiai su di lei, tornai a baciarle la nuca.
"Ti peso?".
"No, Tom, sto bene. Sei eccitato, però. Lo sento. Eccome!".
"Certo, sei una bella donna, come si potrebbe non esserlo?".
"Ma io sono una «matusa»…".
"Sei uno splendore!".
Un movimento del sedere mi fece capire che c'era qualcosa che non andava. Sollevai un po' il bacino.
"No… no… resta vicino a me… è la striscia dello slip che mi dà fastidio…".
"Levalo".
"Forse è meglio. Aiutami…".
Mi tirai su, presi l'elastico dello slip e lo tirai giù. Era bagnato, intriso della linfa che la sua vagina aveva distillato. Ora quel meraviglioso culo era completamente nudo.
Mary si voltò, si sdraiò sul dorso.
Spettacolo incantevole: il seno, il triangolo boscoso del pube…
Mi guardò con occhi fiammeggianti.
"Sei bellissima, Mary!".
"Mi vuoi?".
Annuii, impaziente.
"Togli le mutandine…".
Le sfilai, lei aprì le gambe offrendomi l'incanto del suo sesso rosa e vibrante.
La guardai ancora.
"Entra in me, Tom. Lentamente. Sdraiati su me e resta fermo, lascia fare a me, ti dirò io quando dovrai muoverti. Ci riesci?".
"Ci provo…".
La penetrai lentamente, come aveva detto. Il mio membro fu accolto come in un guanto tiepido, umido, palpitante, che aderiva perfettamente, lo fasciava. Rimasi fermo, come aveva detto lei. Non era possibile procedere oltre.
Mi guardava negli occhi, con le labbra vibranti.
Sentii l'onda del suo grembo. Un'onda lunga, infinita. I muscoli della vagina avevano anche essi lunghi movimenti peristaltici che partivano dal basso, dall'orifizio, e salivano voluttuosamente, come una mungitrice che cercava di succhiare il lungo capezzolo che era dentro di lei. Una cosa meravigliosa. Sensazioni incredibili. Mi venne in mente che poteva definirsi, a parte la improprietà del riferimento, una voluttuosa, inebriante, lasciva «fellatio»… insomma, un pompino, ma fatto con la vagina. Indescrivibile. Mi stava facendo raggiungere un godimento inimmaginabile.
Ad un tratto mi guardò fisso.
"Ora, Tom… ora…".
Presi a stantuffare, sempre più in fretta.
Il suo ventre sembrava squassato da un maremoto. Quel ciucciare della vagina era irresistibile. Gemeva, forte, lungamente…
"Tom… oh, Tom… sì… così… così… cooooooooosì… oooohhh, Tom…".
Raggiungemmo l'orgasmo nello stesso istante.
Non capivo nulla; sentivo lei, la sua vagina, che stava strizzando le ultime gocce del mio seme.

La baciai sulla bocca, freneticamente… le nostre lingue si cercavano, si attorcigliavano, ingorde.
"Non era mai stato così bello, Aisha…".
"Anche per me, Tom…".
"Devo togliermi?".
"No, resta, sento che ti stai rinvigorendo… lascia fare a me…".

Quale più attraente invito…!
scritto il
2024-08-14
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