Dai piedi in su atto XI

di
genere
dominazione

Succedeva di rado che il mio supremo PM ( = Padrone e Maestro ) invitasse qualcuno scelto fra l'aristocrazia o fra la plebe dei suoi accoliti allo scopo di orchestrare una serata di pompa a tre: due dom e io sub o più spesso lui dom e un aiutante sub, che mi affiancasse. Avvisava il nostro ospite con pochissimo anticipo ma non succedeva mai che le sue convocazioni venissero disertate. Il prescelto si presentava sempre in alta uniforme (giacca e cravatta) e doveva spogliarsi completamente del suo pur ricercatissimo abbigliamento cestinandolo in un contenitore sdrucito di cartone posto in anticamera sul pavimento, vicino ai sacchi delle immondizie pronti per il cassonetto. Degradato a schiavo nudo e crudo veniva ammesso alla presenza del supremo per baciargli le mani, i piedi e la punta del cazzo, dopodiché rimaneva inginocchiato e prosternato al suoi cospetto, a capofitto sul pavimento con il culo innalzato in bellavista. Con uno schiocco di dita il padrone ci faceva accomodare (si fa per dire) in postazione ai lati dello scranno, uno a destra e uno a sinistra, in sommessa attesa. Ci spiegava che il pompino era una di quelle rare occasioni in cui gli schiavi da passivi diventavano quasi attivi in quanto succhiatori. Apriva le gambe a 90 e con un secondo schiocco di dita ci chiamava a lingua fuori davanti alla sua verga. Ciascuno di noi imboccava per intero una palla con la bocca serrata sul collo dello scroto, per dichiararsi custode e servo di quei due laboratori di produzione dello sperma. Dentro i magni testicoli del padrone già sentivamo scalpitare la moltitudine in fermento degli spermatozoi, come una mandria di cavallucci stipati e ormai pronti al via. Un terzo schiocco dava inizio alle danze e ci scatenava in una vera e propria gara di lingue per accaparrarci i lembi migliori della sua erezione. Nella calura dell'estate (ma durante l'inverno i termosifoni a bella posta venivano alzati a manetta) e nel clima surriscaldato di questi incontri sudavamo come bestie e i nostri corpi erano imperlati da gocce di rugiada che si incanalava a rivoli. Anche il padrone era madido e spandeva secrezioni intrise di ormoni Tutte queste fragranze si mescolavano e producevano nell'aria un tanfo da palestra. Le nostre quattro palline e i nostri due gladi, mossi dalla frenesia, frustavano il vuoto, mentre dal glande del padrone stillavano gocce di piacere nel vedere come a turno ci disputavamo quella canna di zucchero. Equanime la distribuiva un po' a me e un po' al mio sodale, senza troppe parzialità. Una bocca pompava e l'altra si prendeva cura delle sue ghiande. Litigavamo comunque e sgomitavamo per conquistare un posto di prima fila. La sua asta era una serpe che guizzava e ci incitava a compiere strani contorcimenti e piroette, nello strafogo di quella imbandigione durante la quali noi due commensali aspettavamo con ansia l'arrivo del piatto forte del menu. Finalmente il padrone ci scostava a fargli ala, si alzava in piedi molleggiandosi sulle punte e stringeva in mano il suo cazzo menando gli ultimi fendenti accompagnati da colpi di reni. Il grande spettacolo della Eiaculazione era in arrivo. La stanza diventava un poligono di tiro e si illuminava della scia opalina del suo schizzo, come la traccia di un fuoco di artificio nel buio, inabissandosi in uno splash a fontana, per formare un bellissimo lago di puro succo maschio. Subito a ginocchioni e a quattro zampe contavamo e ricontavamo avanti e indietro il numero delle mattonelle (di misura 20 cm x 20 cm) per verificare la misura di quel salto in lungo del suo tiro, mai inferiore alle 20 piastre e cioè ai quattro metri. Poi, sotto lo sguardo compiaciuto e vigile del nostro mandriano, come animali al pascolo andavamo ad abbeverarci sulle rive di quella pozzanghera per nutrirci del suo balsamo, in competizione a chi se ne pigliava di più, ma ce n'era abbastanza per saziare tutti e due. Pulivamo il pavimento. Pulivamo il cazzo del padrone e sembravamo due sguatteri che rassettano la mensa dopo un lauto pranzo. Per quanto la predica del dom ci avesse suggestionato che eravamo quasi attivi, in realtà ci sentivamo di essere stati cucinati da passivissimi. Sotto la sua guida di vecchio lupo di mare avevamo navigato nei mari caldi della sud(ditanza). Lui era il dom(ino), noi i suoi dom(estici), i suoi sub(alterni), i suoi sub(iecti). Niente altro che pupazzi, di cui tirava i fili a piacer suo e con il massimo del godimento, sulla ribalta del suo meraviglioso Teatrino.
scritto il
2024-09-21
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