Ipnosi Ventunesimo e ultimo episodio
di
Davide Sebastiani
genere
dominazione
Daniel Goldring riaprì gli occhi a fatica. Non riusciva nemmeno più a capire
da dove provenissero i suoi dolori, talmente erano sparsi per l'intero corpo.
Si mise la mano destra sulla nuca e la ritirò sporca di sangue pesto. Ora
ricordava. Lo schiaffo di Rebecca che l'aveva mandato a cozzare contro la base
del letto e che aveva dato il via al suo ennesimo svenimento. Provò a
rialzarsi ma si accorse che le gambe non gli reggevano e si trascinò verso la
sua camera da letto. Sua moglie dormiva placidamente. Non sapeva ciò che era
accaduto durante quella notte, non sapeva che la dolce Rebecca era diventata
un'assassina senza scrupoli, ma sapeva che doveva far qualcosa per cercare di
impedire che la situazione degenerasse del tutto. Quel maledetto dottor Weiss. Guardò
il suo orologio. Le sette e trenta di mattina. Forse a quell'ora poteva
rintracciarlo. A quell'ora doveva essere in casa. Dove diavolo poteva andare?
A giocarsi i suoi dollari in qualche bisca clandestina? Pregò il cielo che
non fosse cosiìe digitò il numero dello studio. Libero. Nessuno rispondeva.
Stava per riattaccare quando finalmente una voce femminile gli rispose
" Pronto"
" Oh, finalmente" sospirò Daniel "Buongiorno e scusi se disturbo a quest'ora.
Ho assoluto bisogno di parlare col dottor Weiss. E' urgentissimo. E' questione
di vita o di morte. Me lo passi, la prego"
" Con chi ho il piacere di parlare?"
" Il mio nome è Goldring, Daniel Goldring. Mi faccia parlare col dottore, è
veramente urgente"
" Lei era un suo paziente?"
" Non proprio. Diciamo che la paziente è mia moglie. Ma la prego, non mi
faccia domande inutili. Debbo parlare col dottore in persona"
" Credo che sia meglio che sua moglie si indirizzi verso un altro terapeuta"
" Io non ho bisogno di un altro terapeuta. Io ho bisogno del dottor Weiss,
accidenti. Me lo passi immediatamente. Gli dica che io sono Daniel Goldring e
vedrà che verrà immediatamente a parlare con me. Ma chi è lei? La sua nuova
segretaria? Non mi risulta che il dottor Weiss abbia una segretaria da oltre
un anno. Oppure la donna delle pulizie? Mi faccia parlare con lui"
" Io veramente sono sua moglie o forse sarebbe più esatto parlare di ex
moglie. Sono venuta a ritirare alcune cose di famiglia che si trovavano nel
suo studio. Mi dispiace mister Goldring, ma credo che sia impossibile per lei
parlare con mio marito, a meno che non conosca un ottimo medium, sempre
ammesso che lei creda nell'aldilà. Mark, il dottor Weiss, è morto tre giorni
fa e ci stiamo preparando per il funerale che si svolgerà fra poco meno di
due ore. E' stato investito da una vettura, povero Mark, ed è morto sul colpo.
Credo proprio che sua moglie dovrà indirizzarsi verso un altro psicologo. Mi
dispiace" Daniel ascoltò incredulo le parole di quella donna
" Non è possibile. Mi dica che non è vero. Weiss non può morire. Non ora
almeno" La donna sospirò dall'altro capo del telefono
" Lei è sicuro che fosse proprio sua moglie ad avere bisogno di mio marito e
che non fosse lei il suo paziente? Comunque, questo è poco importante. Ora mi
scusi ma la debbo lasciare. Ho ancora molte cose da sistemare e il funerale
incombe. Buona fortuna, mister Goldring"
" No aspetti. Signora Weiss. Signora Weiss" Daniel posò il suo telefonino
disperato e poi si mise le mani nei capelli. E ora? Cosa doveva fare ora?
Adesso era chiaro il motivo per il quale sua moglie non solo non era ritornata
la dolce donna di prima ma aveva ancor di più aumentato la sua violenza e di
pari passo era aumentata la sua voglia di sesso. Poi un brivido gli percorse
tutto il corpo. A fatica, con il suo fisico indebolito dalle continue
percosse, senza riuscire a stare in piedi se non appoggiandosi a qualche
mobile e trascinandosi per la casa, andò in cerca della sua giacca e, dopo
averla trovata, cerco affannosamente qualcosa dentro la tasca interna e
infine trovò un foglio di carta. Era la brutta copia di quello che aveva
consegnato a Weiss, il foglio sul quale aveva scritto tutto i suoi desideri
reconditi, il foglio sul quale aveva, a tavolino, studiato il cambiamento di
Rebecca per trovare quelle soddisfazioni che gli mancavano. Lo lesse e
inorridi'. < Per una settimana starai attenta a non provocare eccessivi danni
fisici a tuo marito e a non ucciderlo> .
Se Rebecca si fosse attenuta esattamente a quegli ordini, lui era ormai in
grave pericolo di vita. Sua moglie era stata attenta a non causargli delle
gravi lesioni, ma il termine era scaduto. L'ordine era chiaro e quella settimana era terminata il giorno precedente. Ormai, niente
piu' impediva a Rebecca di ucciderlo, così come niente le aveva impedito di
andare a letto con quei due sconosciuti al termine dei sette giorni. E solo il dottor Weiss poteva togliere l’ipnosi a Rebecca. Nessun altro. Lacrime
di disperazione scesero sulle sue guance, ma poi l'istinto di sopravvivenza
ebbe il sopravvento. Doveva assolutamente scappare lontano da quella casa e
lontano da Rebecca approfittando del fatto che lei dormiva ancora. E subito dopo
doveva farsi ricoverare in qualche ospedale. La sua situazione era ormai molto
critica e un'altra dose di percosse poteva essergli fatale. Afferrò il
telefonino e il portafogli assicurandosi che le sue carte di credito e la sua
assicurazione sanitaria fossero all'interno e poi, soffrendo le pene dell'inferno per tutti quei dolori che lo martoriavano, cercò di raggiungere la porta per scappare. Cadde, si rialzò ma ricadde di nuovo e poi strisciò come un verme. La porta era ormai lì, a distanza di pochi metri. Non avrebbe rivisto più la sua adorata Rebecca, ma doveva assolutamente raggiungere quella porta e scappare. Fuggire da quella casa dove era stato felice insieme alla donna più deliziosa che si possa immaginare, quella donna che era diventata un mostro e che lui aveva fatto diventare una pericolosa bomba innescata e sperare di incontrare qualcuno che lo potesse accompagnare in un ospedale.
Rebecca si svegliò di soprassalto alzando gli occhi sul soffitto e
togliendosi i capelli dal volto. Aveva dormito poco e aveva di nuovo un gran
mal di testa. Possibile che non ci fosse un medicinale che poteva aiutarla?
Lei, una dea, soggetta a una banale nevralgia? Doveva assolutamente trovare un
medico che potesse aiutarla e pensò che anche un essere superiore come lei
poteva aver bisogno di un uomo comune, a volte. Si alzò dal letto e si mise
davanti allo specchio. Era interamente nuda, a parte un minuscolo paio di slip
e gongolò vedendo la sua immagine riflessa. Se era vero che quel mal di testa
la accompagnava ormai da diversi giorni, era altrettanto vero che tutto il
resto del corpo funzionava alla meraviglia. Osservò le sue braccia
flettendole e facendo uscire quei piccoli muscoli d'acciaio, muscoli talmente
forti che le avevano permesso di uccidere un uomo possente picchiandolo e
strangolandolo. Non sentiva nessuna pietà verso quello sconosciuto che era
stata costretta ad uccidere. Così sarebbero finiti tutti coloro che non si
fossero prostrati dinanzi a lei, idolatrandola e riconoscendone la
superiorità e quel ragazzo aveva avuto la giusta punizione per ciò che aveva
osato fare. Il suo sguardo si posò poi sul seno, dritto e duro e indugiò con
le mani su di esso. Sentiva che aveva di nuovo bisogno di un maschio, delle
sue mani per toccarla, della sua bocca per baciarla e soprattutto del suo
membro per fare sesso. Maschi! Esseri che lei sentiva oramai inferiori, creati
soltanto per dare soddisfazione alle donne superiori come lei. E a proposito
di maschi, c'era sempre suo marito, per quello che valeva. Doveva averlo
assolutamente. Subito. Abbandonò la veduta del suo corpo mozzafiato riflesso
sullo specchio per andarlo a cercare ma, appena varcata la soglia della porta
della sua camera da letto, si accorse di quella figura strisciante diretta
verso la porta d'uscita. Daniel era infatti nel corridoio e si stava
trascinando verso la porta. Gli mancava poco ormai e ne era quasi a ridosso.
La raggiunse e mise la mano sulla maniglia per aprirla, senza accorgersi che
sua moglie osservava divertita la scena. Dove pensava di andare quell'essere
inferiore? Rapidamente, raggiunse anch'ella la porta, richiudendola con il
piede. Solo allora Daniel, alzando gli occhi, si accorse di sua moglie.
Malgrado la situazione, non potè fare a meno di osservarla e di trarne le
logiche conseguenze. Era semplicemente meravigliosa. Pur senza trucco e senza
abiti sensuali, interamente nuda, si beò delle sue forme di una perfezione
unica. Perché non poteva tornare indietro nel tempo a quando quelle forme
appartenevano alla ragazza più dolce che avesse mai conosciuto, alla donna
che tutti gli invidiavano, alla ragazza acqua e sapone che quasi si vergognava
di trovarsi nuda di fronte a lui e che lo riempiva di coccole e di attenzioni,
dedicandosi a lui come soltanto una donna profondamente innamorata è in grado
di fare? A tutto questo Daniel Goldring pensava mentre la forte mano di sua
moglie lo afferrò per la giacca
" Dove pensavi di andare, brutto idiota?"
" In ospedale" rispose l'uomo " Sto male, Rebecca. Ho dolori dappertutto. Ho
paura che una costola rotta mi abbia perforato il polmone. Non riesco quasi a
respirare" Nessuna compassione sul bellissimo volto della donna che anzi, si
inasprì ancor di piu'
" Ti avevo detto che per qualunque cosa tu avresti dovuto chiedere il mio
permesso. Non dovevi permetterti di agire di testa tua"
" Me l'avresti dato il permesso, Becca?"
" No! " rispose semplicemente e sadicamente Rebecca, accompagnando quel
monosillabo con uno schiaffo terribile. Ancora una volta Daniel volò per il
corridoio andando a sbattere contro il muro
" Alzati!" gli ordinò la donna. Daniel provò a farlo, ma ricadde a terra
" Non ce la faccio. Abbi pietà Rebecca, ricordati di quando mi amavi"
" Ti ho detto di alzarti e non ti ripeterò l'ordine, altrimenti ti ammazzo
come ho fatto con quel ragazzo stanotte" Daniel si mise le mani nei capelli
" Hai ucciso un ragazzo? Rebecca, ti rendi conto della gravità del tuo atto?
Ora ti verranno a cercare, ti arresteranno. Perché hai fatto una cosa
simile?" Un ghigno si formo' sul viso della donna
" Perché io sono una dea e tutto mi è permesso, anche di togliere la vita a
qualcuno. E ora tocca a te se non mi obbedisci. Adesso alzati" Daniel provò per l'ennesima volta a rialzarsi, con il volto inondato dalle lacrime, maledicendosi per ciò che aveva compiuto. Con una fatica immane riuscì a mettersi in piedi, con le gambe tremolanti, osservando sua moglie che si avvicinava minacciosa verso di lui. La donna girò poi su se stessa e, con il suo perfetto stile di karate, lo colpì con un calcio al volto. Daniel sentì un dolore immenso entrargli nel cervello. Quel calcio era stato micidiale e la potenza di Rebecca troppo esplosiva per lui. Si accasciò nuovamente. La donna era però su di lui e lo prese di nuovo per il bavero della giacca
" Avrei potuto ucciderti e forse lo farò dopo ma prima voglio che tu mi soddisfi. La tua padrona sta per prenderti" Rebecca strappò la giacca di dosso a Daniel e poi fece la stessa cosa con la camicia e con i pantaloni e quindi lo sollevò mettendoselo sulla spalla, come se fosse un fantoccio inanimato, incamminandosi poi verso la camera da letto.
Daniel era parzialmente cosciente, anche se intontito dal tremendo calcio.
Riusciva ormai a vedere ben poco di ciò che accadeva intorno a lui. Sapeva
che si trovava sul suo letto interamente nudo e vedeva la sua bellissima
Rebecca mettersi sopra di lui. Solo allora si rese conto di avere una poderosa
erezione. Come era possibile, in quelle condizioni? Eppure ce l'aveva. Forse
l'ennesima dimostrazione di forza da parte di sua moglie l'aveva eccitato,
forse la sua bellezza sconvolgente, ma di sicuro in quel momento stava
penetrando sua moglie che gli prese le mani per metterle sul suo seno. Gli era
sempre piaciuto toccare i seni di Rebecca, sentirli così straordinariamente
duri e toccare invece la sua pelle morbida. Come potevano convivere in lei
queste due doti all'antitesi? La morbidezza vellutata di tutta la sua pelle e
la durezza dei suoi muscoli e dei suoi seni. Eppure era così. Indugiò sui
capezzoli, prendendoli con il pollice e l'indice e rendendoli in breve tempo
turgidi, mentre lei si dibatteva furiosa ed eccitata sopra di lui. Sentiva il
caldo tepore della fica di sua moglie avvolgere il suo membro quasi come se
fosse un rifugio e, malgrado le sue condizioni, godere ogni istante di
quell'amplesso. Rebecca però iniziò a schiaffeggiarlo violentemente
e a colpirlo furiosamente con dei pugni al volto senza però riuscire a
capire cosa dicesse e cosa volesse, sempre più intontito. Le sue mani, sempre
più deboli, lasciarono i seni di Rebecca e si adagiarono sul letto, mentre
tutto intorno cominciava a dissolversi. Daniel si rese conto che stava
morendo, che il suo corpo non era più in grado di resistere alle percosse
della donna che lo stava cavalcando furiosamente e pensò che, tutto sommato,
poteva considerarla una morte piacevole. Morire facendo sesso, morire facendo
la piu' bella scopata della sua vita con l'unica donna che avesse mai amato in
vita sua, morire per mano di quella splendida amazzone, dopo aver vissuto
sulla propria pelle la sua potenza esplosiva, la sua forza devastante e aver
assaggiato il potere femminile in tutte le sue sfumature. Non era quello che
voleva? Ma un rammarico lo colse proprio all'ultimo istante. Cosa sarebbe
stato di sua moglie? Cosa le sarebbe accaduto? Come sarebbe riuscita a
sopravvivere in quelle condizioni? Pensò al fatto che lei era diventata
un'assassina, immaginò la polizia che la arrestava, semmai lei si fosse fatta
arrestare. Pensò che per prenderla avrebbero dovuto ucciderla. Lei ormai si
sentiva un essere superiore e difficilmente avrebbe accettato passivamente di
farsi mettere le manette ai polsi. Provò ad aprire la sua bocca. All'inizio
non riuscì ad articolare un suono, ma poi guardò teneramente quella donna
che lo stava uccidendo
" Addio amore mio. Perdonami per quello che ti ho fatto" Furono le ultime sue
parole. Daniel Goldring rovesciò la testa sul letto rimanendo immobile,
mentre Rebecca proseguiva imperterrita a scoparlo. Lo aveva picchiato
duramente stavolta. I pugni che si erano abbattuti sul volto di Daniel erano
stati veri e propri macigni e aveva goduto ogni volta che aveva visto il
sangue di suo marito schizzare dappertutto e quel piacere, aggiunto a quello
che stava provando scopandolo, le stavano facendo provare nell'insieme un
godimento unico, fino ad arrivare all'orgasmo più violento e più bello della
sua vita. Indugiò ancora per qualche secondo in quella posizione, senza
rendersi assolutamente conto che le sue ultime percosse, inflitte nell'enfasi
del momento amatorio, erano state letali per lui, ma poi si alzò da sopra di
lui in preda ad una strana sensazione
" Daniel. Daniel, perché volevi che io ti perdonassi? Cosa intendevi dire?
Daniel svegliati " Rebecca guardò quel volto, una volta tanto amato e solo
allora capì che suo marito era morto, che lo aveva appena ucciso. Si guardò
intorno spaesata e poi si mise le mani nei capelli. Cosa aveva fatto? Che cosa
era successo? La vecchia Rebecca era tornata a galla e i suoi occhi si
riempirono di lacrime, all'inizio silenziose per poi salire sempre più
d'intensità , fino a diventare vere e proprie urla di disperazione. Non
riusciva a capire nulla, non si ricordava di niente, riusciva solo a capire
che suo marito era appena morto e che, probabilmente, era stata lei ad
ucciderlo
" Daniel, Dani, amore mio non mi lasciare. Ti prego, guardami, parlami"
Abbracciò il corpo di suo marito ancora caldo, mettendoselo sulle gambe,
baciandolo e accarezzandolo, toccandogli i capelli, mentre il suo cervello
sembrava dovesse schizzare fuori da un momento all'altro dalla sua testa.
Quelle voci ... quelle maledette voci che continuavano a ronzarle dentro,
che dicevano che lei doveva godere di quello che aveva appena fatto, che lei
era una dea e che tutto le era concesso. No, lei era Rebecca Goldring, la
moglie fedele e innamorata, disperata per ciò che aveva commesso. Come aveva
potuto compiere un'azione così aberrante? Le lacrime continuavano a scendere
inesorabili e la sua disperazione farsi quasi palpabile. Cosa sarebbe stato di
lei? Come avrebbe potuto vivere senza la persona amata al suo fianco? Si mise
le mani sulla orecchie, quasi a non voler sentire quelle voci che sembravano
doverle perforare il cervello, guardando il corpo straziato di Daniel e
continuando a piangere. Rebecca combatteva contro quelle voci, combatteva con
tutte le sue forze, ma anche lei, dotata di forza fisica non comune, capace di
gesta che pochissimi al mondo avrebbero potuto compiere, nulla potè contro la
violenza di quelle voci. Si accasciò sul letto accanto al corpo senza vita di
Daniel mettendosi le mani sulla faccia e quando le tolse il suo sorriso sadico
che l'aveva accompagnata in quegli ultimi giorni si affacciò di nuovo sul suo
bel viso. Si alzò dal letto, prese un accappatoio e si diresse con passo
sicuro verso il bagno. Con calma riempì la vasca e si immerse nell'acqua tiepida, massaggiando il proprio corpo con un bagnoschiuma rilassante. Oh ci voleva proprio quel bagno rilassante per farle affrontare la nuova giornata con un piglio diverso. E quella sarebbe stata una giornata molto importante per lei. Uscì dal bagno e si mise seduta dinanzi allo specchio della sua camera a stirarsi i capelli con la piastra poi aprì il suo armadio alla ricerca di qualcosa da indossare per andare al lavoro. Osservò la moltitudine di abiti e poi richiuse l'armadio con rabbia. Non c'era nulla che facesse al caso suo. Quelli non erano abiti adatti a una dea. Poi pensò a tutte le cose che si era comperata durante quella settimana trascorsa al mare. La valigia era ancora nel corridoio visto che quell’idiota di suo marito non l’aveva ancora sistemata. Pensò che avrebbe avuto bisogno di qualcuno che si occupasse di quelle faccende e di tutta la casa. Una dea come lei non poteva e non doveva occuparsi di faccende domestiche e pensò anche che non sarebbe stato un grosso problema costringere qualcuno a diventare il suo schiavo personale. Qualcuno che l’avrebbe idolatrata e che sarebbe vissuto nel culto della sua divina figura. E se non avesse accettato, si sarebbe divertita a costringerlo con la forza. Cosa mai avrebbe potuto fare un maschio, un essere inferiore, di fronte al suo strapotere?
Aprì la valigia e sul suo bel volto si formò uno splendido quanto inquietante sorriso. Scartò gli indumenti di lattice. Quelli li avrebbe indossati quella sera quando sarebbe uscita alla ricerca di un maschio, ma c'erano tutte le altre cosine che aveva comperato precedentemente, tra cui quel mini abito color nocciola che le delineava perfettamente il suo stratosferico corpo. Lo indossò e poi iniziò a truccarsi. Prima gli occhi, poi le guance e quindi delineò le sue labbra con un rossetto rosso per poi compiacersi osservando il risultato completo. Era bellissima e tale si sentiva. Prese anche gli stivali di camoscio e si sedette sul bordo del letto per calzarli. Adesso era pronta. Diede un'occhiata al corpo di Daniel e si ripromise di sbarazzarsene non appena fosse tornata dal lavoro. Perché doveva tornare al lavoro. Quella voce continuava anche a ripetere che, trascorsa una settimana, sarebbe dovuta andare regolarmente al lavoro. E quel dottore che voleva vendere il suo studio? Al diavolo pure lui. C’era andata, aveva rispettato i patti e dopo una settimana precisa si era presentata da lui ma non aveva trovato nessuno e una donna, una divinità come lei, non poteva e non doveva perdere tempo inutilmente. Evidentemente, aveva cambiato idea. Peggio per lui. I patti dicevano una settimana. Che lo vendesse anche al diavolo in persona quello studio. Era pronta ormai, e non solo per tornare al lavoro. Sentiva anche che avrebbe dovuto saldare i conti con delle persone. Con John Reynolds, ad esempio, il suo capo, che tempo prima aveva osato sgridarla per aver perso un appuntamento, ma anche con Lindsay, una sua collega che le aveva rubato un affare, e con Freddy, il tizio del piano superiore a quello dove si trovava la sua agenzia che le aveva strusciato la sua auto e non aveva voluto riconoscere la sua colpa. Ma poi ce n'erano altri, tanti altri che avevano compiuto azioni riprovevoli verso di lei prima che diventasse una dea. Cosa avrebbe fatto loro? Li avrebbe uccisi con le sue mani, affinché tutti gli altri imparassero a temerla, a rispettarla e ad adorarla, come si conveniva a una vera dea. Perché lei si sentiva veramente una dea scesa in terra. E non pensava che gli atti criminali che si apprestava a compiere avrebbero messo in moto la polizia che l’avrebbe ricercata e trovata ben presto, trovandosi di fronte non a una dea ma a una donna che aveva perso completamente di vista la realtà. Non sapeva in quel momento che quello era il suo ultimo giorno di vita e che la polizia l'avrebbe uccisa dopo che lei aveva lasciato una terribile scia di sangue dietro di sé. Proprio come immaginava Daniel.
No, Rebecca non pensava affatto che qualcuno potesse fermarla. Quella voce continuava a ripeterle che lei era una dea e che tutto le era concesso. Diede un’ultima occhiata allo specchio che le rimandò l’immagine di una donna bellissima quale era e poi si diresse con passo sicuro verso l’uscita. Lei era Rebecca, l'unica vera dea e non sapeva che si apprestava a vivere quello che per lei sarebbe stato l’ultimo giorno della sua breve vita terrena.
FINE
Per commentare, scrivete a
davidmuscolo@tiscali.it
da dove provenissero i suoi dolori, talmente erano sparsi per l'intero corpo.
Si mise la mano destra sulla nuca e la ritirò sporca di sangue pesto. Ora
ricordava. Lo schiaffo di Rebecca che l'aveva mandato a cozzare contro la base
del letto e che aveva dato il via al suo ennesimo svenimento. Provò a
rialzarsi ma si accorse che le gambe non gli reggevano e si trascinò verso la
sua camera da letto. Sua moglie dormiva placidamente. Non sapeva ciò che era
accaduto durante quella notte, non sapeva che la dolce Rebecca era diventata
un'assassina senza scrupoli, ma sapeva che doveva far qualcosa per cercare di
impedire che la situazione degenerasse del tutto. Quel maledetto dottor Weiss. Guardò
il suo orologio. Le sette e trenta di mattina. Forse a quell'ora poteva
rintracciarlo. A quell'ora doveva essere in casa. Dove diavolo poteva andare?
A giocarsi i suoi dollari in qualche bisca clandestina? Pregò il cielo che
non fosse cosiìe digitò il numero dello studio. Libero. Nessuno rispondeva.
Stava per riattaccare quando finalmente una voce femminile gli rispose
" Pronto"
" Oh, finalmente" sospirò Daniel "Buongiorno e scusi se disturbo a quest'ora.
Ho assoluto bisogno di parlare col dottor Weiss. E' urgentissimo. E' questione
di vita o di morte. Me lo passi, la prego"
" Con chi ho il piacere di parlare?"
" Il mio nome è Goldring, Daniel Goldring. Mi faccia parlare col dottore, è
veramente urgente"
" Lei era un suo paziente?"
" Non proprio. Diciamo che la paziente è mia moglie. Ma la prego, non mi
faccia domande inutili. Debbo parlare col dottore in persona"
" Credo che sia meglio che sua moglie si indirizzi verso un altro terapeuta"
" Io non ho bisogno di un altro terapeuta. Io ho bisogno del dottor Weiss,
accidenti. Me lo passi immediatamente. Gli dica che io sono Daniel Goldring e
vedrà che verrà immediatamente a parlare con me. Ma chi è lei? La sua nuova
segretaria? Non mi risulta che il dottor Weiss abbia una segretaria da oltre
un anno. Oppure la donna delle pulizie? Mi faccia parlare con lui"
" Io veramente sono sua moglie o forse sarebbe più esatto parlare di ex
moglie. Sono venuta a ritirare alcune cose di famiglia che si trovavano nel
suo studio. Mi dispiace mister Goldring, ma credo che sia impossibile per lei
parlare con mio marito, a meno che non conosca un ottimo medium, sempre
ammesso che lei creda nell'aldilà. Mark, il dottor Weiss, è morto tre giorni
fa e ci stiamo preparando per il funerale che si svolgerà fra poco meno di
due ore. E' stato investito da una vettura, povero Mark, ed è morto sul colpo.
Credo proprio che sua moglie dovrà indirizzarsi verso un altro psicologo. Mi
dispiace" Daniel ascoltò incredulo le parole di quella donna
" Non è possibile. Mi dica che non è vero. Weiss non può morire. Non ora
almeno" La donna sospirò dall'altro capo del telefono
" Lei è sicuro che fosse proprio sua moglie ad avere bisogno di mio marito e
che non fosse lei il suo paziente? Comunque, questo è poco importante. Ora mi
scusi ma la debbo lasciare. Ho ancora molte cose da sistemare e il funerale
incombe. Buona fortuna, mister Goldring"
" No aspetti. Signora Weiss. Signora Weiss" Daniel posò il suo telefonino
disperato e poi si mise le mani nei capelli. E ora? Cosa doveva fare ora?
Adesso era chiaro il motivo per il quale sua moglie non solo non era ritornata
la dolce donna di prima ma aveva ancor di più aumentato la sua violenza e di
pari passo era aumentata la sua voglia di sesso. Poi un brivido gli percorse
tutto il corpo. A fatica, con il suo fisico indebolito dalle continue
percosse, senza riuscire a stare in piedi se non appoggiandosi a qualche
mobile e trascinandosi per la casa, andò in cerca della sua giacca e, dopo
averla trovata, cerco affannosamente qualcosa dentro la tasca interna e
infine trovò un foglio di carta. Era la brutta copia di quello che aveva
consegnato a Weiss, il foglio sul quale aveva scritto tutto i suoi desideri
reconditi, il foglio sul quale aveva, a tavolino, studiato il cambiamento di
Rebecca per trovare quelle soddisfazioni che gli mancavano. Lo lesse e
inorridi'. < Per una settimana starai attenta a non provocare eccessivi danni
fisici a tuo marito e a non ucciderlo> .
Se Rebecca si fosse attenuta esattamente a quegli ordini, lui era ormai in
grave pericolo di vita. Sua moglie era stata attenta a non causargli delle
gravi lesioni, ma il termine era scaduto. L'ordine era chiaro e quella settimana era terminata il giorno precedente. Ormai, niente
piu' impediva a Rebecca di ucciderlo, così come niente le aveva impedito di
andare a letto con quei due sconosciuti al termine dei sette giorni. E solo il dottor Weiss poteva togliere l’ipnosi a Rebecca. Nessun altro. Lacrime
di disperazione scesero sulle sue guance, ma poi l'istinto di sopravvivenza
ebbe il sopravvento. Doveva assolutamente scappare lontano da quella casa e
lontano da Rebecca approfittando del fatto che lei dormiva ancora. E subito dopo
doveva farsi ricoverare in qualche ospedale. La sua situazione era ormai molto
critica e un'altra dose di percosse poteva essergli fatale. Afferrò il
telefonino e il portafogli assicurandosi che le sue carte di credito e la sua
assicurazione sanitaria fossero all'interno e poi, soffrendo le pene dell'inferno per tutti quei dolori che lo martoriavano, cercò di raggiungere la porta per scappare. Cadde, si rialzò ma ricadde di nuovo e poi strisciò come un verme. La porta era ormai lì, a distanza di pochi metri. Non avrebbe rivisto più la sua adorata Rebecca, ma doveva assolutamente raggiungere quella porta e scappare. Fuggire da quella casa dove era stato felice insieme alla donna più deliziosa che si possa immaginare, quella donna che era diventata un mostro e che lui aveva fatto diventare una pericolosa bomba innescata e sperare di incontrare qualcuno che lo potesse accompagnare in un ospedale.
Rebecca si svegliò di soprassalto alzando gli occhi sul soffitto e
togliendosi i capelli dal volto. Aveva dormito poco e aveva di nuovo un gran
mal di testa. Possibile che non ci fosse un medicinale che poteva aiutarla?
Lei, una dea, soggetta a una banale nevralgia? Doveva assolutamente trovare un
medico che potesse aiutarla e pensò che anche un essere superiore come lei
poteva aver bisogno di un uomo comune, a volte. Si alzò dal letto e si mise
davanti allo specchio. Era interamente nuda, a parte un minuscolo paio di slip
e gongolò vedendo la sua immagine riflessa. Se era vero che quel mal di testa
la accompagnava ormai da diversi giorni, era altrettanto vero che tutto il
resto del corpo funzionava alla meraviglia. Osservò le sue braccia
flettendole e facendo uscire quei piccoli muscoli d'acciaio, muscoli talmente
forti che le avevano permesso di uccidere un uomo possente picchiandolo e
strangolandolo. Non sentiva nessuna pietà verso quello sconosciuto che era
stata costretta ad uccidere. Così sarebbero finiti tutti coloro che non si
fossero prostrati dinanzi a lei, idolatrandola e riconoscendone la
superiorità e quel ragazzo aveva avuto la giusta punizione per ciò che aveva
osato fare. Il suo sguardo si posò poi sul seno, dritto e duro e indugiò con
le mani su di esso. Sentiva che aveva di nuovo bisogno di un maschio, delle
sue mani per toccarla, della sua bocca per baciarla e soprattutto del suo
membro per fare sesso. Maschi! Esseri che lei sentiva oramai inferiori, creati
soltanto per dare soddisfazione alle donne superiori come lei. E a proposito
di maschi, c'era sempre suo marito, per quello che valeva. Doveva averlo
assolutamente. Subito. Abbandonò la veduta del suo corpo mozzafiato riflesso
sullo specchio per andarlo a cercare ma, appena varcata la soglia della porta
della sua camera da letto, si accorse di quella figura strisciante diretta
verso la porta d'uscita. Daniel era infatti nel corridoio e si stava
trascinando verso la porta. Gli mancava poco ormai e ne era quasi a ridosso.
La raggiunse e mise la mano sulla maniglia per aprirla, senza accorgersi che
sua moglie osservava divertita la scena. Dove pensava di andare quell'essere
inferiore? Rapidamente, raggiunse anch'ella la porta, richiudendola con il
piede. Solo allora Daniel, alzando gli occhi, si accorse di sua moglie.
Malgrado la situazione, non potè fare a meno di osservarla e di trarne le
logiche conseguenze. Era semplicemente meravigliosa. Pur senza trucco e senza
abiti sensuali, interamente nuda, si beò delle sue forme di una perfezione
unica. Perché non poteva tornare indietro nel tempo a quando quelle forme
appartenevano alla ragazza più dolce che avesse mai conosciuto, alla donna
che tutti gli invidiavano, alla ragazza acqua e sapone che quasi si vergognava
di trovarsi nuda di fronte a lui e che lo riempiva di coccole e di attenzioni,
dedicandosi a lui come soltanto una donna profondamente innamorata è in grado
di fare? A tutto questo Daniel Goldring pensava mentre la forte mano di sua
moglie lo afferrò per la giacca
" Dove pensavi di andare, brutto idiota?"
" In ospedale" rispose l'uomo " Sto male, Rebecca. Ho dolori dappertutto. Ho
paura che una costola rotta mi abbia perforato il polmone. Non riesco quasi a
respirare" Nessuna compassione sul bellissimo volto della donna che anzi, si
inasprì ancor di piu'
" Ti avevo detto che per qualunque cosa tu avresti dovuto chiedere il mio
permesso. Non dovevi permetterti di agire di testa tua"
" Me l'avresti dato il permesso, Becca?"
" No! " rispose semplicemente e sadicamente Rebecca, accompagnando quel
monosillabo con uno schiaffo terribile. Ancora una volta Daniel volò per il
corridoio andando a sbattere contro il muro
" Alzati!" gli ordinò la donna. Daniel provò a farlo, ma ricadde a terra
" Non ce la faccio. Abbi pietà Rebecca, ricordati di quando mi amavi"
" Ti ho detto di alzarti e non ti ripeterò l'ordine, altrimenti ti ammazzo
come ho fatto con quel ragazzo stanotte" Daniel si mise le mani nei capelli
" Hai ucciso un ragazzo? Rebecca, ti rendi conto della gravità del tuo atto?
Ora ti verranno a cercare, ti arresteranno. Perché hai fatto una cosa
simile?" Un ghigno si formo' sul viso della donna
" Perché io sono una dea e tutto mi è permesso, anche di togliere la vita a
qualcuno. E ora tocca a te se non mi obbedisci. Adesso alzati" Daniel provò per l'ennesima volta a rialzarsi, con il volto inondato dalle lacrime, maledicendosi per ciò che aveva compiuto. Con una fatica immane riuscì a mettersi in piedi, con le gambe tremolanti, osservando sua moglie che si avvicinava minacciosa verso di lui. La donna girò poi su se stessa e, con il suo perfetto stile di karate, lo colpì con un calcio al volto. Daniel sentì un dolore immenso entrargli nel cervello. Quel calcio era stato micidiale e la potenza di Rebecca troppo esplosiva per lui. Si accasciò nuovamente. La donna era però su di lui e lo prese di nuovo per il bavero della giacca
" Avrei potuto ucciderti e forse lo farò dopo ma prima voglio che tu mi soddisfi. La tua padrona sta per prenderti" Rebecca strappò la giacca di dosso a Daniel e poi fece la stessa cosa con la camicia e con i pantaloni e quindi lo sollevò mettendoselo sulla spalla, come se fosse un fantoccio inanimato, incamminandosi poi verso la camera da letto.
Daniel era parzialmente cosciente, anche se intontito dal tremendo calcio.
Riusciva ormai a vedere ben poco di ciò che accadeva intorno a lui. Sapeva
che si trovava sul suo letto interamente nudo e vedeva la sua bellissima
Rebecca mettersi sopra di lui. Solo allora si rese conto di avere una poderosa
erezione. Come era possibile, in quelle condizioni? Eppure ce l'aveva. Forse
l'ennesima dimostrazione di forza da parte di sua moglie l'aveva eccitato,
forse la sua bellezza sconvolgente, ma di sicuro in quel momento stava
penetrando sua moglie che gli prese le mani per metterle sul suo seno. Gli era
sempre piaciuto toccare i seni di Rebecca, sentirli così straordinariamente
duri e toccare invece la sua pelle morbida. Come potevano convivere in lei
queste due doti all'antitesi? La morbidezza vellutata di tutta la sua pelle e
la durezza dei suoi muscoli e dei suoi seni. Eppure era così. Indugiò sui
capezzoli, prendendoli con il pollice e l'indice e rendendoli in breve tempo
turgidi, mentre lei si dibatteva furiosa ed eccitata sopra di lui. Sentiva il
caldo tepore della fica di sua moglie avvolgere il suo membro quasi come se
fosse un rifugio e, malgrado le sue condizioni, godere ogni istante di
quell'amplesso. Rebecca però iniziò a schiaffeggiarlo violentemente
e a colpirlo furiosamente con dei pugni al volto senza però riuscire a
capire cosa dicesse e cosa volesse, sempre più intontito. Le sue mani, sempre
più deboli, lasciarono i seni di Rebecca e si adagiarono sul letto, mentre
tutto intorno cominciava a dissolversi. Daniel si rese conto che stava
morendo, che il suo corpo non era più in grado di resistere alle percosse
della donna che lo stava cavalcando furiosamente e pensò che, tutto sommato,
poteva considerarla una morte piacevole. Morire facendo sesso, morire facendo
la piu' bella scopata della sua vita con l'unica donna che avesse mai amato in
vita sua, morire per mano di quella splendida amazzone, dopo aver vissuto
sulla propria pelle la sua potenza esplosiva, la sua forza devastante e aver
assaggiato il potere femminile in tutte le sue sfumature. Non era quello che
voleva? Ma un rammarico lo colse proprio all'ultimo istante. Cosa sarebbe
stato di sua moglie? Cosa le sarebbe accaduto? Come sarebbe riuscita a
sopravvivere in quelle condizioni? Pensò al fatto che lei era diventata
un'assassina, immaginò la polizia che la arrestava, semmai lei si fosse fatta
arrestare. Pensò che per prenderla avrebbero dovuto ucciderla. Lei ormai si
sentiva un essere superiore e difficilmente avrebbe accettato passivamente di
farsi mettere le manette ai polsi. Provò ad aprire la sua bocca. All'inizio
non riuscì ad articolare un suono, ma poi guardò teneramente quella donna
che lo stava uccidendo
" Addio amore mio. Perdonami per quello che ti ho fatto" Furono le ultime sue
parole. Daniel Goldring rovesciò la testa sul letto rimanendo immobile,
mentre Rebecca proseguiva imperterrita a scoparlo. Lo aveva picchiato
duramente stavolta. I pugni che si erano abbattuti sul volto di Daniel erano
stati veri e propri macigni e aveva goduto ogni volta che aveva visto il
sangue di suo marito schizzare dappertutto e quel piacere, aggiunto a quello
che stava provando scopandolo, le stavano facendo provare nell'insieme un
godimento unico, fino ad arrivare all'orgasmo più violento e più bello della
sua vita. Indugiò ancora per qualche secondo in quella posizione, senza
rendersi assolutamente conto che le sue ultime percosse, inflitte nell'enfasi
del momento amatorio, erano state letali per lui, ma poi si alzò da sopra di
lui in preda ad una strana sensazione
" Daniel. Daniel, perché volevi che io ti perdonassi? Cosa intendevi dire?
Daniel svegliati " Rebecca guardò quel volto, una volta tanto amato e solo
allora capì che suo marito era morto, che lo aveva appena ucciso. Si guardò
intorno spaesata e poi si mise le mani nei capelli. Cosa aveva fatto? Che cosa
era successo? La vecchia Rebecca era tornata a galla e i suoi occhi si
riempirono di lacrime, all'inizio silenziose per poi salire sempre più
d'intensità , fino a diventare vere e proprie urla di disperazione. Non
riusciva a capire nulla, non si ricordava di niente, riusciva solo a capire
che suo marito era appena morto e che, probabilmente, era stata lei ad
ucciderlo
" Daniel, Dani, amore mio non mi lasciare. Ti prego, guardami, parlami"
Abbracciò il corpo di suo marito ancora caldo, mettendoselo sulle gambe,
baciandolo e accarezzandolo, toccandogli i capelli, mentre il suo cervello
sembrava dovesse schizzare fuori da un momento all'altro dalla sua testa.
Quelle voci ... quelle maledette voci che continuavano a ronzarle dentro,
che dicevano che lei doveva godere di quello che aveva appena fatto, che lei
era una dea e che tutto le era concesso. No, lei era Rebecca Goldring, la
moglie fedele e innamorata, disperata per ciò che aveva commesso. Come aveva
potuto compiere un'azione così aberrante? Le lacrime continuavano a scendere
inesorabili e la sua disperazione farsi quasi palpabile. Cosa sarebbe stato di
lei? Come avrebbe potuto vivere senza la persona amata al suo fianco? Si mise
le mani sulla orecchie, quasi a non voler sentire quelle voci che sembravano
doverle perforare il cervello, guardando il corpo straziato di Daniel e
continuando a piangere. Rebecca combatteva contro quelle voci, combatteva con
tutte le sue forze, ma anche lei, dotata di forza fisica non comune, capace di
gesta che pochissimi al mondo avrebbero potuto compiere, nulla potè contro la
violenza di quelle voci. Si accasciò sul letto accanto al corpo senza vita di
Daniel mettendosi le mani sulla faccia e quando le tolse il suo sorriso sadico
che l'aveva accompagnata in quegli ultimi giorni si affacciò di nuovo sul suo
bel viso. Si alzò dal letto, prese un accappatoio e si diresse con passo
sicuro verso il bagno. Con calma riempì la vasca e si immerse nell'acqua tiepida, massaggiando il proprio corpo con un bagnoschiuma rilassante. Oh ci voleva proprio quel bagno rilassante per farle affrontare la nuova giornata con un piglio diverso. E quella sarebbe stata una giornata molto importante per lei. Uscì dal bagno e si mise seduta dinanzi allo specchio della sua camera a stirarsi i capelli con la piastra poi aprì il suo armadio alla ricerca di qualcosa da indossare per andare al lavoro. Osservò la moltitudine di abiti e poi richiuse l'armadio con rabbia. Non c'era nulla che facesse al caso suo. Quelli non erano abiti adatti a una dea. Poi pensò a tutte le cose che si era comperata durante quella settimana trascorsa al mare. La valigia era ancora nel corridoio visto che quell’idiota di suo marito non l’aveva ancora sistemata. Pensò che avrebbe avuto bisogno di qualcuno che si occupasse di quelle faccende e di tutta la casa. Una dea come lei non poteva e non doveva occuparsi di faccende domestiche e pensò anche che non sarebbe stato un grosso problema costringere qualcuno a diventare il suo schiavo personale. Qualcuno che l’avrebbe idolatrata e che sarebbe vissuto nel culto della sua divina figura. E se non avesse accettato, si sarebbe divertita a costringerlo con la forza. Cosa mai avrebbe potuto fare un maschio, un essere inferiore, di fronte al suo strapotere?
Aprì la valigia e sul suo bel volto si formò uno splendido quanto inquietante sorriso. Scartò gli indumenti di lattice. Quelli li avrebbe indossati quella sera quando sarebbe uscita alla ricerca di un maschio, ma c'erano tutte le altre cosine che aveva comperato precedentemente, tra cui quel mini abito color nocciola che le delineava perfettamente il suo stratosferico corpo. Lo indossò e poi iniziò a truccarsi. Prima gli occhi, poi le guance e quindi delineò le sue labbra con un rossetto rosso per poi compiacersi osservando il risultato completo. Era bellissima e tale si sentiva. Prese anche gli stivali di camoscio e si sedette sul bordo del letto per calzarli. Adesso era pronta. Diede un'occhiata al corpo di Daniel e si ripromise di sbarazzarsene non appena fosse tornata dal lavoro. Perché doveva tornare al lavoro. Quella voce continuava anche a ripetere che, trascorsa una settimana, sarebbe dovuta andare regolarmente al lavoro. E quel dottore che voleva vendere il suo studio? Al diavolo pure lui. C’era andata, aveva rispettato i patti e dopo una settimana precisa si era presentata da lui ma non aveva trovato nessuno e una donna, una divinità come lei, non poteva e non doveva perdere tempo inutilmente. Evidentemente, aveva cambiato idea. Peggio per lui. I patti dicevano una settimana. Che lo vendesse anche al diavolo in persona quello studio. Era pronta ormai, e non solo per tornare al lavoro. Sentiva anche che avrebbe dovuto saldare i conti con delle persone. Con John Reynolds, ad esempio, il suo capo, che tempo prima aveva osato sgridarla per aver perso un appuntamento, ma anche con Lindsay, una sua collega che le aveva rubato un affare, e con Freddy, il tizio del piano superiore a quello dove si trovava la sua agenzia che le aveva strusciato la sua auto e non aveva voluto riconoscere la sua colpa. Ma poi ce n'erano altri, tanti altri che avevano compiuto azioni riprovevoli verso di lei prima che diventasse una dea. Cosa avrebbe fatto loro? Li avrebbe uccisi con le sue mani, affinché tutti gli altri imparassero a temerla, a rispettarla e ad adorarla, come si conveniva a una vera dea. Perché lei si sentiva veramente una dea scesa in terra. E non pensava che gli atti criminali che si apprestava a compiere avrebbero messo in moto la polizia che l’avrebbe ricercata e trovata ben presto, trovandosi di fronte non a una dea ma a una donna che aveva perso completamente di vista la realtà. Non sapeva in quel momento che quello era il suo ultimo giorno di vita e che la polizia l'avrebbe uccisa dopo che lei aveva lasciato una terribile scia di sangue dietro di sé. Proprio come immaginava Daniel.
No, Rebecca non pensava affatto che qualcuno potesse fermarla. Quella voce continuava a ripeterle che lei era una dea e che tutto le era concesso. Diede un’ultima occhiata allo specchio che le rimandò l’immagine di una donna bellissima quale era e poi si diresse con passo sicuro verso l’uscita. Lei era Rebecca, l'unica vera dea e non sapeva che si apprestava a vivere quello che per lei sarebbe stato l’ultimo giorno della sua breve vita terrena.
FINE
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