Morte di uno schiavo - la Dea Signora ultima parte

di
genere
pulp

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Questo episodio è l’ultimo di una delle mie primissime storie, La Dea Signora — cercando sul sito la potrete trovare. Erano molti episodi ed esprimeva bene quello che provo all’idea di sottomissione nei confronti delle donne, dee supreme che meritano solo servizio e adorazione. Questo che pubblico adesso è la fine di quella lunga storia, dopo diversi anni, di tono decisamente pulp.

La schiavitù del ragazzo, ormai giovane uomo, andò avanti per anni. Le figlie della Dea Signora, ormai donne anche loro, avevano preso un’altra strada: Principessa Silvia era andata a vivere con il suo compagno e Padroncina Elisa da sola a Londra. L’ormai anziana madre aveva continuato a tenersi il giovane schiavo per sé, mai paga delle umiliazioni da infliggergli, oltre che del piacere sessuale a usarlo come suo leccafica, nonostante l’età fosse ormai arrivata ai settant’anni. Si teneva sempre molto bene, affascinante, e il ragazzo non poteva ormai più fare a meno della sua condizione: viveva solo per i suoi ordini e comandi. Giornate passate a leccarle i piedi puzzolenti, nottate a farla godere leccando e succhiando la fica pelosa e puzzolente, leccate al buco del culo ancor più puzzolente, punizioni corporali senza motivo solo per il piacere di lei e chiusura nel bagno della servitù anche per giorni e settimane, nutrendolo con un piatto di riso e cavoli freddo e schifoso. E naturalmente c’era il rito domenicale di adorazione divina, quando lei si sedeva sull’altare casalingo e lo schiavo recitava preghiere in suo onore bevendone l’urina e mangiandone le feci.

Ma un giorno la Dea Signora morì di cause naturali. Le figlie accorsero e si domandarono cosa farne dello schiavo: — Ovviamente non possiamo liberarlo adesso, anche se la madre è morta da anni e lui non ha documenti di riconoscimento, in qualche modo potrebbero risalire alla sua identità e scoprire tutto quanto — disse Principessa Silvia. — Già, troppo pericoloso. Io però non me lo voglio portare a casa, tu? — rispose Padroncina Elisa. — Non ne ho voglia, faccio già una bella vita col mio compagno, mi porto a casa diversi subumani e troie da leccare quando voglio, ci manca solo questo sfigato. — Potresti rinchiuderlo in cantina — disse Elisa. — Non voglio scocciature che qualcuno lo scopra. — Allora cosa facciamo? — Ho un’idea piacevole — rispose Silvia con un sorriso allo stesso tempo crudele e malizioso — Gli schiavi appartengono ai padroni fino alla loro morte, no? — aggiunse. Anche Elisa sorrise: — Già… mi eccita l’idea di eliminarlo fisicamente davanti a me, in fondo noi siamo due dee e lui solo carne da toglierci dai piedi. — Ottimo, godremo un sacco a farlo morire come conviene a uno schiavo inutile — sorrise Silvia — stasera lo porteremo nel nostro vecchio capanno di campagna, che nessuno conosce…

Aspettarono che fosse notte fonda, lo imbavagliarono con diverse strisce di scotch sulle labbra, gli legarono le mani dietro la schiena e, nudo come ormai era da molti anni, lo portarono al guinzaglio nei parcheggi sotterranei. Principessa Silvia tirò fuori il suo lussuoso SUV e Padroncina Elisa lo gettò nel bagagliaio. Il viaggio durò almeno due ore. Lo schiavo, con quel poco di coscienza che gli era rimasta, era convinto che lo stessero trasferendo nei loro appartamenti per continuare a servire le figlie della Dea Signora a cui si era consacrato per la vita. Arrivarono in boschi sperduti, fino a quando i fari illuminarono una catapecchia mezza devastata. Tirarono giù lo schiavo, presero delle lampade e lo misero al muro. Silvia, che era sempre stata la più sadica della famiglia, gli liberò le mani e lo inchiodò con dei ferri arrugginiti al muro, spaccandogli le mani come un crocifisso con le braccia belle larghe. Nonostante il suo stato di demenza servile, lo schiavo urlò dal dolore e sul viso aveva un’espressione terrorizzata. Le due ragazze invece ridevano da matti a vedere il sangue uscire dai palmi delle mani.

Elisa indossava due anfibi molto robusti con grosse suole, Silvia eleganti stivali di pelle nera a punta sottilissima. Elisa fu la prima a lanciarsi contro lo schiavo, cominciando a prenderlo a calci violentissimi sui genitali, nelle palle e sul cazzo. Lo schiavo implorava di fermarsi, ma più implorava e più Elisa era indiavolata: decine di calci violentissimi, fino a farlo sanguinare copiosamente. Silvia si era tolta la gonna e, mentre guardava quella furia, aveva cominciato a toccarsi la fica che era già tutta bagnata dall’eccitazione. Poi cominciò anche lei a calciarlo con le punte degli stivali su quello che rimaneva delle palle e del cazzo, poi tutte e due insieme fino a quando i genitali dello schiavo non erano ridotti a una poltiglia grondante sangue. Elisa si tolse i jeans e cominciò anche lei a toccarsi la fica, bagnata dall’eccitazione.

Silvia estrasse i due chiodi e lo schiavo cadde gemendo a terra. Mentre Elisa riprendeva a calciarlo fortissimo su tutto il corpo, Silvia lo distese sulla schiena. Si avvicinò al viso, mise un tacco sopra uno dei suoi occhi, sorrideva indemoniata e poi con forza infilò il tacco in uno dei due occhi. Elisa rise e si masturbò fortemente, mentre lo schiavo urlava come un porco spellato. Silvia lasciò il tacco nella cavità oculare a lungo, facendo avanti e indietro fino a quando non rimase più niente. Elisa, eccitata, lo colpì con un anfibio sui denti più volte, facendoli schizzare fuori dalla bocca. Era una maschera di sangue. Poi Silvia infilò anche l’altro tacco nell’altro occhio, cavandoglielo via. — Ci siamo, Silvia. Lo lasciamo morire così, senza sangue? — Aspetta, non possiamo lasciare in giro un cadavere anche in questa campagna. Poi merita la morte assoluta degli schiavi. Elisa continuava a toccarsi la fica mentre pregustava la diabolica idea di Silvia. Andò a prendere una tanica di benzina dalla macchina e la rovesciò sullo schiavo. — Sì sì sì, bruciamolo vivo! — urlava Elisa.

Le due donne si misero sedute con le fiche belle spalancate per gustarsi una lunga masturbazione. Silvia accese un fiammifero e lo gettò sullo schiavo, che prese immediatamente fuoco. Le due donne impazzirono di piacere a vederlo soffrire così, mentre tra le fiamme la sua carne bolliva lentamente. Il fuoco andò avanti a lungo, fino a quando lo schiavo non gemeva più. Le due ragazze erano venute intanto tre o quattro volte. Spensero il fuoco: era rimasto un mucchietto di ossa. Silvia schiacciò il teschio con il tacco, carne attaccata e ossa incenerite fino a farne un mucchietto di polvere. Poi coprì tutto con dell’erba e, ridendo, le due donne se ne andarono. — Mi è tornata voglia di avere uno schiavo a casa mia — disse ridendo Elisa. — Anche a me, sorellina… — rispose Silvia.
scritto il
2025-04-22
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