Il Ritorno (Parte I)
di
Kugher
genere
sadomaso
ENRICO & LIA 6 ***
“Torniamo domani mattina”.
Il laconico sms era arrivato sabato sera, poco prima di mezzanotte, sul cellulare di Marta, la giovane donna che, assieme a suo marito Andrea (entrambi sotto i 30 anni di età) formava la coppia di schiavi di Enrico e Lia (coniugi dominanti oltre i 50 anni di età). Oltre 20 anni dividevano le due coppie, maturi e leggermente appesantiti i secondi, belli e giovani i primi.
Si erano lasciati all’aeroporto una settimana prima. Enrico disse che avrebbero fatto sapere il giorno di rientro. Da giovedì sera gli schiavi attendevano il messaggio, per potersi organizzare.
A Francoforte, i Padroni avevano fatto tranquillamente sesso tra loro. Una sera erano anche tornati dai loro amici (Stefano ed Inge) ed avevano provato con soddisfazione la loro schiava, la 24enne Helga, decisamente bella e fresca, che gli era stata prestata per una notte.
Andrea e Marta, invece, avevano passato una settimana molto lunga. I Padroni, prima di partire, avevano messo una gabbietta al membro del marito ed un lucchettino che univa i due piercing al sesso della donna. Non avevano, così, avuto modo di scaricare la loro eccitazione, facendo sesso tra loro.
Per Andrea era stato peggio perché ad ogni eccitazione seguiva il dolore della costrizione del sesso.
I Padroni avevano voluto metterli alla prova. Non li avevano mai controllati così durante la loro assenza. Solitamente la schiavitù della giovane coppia valeva solo quando erano chiamati a servizio. Non sapevano che effetto avrebbe avuto il controllo per una intera settimana, invadendo così fortemente la loro sfera intima.
Non lo avevano quindi fatto solo per l’eccitazione del controllo, per il divertimento di essere a Francoforte per una settimana sapendo che i due coniugi non avrebbero potuto fare sesso sentendosi loro schiavi. Lo avevano principalmente fatto per vedere quanto fossero effettivamente sottomessi a loro. Volevano dare una accelerazione al rapporto. Ogni rapporto deve evolvere. Era giunto il momento.
Per Enrico e Lia il dominio non era un gioco, una variante del sesso. Era una esigenza della loro sessualità. Amavano il dominio tanto quanto amavano vedere la sottomissione, respirarla, annusarla perché ha un odore ed un sapore tutto suo, impalpabile ma assorbente, trascinante.
Dopo anni di uso degli schiavi in media ogni 2 o 3 settimane, era giunto il momento di vedere quanto bene avessero lavorato con loro per portarli ai loro piedi, figurativamente parlando.
Come prova sarebbe stata vissuta dagli schiavi. Se anche per loro la sottomissione fosse una esigenza e non solo un modo di fare diversamente del sesso.
I primi giorni era stata dura, si sentivano costantemente sotto controllo. L’impossibilità di scaricare l’eccitazione con l’orgasmo era frustrante. Poi la cosa prese altra strada, per lasciare spazio alla sottomissione. Non era più solo il “gioco” (seppur serio ed eccitante) delle ore trascorse ai piedi dei Padroni. Era diventato qualcosa di più. Era il desiderio dei Padroni, era il desiderio della sottomissione a loro, di prestarsi al loro servizio. Era così anche prima, ma il controllo a distanza e la frustrazione vissuta, aveva maggiormente evidenziato l’aspetto della sottomissione o, meglio, aveva dato altro colore alla loro esigenza di sottomissione. Gli aveva dato un colore più acceso e vivo, aveva dato nuova linfa non solo al rapporto con i Padroni, ma anche all’interno della loro coppia, di due giovani con entrambi desideri di sottomissione.
Si resero maggiormente conto che erano le persone giuste, i Padroni giusti, da servire e da compiacere, nonostante la differenza di età considerevole.
Si resero anche conto che quello sarebbe stato un balzo avanti nella loro sottomissione e in ciò che i Padroni avrebbero preteso, non tanto in termini di “fatti”, quanto in termini di sottomissione, di prostrazione prima mentale che fisica.
Dominio e sottomissione andavano oltre al solo orgasmo, erano un’esigenza dell’anima.
L’eccitazione cambiò, oltre che fisica divenne un costante formicolio nelle parti basse, per entrambi.
Che i padroni avrebbero preteso di più in termini di sottomissione fu chiaro da quel laconico sms: c’era il giorno ma non l’orario.
Altrettanto breve fu la loro risposta, ma piena di significato: “Sì, Padroni”.
Al ricevimento del messaggio Enrico provò l’eccitazione del dominante, quella che va oltre al turgore del sesso, quella che sente odore di sottomissione e di servizio incondizionato, prima nella mente che nel corpo.
Gli schiavi non avevano chiesto l’ora. Voleva dire che sarebbero stati in aeroporto al momento del primo arrivo da Francoforte, che era alle 8 del mattino. Avrebbero dovuto fare la levataccia senza avere la certezza di vederli arrivare.
I Padroni arrivarono con comodo all’aeroporto alle 9,30 e sorrisero nel pensare che gli schiavi saranno usciti da casa alle 6,00 per essere all’aeroporto alle 8,00, ora di arrivo del primo volo.
L’aereo atterrò alle 12,30 e, finalmente, li videro uscire dall’aerea passeggeri. Andarono loro incontro con lo sguardo leggermente basso, tanto da far capire il loro stato, non abbastanza da metterli in imbarazzo.
Li guardarono. La schiava era bellissima, vestita giovanile, elegante ma che lasciava intravedere il corpo e le promesse di piacere che avrebbe donato. Anche lui era elegante-sportivo, atletico, pieno di promesse per il piacere della sua Padrona.
“Cara, guarda, i nostri cani”.
Chiunque li avesse visti, li avrebbe scambiati per genitori e figli, non certo per Padroni e schiavi.
“Bentornati, Padroni”.
“Ciao”.
Enrico e Lia si avviarono senza nemmeno bisogno di ordinare che prendessero le valigie. Era l’ora di pranzo e si diressero al ristorante.
“Voi aspettate qui fuori, in piedi, con i bagagli”.
“Sì”.
Si accomodarono al tavolo e con calma ordinarono.
Erano eccitati ma l’eccitazione va assaporata con calma, con lentezza, a lungo. Non era solo l’eccitazione fisica a circolare nelle vene. Era l’eccitazione del dominio.
“Avranno già mangiato?”
“Lia, tesoro, non mi interessa. Se ci conoscono, avranno pensato che sarebbe stato meglio mangiare prima. Se non ci conoscono imparano a conoscerci. Dopo la prova alla quale li abbiamo sottoposti non era certo pensabile che li avremmo portati al ristorante con noi”.
“Amore, ho desiderio di vederli ai nostri piedi, di respirare la loro sottomissione, mi sono mancati”.
“Li avremo, e cammineremo sui loro corpi; deve essere chiaro che loro devono stare sotto di noi, sotto i nostri piedi”.
La stessa eccitazione, speculare, circolava nel ventre dei sottomessi, fuori dal ristorante, a “guardia” dei bagagli, in attesa dei Padroni, in attesa di servirli e soddisfarli, in attesa di sottomettersi.
All’uscita dal ristorante si diressero verso l’esterno. Enrico a Lia attesero che andassero a prendere l’auto, portando i bagagli.
Poco dopo si fermò davanti a loro il SUV di Andrea, auto molto grande e spaziosa, anche dietro.
Marta scese per aprire la portiera posteriore.
Lia, con un normalissimo tono di voce, si rivolse alla schiava: “sali dietro e stenditi tra i sedili”.
Con l’emozione alla bocca dello stomaco, Marta, la cui bellezza fino a poco era ammirata da molti uomini mentre era in attesa fuori dal ristorante, salì e si stese sul tappetino.
Anche Andrea provò l’eccitazione per la nuova sottomissione. All’andata, sette giorni prima, erano entrambi seduti davanti.
I Padroni, con naturalezza, salirono in auto e, nell’ampio spazio posteriore del SUV, appoggiarono i piedi sulla giovane donna, protetti dai vetri oscurati.
“Toglici le scarpe”.
L’ordine era dovuto non tanto dall’esigenza di non sporcare i bei vestiti con le suole (non era un problema dei Padroni), quanto dalla necessità di far respirare i piedi e tenerli comodi per il viaggio di ritorno che sarebbe durato almeno un’ora e mezza, traffico permettendo, fino alla loro villa.
Enrico li poggiò sulla guancia e sui seni. Lia sul comodo ventre.
Per Andrea, che doveva guidare in silenzio, cominciò a farsi sentire l’eccitazione fisica che subito si trasformò in dolore, per la gabbietta che costringeva il suo sesso.
I piedi erano accaldati per il viaggio. A casa sarebbero stati rinfrescati dalle loro lingue.
Durante il viaggio parlarono tra loro tranquillamente, ignorando la presenza della giovane coppia. A metà del viaggio, si misero comodi, si abbracciarono e si appisolarono.
Enrico aveva poggiato un po’ male il piede sui seni della schiava e le procurava dolore. Lui non lo sapeva e comunque non si curava certo delle condizioni del tappetino. Marta non pensò nemmeno per un attimo di chiedere di spostare il piede, ben conscia che la priorità era per la comodità e tranquillità del Padrone.
Ad un semaforo, Andrea, approfittando del sonno dei dominanti, si girò e provò eccitazione nel vedere la sua bella moglie in quella funzione.
Al semaforo i Padroni si svegliarono. Andrea si girò in fretta a guardare davanti. Enrico sistemò meglio il piede sul viso di Marta, ma non quello sui seni. Non abbassò nemmeno lo sguardo per guardare il tappetino umano.
Mancavano ancora circa 10 km alla villa.
“Torniamo domani mattina”.
Il laconico sms era arrivato sabato sera, poco prima di mezzanotte, sul cellulare di Marta, la giovane donna che, assieme a suo marito Andrea (entrambi sotto i 30 anni di età) formava la coppia di schiavi di Enrico e Lia (coniugi dominanti oltre i 50 anni di età). Oltre 20 anni dividevano le due coppie, maturi e leggermente appesantiti i secondi, belli e giovani i primi.
Si erano lasciati all’aeroporto una settimana prima. Enrico disse che avrebbero fatto sapere il giorno di rientro. Da giovedì sera gli schiavi attendevano il messaggio, per potersi organizzare.
A Francoforte, i Padroni avevano fatto tranquillamente sesso tra loro. Una sera erano anche tornati dai loro amici (Stefano ed Inge) ed avevano provato con soddisfazione la loro schiava, la 24enne Helga, decisamente bella e fresca, che gli era stata prestata per una notte.
Andrea e Marta, invece, avevano passato una settimana molto lunga. I Padroni, prima di partire, avevano messo una gabbietta al membro del marito ed un lucchettino che univa i due piercing al sesso della donna. Non avevano, così, avuto modo di scaricare la loro eccitazione, facendo sesso tra loro.
Per Andrea era stato peggio perché ad ogni eccitazione seguiva il dolore della costrizione del sesso.
I Padroni avevano voluto metterli alla prova. Non li avevano mai controllati così durante la loro assenza. Solitamente la schiavitù della giovane coppia valeva solo quando erano chiamati a servizio. Non sapevano che effetto avrebbe avuto il controllo per una intera settimana, invadendo così fortemente la loro sfera intima.
Non lo avevano quindi fatto solo per l’eccitazione del controllo, per il divertimento di essere a Francoforte per una settimana sapendo che i due coniugi non avrebbero potuto fare sesso sentendosi loro schiavi. Lo avevano principalmente fatto per vedere quanto fossero effettivamente sottomessi a loro. Volevano dare una accelerazione al rapporto. Ogni rapporto deve evolvere. Era giunto il momento.
Per Enrico e Lia il dominio non era un gioco, una variante del sesso. Era una esigenza della loro sessualità. Amavano il dominio tanto quanto amavano vedere la sottomissione, respirarla, annusarla perché ha un odore ed un sapore tutto suo, impalpabile ma assorbente, trascinante.
Dopo anni di uso degli schiavi in media ogni 2 o 3 settimane, era giunto il momento di vedere quanto bene avessero lavorato con loro per portarli ai loro piedi, figurativamente parlando.
Come prova sarebbe stata vissuta dagli schiavi. Se anche per loro la sottomissione fosse una esigenza e non solo un modo di fare diversamente del sesso.
I primi giorni era stata dura, si sentivano costantemente sotto controllo. L’impossibilità di scaricare l’eccitazione con l’orgasmo era frustrante. Poi la cosa prese altra strada, per lasciare spazio alla sottomissione. Non era più solo il “gioco” (seppur serio ed eccitante) delle ore trascorse ai piedi dei Padroni. Era diventato qualcosa di più. Era il desiderio dei Padroni, era il desiderio della sottomissione a loro, di prestarsi al loro servizio. Era così anche prima, ma il controllo a distanza e la frustrazione vissuta, aveva maggiormente evidenziato l’aspetto della sottomissione o, meglio, aveva dato altro colore alla loro esigenza di sottomissione. Gli aveva dato un colore più acceso e vivo, aveva dato nuova linfa non solo al rapporto con i Padroni, ma anche all’interno della loro coppia, di due giovani con entrambi desideri di sottomissione.
Si resero maggiormente conto che erano le persone giuste, i Padroni giusti, da servire e da compiacere, nonostante la differenza di età considerevole.
Si resero anche conto che quello sarebbe stato un balzo avanti nella loro sottomissione e in ciò che i Padroni avrebbero preteso, non tanto in termini di “fatti”, quanto in termini di sottomissione, di prostrazione prima mentale che fisica.
Dominio e sottomissione andavano oltre al solo orgasmo, erano un’esigenza dell’anima.
L’eccitazione cambiò, oltre che fisica divenne un costante formicolio nelle parti basse, per entrambi.
Che i padroni avrebbero preteso di più in termini di sottomissione fu chiaro da quel laconico sms: c’era il giorno ma non l’orario.
Altrettanto breve fu la loro risposta, ma piena di significato: “Sì, Padroni”.
Al ricevimento del messaggio Enrico provò l’eccitazione del dominante, quella che va oltre al turgore del sesso, quella che sente odore di sottomissione e di servizio incondizionato, prima nella mente che nel corpo.
Gli schiavi non avevano chiesto l’ora. Voleva dire che sarebbero stati in aeroporto al momento del primo arrivo da Francoforte, che era alle 8 del mattino. Avrebbero dovuto fare la levataccia senza avere la certezza di vederli arrivare.
I Padroni arrivarono con comodo all’aeroporto alle 9,30 e sorrisero nel pensare che gli schiavi saranno usciti da casa alle 6,00 per essere all’aeroporto alle 8,00, ora di arrivo del primo volo.
L’aereo atterrò alle 12,30 e, finalmente, li videro uscire dall’aerea passeggeri. Andarono loro incontro con lo sguardo leggermente basso, tanto da far capire il loro stato, non abbastanza da metterli in imbarazzo.
Li guardarono. La schiava era bellissima, vestita giovanile, elegante ma che lasciava intravedere il corpo e le promesse di piacere che avrebbe donato. Anche lui era elegante-sportivo, atletico, pieno di promesse per il piacere della sua Padrona.
“Cara, guarda, i nostri cani”.
Chiunque li avesse visti, li avrebbe scambiati per genitori e figli, non certo per Padroni e schiavi.
“Bentornati, Padroni”.
“Ciao”.
Enrico e Lia si avviarono senza nemmeno bisogno di ordinare che prendessero le valigie. Era l’ora di pranzo e si diressero al ristorante.
“Voi aspettate qui fuori, in piedi, con i bagagli”.
“Sì”.
Si accomodarono al tavolo e con calma ordinarono.
Erano eccitati ma l’eccitazione va assaporata con calma, con lentezza, a lungo. Non era solo l’eccitazione fisica a circolare nelle vene. Era l’eccitazione del dominio.
“Avranno già mangiato?”
“Lia, tesoro, non mi interessa. Se ci conoscono, avranno pensato che sarebbe stato meglio mangiare prima. Se non ci conoscono imparano a conoscerci. Dopo la prova alla quale li abbiamo sottoposti non era certo pensabile che li avremmo portati al ristorante con noi”.
“Amore, ho desiderio di vederli ai nostri piedi, di respirare la loro sottomissione, mi sono mancati”.
“Li avremo, e cammineremo sui loro corpi; deve essere chiaro che loro devono stare sotto di noi, sotto i nostri piedi”.
La stessa eccitazione, speculare, circolava nel ventre dei sottomessi, fuori dal ristorante, a “guardia” dei bagagli, in attesa dei Padroni, in attesa di servirli e soddisfarli, in attesa di sottomettersi.
All’uscita dal ristorante si diressero verso l’esterno. Enrico a Lia attesero che andassero a prendere l’auto, portando i bagagli.
Poco dopo si fermò davanti a loro il SUV di Andrea, auto molto grande e spaziosa, anche dietro.
Marta scese per aprire la portiera posteriore.
Lia, con un normalissimo tono di voce, si rivolse alla schiava: “sali dietro e stenditi tra i sedili”.
Con l’emozione alla bocca dello stomaco, Marta, la cui bellezza fino a poco era ammirata da molti uomini mentre era in attesa fuori dal ristorante, salì e si stese sul tappetino.
Anche Andrea provò l’eccitazione per la nuova sottomissione. All’andata, sette giorni prima, erano entrambi seduti davanti.
I Padroni, con naturalezza, salirono in auto e, nell’ampio spazio posteriore del SUV, appoggiarono i piedi sulla giovane donna, protetti dai vetri oscurati.
“Toglici le scarpe”.
L’ordine era dovuto non tanto dall’esigenza di non sporcare i bei vestiti con le suole (non era un problema dei Padroni), quanto dalla necessità di far respirare i piedi e tenerli comodi per il viaggio di ritorno che sarebbe durato almeno un’ora e mezza, traffico permettendo, fino alla loro villa.
Enrico li poggiò sulla guancia e sui seni. Lia sul comodo ventre.
Per Andrea, che doveva guidare in silenzio, cominciò a farsi sentire l’eccitazione fisica che subito si trasformò in dolore, per la gabbietta che costringeva il suo sesso.
I piedi erano accaldati per il viaggio. A casa sarebbero stati rinfrescati dalle loro lingue.
Durante il viaggio parlarono tra loro tranquillamente, ignorando la presenza della giovane coppia. A metà del viaggio, si misero comodi, si abbracciarono e si appisolarono.
Enrico aveva poggiato un po’ male il piede sui seni della schiava e le procurava dolore. Lui non lo sapeva e comunque non si curava certo delle condizioni del tappetino. Marta non pensò nemmeno per un attimo di chiedere di spostare il piede, ben conscia che la priorità era per la comodità e tranquillità del Padrone.
Ad un semaforo, Andrea, approfittando del sonno dei dominanti, si girò e provò eccitazione nel vedere la sua bella moglie in quella funzione.
Al semaforo i Padroni si svegliarono. Andrea si girò in fretta a guardare davanti. Enrico sistemò meglio il piede sul viso di Marta, ma non quello sui seni. Non abbassò nemmeno lo sguardo per guardare il tappetino umano.
Mancavano ancora circa 10 km alla villa.
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