L'amore di una spia 2/4
di
RunningRiot
genere
sentimentali
Camminando verso la sua macchina, Annalisa ridacchia pensando che, nonostante l'impegno e tutta la buona volontà, la dottoressa Penelope Rambaudi non merita nemmeno un posto nella sua personale top five. Con un maschio a volte, ma prima di conoscerla non le era mai capitato di dover fingere con una donna. Di sicuro anni luce lontana da Marzia, quella sì che era una scopata. Le era dispiaciuto un po' eliminarla, ma si era allargata un po' troppo negli ultimi tempi. “Spero proprio che stasera ci sia anche Bashaar”, dice a se stessa.
Tuttavia, mettendo da parte il sesso, le cose andavano a gonfie vele, anche se con lentezza. Come previsto, Bashaar l'aveva contattata invitandola ad un ricevimento in un albergo del centro. Si era vestita in modo volutamente goffo - giacca e pantaloni da nerd in una serata che avrebbe richiesto ben altro, più quella terribile collanina finto-etnica - e se n'era stata in disparte per una buona ora e mezza, scattando ogni tanto a stringere mani fingendo disinvoltura e sfoderando sorrisi artificiali che rientravano dopo nemmeno un secondo. Finché finalmente Bashaar le aveva presentato Penelope, ignorando che Annalisa sapeva che era la sua amante. "Dottoressa è studiosa di nostra legislazione, con un particolare interesse per condizione di donna", aveva detto Bashaar. "Non proprio espertissima, è un lavoro che stiamo facendo nel nostro centro studi", si era schermita Annalisa. Fingendo di sentirsi sperduta si era attaccata come una cozza a Penelope e la manovra era riuscita. La donna era passata in poco tempo da un formale "lei" a un materno "tesoro", confessandole la noia che le davano serate come quelle. “Cosa ti è successo all’occhio, tesoro?”, le aveva chiesto notando il rossore. “Oh, ho sbattuto, ma sta passando”. Le botte ricevute da quel cameriere in hotel erano pur servite a qualcosa, in fondo.
Si erano lasciate con la promessa di rivedersi e si erano riviste. Il piano per entrare nel ristretto circolo di amicizie di Bashaar, proprio attraverso la sua amante, era ancora ai primi passi, ma sembrava funzionare.
Anzi, in un primo tempo e in modo del tutto inconsapevole era stata proprio Penelope ad accelerarlo, con ben due inviti in una settimana. Un tè in un antico bar del centro prima, direttamente a casa sua poi. Proprio in occasione di questo secondo incontro Annalisa si era resa conto che c'era qualcosa di strano. Tanto per cominciare, quella in cui Penelope l'aveva ricevuta non era casa sua bensì quella di Bashaar. L'imprenditrice non poteva immaginare che Annalisa sapesse, ma ovviamente Annalisa sapeva. Conosceva ormai tutto del diplomatico arabo, tranne il modo in cui raccoglieva finanziamenti per mantenere le cellule terroristiche, comprare armi e esplosivi, pianificare attentati. In secondo luogo, proprio quel pomeriggio a casa di Bashaar, aveva avuto la netta impressione che l'interesse di Penelope nei confronti della timida e imbranata ricercatrice che lei impersonava andasse oltre la semplice amicizia.
A un mese esatto dal loro primo incontro in ambasciata, e alla quarta volta che metteva piede nella casa di Bashaar che Penelope pretendeva essere la sua, Annalisa aveva subìto la prima pesante avance della donna.
Aveva studiato con cura la costruzione del personaggio da interpretare e, per dare un tocco di patetico in più, gli aveva cucito addosso la condizione di giovane ragazza il cui matrimonio era già naufragato.
- E' da prima dell'estate che ci siamo separati, ora vivo con un'amica.
- Quando ci siamo conosciute al party dell’ambasciatore avevi un occhio quasi pesto, ti ha picchiata? – aveva domandato Penelope.
- No, ho sbattuto! No… sì, ma non è stato mio marito a picchiarmi… mi ha lasciata per un uomo, è stato lui che mi ha picchiata…
Annalisa qui aveva un po’ improvvisato, mettendosi anche a piangere. Ma la commedia aveva avuto un effetto anche migliore di quello sperato. La strategia di consolazione di Penelope aveva da subito puntato sul contatto fisico. Non che le fosse saltata addosso, questo no, ma gli abbracci e le carezze si erano fatti sempre più insistiti, quasi espliciti. Fino alla fatidica frase: "Mi fai venire una gran voglia di baciarti, sei troppo bella per essere triste". Annalisa aveva finto di essere paralizzata dalla sorpresa e aveva naturalmente risposto, balbettando, "non ho mai baciato una donna", ma il treno di Penelope viaggiava a tutta velocità e fece finta di esserne travolta. Aveva simulato una piccola ribellione mentre le mani della donna esploravano il suo corpo e un’altra, solo un po' più veemente, dopo che le aveva sbottonato i jeans e infilato la mano nelle mutandine. "Rilassati, tranquilla, non faccio niente che non vuoi, ti piace fare l'amore? Da quanto non lo fai? Ti piace toccarti?". Ad Annalisa era parso di risentire tutta la litania delle frasi rassicuranti che anni addietro una ragazza molto più esperta di lei le aveva sussurrato prima di scoparla. Non le era stato certo difficile assecondare le voglie di Penelope, e quando aveva fatto finta di venire urlando era stata molto ma molto credibile. Poi si era rannicchiata sulle ginocchia della donna come una ragazzina piena di vergogna, tremando. O Penelope era una donna abituata a prendersi ciò che voleva, aveva pensato Annalisa in quel momento, oppure è troppo, troppo impulsiva. Ma andava più che bene in ogni caso.
- Tranquilla tesoro, tranquilla, è stato bellissimo... ti è piaciuto?
- Sì, tantissimo…
Penelope aveva allungato una carezza sulla faccia di Annalisa e l'aveva stretta a sé baciandola delicatamente. Per la prima volta la biondina aveva allungato una mano sul fianco della donna, che le aveva sorriso prendendola e poggiandosela sul seno.
- Che ne diresti, una volta, di fare le cose con più calma? Ti piacerebbe?
- Sì signora - aveva risposto Annalisa abbassando lo sguardo.
- E magari che ne diresti di non chiamarmi più signora? - aveva risposto Penelope - adesso però dobbiamo metterti un po' a posto, non è giusto che un gioiello come te si trascuri.
Le aveva prenotato un centro estetico per la sera, ben oltre il normale orario di chiusura. In quel momento Annalisa aveva invidiato il potere dei soldi, ma in fondo era contenta: le era costato molto negli ultimi tempi trascurarsi, era stato un sacrificio necessario per il ruolo che si era imposta. Prima di accompagnarla lì Penelope aveva fatto sfoggio di tutta la sua generosità portandola in giro per il centro e rinnovandole il guardaroba. Intimo, soprattutto, e molto audace ("non ho mai indossato queste cose", "è ora di farlo, tesoro"), ma anche uno stupendo chemisier nero che le aveva consigliato di portare sbottonato, chiuso solo dalla sua cintola in vita. Le aveva poi fatto vedere la boutique dei suoi prodotti, le aveva mostrato il suo ufficio dove esibiva con orgoglio le fotografie dei suoi negozi sparsi per il mondo: New York, Los Angeles, Londra, Dubai (“qui mi ha dato una mano Bashaar”), Panama, Pechino. “Singapore è il prossimo, a giorni, poi Parigi”. Le aveva infine regalato una preziosa stola di cachemire della sua collezione più esclusiva che Annalisa difficilmente si sarebbe potuta permettere.
- Guarda come ti sta bene la tua catenina d’oro con questa, altro che quella roba da bancarella che avevi quella sera…
- Era di mia nonna… - aveva risposto Annalisa, peraltro dicendole una volta tanto la verità.
- E’ bellissima, semplice e bellissima, come te.
Qualche giorno dopo aveva risposto all'invito di Penelope, presentandosi a casa sua e indossando le cose che lei le aveva regalato, come da richiesta: intimo sexy, chemisier nero, stivali nuovi, stola di cachemire e persino catenina d’oro. Sapeva che avrebbe dovuto farsi scopare ed era pronta a recitare la sua parte. A conti fatti, Penelope era pur sempre una bella donna. Tuttavia, anche se a letto si era dimostrata molto dolce, aveva ancora una volta dovuto fingere. Allo stesso tempo Annalisa si era comportata in modo molto servizievole sotto i comandi di Penelope: “Ora baciami tesoro, baciami e leccami tutta come ho fatto con te”. Aveva simulato esitazione, vergogna, anche un po' di iniziale disgusto, facendola però schizzare per aria alla fine. Mentre la teneva sotto la sua ala protettrice, come un cucciolo, Penelope le aveva rivelato tutta sua ammirazione: "Dentro di te c'è una passione che bisogna assolutamente liberare, nessuna donna mi ha mai dato piacere così". Evidentemente, aveva pensato Annalisa, ti hanno scopata in poche e anche parecchio imbranate.
Proprio quella sera però era successa una cosa che avrebbe cambiato la vita di Annalisa in profondità e come lei non avrebbe mai lontanamente immaginato.
Era tornata a casa eccitata, nonostante il sesso con Penelope fosse stato più che deludente. Da qualche tempo le avventure pomeridiane in albergo con Lollo si erano interrotte, per volere di lui (o forse della moglie che, aveva immaginato Annalisa, doveva sospettare qualcosa). Sta di fatto che quello che le mancava di più era proprio quel tipo di sesso lì: liberatorio, senza vincoli, capace di sollevarla per qualche ora dallo stress e dalle preoccupazioni del lavoro. A casa si era fatta un bagno rilassante, toccandosi senza darsi soddisfazione ma constatando quanta voglia avesse di un maschio dentro di sé. Uno qualsiasi purché figo. Anche più di uno. Aveva scelto un thong velato regalatole da Penelope, rinunciando al reggiseno e optando per due copricapezzoli adesivi sotto il vestitino nero. Calze a rete da sdrammatizzare con le sneakers e, a sottolineare il look un po' adolescenziale, eyeliner da skater emo e lipstick scuro. Da quanto non faceva una serata-troia? "Chissà se mi ricordo ancora come si fa la zoccoletta". "E voglio farlo a novanta, in piedi appoggiata da qualche parte, se trovo il tipo giusto gli do anche il culo, glielo chiedo proprio".
Prima della disco era passata in un ristorante vicino casa sua che, proprio perché così vicino, non aveva mai frequentato molto. Non per mangiare ma per sedersi al bancone. Aveva voglia di bere, meglio ancora di farselo offrire. In fin dei conti era appena mezzanotte. "Ci starebbe bene anche un pompino di riscaldamento - si era detta uscendo - anche se dovrò ingoiare per non rovinare il makeup, ma com'è vero Iddio stanotte ingoio".
Proprio lì, dopo aver chiesto uno Xalapa al ragazzo del bar, l'aveva vista. Aveva visto la sua collega che lavorava al banco. E era stato praticamente uno choc. Non uno specchio ma quasi. Alta più o meno come lei, bionda come lei e dello stesso biondo, i capelli raccolti in una coda alta come i suoi. Disinvolta nelle sue movenze, il sorriso ora sereno ora ironico come il suo. Era vestita in giacca-pantaloni-camicetta neri. Esile, non proprio come lei ma esile, anche se si intuiva un seno un po' più grande del suo. Mentre la ragazza era impegnata a parlare con altri clienti, Annalisa aveva adorato i due pendenti di quello che probabilmente era zircone e che richiamavano il colore dei suoi occhi. Si era persa a guardare le ciglia incredibili, le labbra dallo stesso disegno del suo e sottolineate da un leggero tocco di rossetto, le mani con le lunghe dita sottili e le unghie smaltate di rosso. Le aveva immaginate su di sé e aveva avvertito il crampo del desiderio. Pochi secondi dopo, le mutandine erano completamente bagnate. Aveva vuotato di colpo il suo bicchiere e risposto "ci devo pensare" al bartender che, un po' esterrefatto, le domandava se ne volesse un altro. Quando la ragazza si era avvicinata, Annalisa aveva attirato discretamente la sua attenzione e le aveva chiesto "ora cosa mi consiglieresti?". Sia pure impercettibilmente, anche la barista era rimasta colpita dalla reciproca somiglianza. Annalisa se ne era accorta. Avevano iniziato a parlare di cocktail mentre ogni tanto Valentina, questo era il suo nome, serviva altri clienti. Ma ogni volta tornava a parlare con lei. "Quanti anni hai?", "ventisei", "come me". Valentina le aveva offerto un paio di assaggi, erano passate a parlare di loro, delle loro vite. Un'altra cosa che rapiva Annalisa era il leggero accento veneto della ragazza ("sono di Mira, hai presente?"), che a sua volta le aveva confessato di trovare irresistibile la parlata e il carattere dei romani.
- Non vorrei farti ubriacare, però - aveva detto Valentina porgendole un terzo assaggio.
- Io sono ubriaca da quando ti ho vista, sei la ragazza più bella del mondo - si era buttata Annalisa.
Valentina aveva reagito sorridendo e pronunciando un flebile "grazie". Era sorpresa, intimidita, inorgoglita. Poi si era fatta coraggio e le aveva risposto "anche tu, siamo uguali". A suo esclusivo beneficio, Annalisa aveva accavallato le gambe facendo risalire il vestitino e scosciandosi quasi completamente, guadagnandosi un "oh" da un ragazzo dietro di lei che stava presumibilmente richiamando un amico. Ma quella sera ormai i ragazzi non le interessavano più. "Che belle gambe che hai", le aveva sussurrato Valentina. "Anche tu, ne sono certa, mi piacerebbe vederle", aveva risposto Annalisa. Si erano guardate per lunghi attimi leggendo il desiderio l'una negli occhi dell'altra.
- Quelle ciglia sono vere? - aveva detto Annalisa.
- Un po’ di rimmel…
- Escludendo la bocca, dove lo vorresti un bacio?
- Tu dove me lo daresti?
- Lì dove hai più caldo ora... che fai quando chiudete? A casa ho un paio di canne, non abito lontano, mi piacerebbe ricambiare i tuoi cocktail.
- Devo andare a casa, mi aspettano - aveva risposto Valentina.
Un'ora dopo erano sul letto di Annalisa a baciarsi e a strusciarsi le fiche. "Voglio farti godere", "no, sono io che voglio farti godere", "ti lecco tutta la notte", "a me piace un dito nel culo", "anche a me!". Si erano addormentate abbracciate, si erano risvegliate abbracciate. "Ieri sera ero uscita a caccia di cazzi e guarda te chi mi ritrovo nel letto", aveva detto Annalisa scompigliandole i capelli. Valentina era scoppiata a ridere, avevano scopato ancora. Il giorno stesso, dopo una furibonda lite con il fidanzato che non l'aveva vista tornare a casa, aveva chiuso la sua ormai consunta storia d'amore e si era trasferita armi e bagagli a casa di Annalisa. Nessuna delle due ci avrebbe mai pensato fino alla sera prima, ma entrambe sapevano sin dal primo momento in cui si erano viste che avrebbero voluto vivere un bel pezzo di vita insieme all'altra. Il più lungo pezzo di vita possibile.
Tre giorni dopo essersi conosciute, tornando dal lavoro Annalisa aveva trovato un messaggio di Valentina scritto sulla busta di una bolletta della luce: “Ti amo”, con accanto un cuoricino. Era la prima volta che una delle due si dichiarava all’altra. Era andata a prenderla al ristorante e, pochi secondi dopo averla salutata, a tutto lo staff e a un buon numero di avventori era divenuto lampante il concetto di “amore saffico”. Niente esagerazioni, nessuna volgarità. Solo sentimento. Anche il più incallito degli omofobi avrebbe dovuto ammettere “quelle due lesbiche di merda si amano”. Una volta chiuso il locale erano tornate a casa di corsa, nel senso che si erano proprio fatte correndo quei trecento metri. Avevano fatto appena in tempo a chiudere la porta di casa che si erano gettate l’una addosso all’altra, finendo sul parquet, spogliandosi in modo furente. Annalisa le aveva tolto il giaccone dalla testa, senza neanche aprirlo, e Valentina aveva attaccato a tradimento i suoi leggings. Si erano amate per terra a baci, morsi, leccate, strusciandosi e rotolando, penetrandosi reciprocamente fiche, bocche, ani. Avevano offerto e avevano preteso, si erano lanciate insulti di passione. La mattina seguente avevano fatto l’una il conto dei lividi sul corpo dell’altra. E finalmente Annalisa aveva risposto: “Ti amo anche io, resta qui per sempre”.
"Comincio a credere che la formula 'finché morte non vi separi' non sia poi tanto una stronzata", aveva detto Annalisa a Valentina qualche giorno dopo mentre facevano il bagno insieme. "Se dicessi ai tuoi che mi ami, che vuoi vivere con me, che ci sposiamo, come la prenderebbero?", aveva chiesto Valentina. "Non lo so - era stata la risposta - forse rimarrebbero delusi, ma non direbbero nulla, penso. I tuoi?". "I miei credo che un po' si incazzerebbero, ma alla fine si adeguerebbero. Comunque la vita è mia e la mia vita sei tu".
- Sai quante cellule ci sono in un corpo umano? - aveva chiesto improvvisamente, e del tutto fuori contesto, Annalisa guardandola.
- No, perché?
- Dai trenta ai quaranta miliardi - le aveva risposto placidamente Annalisa - e adesso te le lecco tutte, una per una.
Non c'era sera che l'una non vedesse l'ora di staccare dal lavoro per stare con l'altra. Quasi sempre però era Annalisa che andava al ristorante dove lavorava Valentina e si sedeva al bancone per il solo gusto di guardarla e desiderarla. Perché come sempre, in una storia così, c'era molto sesso. Un sesso infiammabile, esplosivo impossibile da sopire. Annalisa era sorpresa dall'intraprendenza della sua ragazza nella giocosa gara a spostare sempre più in là i limiti del piacere.
Una mattina che indugiavano abbracciate a letto prima che andasse al lavoro, Annalisa le aveva domandato "ma per noi, secondo te, il cazzo è scomparso dai radar?". Valentina si era messa a ridere e le aveva risposto “non necessariamente". In realtà quella di Annalisa era una domanda con cui esprimeva la curiosità e forse anche lo stupore per la sua nuova condizione: a letto con altre ragazze c'era stata ma non le era mai capitato di innamorarsene, in quel momento non sentiva il bisogno di sesso etero, per lei andava tutto bene così. Valentina però forse aveva equivocato o forse aveva voglia, chissà, e poiché era il suo giorno libero aveva atteso che Annalisa tornasse e le aveva detto "adesso ci mettiamo bitch tutte e due e andiamo a farci rimorchiare da qualche parte". Si erano riportate a casa due esterrefatti ragazzi toscani, uno bello ma l’altro fighissimo, anche un po' intimiditi. Erano talmente frenati che tutto si sarebbe probabilmente risolto con due lunghissime limonate tra coppie se Annalisa, a un certo punto, non avesse messo la mano sul pacco del fighissimo e non gli avesse detto "ora però fammi vedere che sei un uomo". I ragazzi, alla fine, non si erano rivelati poi così timidi e le avevano scopate per buona parte della notte. Il letto di Annalisa aveva rischiato parecchio. Entrambe nei giorni successivi si sarebbero interrogate su quel contraddittorio mix di piacere e gelosia nel vedere l'altra godere sì, ma tra le braccia altrui.
Ma che lo vogliate considerare sesso o lo vogliate considerare amore, la cosa che Annalisa avrebbe messo sul gradino più alto del podio era avvenuta una domenica mattina. Avevano approfittato di una giornata di pioggia battente per andare a mangiare fuori Roma: "In giro non ci sarà nessuno, vedrai". A un certo punto aveva cominciato a piovere così forte che Valentina le aveva chiesto di fermarsi in una piazzola, una specie di belvedere sulla strada per i castelli dal quale si dominava la città. Nonostante l'andare del tergicristallo, però, non si vedeva nulla. Valentina aveva alzato Vasco a palla per sovrastare il rombo della pioggia e, voltandosi verso Annalisa, le aveva sorriso prima di infilarle la mano nei leggings. L'aveva scopata così, senza nemmeno farle togliere la cintura di sicurezza e senza nemmeno baciarla, guardandola negli occhi e cantando a squarciagola "sai che cosa penso? che se non ha un senso domani arriverà lo stesso". E anche Annalisa aveva finito per urlare a squarciagola mentre la sua fidanzata stonava "voglio trovare un senso a questa storia". Aveva bagnato il cavallo dei leggings e la mano di Valentina. E poi quella mano l'aveva presa, se l'era passata sul viso, l'aveva asciugata con i baci pensando di non essere mai stata così felice.
L'unico cruccio di Annalisa era rappresentato dal suo lavoro, di cui non poteva parlarle se non in modo molto vago. Una notte, una delle primissime, dopo essere rientrate dal ristorante avendo cominciato a scopare praticamente sul pianerottolo, Valentina si era alzata dal letto per andare a prendere una sigaretta. All'inizio Annalisa aveva visto quel corpo nudo e flessuoso uscire dalla stanza con una contrastante sensazione di appagamento e di voglia non ancora soddisfatta. Poi, di colpo, aveva realizzato e le era corsa dietro. Valentina era nell'ingresso con la sua borsa in mano che domandava nel vuoto "quanto cazzo pesa?". Poi aveva tirato fuori la pistola che Annalisa non aveva fatto in tempo a scaricare e a nascondere. Annalisa aveva letto quasi il terrore nei suoi occhi, Valentina tremava tenendo l'arma con due dita. "E questa? Cosa cazzo è?". "La mia pistola d'ordinanza", le aveva risposto Annalisa. "Cosa cazzo sei? Una specie di sbirra? Mi avevi detto che facevi l'analista, la ricercatrice". Annalisa le aveva raccontato, mentendo, che lavorava per i servizi di sicurezza della Presidenza del Consiglio e che la pistola era obbligata a portarla, anche se non sapeva quasi come usarla. E che il suo lavoro in effetti era quello di raccogliere informazioni e analizzarle. Nulla di più. Valentina si era mostrata molto delusa, quasi affranta per la sua slealtà. Annalisa le aveva risposto di essere stata reticente per paura della sua reazione. La sua ragazza si era fatta promettere che non sarebbe mai più uscita armata quando c'era lei, e così era stato da quel momento in poi.
L'altro aspetto del suo lavoro che, da quando c'era Valentina, le procurava sofferenza erano i baci e il sesso con Penelope. Nel vocabolario di Annalisa la pagina con la parola "fedeltà" si erano proprio dimenticati di stamparla, ma tradire la sua compagna ora le risultava sempre più intollerabile. Da quando stavano insieme era stata da Penelope solo tre volte, anche grazie a un viaggio di lavoro della donna, e in ognuna di queste aveva fatto in modo di essere a casa prima che Valentina tornasse dal ristorante e di farsi un bagno per lavarsi di dosso la presenza stessa di Penelope, oltre che il suo profumo. Quasi per autopunirsi, in quelle occasioni aveva sollecitato la sua ragazza a dare libero sfogo alle fantasie più perverse. Sfide che Valentina raccoglieva con una risata e che in fondo non le dispiacevano per niente.
Tuttavia, tornando da Singapore, Penelope l'aveva "prenotata" per quella notte. "Vorrei che dormissi da me, ho una sorpresa". Di quale sorpresa si tratti Annalisa se lo immagina e le pesa pensarci anche se, dal punto di vista delle indagini che procedono a passo di lumaca, è un'occasione che potrebbe aprirle nuove strade. Sale in macchina pensando “spero proprio che ci sia Bashaar”.
"Stanotte sarò fuori per lavoro ma non ti preoccupare, il mio compito è stare chiusa in un furgone davanti a un computer", ha detto a Valentina. "Non dormirò finché non torni", le aveva risposto lei.
2. CONTINUA
Tuttavia, mettendo da parte il sesso, le cose andavano a gonfie vele, anche se con lentezza. Come previsto, Bashaar l'aveva contattata invitandola ad un ricevimento in un albergo del centro. Si era vestita in modo volutamente goffo - giacca e pantaloni da nerd in una serata che avrebbe richiesto ben altro, più quella terribile collanina finto-etnica - e se n'era stata in disparte per una buona ora e mezza, scattando ogni tanto a stringere mani fingendo disinvoltura e sfoderando sorrisi artificiali che rientravano dopo nemmeno un secondo. Finché finalmente Bashaar le aveva presentato Penelope, ignorando che Annalisa sapeva che era la sua amante. "Dottoressa è studiosa di nostra legislazione, con un particolare interesse per condizione di donna", aveva detto Bashaar. "Non proprio espertissima, è un lavoro che stiamo facendo nel nostro centro studi", si era schermita Annalisa. Fingendo di sentirsi sperduta si era attaccata come una cozza a Penelope e la manovra era riuscita. La donna era passata in poco tempo da un formale "lei" a un materno "tesoro", confessandole la noia che le davano serate come quelle. “Cosa ti è successo all’occhio, tesoro?”, le aveva chiesto notando il rossore. “Oh, ho sbattuto, ma sta passando”. Le botte ricevute da quel cameriere in hotel erano pur servite a qualcosa, in fondo.
Si erano lasciate con la promessa di rivedersi e si erano riviste. Il piano per entrare nel ristretto circolo di amicizie di Bashaar, proprio attraverso la sua amante, era ancora ai primi passi, ma sembrava funzionare.
Anzi, in un primo tempo e in modo del tutto inconsapevole era stata proprio Penelope ad accelerarlo, con ben due inviti in una settimana. Un tè in un antico bar del centro prima, direttamente a casa sua poi. Proprio in occasione di questo secondo incontro Annalisa si era resa conto che c'era qualcosa di strano. Tanto per cominciare, quella in cui Penelope l'aveva ricevuta non era casa sua bensì quella di Bashaar. L'imprenditrice non poteva immaginare che Annalisa sapesse, ma ovviamente Annalisa sapeva. Conosceva ormai tutto del diplomatico arabo, tranne il modo in cui raccoglieva finanziamenti per mantenere le cellule terroristiche, comprare armi e esplosivi, pianificare attentati. In secondo luogo, proprio quel pomeriggio a casa di Bashaar, aveva avuto la netta impressione che l'interesse di Penelope nei confronti della timida e imbranata ricercatrice che lei impersonava andasse oltre la semplice amicizia.
A un mese esatto dal loro primo incontro in ambasciata, e alla quarta volta che metteva piede nella casa di Bashaar che Penelope pretendeva essere la sua, Annalisa aveva subìto la prima pesante avance della donna.
Aveva studiato con cura la costruzione del personaggio da interpretare e, per dare un tocco di patetico in più, gli aveva cucito addosso la condizione di giovane ragazza il cui matrimonio era già naufragato.
- E' da prima dell'estate che ci siamo separati, ora vivo con un'amica.
- Quando ci siamo conosciute al party dell’ambasciatore avevi un occhio quasi pesto, ti ha picchiata? – aveva domandato Penelope.
- No, ho sbattuto! No… sì, ma non è stato mio marito a picchiarmi… mi ha lasciata per un uomo, è stato lui che mi ha picchiata…
Annalisa qui aveva un po’ improvvisato, mettendosi anche a piangere. Ma la commedia aveva avuto un effetto anche migliore di quello sperato. La strategia di consolazione di Penelope aveva da subito puntato sul contatto fisico. Non che le fosse saltata addosso, questo no, ma gli abbracci e le carezze si erano fatti sempre più insistiti, quasi espliciti. Fino alla fatidica frase: "Mi fai venire una gran voglia di baciarti, sei troppo bella per essere triste". Annalisa aveva finto di essere paralizzata dalla sorpresa e aveva naturalmente risposto, balbettando, "non ho mai baciato una donna", ma il treno di Penelope viaggiava a tutta velocità e fece finta di esserne travolta. Aveva simulato una piccola ribellione mentre le mani della donna esploravano il suo corpo e un’altra, solo un po' più veemente, dopo che le aveva sbottonato i jeans e infilato la mano nelle mutandine. "Rilassati, tranquilla, non faccio niente che non vuoi, ti piace fare l'amore? Da quanto non lo fai? Ti piace toccarti?". Ad Annalisa era parso di risentire tutta la litania delle frasi rassicuranti che anni addietro una ragazza molto più esperta di lei le aveva sussurrato prima di scoparla. Non le era stato certo difficile assecondare le voglie di Penelope, e quando aveva fatto finta di venire urlando era stata molto ma molto credibile. Poi si era rannicchiata sulle ginocchia della donna come una ragazzina piena di vergogna, tremando. O Penelope era una donna abituata a prendersi ciò che voleva, aveva pensato Annalisa in quel momento, oppure è troppo, troppo impulsiva. Ma andava più che bene in ogni caso.
- Tranquilla tesoro, tranquilla, è stato bellissimo... ti è piaciuto?
- Sì, tantissimo…
Penelope aveva allungato una carezza sulla faccia di Annalisa e l'aveva stretta a sé baciandola delicatamente. Per la prima volta la biondina aveva allungato una mano sul fianco della donna, che le aveva sorriso prendendola e poggiandosela sul seno.
- Che ne diresti, una volta, di fare le cose con più calma? Ti piacerebbe?
- Sì signora - aveva risposto Annalisa abbassando lo sguardo.
- E magari che ne diresti di non chiamarmi più signora? - aveva risposto Penelope - adesso però dobbiamo metterti un po' a posto, non è giusto che un gioiello come te si trascuri.
Le aveva prenotato un centro estetico per la sera, ben oltre il normale orario di chiusura. In quel momento Annalisa aveva invidiato il potere dei soldi, ma in fondo era contenta: le era costato molto negli ultimi tempi trascurarsi, era stato un sacrificio necessario per il ruolo che si era imposta. Prima di accompagnarla lì Penelope aveva fatto sfoggio di tutta la sua generosità portandola in giro per il centro e rinnovandole il guardaroba. Intimo, soprattutto, e molto audace ("non ho mai indossato queste cose", "è ora di farlo, tesoro"), ma anche uno stupendo chemisier nero che le aveva consigliato di portare sbottonato, chiuso solo dalla sua cintola in vita. Le aveva poi fatto vedere la boutique dei suoi prodotti, le aveva mostrato il suo ufficio dove esibiva con orgoglio le fotografie dei suoi negozi sparsi per il mondo: New York, Los Angeles, Londra, Dubai (“qui mi ha dato una mano Bashaar”), Panama, Pechino. “Singapore è il prossimo, a giorni, poi Parigi”. Le aveva infine regalato una preziosa stola di cachemire della sua collezione più esclusiva che Annalisa difficilmente si sarebbe potuta permettere.
- Guarda come ti sta bene la tua catenina d’oro con questa, altro che quella roba da bancarella che avevi quella sera…
- Era di mia nonna… - aveva risposto Annalisa, peraltro dicendole una volta tanto la verità.
- E’ bellissima, semplice e bellissima, come te.
Qualche giorno dopo aveva risposto all'invito di Penelope, presentandosi a casa sua e indossando le cose che lei le aveva regalato, come da richiesta: intimo sexy, chemisier nero, stivali nuovi, stola di cachemire e persino catenina d’oro. Sapeva che avrebbe dovuto farsi scopare ed era pronta a recitare la sua parte. A conti fatti, Penelope era pur sempre una bella donna. Tuttavia, anche se a letto si era dimostrata molto dolce, aveva ancora una volta dovuto fingere. Allo stesso tempo Annalisa si era comportata in modo molto servizievole sotto i comandi di Penelope: “Ora baciami tesoro, baciami e leccami tutta come ho fatto con te”. Aveva simulato esitazione, vergogna, anche un po' di iniziale disgusto, facendola però schizzare per aria alla fine. Mentre la teneva sotto la sua ala protettrice, come un cucciolo, Penelope le aveva rivelato tutta sua ammirazione: "Dentro di te c'è una passione che bisogna assolutamente liberare, nessuna donna mi ha mai dato piacere così". Evidentemente, aveva pensato Annalisa, ti hanno scopata in poche e anche parecchio imbranate.
Proprio quella sera però era successa una cosa che avrebbe cambiato la vita di Annalisa in profondità e come lei non avrebbe mai lontanamente immaginato.
Era tornata a casa eccitata, nonostante il sesso con Penelope fosse stato più che deludente. Da qualche tempo le avventure pomeridiane in albergo con Lollo si erano interrotte, per volere di lui (o forse della moglie che, aveva immaginato Annalisa, doveva sospettare qualcosa). Sta di fatto che quello che le mancava di più era proprio quel tipo di sesso lì: liberatorio, senza vincoli, capace di sollevarla per qualche ora dallo stress e dalle preoccupazioni del lavoro. A casa si era fatta un bagno rilassante, toccandosi senza darsi soddisfazione ma constatando quanta voglia avesse di un maschio dentro di sé. Uno qualsiasi purché figo. Anche più di uno. Aveva scelto un thong velato regalatole da Penelope, rinunciando al reggiseno e optando per due copricapezzoli adesivi sotto il vestitino nero. Calze a rete da sdrammatizzare con le sneakers e, a sottolineare il look un po' adolescenziale, eyeliner da skater emo e lipstick scuro. Da quanto non faceva una serata-troia? "Chissà se mi ricordo ancora come si fa la zoccoletta". "E voglio farlo a novanta, in piedi appoggiata da qualche parte, se trovo il tipo giusto gli do anche il culo, glielo chiedo proprio".
Prima della disco era passata in un ristorante vicino casa sua che, proprio perché così vicino, non aveva mai frequentato molto. Non per mangiare ma per sedersi al bancone. Aveva voglia di bere, meglio ancora di farselo offrire. In fin dei conti era appena mezzanotte. "Ci starebbe bene anche un pompino di riscaldamento - si era detta uscendo - anche se dovrò ingoiare per non rovinare il makeup, ma com'è vero Iddio stanotte ingoio".
Proprio lì, dopo aver chiesto uno Xalapa al ragazzo del bar, l'aveva vista. Aveva visto la sua collega che lavorava al banco. E era stato praticamente uno choc. Non uno specchio ma quasi. Alta più o meno come lei, bionda come lei e dello stesso biondo, i capelli raccolti in una coda alta come i suoi. Disinvolta nelle sue movenze, il sorriso ora sereno ora ironico come il suo. Era vestita in giacca-pantaloni-camicetta neri. Esile, non proprio come lei ma esile, anche se si intuiva un seno un po' più grande del suo. Mentre la ragazza era impegnata a parlare con altri clienti, Annalisa aveva adorato i due pendenti di quello che probabilmente era zircone e che richiamavano il colore dei suoi occhi. Si era persa a guardare le ciglia incredibili, le labbra dallo stesso disegno del suo e sottolineate da un leggero tocco di rossetto, le mani con le lunghe dita sottili e le unghie smaltate di rosso. Le aveva immaginate su di sé e aveva avvertito il crampo del desiderio. Pochi secondi dopo, le mutandine erano completamente bagnate. Aveva vuotato di colpo il suo bicchiere e risposto "ci devo pensare" al bartender che, un po' esterrefatto, le domandava se ne volesse un altro. Quando la ragazza si era avvicinata, Annalisa aveva attirato discretamente la sua attenzione e le aveva chiesto "ora cosa mi consiglieresti?". Sia pure impercettibilmente, anche la barista era rimasta colpita dalla reciproca somiglianza. Annalisa se ne era accorta. Avevano iniziato a parlare di cocktail mentre ogni tanto Valentina, questo era il suo nome, serviva altri clienti. Ma ogni volta tornava a parlare con lei. "Quanti anni hai?", "ventisei", "come me". Valentina le aveva offerto un paio di assaggi, erano passate a parlare di loro, delle loro vite. Un'altra cosa che rapiva Annalisa era il leggero accento veneto della ragazza ("sono di Mira, hai presente?"), che a sua volta le aveva confessato di trovare irresistibile la parlata e il carattere dei romani.
- Non vorrei farti ubriacare, però - aveva detto Valentina porgendole un terzo assaggio.
- Io sono ubriaca da quando ti ho vista, sei la ragazza più bella del mondo - si era buttata Annalisa.
Valentina aveva reagito sorridendo e pronunciando un flebile "grazie". Era sorpresa, intimidita, inorgoglita. Poi si era fatta coraggio e le aveva risposto "anche tu, siamo uguali". A suo esclusivo beneficio, Annalisa aveva accavallato le gambe facendo risalire il vestitino e scosciandosi quasi completamente, guadagnandosi un "oh" da un ragazzo dietro di lei che stava presumibilmente richiamando un amico. Ma quella sera ormai i ragazzi non le interessavano più. "Che belle gambe che hai", le aveva sussurrato Valentina. "Anche tu, ne sono certa, mi piacerebbe vederle", aveva risposto Annalisa. Si erano guardate per lunghi attimi leggendo il desiderio l'una negli occhi dell'altra.
- Quelle ciglia sono vere? - aveva detto Annalisa.
- Un po’ di rimmel…
- Escludendo la bocca, dove lo vorresti un bacio?
- Tu dove me lo daresti?
- Lì dove hai più caldo ora... che fai quando chiudete? A casa ho un paio di canne, non abito lontano, mi piacerebbe ricambiare i tuoi cocktail.
- Devo andare a casa, mi aspettano - aveva risposto Valentina.
Un'ora dopo erano sul letto di Annalisa a baciarsi e a strusciarsi le fiche. "Voglio farti godere", "no, sono io che voglio farti godere", "ti lecco tutta la notte", "a me piace un dito nel culo", "anche a me!". Si erano addormentate abbracciate, si erano risvegliate abbracciate. "Ieri sera ero uscita a caccia di cazzi e guarda te chi mi ritrovo nel letto", aveva detto Annalisa scompigliandole i capelli. Valentina era scoppiata a ridere, avevano scopato ancora. Il giorno stesso, dopo una furibonda lite con il fidanzato che non l'aveva vista tornare a casa, aveva chiuso la sua ormai consunta storia d'amore e si era trasferita armi e bagagli a casa di Annalisa. Nessuna delle due ci avrebbe mai pensato fino alla sera prima, ma entrambe sapevano sin dal primo momento in cui si erano viste che avrebbero voluto vivere un bel pezzo di vita insieme all'altra. Il più lungo pezzo di vita possibile.
Tre giorni dopo essersi conosciute, tornando dal lavoro Annalisa aveva trovato un messaggio di Valentina scritto sulla busta di una bolletta della luce: “Ti amo”, con accanto un cuoricino. Era la prima volta che una delle due si dichiarava all’altra. Era andata a prenderla al ristorante e, pochi secondi dopo averla salutata, a tutto lo staff e a un buon numero di avventori era divenuto lampante il concetto di “amore saffico”. Niente esagerazioni, nessuna volgarità. Solo sentimento. Anche il più incallito degli omofobi avrebbe dovuto ammettere “quelle due lesbiche di merda si amano”. Una volta chiuso il locale erano tornate a casa di corsa, nel senso che si erano proprio fatte correndo quei trecento metri. Avevano fatto appena in tempo a chiudere la porta di casa che si erano gettate l’una addosso all’altra, finendo sul parquet, spogliandosi in modo furente. Annalisa le aveva tolto il giaccone dalla testa, senza neanche aprirlo, e Valentina aveva attaccato a tradimento i suoi leggings. Si erano amate per terra a baci, morsi, leccate, strusciandosi e rotolando, penetrandosi reciprocamente fiche, bocche, ani. Avevano offerto e avevano preteso, si erano lanciate insulti di passione. La mattina seguente avevano fatto l’una il conto dei lividi sul corpo dell’altra. E finalmente Annalisa aveva risposto: “Ti amo anche io, resta qui per sempre”.
"Comincio a credere che la formula 'finché morte non vi separi' non sia poi tanto una stronzata", aveva detto Annalisa a Valentina qualche giorno dopo mentre facevano il bagno insieme. "Se dicessi ai tuoi che mi ami, che vuoi vivere con me, che ci sposiamo, come la prenderebbero?", aveva chiesto Valentina. "Non lo so - era stata la risposta - forse rimarrebbero delusi, ma non direbbero nulla, penso. I tuoi?". "I miei credo che un po' si incazzerebbero, ma alla fine si adeguerebbero. Comunque la vita è mia e la mia vita sei tu".
- Sai quante cellule ci sono in un corpo umano? - aveva chiesto improvvisamente, e del tutto fuori contesto, Annalisa guardandola.
- No, perché?
- Dai trenta ai quaranta miliardi - le aveva risposto placidamente Annalisa - e adesso te le lecco tutte, una per una.
Non c'era sera che l'una non vedesse l'ora di staccare dal lavoro per stare con l'altra. Quasi sempre però era Annalisa che andava al ristorante dove lavorava Valentina e si sedeva al bancone per il solo gusto di guardarla e desiderarla. Perché come sempre, in una storia così, c'era molto sesso. Un sesso infiammabile, esplosivo impossibile da sopire. Annalisa era sorpresa dall'intraprendenza della sua ragazza nella giocosa gara a spostare sempre più in là i limiti del piacere.
Una mattina che indugiavano abbracciate a letto prima che andasse al lavoro, Annalisa le aveva domandato "ma per noi, secondo te, il cazzo è scomparso dai radar?". Valentina si era messa a ridere e le aveva risposto “non necessariamente". In realtà quella di Annalisa era una domanda con cui esprimeva la curiosità e forse anche lo stupore per la sua nuova condizione: a letto con altre ragazze c'era stata ma non le era mai capitato di innamorarsene, in quel momento non sentiva il bisogno di sesso etero, per lei andava tutto bene così. Valentina però forse aveva equivocato o forse aveva voglia, chissà, e poiché era il suo giorno libero aveva atteso che Annalisa tornasse e le aveva detto "adesso ci mettiamo bitch tutte e due e andiamo a farci rimorchiare da qualche parte". Si erano riportate a casa due esterrefatti ragazzi toscani, uno bello ma l’altro fighissimo, anche un po' intimiditi. Erano talmente frenati che tutto si sarebbe probabilmente risolto con due lunghissime limonate tra coppie se Annalisa, a un certo punto, non avesse messo la mano sul pacco del fighissimo e non gli avesse detto "ora però fammi vedere che sei un uomo". I ragazzi, alla fine, non si erano rivelati poi così timidi e le avevano scopate per buona parte della notte. Il letto di Annalisa aveva rischiato parecchio. Entrambe nei giorni successivi si sarebbero interrogate su quel contraddittorio mix di piacere e gelosia nel vedere l'altra godere sì, ma tra le braccia altrui.
Ma che lo vogliate considerare sesso o lo vogliate considerare amore, la cosa che Annalisa avrebbe messo sul gradino più alto del podio era avvenuta una domenica mattina. Avevano approfittato di una giornata di pioggia battente per andare a mangiare fuori Roma: "In giro non ci sarà nessuno, vedrai". A un certo punto aveva cominciato a piovere così forte che Valentina le aveva chiesto di fermarsi in una piazzola, una specie di belvedere sulla strada per i castelli dal quale si dominava la città. Nonostante l'andare del tergicristallo, però, non si vedeva nulla. Valentina aveva alzato Vasco a palla per sovrastare il rombo della pioggia e, voltandosi verso Annalisa, le aveva sorriso prima di infilarle la mano nei leggings. L'aveva scopata così, senza nemmeno farle togliere la cintura di sicurezza e senza nemmeno baciarla, guardandola negli occhi e cantando a squarciagola "sai che cosa penso? che se non ha un senso domani arriverà lo stesso". E anche Annalisa aveva finito per urlare a squarciagola mentre la sua fidanzata stonava "voglio trovare un senso a questa storia". Aveva bagnato il cavallo dei leggings e la mano di Valentina. E poi quella mano l'aveva presa, se l'era passata sul viso, l'aveva asciugata con i baci pensando di non essere mai stata così felice.
L'unico cruccio di Annalisa era rappresentato dal suo lavoro, di cui non poteva parlarle se non in modo molto vago. Una notte, una delle primissime, dopo essere rientrate dal ristorante avendo cominciato a scopare praticamente sul pianerottolo, Valentina si era alzata dal letto per andare a prendere una sigaretta. All'inizio Annalisa aveva visto quel corpo nudo e flessuoso uscire dalla stanza con una contrastante sensazione di appagamento e di voglia non ancora soddisfatta. Poi, di colpo, aveva realizzato e le era corsa dietro. Valentina era nell'ingresso con la sua borsa in mano che domandava nel vuoto "quanto cazzo pesa?". Poi aveva tirato fuori la pistola che Annalisa non aveva fatto in tempo a scaricare e a nascondere. Annalisa aveva letto quasi il terrore nei suoi occhi, Valentina tremava tenendo l'arma con due dita. "E questa? Cosa cazzo è?". "La mia pistola d'ordinanza", le aveva risposto Annalisa. "Cosa cazzo sei? Una specie di sbirra? Mi avevi detto che facevi l'analista, la ricercatrice". Annalisa le aveva raccontato, mentendo, che lavorava per i servizi di sicurezza della Presidenza del Consiglio e che la pistola era obbligata a portarla, anche se non sapeva quasi come usarla. E che il suo lavoro in effetti era quello di raccogliere informazioni e analizzarle. Nulla di più. Valentina si era mostrata molto delusa, quasi affranta per la sua slealtà. Annalisa le aveva risposto di essere stata reticente per paura della sua reazione. La sua ragazza si era fatta promettere che non sarebbe mai più uscita armata quando c'era lei, e così era stato da quel momento in poi.
L'altro aspetto del suo lavoro che, da quando c'era Valentina, le procurava sofferenza erano i baci e il sesso con Penelope. Nel vocabolario di Annalisa la pagina con la parola "fedeltà" si erano proprio dimenticati di stamparla, ma tradire la sua compagna ora le risultava sempre più intollerabile. Da quando stavano insieme era stata da Penelope solo tre volte, anche grazie a un viaggio di lavoro della donna, e in ognuna di queste aveva fatto in modo di essere a casa prima che Valentina tornasse dal ristorante e di farsi un bagno per lavarsi di dosso la presenza stessa di Penelope, oltre che il suo profumo. Quasi per autopunirsi, in quelle occasioni aveva sollecitato la sua ragazza a dare libero sfogo alle fantasie più perverse. Sfide che Valentina raccoglieva con una risata e che in fondo non le dispiacevano per niente.
Tuttavia, tornando da Singapore, Penelope l'aveva "prenotata" per quella notte. "Vorrei che dormissi da me, ho una sorpresa". Di quale sorpresa si tratti Annalisa se lo immagina e le pesa pensarci anche se, dal punto di vista delle indagini che procedono a passo di lumaca, è un'occasione che potrebbe aprirle nuove strade. Sale in macchina pensando “spero proprio che ci sia Bashaar”.
"Stanotte sarò fuori per lavoro ma non ti preoccupare, il mio compito è stare chiusa in un furgone davanti a un computer", ha detto a Valentina. "Non dormirò finché non torni", le aveva risposto lei.
2. CONTINUA
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