Il prezzo della sottomissione (parte 9)
di
Kugher
genere
sadomaso
Quando gli (ex) amici, ora Padroni arrivarono, osservandoli non riuscì nemmeno a pensare a quante migliaia di euro indossassero tra abbigliamento, scarpe, gioielli ed orologi.
Non la degnarono di attenzione e si sedettero comodamente in poltrona.
Volevano creare subito un distacco molto forte, al fine di evitare che lei potesse pensare che erano amici coi quali si stava divertendo. Doveva capire che lei era solo la schiava di quelle persone con le quali era stata a teatro, ai ricevimenti, nei clubs esclusivi, alle feste nelle ambasciate.
Ogni tanto si alzavano per servirsi da bere o prendere stuzzichini. Dalla sua posizione poteva solo vedere le scarpe e le gambe delle donne-ex amiche-Padrone con quelle magnifiche e costose calze velate, che dalle ginocchia (più su non riusciva a vedere) terminavano nelle scarpe coi brillantini.
Gli argomenti tra loro erano leggeri e rilassati, come se lei non esistesse o come se fosse normale avere una giovane donna rinchiusa in una gabbia.
La realtà era la seconda. Non era stata certo lei ad inaugurare quella gabbia. Diversamente non si sarebbe spiegato il loro essere a proprio agio in quella situazione.
Ma la schiava era troppo presa dalle nuove sensazioni ed emozioni, e questi dettagli le sfuggirono.
Venne il momento di entrare nel vivo della serata, dopo avere stabilito i nuovi equilibri.
Niccolò la fece uscire dalla gabbia e, teatralmente, le mise un collare al quale attaccò un guinzaglio di catena.
Si diresse verso i suoi amici tirando il guinzaglio e facendosi seguire dalla donna.
“Tieni basso lo sguardo”.
Dalla voce si sentiva la sua eccitazione e Simona, presa dalla situazione, eseguì, trovandosi anche sollevata perché avrebbe fatto fatica a reggere quello dei suoi “amici”.
La portò, per prima, davanti a Monica, quella che scoprì, in seguito, essere la più sadica.
“Bacia i piedi dei tuoi nuovi Padroni”.
Lo sguardo verso terra le impedì di osservare quello acceso dei suoi (ex) amici. La tensione non le consentì di vedere il frustino che Niccolò aveva nell’altra mano. Ne scoprì l’esistenza quando si abbatté sulla sua schiena, poco prima dello strattone del guinzaglio verso il basso.
“Giù, schiava”.
Tutti i presenti avvertirono il ben noto formicolio quando la bella schiava pose prima un ginocchio e poi l’altro a terra, fino a portare il capo ai piedi di quella donna molto più anziana di lei, sovrappeso e che le stava gettando in faccia la ricchezza del suo abbigliamento e l’arroganza della sua postura.
Ricevuto il bacio le pose la scarpa sulla nuca, tenendole giù la testa.
Nemmeno per un attimo Simona pensò alla suola sporca a contatto con i suoi capelli puliti.
“Niccolò, era ora che la tua schiava capisse qual è il suo posto davanti a noi”.
Simona pensò che fosse una frase dettata dal ruolo, per eccitarsi. Invece era il vero pensiero di tutti, che da tempo seguivano i suoi “progressi” di sottomissione in attesa di quel momento, non avendo mai avuto concreto interesse per la sua compagnia.
Tra i sorrisi di conferma dei presenti, venne portata a baciare le scarpe di tutti, lentamente, perché volevano assaporare quell’atto di definitiva sottomissione a loro.
Sempre eccitante quel momento in cui si inizia a possedere una nuova schiava.
Simona era tesissima ed ogni colpo col guinzaglio o qualsiasi nuovo rumore la faceva scattare appena. Lei non aveva idea di cosa le sarebbe successo quella sera, mentre le appariva evidente che tutti i presenti avessero conoscenza dei futuri accadimenti.
“Monica, vieni ad aiutarmi a preparare la schiava per la cena”.
Niccolò si diresse verso la sala dove avrebbero mangiato, tirando il guinzaglio per farsi seguire da Simona che nel frattempo si era alzata ma che, senza più bisogno di ordine, tenne lo sguardo basso, più per timore delle prossime ore avendo intuito l’eccitazione che aleggiava nell’aria.
Il tavolo era molto grande.
La fecero mettere, tirandola senza molta grazia, a 4 zampe in mezzo.
Monica aveva in mano una tavola con tante corte catenelle attaccate ai bordi. All’altro capo di ciascuna di esse vi era un piccolo morsetto.
I Padroni attaccarono i morsetti ai seni ed alla pelle della schiava fino a mettere le ultime sulle grandi labbra, regolando l'altezza. Il risultato fu una tavoletta attaccata al corpo a mezzo dei morsetti, parallela alla tavola e non molto distante dal busto della schiava posta carponi.
Tutti quei morsetti facevano male ma l'adrenalina che le circolava le attutiva il tutto, pur avvertendo dolore. Niccolò e Monica fecero il lavoro con calma, provando più volte le varie altezze della catenella per far sì che la tavoletta fosse parallela alla tavola, incuranti del dolore della schiava. Anzi, se si muoveva troppo riceveva una sculacciata forte e, un paio di volte, anche un colpo col frustino, il cui suono arrivò nella sala dove gli altri Padroni continuavano a bere prosecco freddo.
La trattavano come fosse un pezzo di carne. Lei avrebbe elaborato successivamente queste sensazioni che, inizialmente, la eccitarono, soddisfando il suo lato sottomesso.
Alla fine del lavoro, i due Padroni si allontanarono quel tanto da ammirare l’opera che sarebbe stata fonte di eccitazione per tutti.
Comparvero candele, basse e larghe. Le accesero e le posarono sulla tavoletta. La fiamma era tale da provocare un leggero dolore alla schiava ma non abbastanza da bruciare.
Simona non ebbe modo o tempo di chiedersi come avessero già la tavoletta così
perfettamente attrezzata. Avrebbe avuto occasione successivamente di apprendere che non era la prima ad avere sperimentato quel “gioco”.
Spensero la luce. Le tende spesse oscuravano completamente l’ambiente e l’effetto era magnifico ed eccitante, per una cena a lume di candela con candelabro umano.
Monica prese fermamente per i capelli la schiava e le avvicinò il viso per parlarle quasi sottovoce. Simona non pensò nemmeno per un attimo di guardare negli occhi la sua (mai stata) amica.
“A discrezione, quando avremo voglia, verseremo la cera sulla tua schiena. Tu soffrirai ma per noi sarà eccitante. Non pensare nemmeno di agitarti al punto da far colare l’altra cera ancora nelle candele o, peggio, farle cadere”.
Non ci fu bisogno della minaccia della punizione. Era sufficiente la voce.
L’attesa è qualcosa di terribile e, da quel momento, si aggiunse nella donna la tensione per quello che sarebbe accaduto. Per questo Monica gliela aveva anticipata. Solo per aumentare in lei la tensione.
I Padroni si sedettero a tavola ed iniziarono a mangiare, tranquillamente, come nulla fosse, pur eccitati per il loro nuovo giocattolo.
Simona aveva il cuore a mille, che triplicò il battito quando Monica prese con assoluta tranquillità una candela e rovesciò la cera calda sulla sua schiena.
Simona riuscì a controllare la reazione e nulla accadde alle altre candele sulla tavoletta che oscillò un poco, muovendo la luce con un bell’effetto per i presenti, sempre più eccitati.
Non aveva dubbi che la prima a dare il via a quella tortura sarebbe stata Monica. A turno tutti gli altri.
Era tesa, impaurita, sofferente.
Monica rise.
“La schiava sta piangendo”.
Altra colata di cera.
La cena fu lunga e la schiava era esausta. Comprendeva che il suo disagio, seppur evidente, interessava ai presenti solo nel momento in cui era fonte di piacere ed eccitazione.
Niccolò volle testare la tenuta dei morsetti e diede lievi tirate verso il basso, che procurarono dolore alla già provata schiava le cui lacrime di tensione, unitamente al resto, avevano indurito i membri e fatto bagnare le vagine.
Simona non pensava più a cosa sarebbe accaduto dopo, tutta concentrata sulla gestione del dolore presente.
Non la degnarono di attenzione e si sedettero comodamente in poltrona.
Volevano creare subito un distacco molto forte, al fine di evitare che lei potesse pensare che erano amici coi quali si stava divertendo. Doveva capire che lei era solo la schiava di quelle persone con le quali era stata a teatro, ai ricevimenti, nei clubs esclusivi, alle feste nelle ambasciate.
Ogni tanto si alzavano per servirsi da bere o prendere stuzzichini. Dalla sua posizione poteva solo vedere le scarpe e le gambe delle donne-ex amiche-Padrone con quelle magnifiche e costose calze velate, che dalle ginocchia (più su non riusciva a vedere) terminavano nelle scarpe coi brillantini.
Gli argomenti tra loro erano leggeri e rilassati, come se lei non esistesse o come se fosse normale avere una giovane donna rinchiusa in una gabbia.
La realtà era la seconda. Non era stata certo lei ad inaugurare quella gabbia. Diversamente non si sarebbe spiegato il loro essere a proprio agio in quella situazione.
Ma la schiava era troppo presa dalle nuove sensazioni ed emozioni, e questi dettagli le sfuggirono.
Venne il momento di entrare nel vivo della serata, dopo avere stabilito i nuovi equilibri.
Niccolò la fece uscire dalla gabbia e, teatralmente, le mise un collare al quale attaccò un guinzaglio di catena.
Si diresse verso i suoi amici tirando il guinzaglio e facendosi seguire dalla donna.
“Tieni basso lo sguardo”.
Dalla voce si sentiva la sua eccitazione e Simona, presa dalla situazione, eseguì, trovandosi anche sollevata perché avrebbe fatto fatica a reggere quello dei suoi “amici”.
La portò, per prima, davanti a Monica, quella che scoprì, in seguito, essere la più sadica.
“Bacia i piedi dei tuoi nuovi Padroni”.
Lo sguardo verso terra le impedì di osservare quello acceso dei suoi (ex) amici. La tensione non le consentì di vedere il frustino che Niccolò aveva nell’altra mano. Ne scoprì l’esistenza quando si abbatté sulla sua schiena, poco prima dello strattone del guinzaglio verso il basso.
“Giù, schiava”.
Tutti i presenti avvertirono il ben noto formicolio quando la bella schiava pose prima un ginocchio e poi l’altro a terra, fino a portare il capo ai piedi di quella donna molto più anziana di lei, sovrappeso e che le stava gettando in faccia la ricchezza del suo abbigliamento e l’arroganza della sua postura.
Ricevuto il bacio le pose la scarpa sulla nuca, tenendole giù la testa.
Nemmeno per un attimo Simona pensò alla suola sporca a contatto con i suoi capelli puliti.
“Niccolò, era ora che la tua schiava capisse qual è il suo posto davanti a noi”.
Simona pensò che fosse una frase dettata dal ruolo, per eccitarsi. Invece era il vero pensiero di tutti, che da tempo seguivano i suoi “progressi” di sottomissione in attesa di quel momento, non avendo mai avuto concreto interesse per la sua compagnia.
Tra i sorrisi di conferma dei presenti, venne portata a baciare le scarpe di tutti, lentamente, perché volevano assaporare quell’atto di definitiva sottomissione a loro.
Sempre eccitante quel momento in cui si inizia a possedere una nuova schiava.
Simona era tesissima ed ogni colpo col guinzaglio o qualsiasi nuovo rumore la faceva scattare appena. Lei non aveva idea di cosa le sarebbe successo quella sera, mentre le appariva evidente che tutti i presenti avessero conoscenza dei futuri accadimenti.
“Monica, vieni ad aiutarmi a preparare la schiava per la cena”.
Niccolò si diresse verso la sala dove avrebbero mangiato, tirando il guinzaglio per farsi seguire da Simona che nel frattempo si era alzata ma che, senza più bisogno di ordine, tenne lo sguardo basso, più per timore delle prossime ore avendo intuito l’eccitazione che aleggiava nell’aria.
Il tavolo era molto grande.
La fecero mettere, tirandola senza molta grazia, a 4 zampe in mezzo.
Monica aveva in mano una tavola con tante corte catenelle attaccate ai bordi. All’altro capo di ciascuna di esse vi era un piccolo morsetto.
I Padroni attaccarono i morsetti ai seni ed alla pelle della schiava fino a mettere le ultime sulle grandi labbra, regolando l'altezza. Il risultato fu una tavoletta attaccata al corpo a mezzo dei morsetti, parallela alla tavola e non molto distante dal busto della schiava posta carponi.
Tutti quei morsetti facevano male ma l'adrenalina che le circolava le attutiva il tutto, pur avvertendo dolore. Niccolò e Monica fecero il lavoro con calma, provando più volte le varie altezze della catenella per far sì che la tavoletta fosse parallela alla tavola, incuranti del dolore della schiava. Anzi, se si muoveva troppo riceveva una sculacciata forte e, un paio di volte, anche un colpo col frustino, il cui suono arrivò nella sala dove gli altri Padroni continuavano a bere prosecco freddo.
La trattavano come fosse un pezzo di carne. Lei avrebbe elaborato successivamente queste sensazioni che, inizialmente, la eccitarono, soddisfando il suo lato sottomesso.
Alla fine del lavoro, i due Padroni si allontanarono quel tanto da ammirare l’opera che sarebbe stata fonte di eccitazione per tutti.
Comparvero candele, basse e larghe. Le accesero e le posarono sulla tavoletta. La fiamma era tale da provocare un leggero dolore alla schiava ma non abbastanza da bruciare.
Simona non ebbe modo o tempo di chiedersi come avessero già la tavoletta così
perfettamente attrezzata. Avrebbe avuto occasione successivamente di apprendere che non era la prima ad avere sperimentato quel “gioco”.
Spensero la luce. Le tende spesse oscuravano completamente l’ambiente e l’effetto era magnifico ed eccitante, per una cena a lume di candela con candelabro umano.
Monica prese fermamente per i capelli la schiava e le avvicinò il viso per parlarle quasi sottovoce. Simona non pensò nemmeno per un attimo di guardare negli occhi la sua (mai stata) amica.
“A discrezione, quando avremo voglia, verseremo la cera sulla tua schiena. Tu soffrirai ma per noi sarà eccitante. Non pensare nemmeno di agitarti al punto da far colare l’altra cera ancora nelle candele o, peggio, farle cadere”.
Non ci fu bisogno della minaccia della punizione. Era sufficiente la voce.
L’attesa è qualcosa di terribile e, da quel momento, si aggiunse nella donna la tensione per quello che sarebbe accaduto. Per questo Monica gliela aveva anticipata. Solo per aumentare in lei la tensione.
I Padroni si sedettero a tavola ed iniziarono a mangiare, tranquillamente, come nulla fosse, pur eccitati per il loro nuovo giocattolo.
Simona aveva il cuore a mille, che triplicò il battito quando Monica prese con assoluta tranquillità una candela e rovesciò la cera calda sulla sua schiena.
Simona riuscì a controllare la reazione e nulla accadde alle altre candele sulla tavoletta che oscillò un poco, muovendo la luce con un bell’effetto per i presenti, sempre più eccitati.
Non aveva dubbi che la prima a dare il via a quella tortura sarebbe stata Monica. A turno tutti gli altri.
Era tesa, impaurita, sofferente.
Monica rise.
“La schiava sta piangendo”.
Altra colata di cera.
La cena fu lunga e la schiava era esausta. Comprendeva che il suo disagio, seppur evidente, interessava ai presenti solo nel momento in cui era fonte di piacere ed eccitazione.
Niccolò volle testare la tenuta dei morsetti e diede lievi tirate verso il basso, che procurarono dolore alla già provata schiava le cui lacrime di tensione, unitamente al resto, avevano indurito i membri e fatto bagnare le vagine.
Simona non pensava più a cosa sarebbe accaduto dopo, tutta concentrata sulla gestione del dolore presente.
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