La sfida (parte 2)
di
Kugher
genere
sadomaso
L’umiliazione può dare piacere, quello derivante ad una situazione particolare fuori dal controllo, che si è costretti a subire. Trasmette una sensazione di impotenza, di impossibilità di gestire gli eventi. Essa si annida nello stomaco rendendolo contorto, teso, chiuso ma tremante, per scendere alla figa, che manifesterà tutte le sensazioni provate.
Viola e Simona godevano nell’essere umiliate, usate, frustate, in privato ed in pubblico.
Anche in quel particolare momento, il piacere sessuale cominciava a pervadere i loro corpi, facendo dimenticando la sfida.
Non era la prima volta (e non sarebbe stata l’ultima) nella quale venivano umiliate. Era una esigenza della loro sessualità, non più giusta, o più sbagliata, di altre.
In quel momento erano concentrate sulle sensazioni che le isolavano dall’ambiente circostante, divenuto un insieme di suoni che assordavano le loro orecchie ora più tese, dovendo supplire alla cecità.
Il piacere si stava prendendo cura di loro.
Sentivano le persone che si avvicinavano, cominciavano a toccarle, come merce in esposizione, schiave impotenti sottomesse al volere del Padrone, esibite.
Entrambi i cuori stavano battendo in maniera esagerata, la pelle era più sensibile.
Le tette, il culo, il ventre, le cosce, le gambe, erano toccate da quelle che a loro sembravano centinaia di mani.
Sentivano le persone che ridevano e percepivano nella loro voce l’eccitazione nel poter avere accesso ai corpi di quelle due bellezze incatenate.
Cominciarono anche a toccare sotto la microgonna. Qualcuno spostava l’inesistente perizoma per avere accesso alle loro fighe che trovavano bagnate.
L’umiliazione altrui ha anche il forte potere di eccitare coloro che vi assistono.
La serata prometteva benissimo e nessuno si voleva perdere la possibilità di toccare ciò che era stato vanamente desiderato oppure qualcosa di appartenente ad una persona irraggiungibile.
Mani.
Mani.
Mani.
Mani dappertutto, mani che trasmettevano il desiderio di possedere, toccare, umiliare quel corpo offerto, mani che passavano famelicamente in ogni dove, alcune prese dall’ansia di non riuscire a toccare tutto, mani che spogliavano pur restando sopra i vestiti o passando sotto di essi.
Voci.
Voci.
Voci.
Voci di persone note divenute sconosciute, mascherate dall’eccitazione e dai suoni di altre persone in attesa di toccare, voci che trasmettevano le sensazioni provate o quelle delle quali si era in attesa.
Voci e mani che palpavano, penetravano, strizzavano.
Marzio passava tra gli ospiti invitando a stracciare i vestiti.
Simona sentì una mano femminile toccarle le tette e allargare la camicetta per strappare un bottone.
Qualcuna la invitò a spostarsi per lasciare ad altri il piacere di fare lo stesso con i successivi.
Gli aliti sapevano di champagne e le mani di persone affamate di corpi, tipiche di chi vuole solo carne da toccare senza alcun interesse per l’anima, nemmeno per la propria, sacrificata al cazzo duro o alla figa bagnata.
Umiliazione per le prede. Ancora umiliazione, quella che deriva dall’essere dei meri oggetti di divertimento, qualcosa da toccare senza scrupoli.
I presenti si passavano la forbice con la quale veniva tagliata lentamente la microgonna di Viola e intanto mani, sempre mani sul corpo di quell’oggetto umano.
Qualcuno cominciò a toccare la figa, a mettere dentro le dita senza cura. Alcune, le donne, si concentravano sul dolore che volevano procurare, quasi a punire quelle due schiave per ciò che le carnefici non avevano
“Apri la bocca puttana”.
Forse conosceva quella voce, forse no. Si ritrovò il suo sapore in bocca mentre un dito le stava entrando nel culo che, istintivamente, nei limiti delle catene, riuscì ad offrire.
“E’ bagnata la troia”.
Certo che era bagnata, cazzo se era bagnata. Quanta umiliazione in poco tempo, quasi a sperare di essere palpata e penetrata da un coglione che era stato respinto, per dargli il piacere (e la frustrazione) di avere accesso a qualcosa di proibito e che, dopo quella serata, sarebbe stato nuovamente irraggiungibile.
Il piacere di avere provocato desiderio e bramosia nei colleghi e nemici che la spogliavano con gli occhi a teatro e che ora potevano assaporare il frutto.
Le due schiave erano bagnate per l’umiliazione e il piacere di scatenare desideri destinati a non essere esauriti quella sera ma alimentati dal sapore provato e poi negato in futuro.
Marzio era eccitato perché vedeva il suo potere affermato.
Non gli importava assolutamente nulla del piacere delle due donne, pensando solo al proprio.
Le due schiave erano vestite ormai solo di brandelli, i perizomi strappati.
Una donna, prima di togliere quello di Simona, lo aveva tirato verso l’alto sperando di farlo entrare in figa e farle male.
Le camicette erano tutte rotte con l’effetto di fare vedere il corpo a tratti e, quindi, di eccitare ancor di più perchè facevano illusoriamente sentire loro prede quelle due donne esposte.
Rumore.
Parole.
Musica.
Tintinnio.
Voci
Musica.
Silenzio.
Silenzio.
Era giunto il momento che le due vittime temevano pur aspettandolo.
Le fruste.
Quelle maledette fruste che affermano il potere altrui e la loro sottomissione.
Procurare dolore ad una persona segna un preciso confine tra dominante e sottomessa.
La prima ad essere colpita fu Simona.
Il colpo era forte e la fece inarcare con un eccitante scatto trattenuto dalle catene.
Mormorio.
Viola era in attesa e Simona, sicura che sarebbe stata colpita l’altra schiava, si rilassò.
Sbagliato. Toccò ancora a Simona.
Altro colpo forte, sulla schiena.
Successivamente tre colpi in rapida successione a Viola alla quale mancò il fiato.
Era Marzio l’autore dei primi colpi di frusta.
Comparvero frustini consegnati agli ospiti che si accanirono sulle due schiave le quali si contorcevano con conseguente eccitante suono delle catene che le trattenevano.
Le due schiave cominciarono a piangere, pur nel piacere.
E’ particolare l’ansia scaricata dopo il colpo di frusta e quella che attende il prossimo. Tutto si riversa alla bocca dello stomaco ed alla figa, producendo umori.
Marzio doveva avere dato qualche ordine in quanto cominciarono a sentire i cazzi che strofinavano sui loro corpi.
Qualcuno tirò indietro Simona per scoparla.
Una donna si abbassò per leccare la figa bagnatissima di Viola mentre un altro, trovando campo libero, la prese nel culo.
Il trucco lasciò segni sul viso, rendendo le due schiave ancor più eccitanti.
Qualche donna si divertì a strofinare le dita sulle labbra per sporcarle col rossetto, cercando così di macchiare ciò che loro non avevano, cioè la bellezza e l’attenzione degli uomini.
Silenzio.
Ancora silenzio.
Quel silenzio che anticipa un nuovo evento.
Si sentirono liberare dalle catene.
Marzio mise loro collari ed un guinzaglio.
Le liberò dalle bende e fece il giro della sala tenendo quelle due splendide creature a 4 zampe, facendosi seguire.
Le bende non servivano più. Probabilmente si erano assuefatte alla cecità ed avevano perso, così, lo scopo dell'umiliazione che, ora, doveva essere diretta. Voleva che vedessero le persone in piedi, elegantemente vestite mentre loro, con gli abiti stracciati, erano al livello delle ginocchia altrui, al seguito dell’arroganza di Marzio ed esposte ai desideri frustrati degli altri.
Due trofei da esibire.
Ormai le remore erano state abbandonate da tempo.
I nemici, gli spasimanti respinti volevano essere visti mentre, al passaggio davanti a loro, colavano cera sulle loro schiene.
Pensavano di avere una sorta di rivalsa ma altro non facevano che aumentare il piacere dell’umiliazione.
Il carnefice che non sa di essere vittima.
Eppure tutti contenti della loro cecità, senza accorgersi che non stavano possedendo nulla se non la mera illusione che, agli occhi delle due donne, sconfinava nel ridicolo.
Vennero portate tra le cosce di una cinquantenne, dirigente di azienda, alla quale, a turno, dovettero leccare la figa.
Viola e Simona godevano nell’essere umiliate, usate, frustate, in privato ed in pubblico.
Anche in quel particolare momento, il piacere sessuale cominciava a pervadere i loro corpi, facendo dimenticando la sfida.
Non era la prima volta (e non sarebbe stata l’ultima) nella quale venivano umiliate. Era una esigenza della loro sessualità, non più giusta, o più sbagliata, di altre.
In quel momento erano concentrate sulle sensazioni che le isolavano dall’ambiente circostante, divenuto un insieme di suoni che assordavano le loro orecchie ora più tese, dovendo supplire alla cecità.
Il piacere si stava prendendo cura di loro.
Sentivano le persone che si avvicinavano, cominciavano a toccarle, come merce in esposizione, schiave impotenti sottomesse al volere del Padrone, esibite.
Entrambi i cuori stavano battendo in maniera esagerata, la pelle era più sensibile.
Le tette, il culo, il ventre, le cosce, le gambe, erano toccate da quelle che a loro sembravano centinaia di mani.
Sentivano le persone che ridevano e percepivano nella loro voce l’eccitazione nel poter avere accesso ai corpi di quelle due bellezze incatenate.
Cominciarono anche a toccare sotto la microgonna. Qualcuno spostava l’inesistente perizoma per avere accesso alle loro fighe che trovavano bagnate.
L’umiliazione altrui ha anche il forte potere di eccitare coloro che vi assistono.
La serata prometteva benissimo e nessuno si voleva perdere la possibilità di toccare ciò che era stato vanamente desiderato oppure qualcosa di appartenente ad una persona irraggiungibile.
Mani.
Mani.
Mani.
Mani dappertutto, mani che trasmettevano il desiderio di possedere, toccare, umiliare quel corpo offerto, mani che passavano famelicamente in ogni dove, alcune prese dall’ansia di non riuscire a toccare tutto, mani che spogliavano pur restando sopra i vestiti o passando sotto di essi.
Voci.
Voci.
Voci.
Voci di persone note divenute sconosciute, mascherate dall’eccitazione e dai suoni di altre persone in attesa di toccare, voci che trasmettevano le sensazioni provate o quelle delle quali si era in attesa.
Voci e mani che palpavano, penetravano, strizzavano.
Marzio passava tra gli ospiti invitando a stracciare i vestiti.
Simona sentì una mano femminile toccarle le tette e allargare la camicetta per strappare un bottone.
Qualcuna la invitò a spostarsi per lasciare ad altri il piacere di fare lo stesso con i successivi.
Gli aliti sapevano di champagne e le mani di persone affamate di corpi, tipiche di chi vuole solo carne da toccare senza alcun interesse per l’anima, nemmeno per la propria, sacrificata al cazzo duro o alla figa bagnata.
Umiliazione per le prede. Ancora umiliazione, quella che deriva dall’essere dei meri oggetti di divertimento, qualcosa da toccare senza scrupoli.
I presenti si passavano la forbice con la quale veniva tagliata lentamente la microgonna di Viola e intanto mani, sempre mani sul corpo di quell’oggetto umano.
Qualcuno cominciò a toccare la figa, a mettere dentro le dita senza cura. Alcune, le donne, si concentravano sul dolore che volevano procurare, quasi a punire quelle due schiave per ciò che le carnefici non avevano
“Apri la bocca puttana”.
Forse conosceva quella voce, forse no. Si ritrovò il suo sapore in bocca mentre un dito le stava entrando nel culo che, istintivamente, nei limiti delle catene, riuscì ad offrire.
“E’ bagnata la troia”.
Certo che era bagnata, cazzo se era bagnata. Quanta umiliazione in poco tempo, quasi a sperare di essere palpata e penetrata da un coglione che era stato respinto, per dargli il piacere (e la frustrazione) di avere accesso a qualcosa di proibito e che, dopo quella serata, sarebbe stato nuovamente irraggiungibile.
Il piacere di avere provocato desiderio e bramosia nei colleghi e nemici che la spogliavano con gli occhi a teatro e che ora potevano assaporare il frutto.
Le due schiave erano bagnate per l’umiliazione e il piacere di scatenare desideri destinati a non essere esauriti quella sera ma alimentati dal sapore provato e poi negato in futuro.
Marzio era eccitato perché vedeva il suo potere affermato.
Non gli importava assolutamente nulla del piacere delle due donne, pensando solo al proprio.
Le due schiave erano vestite ormai solo di brandelli, i perizomi strappati.
Una donna, prima di togliere quello di Simona, lo aveva tirato verso l’alto sperando di farlo entrare in figa e farle male.
Le camicette erano tutte rotte con l’effetto di fare vedere il corpo a tratti e, quindi, di eccitare ancor di più perchè facevano illusoriamente sentire loro prede quelle due donne esposte.
Rumore.
Parole.
Musica.
Tintinnio.
Voci
Musica.
Silenzio.
Silenzio.
Era giunto il momento che le due vittime temevano pur aspettandolo.
Le fruste.
Quelle maledette fruste che affermano il potere altrui e la loro sottomissione.
Procurare dolore ad una persona segna un preciso confine tra dominante e sottomessa.
La prima ad essere colpita fu Simona.
Il colpo era forte e la fece inarcare con un eccitante scatto trattenuto dalle catene.
Mormorio.
Viola era in attesa e Simona, sicura che sarebbe stata colpita l’altra schiava, si rilassò.
Sbagliato. Toccò ancora a Simona.
Altro colpo forte, sulla schiena.
Successivamente tre colpi in rapida successione a Viola alla quale mancò il fiato.
Era Marzio l’autore dei primi colpi di frusta.
Comparvero frustini consegnati agli ospiti che si accanirono sulle due schiave le quali si contorcevano con conseguente eccitante suono delle catene che le trattenevano.
Le due schiave cominciarono a piangere, pur nel piacere.
E’ particolare l’ansia scaricata dopo il colpo di frusta e quella che attende il prossimo. Tutto si riversa alla bocca dello stomaco ed alla figa, producendo umori.
Marzio doveva avere dato qualche ordine in quanto cominciarono a sentire i cazzi che strofinavano sui loro corpi.
Qualcuno tirò indietro Simona per scoparla.
Una donna si abbassò per leccare la figa bagnatissima di Viola mentre un altro, trovando campo libero, la prese nel culo.
Il trucco lasciò segni sul viso, rendendo le due schiave ancor più eccitanti.
Qualche donna si divertì a strofinare le dita sulle labbra per sporcarle col rossetto, cercando così di macchiare ciò che loro non avevano, cioè la bellezza e l’attenzione degli uomini.
Silenzio.
Ancora silenzio.
Quel silenzio che anticipa un nuovo evento.
Si sentirono liberare dalle catene.
Marzio mise loro collari ed un guinzaglio.
Le liberò dalle bende e fece il giro della sala tenendo quelle due splendide creature a 4 zampe, facendosi seguire.
Le bende non servivano più. Probabilmente si erano assuefatte alla cecità ed avevano perso, così, lo scopo dell'umiliazione che, ora, doveva essere diretta. Voleva che vedessero le persone in piedi, elegantemente vestite mentre loro, con gli abiti stracciati, erano al livello delle ginocchia altrui, al seguito dell’arroganza di Marzio ed esposte ai desideri frustrati degli altri.
Due trofei da esibire.
Ormai le remore erano state abbandonate da tempo.
I nemici, gli spasimanti respinti volevano essere visti mentre, al passaggio davanti a loro, colavano cera sulle loro schiene.
Pensavano di avere una sorta di rivalsa ma altro non facevano che aumentare il piacere dell’umiliazione.
Il carnefice che non sa di essere vittima.
Eppure tutti contenti della loro cecità, senza accorgersi che non stavano possedendo nulla se non la mera illusione che, agli occhi delle due donne, sconfinava nel ridicolo.
Vennero portate tra le cosce di una cinquantenne, dirigente di azienda, alla quale, a turno, dovettero leccare la figa.
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