La "Wandissima" III Parte.
di
Sir Wilfred
genere
etero
Per circa dieci giorni, avevo evitato, come la peste, qualsivoglia contatto con la "Wandissima".
Se l'alibi era la mancanza di necessità di un qualsivoglia contatto "professionale", l'occulta verità era lo schiacciante senso di colpa nei confronti di "Lady Rowena".
Mi rendo conto che, inserire un "excursus" in materia d'amore in un racconto erotico, può risultare decisamente stucchevole per i malcapitati Lettori.
Tuttavia, ritengo necessario mettere al corrente Coloro i quali dedicano il Loro tempo ai miei scritti, sulla natura del sentimento che mi lega a Colei che non posso non definire, sia pure con un luogo più che comune, come "l'unica e sola donna della mia vita".
Del pari, ritengo necessario dare al Lettore un ritratto preciso della "temperie", familiare e psicologica, al momento dell'"entrata in scena" di "Lady Rowena".
Nella primavera del 1989, si stava concludendo il più infelice quinquennio della mia vita amorosa.
Se, nel 1984, il crollo delle illusioni di un comune futuro, con quella che si sarebbe rivelata come un vero e proprio "rettile" di donna, aveva trovato nello studio, leopardianamente "matto e disperatissimo", il più efficace degli analgesici, cinque anni dopo, a laurea ben conseguita, il "miracolo" non si era potuto ripetere.
Ciò in quanto, con l'andare del tempo, mi ero reso conto la carriera di notaro, comunque di difficilissima intrapresa e di tutt'altro che scontata evoluzione, esser ben lontana dalla mia personalità, per cui, la preparazione del concorso, semmai avesse proceduto, procedeva, decisamente, "a rilento".
Fin dagli anni dell'università, infatti, avevo sognato, ed ancora continuavo a sognare, epiche battaglie forensi, precedute da certosine ricerche giurisprudenziali, il tutto "condito" dall'indispensabile pizzico di retorica.
Ben diversa cosa dalla figura professionale, quasi da "prete laico", del notaro, e questo sia detto con il più totale rispetto - e perché no? - ammirazione, per l'intera categoria.
Mi sentivo, pertanto, come una nave da guerra, già gloriosa, con le caldaie spente, vistosamente oltraggiata dall'ossido ed ormai condannata ad un tetro disarmo.
A questo deprimente stato di cose, si aggiungeva il crollo delle mie illusioni amorose nei confronti di "Clara".
Figlia di un commercialista, era costei una mia ex collega di corso universitario e, sino a pochi mesi prima, mia collega di Scuola di Notariato.
Con la scusa di studiare insieme, mi aveva irretito, invitandomi persino a casa sua, accolto, in modo del tutto cordiale - ovviamente "troppo" cordiale - dai suoi genitori.
Le cose erano progredite, costantemente, fino al momento in cui, grazie ad una, dolorosa ma, in fin dei conti, fortunata, combinazione di eventi, "Clara" si era rivelata essere affetta da una vera e propria, autentica, sindrome paranoide.
Conseguentemente alla mia scoperta dei "vizi occulti" della "dolce fanciulla", i genitori della medesima avevano iniziato a cambiare, in modo tutt'altro che impercettibile, il loro atteggiamento nei miei confronti.
Ovviamente, prima di essere cacciato via in malo modo, cosa che mi avrebbe fatto passare, automaticamente, dalla ragione al torto, mi resi irreperibile, ed a passo bersaglieresco.
Mi sentivo, al postutto, come un reduce di guerra che avesse ben riportato la pelle a casa, ma la cui "psiche" fosse stata gravata da una pesante nevrosi.
Il mio cuore, esulcerato, ed il mio animo, fiaccato, mi impedivano di trovare, in me e soltanto in me, la forza per alzarmi di nuovo in piedi e riprendere a marciare.
Tuttavia, in verità, ed onestà, debbo dire di essere stato, nella disgrazia, non poco fortunato.
Infatti, alla luce delle ben note "pregresse esperienze", i miei genitori, "summa cum diligentia", badarono ai casi propri, per cui, se, da una parte, non rigirarono
alcun coltello in una qualsiasi delle mie piaghe, dall'altra, purtroppo, nessuna mano venne, da loro tesa, per aiutarmi.
Tutto sommato, meglio così...
In questa situazione, l'accendersi, ed il brillare, orgogliosamente, dell'astro di "Lady Rowena", venne a squarciare il plumbeo mantello di tenebre che opprimeva la mia vita ed il mio cuore. Ella mi ridonò, così, tutta quell'antica forza interiore che temevo irrimediabilmente perduta, la quale, a differenza di cinque anni addietro, scaturiva dal più vero, profondo, amore, non dal più sordido e tetro odio.
All'epoca dei fatti qui descritti, erano circa due anni che eravamo fidanzati.
Chiunque, in età adulta, abbia sentito, nel suo animo, sbocciare l'"amore", quello "autentico", quello corrisposto, conosce, e conosce positivamente, le differenze, invero molto profonde, con un qualsivoglia "flirt" del così detto "tempo delle mele".
Ciò sia detto con tutto il rispetto, e con la più sincera ammirazione, per quelle coppie, mi risulta non numerosissime, per le quali, la lunga strada comune inizia tra i banchi delle medie, se non, addirittura, delle elementari, e prosegue "usque ad vitae supremum extitum".
"Coeteris paribus" - vale a dire: fermi restando i batticuore, le "farfalle nello stomaco" e compagnia cantando - l'innamoramento adolescenziale sta a quello nell'età adulta come una volgare sbornia di vino novello sta al centellinare un calice di un vino sapientemente vinificato, ed ancor più sapientemente invecchiato.
Nel primo caso, anche se occultati con la più totale maestria, gli eventuali difetti caratteriali, ovviamente di entrambi i "piccioncini", verranno fuori, puntualmente, "a strettissimo giro di posta", con tutte le "decisamente simpatiche" conseguenze, fisiologiche alla testé descritta fattispecie.
Nel secondo caso, invece, il più delle volte, gli stessi difetti vengono alla luce "via sorseggiando", offrendo così
- ad entrambi i maturi componenti la coppia - la possibilità di una onesta esegesi della situazione, in previsione degli indispensabili "interventi in corso d'opera".
Potrei essere scritturato, ad occhi ben chiusi ed a cuore leggerissimo, come protagonista nel "Tartufo" di Molière, se affermassi che, la mia adorata "Lady Rowena" fosse stata, e sia tuttora, esente da difetti.
"Foemina est, humani nihil ab ea alienum puto", mi perdoni la parafrasi l'ottimo Publio Terenzio Afro.
Tuttavia io l'amo, e l'amero' per tutta la vita, per quello che è: ivi compresa la sua gelosia, "al limite" del morboso.
Comunque, ero sicuro che la "Wandissima" non fosse stata di certo tipo da indulgere a scenate, ripicche, ricatti etc. a mo'
di una cinica "rovinafamiglie professionale": e questo "pro bono sui ipsae".
Non ci voleva Sherlock Holmes, per capire che, alla stessa, interessava, puramente e semplicemente, il "cote'" carnale, scevro da qualsivoglia implicazione sentimentale; per così dire: "coitus gratia coiti"!
Indipendentemente da ciò, per amore di "Lady Rowena", la evitavo.
Galeotto fu il bar interno al tribunale: fu lì che incontrai la "Wandissima" ai primi di dicembre.
Il bar è ubicato nel sotterraneo del severo edificio e, dopo i convenevoli di prammatica, ed esaurite le rispettive consumazioni,
mi condusse verso un angolino, defilato e semibuio, decisamente discreto, da dove si diparte un piccolo, discreto, ascensore, sconosciuto ai più.
Fu lì che mi disse, quasi mormorando:
- Sai, vorrei organizzare qualcosa di "speciale", qualcosa di "unico": ho già preso accordi con "Wendy".
Sarai dei nostri?
- E perché no?
Sai come contattarmi: attendo tue notizie...quando hai idea...
- La prossima settimana.
- Ottimamente. A risentirci...
E me ne andai per i fatti miei.
"Spiritus quidem promptus est, caro autem infirma”, per cui, il venerdì della settimana successiva, alle 17.00 circa, scendevo da un taxi, in un punto della città invero non lontanissimo dal "boudoir" di "Wendy".
Era un tipico pomeriggio tardo autunnale, dal cielo rosseggiante, pel tramonto, terso, grazie alle folate di vento, tutt'altro che tiepide.
Giunto a destinazione, suonai al campanello del citofono e subito il cancelletto di ingresso mi venne aperto.
Il "boudoir" si trovava e, presumo, si trovi ancora, al pian terreno; varcando il portone, potei notare come la finestra della camera da letto, posta all'immediato ridosso del portone, avesse avuto la tapparella quasi completamente abbassata.
La porta si aprì, non appena misi i piedi sullo zerbino; quando si richiuse, riconobbi subito "Wendy".
Erano circa dieci anni, dall'epoca di Donna Rebecca, che non la incontravo ed, ad un esame, rapido ma non superficiale, potevo dire che il Tempo era stato ben clemente con lei.
Indossava un insieme composto da "guepiere" e minislip, entrambi trasparenti e di colore nero, e completato da calze velate, pure nere, con sandaletti con tacchi a spillo.
La trasparenza del minislip, rivelava la presenza di uno scettro di non comuni dimensioni.
- Accomodati - disse conducendomi verso il salottino di attesa. Entrai, e vi trovai, seduto su di una poltroncina, un uomo di colore, decisamente prestante, che stimai più o meno della mia età.
- "Sir Wilfrid", le presento il Signor Mark - disse "Wendy" con voce cinguettante; poi aggiunse:
- La Signora *** è in bagno, si sta preparando - ed uscì.
Fu Mark a rompere il ghiaccio dicendo:
- Onoratissimo, "Sir Wilfrid", io sono Mark - e mi tese la mano.
Sorrisi nell'ascoltare la sua cadenza - un curioso misto di francese e di inflessione delle Marche meridionali - ed ipotizzai che, l'uomo che avevo davanti, altri non fosse stato che l'"amante ufficiale" di tutta la famiglia della Signora Dina.
Decisi di giuocare il tutto per tutto.
- Perdoni, giovanotto, forse abbiamo conoscenze in comune: conosce, per caso, il Prof. Gino ***?
- Certamente, e non solo luì, ma anche sua moglie, sua figlia e sua sorella...
- Ed allora lei è "quel" Mark, il "famoso" Mark!
Pensi, sia la Signora Dina, che la Signora Lina e Valentina, mi hanno parlato a lungo di lei...
- Bene, spero...
- Benissimo, in verità!...
Fu l'ingresso, nel salottino di attesa, della "Wandissima" in tutto il suo splendore, ad interrompere quella conversazione gesuiticamente "cordiale".
Come sempre truccata sobriamente, ma elegantemente, la donna aveva indossato un completino culottine e reggiseno, neri, di pizzo, con reggicalze in tinta e calze velate; ai suoi piedi un paio di scarpe décolleté nere, con tacchi a spillo di circa dieci centimetri.
In conclusione: il suo tentativo di impersonare una "prestatrice d'opera" delle "case allegre" degli anni trenta, era riuscito in pieno!
Ci gratificò di un luminoso sorriso, per poi dirci:
- Buon pomeriggio ai miei tre scalpitanti stalloni: vogliamo accomodarci in camera da letto?
A queste parole, allungò entrambe le mani sui pantaloni, miei e di Mark, e sullo slippino di "Wendy". Subito, i nostri sessi si eressero, mentre la "Wandissima" portava entrambe le mani a slacciare il reggiseno a balconcino.
- Aspetta - disse "Wendy" con un tono di voce che, ad un tempo, iniziava ad abbassarsi e ad arricchirsi - tocca a noi...
Ed iniziammo a spogliarla carezzando lievemente, con le mani e con le labbra, il suo corpo statuario. Solo quando fu nuda, completamente nuda, ci spogliammo a nostra volta.
Fu allora che, per la prima ed unica volta, potei ammirare, da vicino, il lungo scettro di Mark.
Circa venticinque centimetri di ebano, lucido, culminante con una grossa albicocca, tra il rosa ed il cremisi, il cui meato stava, proprio al momento, stillando una grossa goccia di "rujel di desire".
Come, anni ed anni prima, avevo visto fare alla Signora Dina, la "Wandissima" raccolse quel nettare nell'incavo del medio della sua mano destra e lo portò alle labbra.
Dopo averlo centellinato per un cinque, lunghissimi, secondi, sorrise a Mark e gli disse:
- E proprio vero quello che mi hanno detto di te la Signora Dina e la Signora Lina: il tuo liquore è più salato che dolce.
E, dette queste parole, ordinò a Mark di mettersi supino sul letto.
Immediatamente, la donna assunse la "posizione di Andromaca", frontalmente a Mark; di poi, invito' "Wendy" e me, a prendere possesso, rispettivamente, del suo ano e della sua bocca.
Prima di "fagocitare" il mio scettro, la "Wandissima" disse:
- Bene, adesso ascoltatemi: cercate, ad ogni costo, di godermi addosso, ma non sul volto.
Dopo ogni eiaculazione, cambierete cavità naturale. Quando ognuno di voi avrà goduto di ogni mio anfratto, vi masturberete e godrete, ancora una volta, sul mio corpo.
E, presomi in gola, iniziò le danze.
Usava il mio scettro come Donna Stefania, alternando lingua e labbra. Avevo, quasi completamente, perso la cognizione del tempo e dello spazio; i miei occhi non vedevano altro che una luce di una bianchezza accecante. Persino il letto sembrava scomparso e, tutti e quattro, presumo, credevamo di fluttuare, in assoluta assenza di gravità, in una sorta di nave spaziale che girava su sé stessa.
L'"ars felsinea" della "Wandissima", ebbe ragione della mia resistenza e, fatto appena in tempo ad uscire dalle sue labbra, le inondai il collo ed il "décolleté".
Anche "Wendy" e Mark erano esplosi sul suo corpo e rimasti in totale erezione; immediatamente dopo, io avevo preso il posto di Mark, questi il posto di "Wendy" e "Wendy" si era andata a beare delle labbra della nostra comune amante.
Incredibilmente, la vagina della donna, non sembrava essere stata minimamente dilatata dallo scettro di Mark. Sarà stata l'elasticità dei tessuti, o la forza dei suoi muscoli pelvici, comunque, la sua "grotta d'amore" dapprima aderì come uno stretto profilattico al mio pene per prendere, subito dopo, quasi a "suggerlo", con una potenza per nulla inferiore a quella delle sue labbra.
Come se ciò non fosse bastato, la "Wandissima" si agitava come un'ossessa, spinta anche dai colpi che riceveva in sede di penetrazione anale.
Eiaculammo, tutt'e tre, ancora una volta, quasi contemporaneamente, sul suo corpo statuario: dopo di che, andai a prendere possesso del suo ano.
Mi accostavo, allora, alla quarantina e non avrei mai pensato che, nonostante tutto, il mio scettro avesse continuato a fare il suo dovere "maxima cum diligentia".
L'ambiente, intanto, si era saturato dell'odore dei nostri corpi, madidi di sudore, frammisto a quello dei nostri liquidi seminali. A dire il vero, la cosa contribuiva ad eccitare i sensi e non il disgusto.
L'ano della donna mi accolse, con una "verginalita'" incredibile. Giorni dopo, ricordando quel pomeriggio di assoluta dissolutezza, mi venne fatto di pensare che la "Wandissima" non avesse troppo praticato l'"ars sodomitica" oppure, nel praticarla, avesse avuto, fatta eccezione per Mark, l'accortezza di scegliersi dei "partners" il più "indolori" possibile.
Nel frattempo, mi beavo nel ghermirle i fianchi e le ben sode natiche, giungendo anche ad omaggiare i suoi generosi seni.
Per la terza volta, sentii salire il mio sperma; feci in tempo ad uscire dal suo corpo, seguito da "Wendy" e da Mark, per esplodere, infine, di nuovo tutti insieme, sul suo addome e sulle sue gambe, fin quasi ai suoi piedi.
Esausti, crollammo: io e Mark su due poltroncine, "Wendy" e la "Wandissima" sul letto.
Restammo, immobili: l'assoluto silenzio era sottolineato dal nostro respirare, ancora affannato.
Non riuscivo a staccare gli occhi dal corpo della donna.
Il suo sudore, frammisto al nostro sperma, le donava un incarnato che i raggi dell'ultimo sole, filtrati dalla tapparella, facevano apparire, quasi, di colore dell'oro.
La contemplai, per diversi minuti, sino a quando io, Mark e "Wendy", la prendemmo per le mani e, delicatissimamente, la conducemmo nella sala da bagno.
La "Wandissima", con una mossa di eleganza assoluta, entrò nella vasca e sedette sui talloni. Immediatamente, tutti e tre, impugnammo i nostri scettri e ci masturbammo, per poi godere, ancora una volta, sul suo corpo, reso ancor più eccitante dalla copiosissima, ulteriore, quantità di sperma ricevuto.
Poi, usando i nostri sessi come se fossero stati tre manichette da pompieri, la aspergemmo, con la massima generosità, delle nostre "piogge dorate".
Ad "operazione" conclusa, mi sentivo come se fossi stato reduce da una gita a Fiuggi.
La donna disse che avrebbe preso una doccia e "Wendy" mi indicò un secondo bagno, ove anch'io avrei potuto lavarmi a dovere.
Presi anch'io una ricca doccia e, rivestitomi di tutto punto, tornai in camera da letto per prendere il soprabito: fu lì che scoppiai in una fragorosa risata.
Trovai Mark e "Wendy" sul letto, alle prese con un "sessantanove" "a tutta manetta".
Continuarono per diversi minuti, come se fossi stato del tutto trasparente, indi "Wendy" si staccò da Mark per andarlo a sodomizzare, senza alcun ulteriore preliminare.
- Ooooh - gridò il giovane, quando il grosso scettro di "Wendy" entrò a dilatare il suo sfintere.
Quasi contemporaneamente, il suo pene si eresse ulteriormente, sino all'inverosimile.
"Wendy" iniziò la sua galoppata, stantuffando per circa una ventina di minuti, durante i quali Mark si produsse, per lo meno, in tre eiaculazioni, decisamente abbondanti.
Curiosamente, le singole polluzioni del giovane di colore, non erano caratterizzate da più emissioni di sperma, ma si liberava, ogni volta, armoniosamente, con una lunga bianca folata, digrignando i denti.
I due erasti, inoltre, sottolineavano il loro rispettivo piacere con delle grida: più "acute" quelle di "Wendy", più "profonde", quasi baritonali, quelle di Mark.
Presi il cappotto, ed uscii dalla stanza; nel corridoio, un soave odore mi guido' sino ad un ordinato, ed elegante, cucinino, ove la "Wandissima" aveva appena finito di preparare il caffè.
Mi sembrò splendida!
Il suo viso, privo di qualsivoglia indizio che rimandasse alla seduta di sesso appena conclusa, era truccato alla perfezione.
Domandai:
- Come va?
Rispose, quasi mormorando:
- Ottimamente, come vedi.
- Sei fresca, come una rosa: complimenti!...
- Tutta questione di allenamento, sai?...
Poi, abbassati gli occhi e sorridendo amaramente, mi disse:
- Chissà cosa pensi di me...
Scossi la testa e le dissi:
- Niente...salutiamo e togliamo il disturbo...
Quando fummo di fronte alla porta, chiusa, rigorosamente chiusa, della stanza da letto, udimmo, molto distintamente, il respirare affannato, frammisto alle grida ed ai mugolii, dei due amanti.
Sorridemmo reciprocamente,
bussammo e, beninteso senza aprire la porta, ci accomiatammo.
Appena giunti in istrada, fermai un taxi per la "Wandissima".
Preso posto nell'autovettura, la donna mi guardò, negli occhi, donandomi, ancora una volta, un triste sorriso.
Compresi: e scuotendo, di nuovo, la testa le dissi:
- Nolite judicare ut non judicemini.
- No: il fatto sta che questo, ha tutta l'aria di essere un addio...
- Ma...tu?...
- Non lo so...non lo so...
Ed accennò un singhiozzo.
Senza dir verbo, chiusi la portiera ed il taxi partì.
Fu allora che, ancora una volta, ringraziai il Cielo per aver posto al mio fianco, con "Lady Rowena", una donna senza troppe complicazioni.
Grazie alla metropolitana, in dieci minuti arrivai a casa ove, senza por tempo in mezzo, telefonai alla mia amata per attutire, almeno un poco, il senso di colpa che mi pesava sul cuore.
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