Ridotta in schiavitù, venduta (parte 12)

di
genere
sadomaso

Frank e Kalifa ammirarono il loro acquisto osservandola in gabbia, dalla quale la fecero uscire pur lasciandola a 4 zampe.
La accarezzarono con il tipico gesto che si destina ai cani. Angélique non lo sapeva, ma sarebbe stato quello il suo destino, essere il cane umano di quella coppia di colore.
Kalifa le appose il collare che avevano acquistato alla casa d’aste che offriva agli ospiti anche la possibilità di acquistare i primi accessori.
Era un bel oggetto in acciaio, interamente rotondo, in modo da non danneggiare il collo dell’animale. Anche il guinzaglio era in acciaio, fortemente voluto dal Padrone al quale piaceva la forza di quel materiale.
La portarono per la suite per ammirare la sua postura. Ne erano rimasti affascinati quando l’imbonitore le aveva fatto attraversare tutta la sala tenendola al guinzaglio come un cane per esibirla prima dell’inizio dell’asta.
Aveva la schiena incurvata verso il basso, evidenziando la sella naturale della schiena. Si muoveva con moltissima naturalezza, ignorando ogni possibile dolore alle ginocchia, come se quello fosse il suo normale incedere, con la grazia femminile che accentuava il suo stato di futura cagna.
Fu quello che convinse i due coniugi a voler fare sempre l’ultimo rilancio anche se il prezzo per quell’esemplare era salito molto.
Vista nell’intimità delle mura domestiche, la sua elegante postura da cane era maggiormente apprezzabile.
Helga era ancora in quella fase in cui l’irrazionalità e l’incapacità di prendere atto delle situazioni riusciva ancora a prevalere in lei, complice anche il naturale entusiasmo della sua giovane età e l’invidia per le attenzioni, seppur quale cane, di cui sarebbe stata destinataria quella schiava, a differenza di quanto possa accadere ad una schiava d’albergo, vista solo quale eccitante mobilio.
Nella speranza di attirare, anche se per poco, l’attenzione su di lei, piano piano, passando lateralmente, raggiunse i piedi della Padrona e cominciò baciarli, leccarli, piano piano, quasi timidamente.
Mentre i Padroni si divertivano, facendo fare il riporto al nuovo acquisto, quell’atto di sottomissione venne visto come una intrusione non gradita, inopportuna e inutile, fastidiosa, essendo anche abituati alla schiava totalmente passiva e mai attiva, fosse anche solo per un omaggio ai piedi non richiesto.
Kalifa la allontanò col piede, infastidita, accompagnando il gesto con una evidente stizza e dando un forte schiaffo alla giovane schiava. Questa si allontanò subito ma, non contento, il Padrone si alzò e, presala per i capelli, la trascinò nell’angolo dove c’era l’anello nel muro al quale la legò con la corta catena sempre in dotazione.
Giocarono ancora con il nuovo cane. Le diedero da bere e, quale cibo, misero nella ciotolina barrette energetiche che avevano la forma di crocchette per cani.
La cagna attirò l’attenzione di molti ospiti dell’albergo quando la portarono nel parco a farle fare i suoi bisogni.
Non era inusuale vedere Padroni con cani umani, tuttavia la bellezza, la classe e l’eleganza di quell’esemplare non passava di certo inosservata.
Prima di andare a dormire e di chiuderla nella gabbia per la notte, lasciandola nella sua naturale posizione, i Padroni la vollero usare per godere, scaricando così l’inevitabile eccitazione accumulata per tutta la serata.
Qualche giorno dopo dovettero concludere la vacanza parigina.
I facchini dell’albergo portarono i loro bagagli e la gabbia con la cagna nel furgoncino che li avrebbe anticipati all'aeroporto.
Il personale dell’albergo espletò le formalità burocratiche e i bagagli, animale compreso, furono caricati in stiva.
In questa c’erano anche altre schiave e schiavi, sempre in gabbia per regolamento di trasporto. Vi erano anche altri animali, quali cani di grossa taglia, che non potevano viaggiare in cabina e tutti erano nello stesso ambiente. Le gabbie venivano assicurate ai lati della carlinga. Ne mettevano una sopra l’altra solo quando erano tante, come in quel viaggio.
La gabbia di Angélique, essendo più grossa, venne lasciata in basso e, sopra di lei, venne messa la gabbia di un cane lupo, più piccolina.
Anche sul suo lato destro vi era un cane, un labrador, mentre alla sua sinistra un giovane schiavo nero, al quale lei non diede più di 23 anni.
Il viaggio fu lungo, caratterizzato dall’ansia per l’ignoto, dalla paura per la sua nuova vita, la nostalgia per quella vecchia che non riusciva a togliersi dalla testa, con le sue lezioni di musica, i concerti, il bell’ambiente che frequentava, le case delle amiche che, in quel momento, stavano magari andando in palestra o preparandosi per andare a fare shopping, sicuramente già dimentiche di lei, perchè non era una bella cosa avere tra le amicizie una che è divenuta schiava.
Era capitato anche a lei, due anni prima. Nicole, una ragazza che conosceva dai tempi delle medie e che tanto si erano frequentate anche nelle rispettive case, venne condannata alla schiavitù.
Lei stessa, con le altre amiche, cercarono di non parlarne più, non tanto dispiaciute per lei, quanto vergognandosi di averla avuta come amica, sapendo che le altre ragazze le avrebbero additate quali “amiche della schiava”.
Adesso era lei stessa in quella condizione e, nel suo gruppo di amiche, era la seconda. Le altre, quelle ancora libere, sarebbero state destinatarie di ulteriori battute e l’avrebbero denigrata, se proprio avessero dovuto parlare di lei.
Qualche piano sopra, diverso il viaggio di Frank e Kalifa, in prima classe con ampio spazio tra le poltrone. Si stavano lamentando dell’impossibilità di portare le cagne nell’area passeggeri, almeno per quelli di prima classe che avevano tanto spazio tra le poltrone ed una schiava o schiavo sarebbe stato tranquillamente a terra.
Il pensiero non era indirizzato alla loro proprietà chiusa in gabbia, scomoda, ma alla privazione per loro di avere la nuova cagnolina ai piedi.
Avevano ancora addosso il senso di nostalgia per la vacanza terminata. Avevano lasciato malvolentieri l’albergo, con quella tipica sensazione di chi si allontana da un posto dove è stato bene, rilassato, lontano dalle tensioni che inevitabilmente accompagnano la vita di tutti i giorni.
Inoltre è impossibile non stare bene a Parigi, città meravigliosa che si erano ripromessi di visitare nuovamente, magari con più tempo a disposizione.
Nel momento in cui uscirono dalla suite che avevano occupato, non guardarono nemmeno la schiava bianca d’albergo, che avevano lasciato stesa accanto al letto, dove aveva passato la notte per essere usata quale scendiletto al mattino.
L’hostess, a decollo terminato, servì loro due calici di champagne.
I coniugi si sorrisero e brindarono alla nuova schiava, destinata ad essere il loro animaletto da compagnia da esibire in società quale ulteriore avanzamento del loro status.


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krugher.1863@gmail.com
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2022-10-31
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