Moglie ceduta - roulette russa (parte 2)
di
Kugher
genere
sadomaso
L’appuntamento era in una via romana, un quartiere a mezza strada tra il centro e l’autostrada che li avrebbe condotti verso l'ignoto delle prossime ore o dei prossimi giorni.
L'incoscienza li aveva portati verso quell’incontro che sentivano sarebbe stato diverso da quanto vissuto fino a quella sera. La coscienza quale facoltà immediata di avvertire, comprendere, valutare i fatti, li aveva portati ad eccitarsi di quell’incoscienza che desiderava l’esperienza.
I loro interlocutori furono, dal primo contatto, definiti “gli stronzi”, e questa cosa li eccitava.
Erano due coppie di una età portata con decoro ma che rivelava una decina di anni in più, senza che questa fosse mai stata precisata.
Li attrasse subito il loro modo di comportarsi nel considerarli due “cose”, senza rispetto o considerazione.
Agli appuntamenti, anche se virtuali, si presentavano col ritardo di cui avevano voglia e nemmeno salutavano.
I loro occhi, anzi, il loro sguardo parlava per loro comunicando indifferenza, come se osservassero qualcosa di bello e con la luce negli occhi solo quando traspariva l’eccitazione nel guardare due oggetti che, probabilmente, sarebbero stati, anche se per poco, una loro proprietà.
Mai avevano osservato uno sguardo simile, al punto da essere attratti apposta perché la coscienza li voleva respingere.
Monica e Franco li avevano paragonati ad una roulette russa, tanto pericolosi quanto eccitanti, come un gioco che, per trasmettere forti emozioni, vuole, in cambio, forti pericoli.
Nella calda serata romana, qualcuno seduto sul balcone per assaporare il fresco che il primo buio regala, avrebbe visto appena, distrattamente, due auto che si fronteggiavano e, da una di esse, dopo qualche minuto, giusto il tempo di una telefonata per riconoscersi, avrebbero visto scendere una donna che anche da lontano avrebbe rivelato la sua bellezza che, da vicino, avrebbe con facilità mascherato i pochi anni che la separavano dai 40.
Si sarebbero forse chiesti perché, dopo che la donna aveva preso posto sull’altra auto, quella dalla quale era scesa aveva seguito la prima quando, lentamente, si era avviata.
Le due persone sul balcone non ne avrebbero nemmeno parlato tra loro, prese dalla narrazione della loro giornata mentre il fresco vino bianco anticipava la cena nel rito di tutti i venerdì sera.
Il cuore di Franco trasmise, col battito accelerato, una forte eccitazione al cazzo quando, dal finestrino chiuso, vide Monica ricevere uno schiaffo appena entrata e, presa per i capelli, spinta sul pavimento di quel grosso SUV che prometteva tanto spazio ai piedi di coloro che stavano seduti dietro.
All’uomo non sfuggì la risata della coppia seduta davanti mentre sua moglie già non era più visibile.
Quasi rise mentre, eccitato, si accorse che il suo pensiero era tornato al tempo resosi necessario per sistemarle i capelli che, ora, immaginava scompigliati ai piedi dei suoi Padroni.
Sicuramente si sarebbe maggiormente eccitato se avesse saputo che la suola della scarpa destra del Padrone stava sporcando la guancia del bel viso di Monica, mentre la scarpa sinistra non aveva cura nel macchiare di nero il vestito elegante che avevano scelto con tanta attenzione.
Il Padrone non si era nemmeno curato di slacciare la cerniera del suo tappeto umano che, in quel momento, assolveva al suo scopo anche se protetto da un abito.
La coppia sul sedile anteriore commentò felicemente il dolore espresso a voce alta dalla schiava mentre la Padrona, dietro, si divertiva a roteare i tacchi nel suo fianco.
Smise solo quando il gioco non li divertiva più e ripresero a chiacchierare di un argomento che pareva avessero lasciato in sospeso quando li avevano incontrati, come se la sua “consegna” fosse l’equivalente di una cena prelevata ad un take away.
Un doloroso calcio del Padrone la invitò a smettere di lamentarsi perché, dal quel momento, il rumore avrebbe loro dato fastidio.
Franco li seguiva ed il cazzo avrebbe voluto sapere cosa stava accadendo nell’abitacolo dove la loro avventura aveva già preso corpo mentre lui, al momento, ancora era relegato ad una funzione utile solo ad evitare ai Padroni di accompagnarli dopo averli usati.
Anche Monica era eccitata da una posizione che confermava la considerazione che avevano di lei, mantenendo quella promessa che aveva caratterizzato ogni loro incontro protetto dal virtuale.
In quel momento era un nulla, un oggetto della cui esistenza i Padroni si erano sicuramente dimenticati o del quale non davano cenno di accorgersene, come se stessero semplicemente appoggiando le loro suole sporche su un tappetino la cui utilità era quella di non danneggiare quello originale e di marca dell’auto.
L’eccitazione procurata dalla lingua del marito durante la sua preparazione la bagnava senza soluzione di continuità e la rendeva pronta a soddisfare al meglio quegli sconosciuti quando ne avessero avuto voglia.
Il viaggio le parve effettuato fuori dal tempo, dove la concentrazione di lei e del marito era assorbita dall’avventura appena iniziata, come se avesse sospeso lo scorrere lento e costante delle lancette dei loro Patek Philippe che lui aveva ancora al polso mentre per lei, in quel momento, era inutile.
In autostrada Franco accennò una masturbazione che avrebbe molto probabilmente portato a termine se avesse saputo che, in quel momento, nel silenzio dell’autovettura che lo precedeva, la radio era stata spenta per lasciare spazio al lamento della schiava torturata coi tacchi, il cui suono era attutito dalla scarpa del Padrone sul viso che, quanto il lamento era troppo fastidioso, veniva schiacciata per attutire il rumore inutile sotto la scarpa vicinissima alla bocca, il cui rossetto rosso lussuria aveva inavvertitamente sporcato la suola.
A Monica sembrò normale l’apposizione del collare sul suo collo lungo ed esile, stretto in modo da essere aderente.
Le aveva apposto, ai capezzoli, anche due morsetti particolari. Solo dopo un tempo che a lei sfuggì ne scoprì la particolarità che inizialmente la spaventò al punto da eccitarla maggiormente.
Non aveva importanza chi dei quattro Padroni in auto avesse azionato il telecomando. La schiava era concentrata sul dolore ai capezzoli quando questi, contemporaneamente, con movimento costante si stringevano sempre più, fino a fermarsi quando il respiro era ancora possibile seppur difficoltoso per il dolore, per essere poi allentato fino alla posizione normale.
L’eccitazione venne dopo lo spavento e da questo amplificato per un trattamento che, mai provato, le fece avere una sensazione anch’essa nuova, quella della completa dipendenza.
La scarpa sul viso copriva anche l’orecchio. Ma non fu questo a impedirle di sentire la risata dei Padroni che ricordavano a loro stessi le implicazioni di quell’oggetto. Non le avrebbe sentite lo stesso, tutta presa da ciò che stava provando, con la testa che viaggiava a mille verso la sua nuova destinazione ed esperienza.
Provò anche piacere nel sentire il peso della scarpa che, per procurarle dolore ed affermare il potere del Padrone, le schiacciava il viso a terra, per poi tornare normale, già annoiato del suo divertimento, in attesa di altri.
L'incoscienza li aveva portati verso quell’incontro che sentivano sarebbe stato diverso da quanto vissuto fino a quella sera. La coscienza quale facoltà immediata di avvertire, comprendere, valutare i fatti, li aveva portati ad eccitarsi di quell’incoscienza che desiderava l’esperienza.
I loro interlocutori furono, dal primo contatto, definiti “gli stronzi”, e questa cosa li eccitava.
Erano due coppie di una età portata con decoro ma che rivelava una decina di anni in più, senza che questa fosse mai stata precisata.
Li attrasse subito il loro modo di comportarsi nel considerarli due “cose”, senza rispetto o considerazione.
Agli appuntamenti, anche se virtuali, si presentavano col ritardo di cui avevano voglia e nemmeno salutavano.
I loro occhi, anzi, il loro sguardo parlava per loro comunicando indifferenza, come se osservassero qualcosa di bello e con la luce negli occhi solo quando traspariva l’eccitazione nel guardare due oggetti che, probabilmente, sarebbero stati, anche se per poco, una loro proprietà.
Mai avevano osservato uno sguardo simile, al punto da essere attratti apposta perché la coscienza li voleva respingere.
Monica e Franco li avevano paragonati ad una roulette russa, tanto pericolosi quanto eccitanti, come un gioco che, per trasmettere forti emozioni, vuole, in cambio, forti pericoli.
Nella calda serata romana, qualcuno seduto sul balcone per assaporare il fresco che il primo buio regala, avrebbe visto appena, distrattamente, due auto che si fronteggiavano e, da una di esse, dopo qualche minuto, giusto il tempo di una telefonata per riconoscersi, avrebbero visto scendere una donna che anche da lontano avrebbe rivelato la sua bellezza che, da vicino, avrebbe con facilità mascherato i pochi anni che la separavano dai 40.
Si sarebbero forse chiesti perché, dopo che la donna aveva preso posto sull’altra auto, quella dalla quale era scesa aveva seguito la prima quando, lentamente, si era avviata.
Le due persone sul balcone non ne avrebbero nemmeno parlato tra loro, prese dalla narrazione della loro giornata mentre il fresco vino bianco anticipava la cena nel rito di tutti i venerdì sera.
Il cuore di Franco trasmise, col battito accelerato, una forte eccitazione al cazzo quando, dal finestrino chiuso, vide Monica ricevere uno schiaffo appena entrata e, presa per i capelli, spinta sul pavimento di quel grosso SUV che prometteva tanto spazio ai piedi di coloro che stavano seduti dietro.
All’uomo non sfuggì la risata della coppia seduta davanti mentre sua moglie già non era più visibile.
Quasi rise mentre, eccitato, si accorse che il suo pensiero era tornato al tempo resosi necessario per sistemarle i capelli che, ora, immaginava scompigliati ai piedi dei suoi Padroni.
Sicuramente si sarebbe maggiormente eccitato se avesse saputo che la suola della scarpa destra del Padrone stava sporcando la guancia del bel viso di Monica, mentre la scarpa sinistra non aveva cura nel macchiare di nero il vestito elegante che avevano scelto con tanta attenzione.
Il Padrone non si era nemmeno curato di slacciare la cerniera del suo tappeto umano che, in quel momento, assolveva al suo scopo anche se protetto da un abito.
La coppia sul sedile anteriore commentò felicemente il dolore espresso a voce alta dalla schiava mentre la Padrona, dietro, si divertiva a roteare i tacchi nel suo fianco.
Smise solo quando il gioco non li divertiva più e ripresero a chiacchierare di un argomento che pareva avessero lasciato in sospeso quando li avevano incontrati, come se la sua “consegna” fosse l’equivalente di una cena prelevata ad un take away.
Un doloroso calcio del Padrone la invitò a smettere di lamentarsi perché, dal quel momento, il rumore avrebbe loro dato fastidio.
Franco li seguiva ed il cazzo avrebbe voluto sapere cosa stava accadendo nell’abitacolo dove la loro avventura aveva già preso corpo mentre lui, al momento, ancora era relegato ad una funzione utile solo ad evitare ai Padroni di accompagnarli dopo averli usati.
Anche Monica era eccitata da una posizione che confermava la considerazione che avevano di lei, mantenendo quella promessa che aveva caratterizzato ogni loro incontro protetto dal virtuale.
In quel momento era un nulla, un oggetto della cui esistenza i Padroni si erano sicuramente dimenticati o del quale non davano cenno di accorgersene, come se stessero semplicemente appoggiando le loro suole sporche su un tappetino la cui utilità era quella di non danneggiare quello originale e di marca dell’auto.
L’eccitazione procurata dalla lingua del marito durante la sua preparazione la bagnava senza soluzione di continuità e la rendeva pronta a soddisfare al meglio quegli sconosciuti quando ne avessero avuto voglia.
Il viaggio le parve effettuato fuori dal tempo, dove la concentrazione di lei e del marito era assorbita dall’avventura appena iniziata, come se avesse sospeso lo scorrere lento e costante delle lancette dei loro Patek Philippe che lui aveva ancora al polso mentre per lei, in quel momento, era inutile.
In autostrada Franco accennò una masturbazione che avrebbe molto probabilmente portato a termine se avesse saputo che, in quel momento, nel silenzio dell’autovettura che lo precedeva, la radio era stata spenta per lasciare spazio al lamento della schiava torturata coi tacchi, il cui suono era attutito dalla scarpa del Padrone sul viso che, quanto il lamento era troppo fastidioso, veniva schiacciata per attutire il rumore inutile sotto la scarpa vicinissima alla bocca, il cui rossetto rosso lussuria aveva inavvertitamente sporcato la suola.
A Monica sembrò normale l’apposizione del collare sul suo collo lungo ed esile, stretto in modo da essere aderente.
Le aveva apposto, ai capezzoli, anche due morsetti particolari. Solo dopo un tempo che a lei sfuggì ne scoprì la particolarità che inizialmente la spaventò al punto da eccitarla maggiormente.
Non aveva importanza chi dei quattro Padroni in auto avesse azionato il telecomando. La schiava era concentrata sul dolore ai capezzoli quando questi, contemporaneamente, con movimento costante si stringevano sempre più, fino a fermarsi quando il respiro era ancora possibile seppur difficoltoso per il dolore, per essere poi allentato fino alla posizione normale.
L’eccitazione venne dopo lo spavento e da questo amplificato per un trattamento che, mai provato, le fece avere una sensazione anch’essa nuova, quella della completa dipendenza.
La scarpa sul viso copriva anche l’orecchio. Ma non fu questo a impedirle di sentire la risata dei Padroni che ricordavano a loro stessi le implicazioni di quell’oggetto. Non le avrebbe sentite lo stesso, tutta presa da ciò che stava provando, con la testa che viaggiava a mille verso la sua nuova destinazione ed esperienza.
Provò anche piacere nel sentire il peso della scarpa che, per procurarle dolore ed affermare il potere del Padrone, le schiacciava il viso a terra, per poi tornare normale, già annoiato del suo divertimento, in attesa di altri.
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