Moglie ceduta - roulette russa (parte 3)
di
Kugher
genere
sadomaso
Si aprì lentamente il cancello di quella villa che a Franco sembrava dispersa nel niente, un niente comune alla loro importanza nei prossimi giorni.
Il viale scorreva veloce alla luce di fari che illuminava il filare di alberi secolari e gli sembrava infinito, tale era l’attesa di concretizzare l’aspettativa che il viaggio aveva creato.
Al cazzo aveva solo dato qualche colpo con la mano, durante quei chilometri infiniti nei quali l’eccitazione gli pulsava nelle orecchie. Aveva desistito subito, nel timore di arrivare troppo vicino all’orgasmo, ma con il solo risultato di renderne più prepotente la necessità.
Solo Franco notò quanto fosse sporco il bel vestito della moglie che recava evidenti tracce dell’uso cui era stata destinata, prima volta tra i tanti anni di sottomissione a terzi sconosciuti.
La situazione di degrado ebbe l’effetto di eccitarlo.
Nè lui né Monica si chiesero come la donna sarebbe tornata a casa quando la Padrona che aveva fatto il viaggio sul sedile del passeggero anteriore, la trascinò fuori dall’auto tirando il guinzaglio che le era stato messo e, una volta davanti a lei, le stracciò il vestito, lasciandola con le solo scarpe dal tacco altissimo.
Un altro deciso strattone fece cadere Monica in ginocchio, ai piedi della stessa Padrona.
L’altra donna chiamò a sé Franco.
Dopo avere osservato la moglie, gli venne istintivo posare le ginocchia a terra.
Sin dall’inizio dovevano essere stabiliti i rapporti di forza e, per lo stesso motivo per il quale Monica era stata accolta da uno schiaffo, lui venne colpito da un calcio tra le gambe che lo fece precipitare a terra steso su un fianco.
Un calcio dato dal Padrone lo spinse a leccare le scarpe della donna che lo aveva chiamato.
Si chiese se avrebbero riso del suo cazzo in erezione se avessero potuto vederlo. Probabilmente no in quanto, sicuramente, a loro non interessava della sua situazione erotica.
Monica, ancora nel turbine dei pensieri, realizzò appena che al marito era stato messo lo stesso collare e morsetti che, nel suo caso, erano stati apposti ai testicoli.
Se ne rese conto quando la Padrona gli diede immediata dimostrazione dell’uso, fino a farlo strisciare ai suoi piedi nella preghiera resa muta dal dolore e dalla paura.
Finalmente potè lasciar confluire nuovamente l’aria nei polmoni e, cosa che parve naturale ai due coniugi, furono entrambi grati, invece che alterati, per la forza e la potenza della tortura che li assoggettava interamente a loro.
Sfuggì anche altro particolare. Gli accordi avrebbero visto Franco quale mero spettatore, seppur legato. Quel trattamento gli conferì invece un ruolo attivo (pur nella sua passività) nell’avventura della cui durata ancora non si erano preoccupati.
Entrarono in casa a 4 zampe, tirati dai guinzagli come cani, dopo che Franco si dovette spogliare incitato dal frustino.
Solo la moglie notò il cazzo duro del marito e, questo, la eccitò maggiormente, dando per accettata la nuova situazione nella quale, evidentemente, Franco non sarebbe stato solo spettatore.
Non si chiese quando avessero cambiato idea. Questo pensiero avrebbe richiesto una lucidità che in quel momento non aveva, troppo presa dall’eccitazione della nuova situazione.
Il dolore alle ginocchia era assente in quanto superato dallo stordimento di una realtà di sottomissione nuova, non tanto o solo dai gesti e dai fatti, quanto dall’approccio e dagli evidenti intendimenti dei Padroni che anticiparono denigrazione, mancanza di rispetto per loro e una crudeltà cui erano nuovi ma, al contempo li attraeva.
Era un insieme di cose nuove caratterizzate dal numero dei Padroni, dal tempo cui sarebbero stati trattenuti, dagli usi cui sarebbero stati destinati e, scoprirono, dalla crudeltà e dal disprezzo.
Nemmeno si resero conto di quanto tutte queste novità in un solo momento avessero avuto l’effetto di anestetizzare il dolore con la forte eccitazione che arrivava a stordire i sensi.
Il salone era grande e, evidentemente, alcuni mobili erano stati spostati per lasciare libero lo spazio centrale, nel quale il rumore dei passi era attutito dagli spessi ampi tappeti colorati che coprivano quasi tutto il pavimento, fino ad arrivare ai mobili di legno lavorato posti ai bordi della stanza.
Ad eccitare i coniugi fu il fatto che, mentre venivano tirati al guinzaglio come cani, i Padroni discorrevano delle loro questioni, ignorando quelle persone trattate come bestie.
Franco aveva il cazzo duro e, avendo davanti il culo della moglie che procedeva parimenti, si chiese se anche lei fosse bagnata.
Da una porta era possibile vedere un'altra sala, nella quale vi era una tavola imbandita. Monica provò a contare i coperti ma lo spazio visibile dalla porta, aperta per una sola anta, non lo consentiva.
Non ebbe difficoltà a pensare che il numero fosse 4, non certo 6.
“In piedi, bestie”.
Ciò che colpì, ed eccitò, i due schiavi, non fu l’ordine secco, e nemmeno la tirata dolorosa al guinzaglio che accompagnò l’ordine.
Fu, invece, il tono che entrò prepotentemente nel loro cervello per andare, velocemente, a colpire il centro dell’eccitazione dettata dal desiderio, fortissimo, di sottomissione, di essere meri oggetti.
Monica traballò un attimo sugli altissimi tacchi.
“Ferma, cagna!”.
Ancora quel tono impietoso, che nulla considera delle necessità o difficoltà altrui, quel tono che anticipa, promettendo, il piacere che può provare chi ha esigenze di schiavitù.
Per entrambi fu istintivo, una volta eretti, abbassare lo sguardo, come se avere gli occhi allo stesso livello dei Padroni fosse fonte di imbarazzo.
Nessuno notò o, almeno, fece caso al cazzo eretto di Franco, unico a provare disagio nel manifestare davanti ai Padroni quella sua situazione. La mente dell’uomo non era abbastanza lucida nel fargli comprendere che il disagio non era nei confronti della moglie ma, bensì, verso sconosciuti che la sua eccitazione già riconosceva come Dominanti, Padroni assoluti dei loro corpi divenuti oggetti.
La novità della situazione mai provata, situazione dettata più dal modo di porsi e di gestire che dai singoli episodi, ebbe l’effetto di amplificare il piacere degli schiavi che, vedendo i Padroni vestiti, non avevano modo di capire l’effetto che la loro obbedienza faceva loro.
Lo sguardo a terra non fece vedere chi dei Padroni munì gli altri degli scudisci coi quali, improvvisamente, cominciarono a colpirli.
Evidentemente era tutto preparato ma veniva vissuto con spontaneità, come fosse normale avere in una stanza 4 scudisci e chissà quali altri strumenti per affermare il potere dei Dominanti.
Fu anche questo a provocare piacere alla bocca dello stomaco, la normalità di una situazione anormale, dove la normalità era il loro essere oggetti nelle mani di sconosciuti, desideri che, si erano sempre detti, li portava a classificare loro stessi tra i pazzi e gli incoscienti ma delle cui emozioni non riuscivano a fare a meno, sempre richiamati come le sirene nei confronti di Ulisse, con la differenza che, loro, avevano rinunciato a legarsi per resistere ma, anzi, deliberatamente avevano deciso di cedere a quel canto che loro stessi avevano cercato e stimolato.
Loro non sapevano che i Padroni, evidentemente avvezzi a quel tipo di divertimento, chiamavano quanto stava accadendo, “il gioco della palla”.
La differenza era che al posto della sfera vi erano due persone, anzi, due oggetti, nudi e, al posto dei piedi per calciare, loro usavano scudisci per “passarsi la palla”.
I Padroni erano infatti posti ai quattro lati di un ipotetico quadrato, al cui interno vi erano le bestie, oggetto del divertimento.
L’istinto prevale anche sull’eccitazione e, ad ogni colpo forte dato con lo strumento di tortura, era inevitabile che gli schiavi si contorcessero e cercassero di sottrarsi, ottenendo solo l’effetto di soddisfare il gioco voluto, in quanto, tentando di sottrarsi, si dirigevano verso il lato opposto dell’ipotetico quadrato dove ricevevano altro colpo di scudiscio.
Alla fine, storditi dal dolore che sovrastava ogni pensiero avendolo assorbito nel tentativo istintivo di sottrarsi alla tortura, cercavano solo di coprirsi il viso e vagavano nel campo di gioco a caso, copliti da ogni parte.
Non avevano modo di vedere reciprocamente i corpi ricoperti da segni, altro aspetto di quel gioco crudele, il cui scopo era in parte immediato, dato dall’eccitazione procurata, in parte dal piacere di segnare gli oggetti che, nel corso della serata, con le strisce rosse avrebbero ricordato loro, ogni secondo, cosa essi erano. Sicuramente quel gioco crudele ebbe l’effetto di sottomettere ulteriormente gli schiavi, rompendo ogni eventuale pensiero di non ubbidienza, assoggettandoli completamente, come fosse un test superato il quale, la loro schiavitù è confermata.
I Padroni trassero piacere nella conferma della loro sottomissione quando entrambi, uno incitato dall’altra, completamente segnati nel corpo e nell’anima, sofferenti e provati, si gettarono ai loro piedi per implorare pietà, strisciando sul ventre da una scarpa e l’altra per poterle omaggiare e dimostrare la loro devozione.
Il viale scorreva veloce alla luce di fari che illuminava il filare di alberi secolari e gli sembrava infinito, tale era l’attesa di concretizzare l’aspettativa che il viaggio aveva creato.
Al cazzo aveva solo dato qualche colpo con la mano, durante quei chilometri infiniti nei quali l’eccitazione gli pulsava nelle orecchie. Aveva desistito subito, nel timore di arrivare troppo vicino all’orgasmo, ma con il solo risultato di renderne più prepotente la necessità.
Solo Franco notò quanto fosse sporco il bel vestito della moglie che recava evidenti tracce dell’uso cui era stata destinata, prima volta tra i tanti anni di sottomissione a terzi sconosciuti.
La situazione di degrado ebbe l’effetto di eccitarlo.
Nè lui né Monica si chiesero come la donna sarebbe tornata a casa quando la Padrona che aveva fatto il viaggio sul sedile del passeggero anteriore, la trascinò fuori dall’auto tirando il guinzaglio che le era stato messo e, una volta davanti a lei, le stracciò il vestito, lasciandola con le solo scarpe dal tacco altissimo.
Un altro deciso strattone fece cadere Monica in ginocchio, ai piedi della stessa Padrona.
L’altra donna chiamò a sé Franco.
Dopo avere osservato la moglie, gli venne istintivo posare le ginocchia a terra.
Sin dall’inizio dovevano essere stabiliti i rapporti di forza e, per lo stesso motivo per il quale Monica era stata accolta da uno schiaffo, lui venne colpito da un calcio tra le gambe che lo fece precipitare a terra steso su un fianco.
Un calcio dato dal Padrone lo spinse a leccare le scarpe della donna che lo aveva chiamato.
Si chiese se avrebbero riso del suo cazzo in erezione se avessero potuto vederlo. Probabilmente no in quanto, sicuramente, a loro non interessava della sua situazione erotica.
Monica, ancora nel turbine dei pensieri, realizzò appena che al marito era stato messo lo stesso collare e morsetti che, nel suo caso, erano stati apposti ai testicoli.
Se ne rese conto quando la Padrona gli diede immediata dimostrazione dell’uso, fino a farlo strisciare ai suoi piedi nella preghiera resa muta dal dolore e dalla paura.
Finalmente potè lasciar confluire nuovamente l’aria nei polmoni e, cosa che parve naturale ai due coniugi, furono entrambi grati, invece che alterati, per la forza e la potenza della tortura che li assoggettava interamente a loro.
Sfuggì anche altro particolare. Gli accordi avrebbero visto Franco quale mero spettatore, seppur legato. Quel trattamento gli conferì invece un ruolo attivo (pur nella sua passività) nell’avventura della cui durata ancora non si erano preoccupati.
Entrarono in casa a 4 zampe, tirati dai guinzagli come cani, dopo che Franco si dovette spogliare incitato dal frustino.
Solo la moglie notò il cazzo duro del marito e, questo, la eccitò maggiormente, dando per accettata la nuova situazione nella quale, evidentemente, Franco non sarebbe stato solo spettatore.
Non si chiese quando avessero cambiato idea. Questo pensiero avrebbe richiesto una lucidità che in quel momento non aveva, troppo presa dall’eccitazione della nuova situazione.
Il dolore alle ginocchia era assente in quanto superato dallo stordimento di una realtà di sottomissione nuova, non tanto o solo dai gesti e dai fatti, quanto dall’approccio e dagli evidenti intendimenti dei Padroni che anticiparono denigrazione, mancanza di rispetto per loro e una crudeltà cui erano nuovi ma, al contempo li attraeva.
Era un insieme di cose nuove caratterizzate dal numero dei Padroni, dal tempo cui sarebbero stati trattenuti, dagli usi cui sarebbero stati destinati e, scoprirono, dalla crudeltà e dal disprezzo.
Nemmeno si resero conto di quanto tutte queste novità in un solo momento avessero avuto l’effetto di anestetizzare il dolore con la forte eccitazione che arrivava a stordire i sensi.
Il salone era grande e, evidentemente, alcuni mobili erano stati spostati per lasciare libero lo spazio centrale, nel quale il rumore dei passi era attutito dagli spessi ampi tappeti colorati che coprivano quasi tutto il pavimento, fino ad arrivare ai mobili di legno lavorato posti ai bordi della stanza.
Ad eccitare i coniugi fu il fatto che, mentre venivano tirati al guinzaglio come cani, i Padroni discorrevano delle loro questioni, ignorando quelle persone trattate come bestie.
Franco aveva il cazzo duro e, avendo davanti il culo della moglie che procedeva parimenti, si chiese se anche lei fosse bagnata.
Da una porta era possibile vedere un'altra sala, nella quale vi era una tavola imbandita. Monica provò a contare i coperti ma lo spazio visibile dalla porta, aperta per una sola anta, non lo consentiva.
Non ebbe difficoltà a pensare che il numero fosse 4, non certo 6.
“In piedi, bestie”.
Ciò che colpì, ed eccitò, i due schiavi, non fu l’ordine secco, e nemmeno la tirata dolorosa al guinzaglio che accompagnò l’ordine.
Fu, invece, il tono che entrò prepotentemente nel loro cervello per andare, velocemente, a colpire il centro dell’eccitazione dettata dal desiderio, fortissimo, di sottomissione, di essere meri oggetti.
Monica traballò un attimo sugli altissimi tacchi.
“Ferma, cagna!”.
Ancora quel tono impietoso, che nulla considera delle necessità o difficoltà altrui, quel tono che anticipa, promettendo, il piacere che può provare chi ha esigenze di schiavitù.
Per entrambi fu istintivo, una volta eretti, abbassare lo sguardo, come se avere gli occhi allo stesso livello dei Padroni fosse fonte di imbarazzo.
Nessuno notò o, almeno, fece caso al cazzo eretto di Franco, unico a provare disagio nel manifestare davanti ai Padroni quella sua situazione. La mente dell’uomo non era abbastanza lucida nel fargli comprendere che il disagio non era nei confronti della moglie ma, bensì, verso sconosciuti che la sua eccitazione già riconosceva come Dominanti, Padroni assoluti dei loro corpi divenuti oggetti.
La novità della situazione mai provata, situazione dettata più dal modo di porsi e di gestire che dai singoli episodi, ebbe l’effetto di amplificare il piacere degli schiavi che, vedendo i Padroni vestiti, non avevano modo di capire l’effetto che la loro obbedienza faceva loro.
Lo sguardo a terra non fece vedere chi dei Padroni munì gli altri degli scudisci coi quali, improvvisamente, cominciarono a colpirli.
Evidentemente era tutto preparato ma veniva vissuto con spontaneità, come fosse normale avere in una stanza 4 scudisci e chissà quali altri strumenti per affermare il potere dei Dominanti.
Fu anche questo a provocare piacere alla bocca dello stomaco, la normalità di una situazione anormale, dove la normalità era il loro essere oggetti nelle mani di sconosciuti, desideri che, si erano sempre detti, li portava a classificare loro stessi tra i pazzi e gli incoscienti ma delle cui emozioni non riuscivano a fare a meno, sempre richiamati come le sirene nei confronti di Ulisse, con la differenza che, loro, avevano rinunciato a legarsi per resistere ma, anzi, deliberatamente avevano deciso di cedere a quel canto che loro stessi avevano cercato e stimolato.
Loro non sapevano che i Padroni, evidentemente avvezzi a quel tipo di divertimento, chiamavano quanto stava accadendo, “il gioco della palla”.
La differenza era che al posto della sfera vi erano due persone, anzi, due oggetti, nudi e, al posto dei piedi per calciare, loro usavano scudisci per “passarsi la palla”.
I Padroni erano infatti posti ai quattro lati di un ipotetico quadrato, al cui interno vi erano le bestie, oggetto del divertimento.
L’istinto prevale anche sull’eccitazione e, ad ogni colpo forte dato con lo strumento di tortura, era inevitabile che gli schiavi si contorcessero e cercassero di sottrarsi, ottenendo solo l’effetto di soddisfare il gioco voluto, in quanto, tentando di sottrarsi, si dirigevano verso il lato opposto dell’ipotetico quadrato dove ricevevano altro colpo di scudiscio.
Alla fine, storditi dal dolore che sovrastava ogni pensiero avendolo assorbito nel tentativo istintivo di sottrarsi alla tortura, cercavano solo di coprirsi il viso e vagavano nel campo di gioco a caso, copliti da ogni parte.
Non avevano modo di vedere reciprocamente i corpi ricoperti da segni, altro aspetto di quel gioco crudele, il cui scopo era in parte immediato, dato dall’eccitazione procurata, in parte dal piacere di segnare gli oggetti che, nel corso della serata, con le strisce rosse avrebbero ricordato loro, ogni secondo, cosa essi erano. Sicuramente quel gioco crudele ebbe l’effetto di sottomettere ulteriormente gli schiavi, rompendo ogni eventuale pensiero di non ubbidienza, assoggettandoli completamente, come fosse un test superato il quale, la loro schiavitù è confermata.
I Padroni trassero piacere nella conferma della loro sottomissione quando entrambi, uno incitato dall’altra, completamente segnati nel corpo e nell’anima, sofferenti e provati, si gettarono ai loro piedi per implorare pietà, strisciando sul ventre da una scarpa e l’altra per poterle omaggiare e dimostrare la loro devozione.
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