La leccapiedi (parte 6)
di
Kugher
genere
dominazione
Cenarono e lui riuscì a farla sentire a casa, trasmettendole una sensazione che non provava da tempo, sicuramente non da quando si era trasferita in quella grossa città a studiare e a lavorare.
Anna scoprì che alla nudità di pelle seguiva quella dell’anima.
Si sentiva esposta nei pensieri e nelle sensazioni, avvolta dal calore di quell’uomo che, nonostante non si fossero frequentati molto, la faceva sentire bene, avvolta pur avendola tenuta sotto i suoi piedi.
Meno lui spogliava con gli occhi la sua nudità, maggiormente lei si sentiva esposta e vulnerabile.
Scoppiò a piangere appena iniziato il pasto. Si capiva che era una diga rotta, che aveva tenuto molto più di ciò che era uscito e che, raggiunto il punto di rottura per un motivo ignoto a lei stessa, aveva aperto gli argini delle emozioni.
Il punto di rottura fu proprio quel calore umano là dove lei aveva pensato di trovare solo sesso spinto nella sua sottomissione, portandola a terra e privandole di ogni potere decisionale e, così, di consentirle di abbandonarsi e scaricare ogni tensione, non essendo più costretta, per il tempo del gioco, a dover pensare, perchè altri lo avrebbe fatto per lei, nuda ai suoi piedi.
Matteo interruppe il pasto e si interessò a lei, con sincerità.
Questo peggiorò la situazione.
"Scusa. Scusa, sono una sciocca".
L’uomo le prese la mano e, alzatosi, la abbracciò da dietro, stringendola.
"Cosa ti fa stare male?"
La diga si aprì definitivamente.
Quella mattina era andata ad un colloquio di lavoro, nella speranza di elevarsi sul lavoro ed economicamente. Non le piaceva quel locale, il contatto con clienti che le guardavano solo le tette e le sottraeva troppo tempo allo studio. Voleva qualcosa di meglio, di tranquillo, che non la facesse arrivare a sera a pezzi con la testa che non riusciva a concentrarsi sulle righe dei libri le cui parole, a volte, sembrava si annodassero.
A ciò si aggiunga che era sola ed a volte si sentiva persa. Piangeva perché il calore sincero di Matteo in momento di forte fragilità emotiva, le aveva fatto uscire questo peso che aveva sul petto. Da tempo tratteneva dentro le sue tensioni e sentiva il bisogno di sfogarsi, di abbandonarsi, di far defluire i propri pensieri verso chi era in grado di ascoltarli.
La cena si era fermata e lei aveva avuto modo, dopo essersi sfogata, di riprendersi.
"Scusa, adesso è passato, sto meglio, grazie. E’ stato un momento di debolezza. Avevo sperato tanto. Andrò ad altri colloqui".
Matteo fece bene alla sua autostima, complimentandosi per il lavoro e lo studio, per la sua bravura nel vivere e gestire l’avventura di vita che aveva intrapreso da sola.
"Schola, magistra vitae est, è una frase che si studia ma il cui vero significato si apprende solo a studi finiti".
Si stava asciugando le ultime lacrime col dorso della mano.
Il pianto che aveva interrotto la cena si era ormai placato. Il dolore era uscito e le era tornato il sorriso, anche se con cenni di forzatura per evitare di appesantire la serata.
"Vorrei chiederti una cosa, ma mi sembra di rovinare questo ambiente caldo".
Il sorriso ricevuto in cambio la rassicurò.
"L’altra sera, quando eri seduto in poltrona coi tuoi piedi su di me, mi sono sentita, come dire, rilassata. Ti vedevo comodo e mi sentivo parte di un calore mentre dall’alto mi guardavi sorridendo. Io non ho più fame e mi piacerebbe mettermi sotto il tavolo in modo che tu possa appoggiare i tuoi piedi su di me mentre continui la cena".
L’erotismo era forse il collante principale e, pertanto, voleva in esso trovare sollievo.
Matteo le accarezzò il viso che aveva ripreso a sorridere.
"Vai sotto il tavolo".
La ragazza si stese a terra. Il tempo di sistemarsi e sopra di sé ebbe i piedi di Matteo sul ventre e sui seni.
"Sei comoda?"
Le piacevano comunque quelle attenzioni nonostante stesse svolgendo la funzione di poggiapiedi.
"Sì, io sto bene. Tu sei comodo?"
Mentre pronunciava la domanda, si rese conto dell’ovvietà della risposta. Nel tono Matteo percepì comunque l’attenzione verso le sue esigenze.
"Comodissimo".
Pose la pianta del piede sulla bocca per ricevere un bacio e poi lo posò sul petto morbido.
Quei pochi chili in più davano comodità ai suoi piedi.
Matteo era eccitato. Continuò a cenare tranquillamente traendo molto piacere dall’avere la giovane quale poggiapiedi.
Mangiò lentamente.
"Hai fame?"
"No, sto bene così".
"Il piatto che sto mangiando adesso lo avevo preparato per te, perché ho visto che l’altro giorno al ristorante lo avevi apprezzato".
Anna sorrise dell’attenzione che le fece piacere.
"Mi piacerebbe che almeno lo assaggiassi. Vuoi?"
Senza attendere risposta, gettò a terra un boccone che Anna raccolse per mangiarlo.
"E’ molto buono".
La ragazza accarezzò i piedi.
Gettò a terra un altro boccone, eccitato da quel gesto tipico di chi lancia cibo ad un cane.
Matteo le fece spostare il viso in modo da offrire la guancia sulla quale appoggiò il piede.
"Ti faccio male?"
Sì, le faceva male perché lui appoggiava tutto il peso sopra, come fosse un cuscino.
"No, va benissimo".
Le piaceva dare piacere, anche a costo del proprio dolore o scomodità.
Anna scoprì che alla nudità di pelle seguiva quella dell’anima.
Si sentiva esposta nei pensieri e nelle sensazioni, avvolta dal calore di quell’uomo che, nonostante non si fossero frequentati molto, la faceva sentire bene, avvolta pur avendola tenuta sotto i suoi piedi.
Meno lui spogliava con gli occhi la sua nudità, maggiormente lei si sentiva esposta e vulnerabile.
Scoppiò a piangere appena iniziato il pasto. Si capiva che era una diga rotta, che aveva tenuto molto più di ciò che era uscito e che, raggiunto il punto di rottura per un motivo ignoto a lei stessa, aveva aperto gli argini delle emozioni.
Il punto di rottura fu proprio quel calore umano là dove lei aveva pensato di trovare solo sesso spinto nella sua sottomissione, portandola a terra e privandole di ogni potere decisionale e, così, di consentirle di abbandonarsi e scaricare ogni tensione, non essendo più costretta, per il tempo del gioco, a dover pensare, perchè altri lo avrebbe fatto per lei, nuda ai suoi piedi.
Matteo interruppe il pasto e si interessò a lei, con sincerità.
Questo peggiorò la situazione.
"Scusa. Scusa, sono una sciocca".
L’uomo le prese la mano e, alzatosi, la abbracciò da dietro, stringendola.
"Cosa ti fa stare male?"
La diga si aprì definitivamente.
Quella mattina era andata ad un colloquio di lavoro, nella speranza di elevarsi sul lavoro ed economicamente. Non le piaceva quel locale, il contatto con clienti che le guardavano solo le tette e le sottraeva troppo tempo allo studio. Voleva qualcosa di meglio, di tranquillo, che non la facesse arrivare a sera a pezzi con la testa che non riusciva a concentrarsi sulle righe dei libri le cui parole, a volte, sembrava si annodassero.
A ciò si aggiunga che era sola ed a volte si sentiva persa. Piangeva perché il calore sincero di Matteo in momento di forte fragilità emotiva, le aveva fatto uscire questo peso che aveva sul petto. Da tempo tratteneva dentro le sue tensioni e sentiva il bisogno di sfogarsi, di abbandonarsi, di far defluire i propri pensieri verso chi era in grado di ascoltarli.
La cena si era fermata e lei aveva avuto modo, dopo essersi sfogata, di riprendersi.
"Scusa, adesso è passato, sto meglio, grazie. E’ stato un momento di debolezza. Avevo sperato tanto. Andrò ad altri colloqui".
Matteo fece bene alla sua autostima, complimentandosi per il lavoro e lo studio, per la sua bravura nel vivere e gestire l’avventura di vita che aveva intrapreso da sola.
"Schola, magistra vitae est, è una frase che si studia ma il cui vero significato si apprende solo a studi finiti".
Si stava asciugando le ultime lacrime col dorso della mano.
Il pianto che aveva interrotto la cena si era ormai placato. Il dolore era uscito e le era tornato il sorriso, anche se con cenni di forzatura per evitare di appesantire la serata.
"Vorrei chiederti una cosa, ma mi sembra di rovinare questo ambiente caldo".
Il sorriso ricevuto in cambio la rassicurò.
"L’altra sera, quando eri seduto in poltrona coi tuoi piedi su di me, mi sono sentita, come dire, rilassata. Ti vedevo comodo e mi sentivo parte di un calore mentre dall’alto mi guardavi sorridendo. Io non ho più fame e mi piacerebbe mettermi sotto il tavolo in modo che tu possa appoggiare i tuoi piedi su di me mentre continui la cena".
L’erotismo era forse il collante principale e, pertanto, voleva in esso trovare sollievo.
Matteo le accarezzò il viso che aveva ripreso a sorridere.
"Vai sotto il tavolo".
La ragazza si stese a terra. Il tempo di sistemarsi e sopra di sé ebbe i piedi di Matteo sul ventre e sui seni.
"Sei comoda?"
Le piacevano comunque quelle attenzioni nonostante stesse svolgendo la funzione di poggiapiedi.
"Sì, io sto bene. Tu sei comodo?"
Mentre pronunciava la domanda, si rese conto dell’ovvietà della risposta. Nel tono Matteo percepì comunque l’attenzione verso le sue esigenze.
"Comodissimo".
Pose la pianta del piede sulla bocca per ricevere un bacio e poi lo posò sul petto morbido.
Quei pochi chili in più davano comodità ai suoi piedi.
Matteo era eccitato. Continuò a cenare tranquillamente traendo molto piacere dall’avere la giovane quale poggiapiedi.
Mangiò lentamente.
"Hai fame?"
"No, sto bene così".
"Il piatto che sto mangiando adesso lo avevo preparato per te, perché ho visto che l’altro giorno al ristorante lo avevi apprezzato".
Anna sorrise dell’attenzione che le fece piacere.
"Mi piacerebbe che almeno lo assaggiassi. Vuoi?"
Senza attendere risposta, gettò a terra un boccone che Anna raccolse per mangiarlo.
"E’ molto buono".
La ragazza accarezzò i piedi.
Gettò a terra un altro boccone, eccitato da quel gesto tipico di chi lancia cibo ad un cane.
Matteo le fece spostare il viso in modo da offrire la guancia sulla quale appoggiò il piede.
"Ti faccio male?"
Sì, le faceva male perché lui appoggiava tutto il peso sopra, come fosse un cuscino.
"No, va benissimo".
Le piaceva dare piacere, anche a costo del proprio dolore o scomodità.
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