La neve

di
genere
sentimentali

Gli piaceva restare vestito mentre la schiava era nuda.
Lo trovava eccitante perchè amplificava la differenza dei due ruoli, resi tali dall’esigenza di soddisfare reciproche esigenze.
Sara era stesa ai piedi della poltrona.
I polsi legati dietro alla schiena.
Bendata.
Il totale potere su altra persona lo eccitava, gli alimentava un fuoco che scaldava una sola parte della sua anima, quella del piacere, il piacere crudo, forte, quello che lo riempiva fino a raggiungere ogni poro per fermarsi sulla soglia, senza voler uscire per restare dentro, a sua volta schiacciato da altro piacere che arrivava e non poteva uscire, fino a portarlo all’esigenza dell’orgasmo liberatorio, quello che faceva uscire tutta la pressione accumulata da tempo, col tempo, nel tempo, da quando avevano iniziato a programmare l’incontro con quella donna che, in quel momento, nuda, lo attendeva a terra, con le natiche segnate dal frustino che reggeva ancora in mano.
Marco stava guardando fuori dalla finestra, nella penombra della sua abitazione.
Quell’ambientazione era fredda, nonostante il camino acceso in quella sera invernale. Fredda perchè studiata a tavolino, prima dell’arrivo della donna, la sua attuale compagna di giochi erotici, la sua schiava. Le fiamme rilasciavano una luce che si scontrava con il legno dei mobili e la pelle delle poltrone. Nulla di spontaneo, tutto calcolato per costruire una ambientazione tesa al gioco erotico, all’eccitazione, quella pura che non abbisogna di inutili contorni emotivi, senza implicazioni, facile al punto da ridurre moltissimo il rischio di quella sofferenza che i rapporti inevitabilmente generano.
Aveva conservato l’abitudine di giocare con l’anello d’oro all’anulare sinistro, anche dopo tutti gli anni che lo aveva tolto. Il pollice lo cercava inutilmente per farlo ruotare. Gli piaceva, quando lo indossava, sentirlo, saggiarne la consistenza, inizialmente vivendolo quale conferma e, negli ultimi anni, avvertendo la costrizione di una relazione che lo aveva ferito, li aveva feriti, entrambi.
Sorrise di quel gesto automatico che fermò immediatamente mentre, ancora in automatico, volse lo sguardo sul tavolino, dove aveva lasciato la cornice con la foto di Simona, scattata durante il viaggio di nozze ai piedi della Statua della Libertà, quale promessa di una vita futura che ancora non sapeva avrebbe fatto i conti con una diversa realtà.
Aveva conservato quella foto, unico oggetto in casa che gli ricordava gli ultimi 25 anni di vita.
Il cazzo era duro, se lo sentiva premere nei pantaloni, testimonianza delle sensazioni vissute nell’ultima ora, quando Sara, appena entrata, aveva aperto il soprabito per rivelare il suo corpo vestito della sua sola bellezza e delle calze autoreggenti.
Era stato un suo ordine volto a soddisfare reciproche esigenze, entrambe egoistiche.
A lui piaceva l’obbedienza.
A lei piaceva l’esibizione, essere vista, giocare col proprio giovane corpo attirando sguardi e generando desideri negli sconosciuti. Aveva fatto in modo che il taxista potesse immaginare il contenuto del cappotto mentre gli chiedeva di alzare il riscaldamento dell’abitacolo.
Appena entrata le aveva ordinato di rivelargli il corpo, quello strumento per il piacere di entrambi.
Erano state le uniche parole pronunciate fino a quel momento. Non ne servivano altre, a nessuno dei due. Erano più che sufficienti.
Ci sapeva fare Sara, eccome se ci sapeva fare. Un piede era sulla punta in modo che il ginocchio fosse appena alzato a contatto con l’altra gamba mentre il cappotto, lentamente era scivolato a terra ai suoi piedi.
Marco guardava dalla finestra e ripensò al momento in cui aveva abbassato le ginocchia a terra, per raggiungerlo a 4 zampe ancheggiando, come volesse richiamare colui che avrebbe avuto su di lei il potere, in quella danza tipica della seduzione, nella quale colei che viene poi comandata, all’inizio comanda, mostrando il cerchio aperto, invitando l’altro ad entrare e dettando le regole con la sensualità dei propri movimenti, per fare intendere il desiderio, la voglia, il piacere di quanto potrà avvenire all’interno del cerchio che, dopo che il guinzaglio sarà stato attaccato, vedrà le regole cambiate ed il potere consegnato con quei confini inizialmente segnati.
Da qualche tempo stava nevicando.
Gli piaceva vedere tutto coperto di bianco, quando i batuffoli, scendendo lentamente, avvolgono e assorbono, creando un ambiente pulito eppure freddo. I suoni sono attenuati, le auto coperte ed i fari cambiano luce. I passi divengono felpati ed il mondo si calma, tutto procede lentamente.
La vita diventa una cartolina, quasi immobile, senza quelle cose tipiche della vita, i suoni, le voci che animano la strada e che la neve soffoca, donando bellezza a ciò che congela e nasconde.
Anche i colori spariscono, assorbiti dal buio e coperti dal manto bianco dove l’unica emozione è dettata dall’assenza di anima.
Il suo pensiero tornò a Sara, stesa, nuda, in suo potere, promessa di piacere e di orgasmo procurato dalla sola soddisfazione del proprio erotismo, ignorando il piacere di lei e, anzi, traendo eccitazione dalla possibilità di non doverci pensare, lasciando a lei la ricerca del proprio, indipendente dal suo.
Ormai si vedevano da qualche mese, nel corso dei quali gli incontri saranno stati una decina. Nel poco tempo non dedicato al piacere, si erano trasmessi alcuni pensieri, racconti di vita, quelle cose inevitabili quando ci si trova in attesa di un aperitivo o di una cena al ristorante sotto casa, dopo un pomeriggio di erotismo estremo. Cenare fuori era il frutto di un accordo tacito per evitare di vivere in casa una situazione intima inesistente.
Avevano iniziato a parlare di sé e ad ascoltare, ed i reciproci corpi avevano iniziato ad avere un colore, quello dei loro pensieri, quello delle loro risate.
Lei aveva un modo buffo di arricciare il naso quando si apprestava a contraddire un pensiero ascoltato, mentre lui si sistemava i capelli ogni qual volta un argomento intimo lo metteva a disagio.
La neve continuava a cadere e lui pensava al momento in cui il calore avrebbe iniziato a scioglierla, rivelando ciò che stava nascondendo.
Tornò verso di lei.
Il cazzo era ancora duro, eccitato dal potere e dalla bellezza del corpo nudo segnato dal frustino.
Stette attento a non inciampare nel guinzaglio che incatenava il collo della schiava alla gamba della poltrona.
Si sedette e pose un piede sulla testa della donna.
Col frustino le accarezzò il fianco esposto e trasse un brivido di piacere nell’osservare la sua paura mentre, inconsciamente, offriva nuovamente il proprio corpo al prossimo colpo.
Sapeva che la eccitava il dolore, che lo trovava liberatorio, che assorbiva ogni pensiero concentrando tutta sé stessa sull’attesa del dolore e sul suo assorbimento e, in quei secondi, liberava la testa da tutto, creando un cerchio privato all’interno di quel cerchio dove si trovavano loro due.
Decise di negarle il dolore o, anzi, di rimandarlo, lasciandola nell’attesa.
Si abbassò la cerniera e fece uscire la testimonianza del suo piacere.
Pensò che quello avrebbe potuto essere il loro ultimo incontro.
“Mettiti in ginocchio e succhia, cagna!”.
di
scritto il
2023-12-05
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