Pigmei - la cattura delle schiave (parte 2)
di
Kugher
genere
sadomaso
Le schiave da soma, destinate al trasporto dei materiali, vennero lasciate in centro.
Alla guida della carovana c’era colui che era apparso evidente essere il capo. In ultimo vi era un altro pigmeo che aveva un ruolo importante nella gerarchia del gruppo.
Prima di partire Chanel e le schiave si infilarono i calzari che gli uomini avevano consegnato al momento della cattura e dopo averle denudate.
Erano più o meno a misura unica, legati con lacci in modo che stessero fermi. Impararono quasi subito a legarli bene e a camminare.
Li avevano anche i pigmei, uguali identici, facendone una questione di comodità e non di status.
Altri uomini, sempre sulla schiena delle cavalle umane, curavano che l’andatura fosse regolare.
Il suono della frustata segnalava che qualcuna era stata punita per avere rallentato o perso qualche oggetto.
Le cavalle utilizzate dai cavalieri destinati al controllo erano le più svantaggiate in quanto dovevano spesso tornare indietro verso la fine della carovana per controllare le schiave e, poi, tornare in cima alla fila.
Nessun pigmeo camminava, avendo a disposizione abbastanza schiave da usare come cavalle e da trasporto.
Chanel era quasi in fondo alla fila. Non avevano un gran peso sulle spalle in quanto il loro numero era tale da suddividere il carico.
Era l’unica a non tenere lo sguardo basso. Inizialmente anche lei si era uniformata al comportamento delle altre.
Quando lei e le sue compagne di viaggio erano state catturate, erano state unite ad un gruppo già esistente, incrementando così il numero delle schiave.
Tutte camminavano con lo sguardo basso e, così, aveva creduto che fosse un ordine dei Padroni. A questi, invece, non interessava nulla. Aveva iniziato a guardarsi in giro e nessuno le aveva ordinato di abbassare la testa.
Scoprì che non guardare l’orizzonte era quasi più rassicurante in quanto non dava modo di vedere quanto spazio vi fosse davanti e quanto fosse stato percorso. Inoltre gli ampi spazi erano simbolo di quella libertà a loro sottratta e, guardarli, faceva male.
Lei, invece, preferiva vedere e sapere, guardare, osservare, capire. Cercava di acquisire informazioni sugli usi dei piccoli uomini. Voleva conoscere le loro abitudini, studiare il territorio e la sua conformazione. Voleva acquisire il maggior numero di informazioni che, sperava, avrebbero potuto tornarle utili per la fuga, pensiero, questo, che non l’aveva mai abbandonata spinta dalla volontà di ritornare a casa, in Francia, nella sua Parigi, andare a Versailles o dall’amico Conte nella Loira a fare sesso e a divertirsi.
Voleva ricominciare ad essere lei ad usare la frusta sulle serve o sugli stallieri, uomini forti e rudi, in grado di sopportare molti colpi forti, eccitantissimi.
Le venne in mente quando quel giovane stalliere, del quale nemmeno ricordava il nome, era stato trovato a rubare.
Invece di denunciarlo al padre, lo aveva frustato e calpestato mentre scopava con il suo amante.
Una frustata la richiamò all’ordine, arrabbiata con sé stessa per essersi distratta. Cominciava ad attribuire alle proprie colpe il fatto di essere punita.
Se ne rese conto e questo la spaventò, come se iniziasse a rassegnarsi alla prigionia.
Il Pigmeo che l’aveva colpita si era allontanato subito dopo, dirigendosi verso altra schiava che mostrava troppa fatica nel portare il carico che le era stato assegnato e stava rallentando il passo.
La cavalla era stata catturata assieme a lei. Aveva conosciuto in nave la marchesina Antoinette, donna bella e sportiva per quanto lo potesse essere una donna, seppur giovane, della nobiltà.
La sua forma fisica probabilmente aveva attirato i pigmei che molto spesso la usavano in quel modo.
Si erano guardate negli occhi nei pochi momenti in cui erano state vicine prima della sua punizione.
La marchesina aveva ancora gli occhi spaventati e velati da quella sensazione che lei continuava a respingere fortemente: la rassegnazione.
Nello sguardo di Antoinette aveva visto quasi una irrazionale richiesta di aiuto, come se lei potesse fare qualcosa per andare in suo soccorso.
In realtà, sapeva, era solo un modo per fare uscire ciò che l’aveva sconvolta e della quale capiva che sarebbe stato il suo futuro.
Sulla nave era nata una simpatia tra lei e quella cavalla.
Cavalla.
Si arrabbiò con sé stessa perché cominciava a vedere le altre donne catturate nella funzione cui erano destinate.
Non doveva arrendersi, non doveva arrivare a dare per scontata la nuova realtà che doveva essere solo provvisoria, in attesa del suo ritorno alle feste di Versailles, agli ambienti pettegoli di Corte e ai rapporti clandestini tanto divertenti e poco impegnativi.
Aveva trascorso una notte con Antoinette. Avevano scoperto di avere in comune amici e il desiderio di rapporti saffici.
Ad entrambe, ragazze viziate della nobiltà, piaceva divertirsi con coloro che definivano “esseri inferiori”. Si eccitavano ad umiliarli e a godere della loro posizione.
La sua amica di letto, mentre si eccitavano toccandosi, le aveva raccontato che era solita fare mettere la serva a 4 zampe e farsi portare sulla schiena, punendola se avesse ceduto troppo presto.
Avevano programmato che, una volta tornate in Francia, avrebbero dato luogo ad un loro incontro con qualche servo, magari dopo che era stato colto in fallo e, così, con la scusa della punizione, si sarebbero divertite entrambe.
Si erano leccate a lungo e, dopo l’escursione del giorno successivo, avevano deciso che con una scusa qualsiasi si sarebbero divertite umiliando una delle rispettive serve.
Con ancora quell’eccitazione nelle vene erano salite in carrozza per effettuare l’escursione nel territorio africano.
Stavano ridendo e fantasticando, sedute comodamente sul divanetto impreziosito da raffinati tessuti, quando erano state attaccate da quegli uomini piccoli che, in un attimo, avevano avuto la meglio sulla loro scorta, impacciata dai vestiti d’ordinanza e, soprattutto, distratta dalla propria sicurezza.
Dopo pochissimi concitati momenti, si erano viste circondate da quegli uomini che le avevano trascinate giù dalla carrozza.
Quando erano scese, si resero conto che le altre donne erano già state trascinate a terra e, a colpi di frusta, si stavano spogliando.
Restarono inebetite e, per questo, furono subito colpite per la loro inattività. Pur non comprendendo il significato della lingua con la quale erano investite da ordini, capirono che dovevano imitare le altre.
Furono necessarie altre frustate per vincere la loro resistenza e incredulità verso quanto stava accadendo.
In particolare si erano accaniti su Antoinette e la stavano colpendo ripetutamente, finché lei stessa non cadde a terra.
Restò basita quando uno dei due uomini salì in piedi sull’amica e cominciò a rivolgersi a lei minacciando una frustata.
La donna, attonita e spaventata, restò ferma con l‘uomo in piedi sopra di lei. Non era pesante e lo reggeva agevolmente e, almeno, aveva smesso di frustarla.
L’uomo restò in piedi sulla ragazza finché Chanel non si fosse completamente denudata. Poi scese e, con una spinta col piede, invitò Antoinette a fare altrettanto.
Alla guida della carovana c’era colui che era apparso evidente essere il capo. In ultimo vi era un altro pigmeo che aveva un ruolo importante nella gerarchia del gruppo.
Prima di partire Chanel e le schiave si infilarono i calzari che gli uomini avevano consegnato al momento della cattura e dopo averle denudate.
Erano più o meno a misura unica, legati con lacci in modo che stessero fermi. Impararono quasi subito a legarli bene e a camminare.
Li avevano anche i pigmei, uguali identici, facendone una questione di comodità e non di status.
Altri uomini, sempre sulla schiena delle cavalle umane, curavano che l’andatura fosse regolare.
Il suono della frustata segnalava che qualcuna era stata punita per avere rallentato o perso qualche oggetto.
Le cavalle utilizzate dai cavalieri destinati al controllo erano le più svantaggiate in quanto dovevano spesso tornare indietro verso la fine della carovana per controllare le schiave e, poi, tornare in cima alla fila.
Nessun pigmeo camminava, avendo a disposizione abbastanza schiave da usare come cavalle e da trasporto.
Chanel era quasi in fondo alla fila. Non avevano un gran peso sulle spalle in quanto il loro numero era tale da suddividere il carico.
Era l’unica a non tenere lo sguardo basso. Inizialmente anche lei si era uniformata al comportamento delle altre.
Quando lei e le sue compagne di viaggio erano state catturate, erano state unite ad un gruppo già esistente, incrementando così il numero delle schiave.
Tutte camminavano con lo sguardo basso e, così, aveva creduto che fosse un ordine dei Padroni. A questi, invece, non interessava nulla. Aveva iniziato a guardarsi in giro e nessuno le aveva ordinato di abbassare la testa.
Scoprì che non guardare l’orizzonte era quasi più rassicurante in quanto non dava modo di vedere quanto spazio vi fosse davanti e quanto fosse stato percorso. Inoltre gli ampi spazi erano simbolo di quella libertà a loro sottratta e, guardarli, faceva male.
Lei, invece, preferiva vedere e sapere, guardare, osservare, capire. Cercava di acquisire informazioni sugli usi dei piccoli uomini. Voleva conoscere le loro abitudini, studiare il territorio e la sua conformazione. Voleva acquisire il maggior numero di informazioni che, sperava, avrebbero potuto tornarle utili per la fuga, pensiero, questo, che non l’aveva mai abbandonata spinta dalla volontà di ritornare a casa, in Francia, nella sua Parigi, andare a Versailles o dall’amico Conte nella Loira a fare sesso e a divertirsi.
Voleva ricominciare ad essere lei ad usare la frusta sulle serve o sugli stallieri, uomini forti e rudi, in grado di sopportare molti colpi forti, eccitantissimi.
Le venne in mente quando quel giovane stalliere, del quale nemmeno ricordava il nome, era stato trovato a rubare.
Invece di denunciarlo al padre, lo aveva frustato e calpestato mentre scopava con il suo amante.
Una frustata la richiamò all’ordine, arrabbiata con sé stessa per essersi distratta. Cominciava ad attribuire alle proprie colpe il fatto di essere punita.
Se ne rese conto e questo la spaventò, come se iniziasse a rassegnarsi alla prigionia.
Il Pigmeo che l’aveva colpita si era allontanato subito dopo, dirigendosi verso altra schiava che mostrava troppa fatica nel portare il carico che le era stato assegnato e stava rallentando il passo.
La cavalla era stata catturata assieme a lei. Aveva conosciuto in nave la marchesina Antoinette, donna bella e sportiva per quanto lo potesse essere una donna, seppur giovane, della nobiltà.
La sua forma fisica probabilmente aveva attirato i pigmei che molto spesso la usavano in quel modo.
Si erano guardate negli occhi nei pochi momenti in cui erano state vicine prima della sua punizione.
La marchesina aveva ancora gli occhi spaventati e velati da quella sensazione che lei continuava a respingere fortemente: la rassegnazione.
Nello sguardo di Antoinette aveva visto quasi una irrazionale richiesta di aiuto, come se lei potesse fare qualcosa per andare in suo soccorso.
In realtà, sapeva, era solo un modo per fare uscire ciò che l’aveva sconvolta e della quale capiva che sarebbe stato il suo futuro.
Sulla nave era nata una simpatia tra lei e quella cavalla.
Cavalla.
Si arrabbiò con sé stessa perché cominciava a vedere le altre donne catturate nella funzione cui erano destinate.
Non doveva arrendersi, non doveva arrivare a dare per scontata la nuova realtà che doveva essere solo provvisoria, in attesa del suo ritorno alle feste di Versailles, agli ambienti pettegoli di Corte e ai rapporti clandestini tanto divertenti e poco impegnativi.
Aveva trascorso una notte con Antoinette. Avevano scoperto di avere in comune amici e il desiderio di rapporti saffici.
Ad entrambe, ragazze viziate della nobiltà, piaceva divertirsi con coloro che definivano “esseri inferiori”. Si eccitavano ad umiliarli e a godere della loro posizione.
La sua amica di letto, mentre si eccitavano toccandosi, le aveva raccontato che era solita fare mettere la serva a 4 zampe e farsi portare sulla schiena, punendola se avesse ceduto troppo presto.
Avevano programmato che, una volta tornate in Francia, avrebbero dato luogo ad un loro incontro con qualche servo, magari dopo che era stato colto in fallo e, così, con la scusa della punizione, si sarebbero divertite entrambe.
Si erano leccate a lungo e, dopo l’escursione del giorno successivo, avevano deciso che con una scusa qualsiasi si sarebbero divertite umiliando una delle rispettive serve.
Con ancora quell’eccitazione nelle vene erano salite in carrozza per effettuare l’escursione nel territorio africano.
Stavano ridendo e fantasticando, sedute comodamente sul divanetto impreziosito da raffinati tessuti, quando erano state attaccate da quegli uomini piccoli che, in un attimo, avevano avuto la meglio sulla loro scorta, impacciata dai vestiti d’ordinanza e, soprattutto, distratta dalla propria sicurezza.
Dopo pochissimi concitati momenti, si erano viste circondate da quegli uomini che le avevano trascinate giù dalla carrozza.
Quando erano scese, si resero conto che le altre donne erano già state trascinate a terra e, a colpi di frusta, si stavano spogliando.
Restarono inebetite e, per questo, furono subito colpite per la loro inattività. Pur non comprendendo il significato della lingua con la quale erano investite da ordini, capirono che dovevano imitare le altre.
Furono necessarie altre frustate per vincere la loro resistenza e incredulità verso quanto stava accadendo.
In particolare si erano accaniti su Antoinette e la stavano colpendo ripetutamente, finché lei stessa non cadde a terra.
Restò basita quando uno dei due uomini salì in piedi sull’amica e cominciò a rivolgersi a lei minacciando una frustata.
La donna, attonita e spaventata, restò ferma con l‘uomo in piedi sopra di lei. Non era pesante e lo reggeva agevolmente e, almeno, aveva smesso di frustarla.
L’uomo restò in piedi sulla ragazza finché Chanel non si fosse completamente denudata. Poi scese e, con una spinta col piede, invitò Antoinette a fare altrettanto.
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