Pigmei - la cattura delle schiave (parte 1)
di
Kugher
genere
sadomaso
Chanel aveva il sonno inquieto. Aveva incubi e, mentre li aveva, ne era conscia pur continuando a confondere sogno e realtà.
Le si accavallavano i ricordi con continui cambi di immagini che si sovrapponevano tra loro.
Si vedeva salire sulla carrozza messa a disposizione della sua famiglia dal Duca Olivier, amico di lunga data di sua madre con la quale, sospettava, avesse anche una relazione sessuale.
Le piaceva quell’uomo e quel viaggio era stato organizzato da tempo.
Le immagini tornarono al momento in cui la serva Louise aveva introdotto il Duca nella sala dedicata al ricevimento degli ospiti illustri.
Quella scena si sovrappose al viaggio in carrozza verso la grande nave che li avrebbe portati a destinazione.
La servitù della sua famiglia e del Duca era stata messa in un'altra carrozza, meno raffinata. Lei e sua madre, stavano apprezzando le stoffe che ricoprivano i sedili imbottiti che si erano trasformati in quelli dei divani della sala da tea della nave, mentre lei aveva chiamato irritata la serva affinchè le raccogliesse il cucchiaino caduto, col timore che avrebbe potuto sporcare il vestito candido.
D’improvviso l’abito le apparve stracciato e tutto sporco al punto che Louise, la serva, le sembrava vestita meglio.
Sentiva aria sulla pelle e non capiva il motivo in quanto il vestito lungo, nonostante il caldo, la stava coprendo ogni centimetro della pelle bianca della quale era tanto gelosa, avendola sempre preservata dal sole.
L’incubo la tormentava facendole avvertire il contatto con altra persona mentre dormiva nell’ampio letto a baldacchino della suite dedicata alla nobiltà.
Era impossibile che lei condividesse il letto, tanto più con la serva che le sembrava di vedere accanto a lei e che, ora, era anch’essa vestita con abiti stracciati col rischio che le sporcasse le lenzuola di lino.
Doveva essere entrato un servitore del continente nel quale la nave li aveva portati perchè non capiva cosa le stesse dicendo, infastidita dal fatto che quell’uomo fosse entrato in cabina e l’avesse vista a letto con la sua serva.
Il sogno dilata i tempi e le sembrò che quella voce gutturale e maschile le parlasse a lungo prima di sentirsi scutere sgarbatamente.
Aprì gli occhi e la mente, proiettata nella realtà, la sottopose a nuovo shock.
Vedeva, dal basso, quell’uomo dalle fattezze a lei strane che la stava svegliando con un piede.
Si trovava a terra, seminuda in quanto non vi era quasi più traccia degli abiti che indossava al momento in cui furono catturate.
La serva Louise era già in piedi e, incatenata a lei, stava aspettando che si alzasse.
Il piccolo uomo iniziò a frustarla per farla alzare, spazientito dal troppo tempo impiegato per mettere in riga la merce e poter proseguire il cammino.
Le parlava in una lingua sconosciuta, gutturale ed il tono grave era in contrasto con la bassa statura.
Si avvicinò altro uomo della medesima bassa statura, tarchiato, evidentemente di grado superiore, in quanto sembrava che lo stesse insultando per la sua incapacità di gestire la situazione.
Chanel ricevette un'altra spinta col piede, una frustata e fu presa per i capelli dal nuovo venuto che la costrinse ad alzarsi.
Rimase accecata da quella luce particolare, forte, intensa. Non si era ancora abituata a quella diversa illuminazione tipica di quel continente.
Quando il Duca le aveva proposto il viaggio, le aveva anticipato che ne sarebbe stata affascinata.
Non ebbe mai modo di apprezzarla in quanto erano state catturate poco dopo lo sbarco, durante la prima escursione.
Una volta in piedi ebbe modo di accertarsi che entrambi gli uomini davanti a lei le arrivavano all’ombelico.
Era talmente frastornata che non sentiva nemmeno i profumi della natura ai quali, in Francia, non era abituata.
La spaventò il loro sguardo, gli occhi con i quali la guardavano, freddi, distaccati. Fossero stati ostili l’avrebbero forse colpita di meno.
Lei, donna altezzosa della nobiltà francese, dedicava ai suoi servi uno sguardo meno freddo in quanto, benché inferiori, sono pur sempre esseri umani.
Erano nudi, fatta eccezione per un gonnellino. Intorno alla vita una cintura teneva un rudimentale coltello ed una frusta.
Intorno a lei alcune schiave avevano già iniziato a smontare il piccolissimo accampamento.
La comitiva viaggiava leggera. Il caldo non richiedeva nemmeno abiti particolari.
Istintivamente cercò di coprirsi, non essendosi abituata a stare nuda, così come tutte le altre schiave ma, lei, non era come tutte le altre, lei era una nobile, ammessa alla corte di Re Luigi XVI.
L’uomo davanti a lei si spazientì ulteriormente e, con quella lingua incomprensibile, le diede un ordine compreso solo per la gestualità che le aveva indicato le cose da raccogliere per poter partire.
Chanel si girò per iniziare il lavoro e ricevette un'altra frustata che la fece cadere a terra, urlando e piangendo, più dalla disperazione che dal dolore.
L’uomo le mise un piede sul collo impedendole di rialzarsi.
La schiacciò al suolo facendole molto male. Non ne poteva già più delle frustate ma ne ricevete altre due.
Alle prime ricevute aveva pensato alla sua bella e curata pelle bianca, sempre protetta dal sole per tenerla candida, rovinata dal colpo ricevuto.
Dopo 3 giorni di prigionia aveva abbandonato quel pensiero, tutta concentrata sul dolore.
Pianse ulteriormente pensando che cominciava a considerare normale ciò che era anormale, rassegnandosi all’impotenza e al fatto che, ormai, era condannata alle frustate finché non fosse riuscita a fuggire, suo primo pensiero.
Era ancora con la faccia nella terra. Pensò all’ultima volta che aveva potuto fare un bagno caldo e rilassante. Adorava lavarsi più volte al giorno, farsi accarezzare prima dall’acqua calda e, poi, dalla mano della sua serva che le spalmava sul corpo la crema.
Ogni tanto, mentre Louise era inginocchiata per fare il suo lavoro sulle lunghe gambe, riceveva il suo amante, il Marchese Philippe che le accarezzava il seno e la baciava sul collo e in bocca.
Si sentiva sporca, adesso, stesa in terra sul ventre, non essendosi ancora abituata alla mancanza di acqua e sognando, come primo atto dopo la fuga, di potersi lavare a lungo, strofinando la bella pelle bianca fino a strapparsi di dosso il senso di sporco e di odore che sentiva entrati dentro di lei.
In quel vortice infinito di sensazioni, il suo aguzzino le salì sulla schiena, usandola come predellino. Lo facevano spesso con le schiave.
Approfittando della sua posizione sopraelevata rispetto ai suoi compagni di tribù, utilizzò quel palco umano per dare ordini agli altri.
Erano piccoli e abbastanza leggeri. Li reggeva abbastanza agevolmente, anche se in quel momento aveva un sasso in corrispondenza delle costole che le faceva un male terribile, non osando lamentarsi e, anzi, aspettando che l’uomo scendesse da lei.
Il sole cominciava a scaldare. Il lavoro le aveva già procurato calore, che sarebbe aumentato durante la giornata con il caldo e lo sforzo della marcia.
Ebbe timore di conoscere quale sarebbe stato il suo ruolo durante il viaggio.
Gli uomini che le avevano catturate le usavano per il trasporto dei materiali, anche se pochi. Loro non portavano nulla se non i loro coltelli, le fruste e la borraccia.
Alzatasi, cercò di scrollarsi di dosso la polvere e darsi una sistemata ai capelli, attività che, benché inutile, le dava la sensazione di non arrendersi e di voler a tutti i costi conservare un minimo di dignità, non volendo che le venisse strappato tutto.
Lo fece mentre si diresse al compito assegnatole, impaurita dalla possibile ulteriore frustata.
Ritirò tutto velocemente come aveva imparato a fare.
Le si avvicinò un altro uomo che le ordinò di caricarsi sulle spalle quanto aveva appena raccolto.
Le era andata bene, almeno per l’inizio della giornata.
Con enorme sollievo vide che furono altre le schiave alle quali venne infilata l’imbragatura che, in realtà, avrebbe potuto essere definita “sella”.
Le schiave, infatti, venivano usate come cavalle per i pigmei che, leggeri, potevano essere trasportati sulle schiene.
L’imbragatura consentiva ai Padroni di stare seduti sui lombi, mantenendo il baricentro dell’animale basso che, così, avrebbe fatto meno fatica e avrebbe svolto quella funzione più a lungo in termini di tempo ed in termini di ore di spostamento.
Le cavalle vennero fatte abbassare per consentire ai cavalieri di montare loro in groppa. Con un comando consistente nella stretta ai fianchi con le gambe e a un colpetto con le redini verso l’alto, si poterono alzare.
Tutte le cavalle restarono in piedi, ferme, in attesa dell’ordine di partire che venne dato dal capo carovana, seguito da tutti.
Le si accavallavano i ricordi con continui cambi di immagini che si sovrapponevano tra loro.
Si vedeva salire sulla carrozza messa a disposizione della sua famiglia dal Duca Olivier, amico di lunga data di sua madre con la quale, sospettava, avesse anche una relazione sessuale.
Le piaceva quell’uomo e quel viaggio era stato organizzato da tempo.
Le immagini tornarono al momento in cui la serva Louise aveva introdotto il Duca nella sala dedicata al ricevimento degli ospiti illustri.
Quella scena si sovrappose al viaggio in carrozza verso la grande nave che li avrebbe portati a destinazione.
La servitù della sua famiglia e del Duca era stata messa in un'altra carrozza, meno raffinata. Lei e sua madre, stavano apprezzando le stoffe che ricoprivano i sedili imbottiti che si erano trasformati in quelli dei divani della sala da tea della nave, mentre lei aveva chiamato irritata la serva affinchè le raccogliesse il cucchiaino caduto, col timore che avrebbe potuto sporcare il vestito candido.
D’improvviso l’abito le apparve stracciato e tutto sporco al punto che Louise, la serva, le sembrava vestita meglio.
Sentiva aria sulla pelle e non capiva il motivo in quanto il vestito lungo, nonostante il caldo, la stava coprendo ogni centimetro della pelle bianca della quale era tanto gelosa, avendola sempre preservata dal sole.
L’incubo la tormentava facendole avvertire il contatto con altra persona mentre dormiva nell’ampio letto a baldacchino della suite dedicata alla nobiltà.
Era impossibile che lei condividesse il letto, tanto più con la serva che le sembrava di vedere accanto a lei e che, ora, era anch’essa vestita con abiti stracciati col rischio che le sporcasse le lenzuola di lino.
Doveva essere entrato un servitore del continente nel quale la nave li aveva portati perchè non capiva cosa le stesse dicendo, infastidita dal fatto che quell’uomo fosse entrato in cabina e l’avesse vista a letto con la sua serva.
Il sogno dilata i tempi e le sembrò che quella voce gutturale e maschile le parlasse a lungo prima di sentirsi scutere sgarbatamente.
Aprì gli occhi e la mente, proiettata nella realtà, la sottopose a nuovo shock.
Vedeva, dal basso, quell’uomo dalle fattezze a lei strane che la stava svegliando con un piede.
Si trovava a terra, seminuda in quanto non vi era quasi più traccia degli abiti che indossava al momento in cui furono catturate.
La serva Louise era già in piedi e, incatenata a lei, stava aspettando che si alzasse.
Il piccolo uomo iniziò a frustarla per farla alzare, spazientito dal troppo tempo impiegato per mettere in riga la merce e poter proseguire il cammino.
Le parlava in una lingua sconosciuta, gutturale ed il tono grave era in contrasto con la bassa statura.
Si avvicinò altro uomo della medesima bassa statura, tarchiato, evidentemente di grado superiore, in quanto sembrava che lo stesse insultando per la sua incapacità di gestire la situazione.
Chanel ricevette un'altra spinta col piede, una frustata e fu presa per i capelli dal nuovo venuto che la costrinse ad alzarsi.
Rimase accecata da quella luce particolare, forte, intensa. Non si era ancora abituata a quella diversa illuminazione tipica di quel continente.
Quando il Duca le aveva proposto il viaggio, le aveva anticipato che ne sarebbe stata affascinata.
Non ebbe mai modo di apprezzarla in quanto erano state catturate poco dopo lo sbarco, durante la prima escursione.
Una volta in piedi ebbe modo di accertarsi che entrambi gli uomini davanti a lei le arrivavano all’ombelico.
Era talmente frastornata che non sentiva nemmeno i profumi della natura ai quali, in Francia, non era abituata.
La spaventò il loro sguardo, gli occhi con i quali la guardavano, freddi, distaccati. Fossero stati ostili l’avrebbero forse colpita di meno.
Lei, donna altezzosa della nobiltà francese, dedicava ai suoi servi uno sguardo meno freddo in quanto, benché inferiori, sono pur sempre esseri umani.
Erano nudi, fatta eccezione per un gonnellino. Intorno alla vita una cintura teneva un rudimentale coltello ed una frusta.
Intorno a lei alcune schiave avevano già iniziato a smontare il piccolissimo accampamento.
La comitiva viaggiava leggera. Il caldo non richiedeva nemmeno abiti particolari.
Istintivamente cercò di coprirsi, non essendosi abituata a stare nuda, così come tutte le altre schiave ma, lei, non era come tutte le altre, lei era una nobile, ammessa alla corte di Re Luigi XVI.
L’uomo davanti a lei si spazientì ulteriormente e, con quella lingua incomprensibile, le diede un ordine compreso solo per la gestualità che le aveva indicato le cose da raccogliere per poter partire.
Chanel si girò per iniziare il lavoro e ricevette un'altra frustata che la fece cadere a terra, urlando e piangendo, più dalla disperazione che dal dolore.
L’uomo le mise un piede sul collo impedendole di rialzarsi.
La schiacciò al suolo facendole molto male. Non ne poteva già più delle frustate ma ne ricevete altre due.
Alle prime ricevute aveva pensato alla sua bella e curata pelle bianca, sempre protetta dal sole per tenerla candida, rovinata dal colpo ricevuto.
Dopo 3 giorni di prigionia aveva abbandonato quel pensiero, tutta concentrata sul dolore.
Pianse ulteriormente pensando che cominciava a considerare normale ciò che era anormale, rassegnandosi all’impotenza e al fatto che, ormai, era condannata alle frustate finché non fosse riuscita a fuggire, suo primo pensiero.
Era ancora con la faccia nella terra. Pensò all’ultima volta che aveva potuto fare un bagno caldo e rilassante. Adorava lavarsi più volte al giorno, farsi accarezzare prima dall’acqua calda e, poi, dalla mano della sua serva che le spalmava sul corpo la crema.
Ogni tanto, mentre Louise era inginocchiata per fare il suo lavoro sulle lunghe gambe, riceveva il suo amante, il Marchese Philippe che le accarezzava il seno e la baciava sul collo e in bocca.
Si sentiva sporca, adesso, stesa in terra sul ventre, non essendosi ancora abituata alla mancanza di acqua e sognando, come primo atto dopo la fuga, di potersi lavare a lungo, strofinando la bella pelle bianca fino a strapparsi di dosso il senso di sporco e di odore che sentiva entrati dentro di lei.
In quel vortice infinito di sensazioni, il suo aguzzino le salì sulla schiena, usandola come predellino. Lo facevano spesso con le schiave.
Approfittando della sua posizione sopraelevata rispetto ai suoi compagni di tribù, utilizzò quel palco umano per dare ordini agli altri.
Erano piccoli e abbastanza leggeri. Li reggeva abbastanza agevolmente, anche se in quel momento aveva un sasso in corrispondenza delle costole che le faceva un male terribile, non osando lamentarsi e, anzi, aspettando che l’uomo scendesse da lei.
Il sole cominciava a scaldare. Il lavoro le aveva già procurato calore, che sarebbe aumentato durante la giornata con il caldo e lo sforzo della marcia.
Ebbe timore di conoscere quale sarebbe stato il suo ruolo durante il viaggio.
Gli uomini che le avevano catturate le usavano per il trasporto dei materiali, anche se pochi. Loro non portavano nulla se non i loro coltelli, le fruste e la borraccia.
Alzatasi, cercò di scrollarsi di dosso la polvere e darsi una sistemata ai capelli, attività che, benché inutile, le dava la sensazione di non arrendersi e di voler a tutti i costi conservare un minimo di dignità, non volendo che le venisse strappato tutto.
Lo fece mentre si diresse al compito assegnatole, impaurita dalla possibile ulteriore frustata.
Ritirò tutto velocemente come aveva imparato a fare.
Le si avvicinò un altro uomo che le ordinò di caricarsi sulle spalle quanto aveva appena raccolto.
Le era andata bene, almeno per l’inizio della giornata.
Con enorme sollievo vide che furono altre le schiave alle quali venne infilata l’imbragatura che, in realtà, avrebbe potuto essere definita “sella”.
Le schiave, infatti, venivano usate come cavalle per i pigmei che, leggeri, potevano essere trasportati sulle schiene.
L’imbragatura consentiva ai Padroni di stare seduti sui lombi, mantenendo il baricentro dell’animale basso che, così, avrebbe fatto meno fatica e avrebbe svolto quella funzione più a lungo in termini di tempo ed in termini di ore di spostamento.
Le cavalle vennero fatte abbassare per consentire ai cavalieri di montare loro in groppa. Con un comando consistente nella stretta ai fianchi con le gambe e a un colpetto con le redini verso l’alto, si poterono alzare.
Tutte le cavalle restarono in piedi, ferme, in attesa dell’ordine di partire che venne dato dal capo carovana, seguito da tutti.
1
2
voti
voti
valutazione
4.8
4.8
Continua a leggere racconti dello stesso autore
racconto precedente
La schiava ereditata dalla madre (parte 5)racconto sucessivo
Pigmei - la cattura delle schiave (parte 2)
Commenti dei lettori al racconto erotico