La schiava ereditata dalla madre (parte 5)
di
Kugher
genere
sadomaso
Il Padrone continuava a stimolare la figa della schiava con l’alluce.
Non voleva che lei godesse e, anzi, le ordinò di andare avanti con la narrazione.
“La Padrona decise che dovessi avere più forza e tono muscolare. Ero una schiava, un animale, non una fighetta di città, come a volte mi descriveva. Iniziò a farmi fare movimento. A modo suo”.
Pur nell’eccitazione procurata dall’alluce, Maria ebbe un sorrisetto.
Si interruppe un attimo, come volesse generare suspence e attenzione, più di quanta già ne avesse il racconto.
Luigi fu attratto dal modo in cui pronunciò le ultime parole e iniziò da lì per invitarla a proseguire.
“A modo suo?”.
“Certo Padrone”.
Sotto la stimolazione dell’alluce, complice il ricordo della sua schiavitù, si lasciò un po’ andare e si mosse col bacino per farsi accarezzare la figa nel modo che le desse più piacere.
Luigi non dovette pensarci un attimo e partì lo schiaffo.
“Stai ferma, bestia!”
Capiva che doveva subito insegnarle che tutto sarebbe dipeso da lui. Lei non aveva altra scelta che obbedire e subire le sue decisioni, anche quelle che riguardavano il piacere sessuale.
Avrebbe deciso lui se e quando la schiava avrebbe potuto avere un orgasmo.
Il pensiero di gestire anche questo aspetto lo eccitò.
Provò piacere nel pensare quella giovane donna eccitata e privata del suo culmine, in attesa che lui decidesse in quel senso, senza la certezza che comunque sarebbe avvenuto.
Pensò ad acquistare una cintura di castità.
Non aveva dubbi che lei sarebbe stata obbediente e non avrebbe fatto ricorso all’autoerotismo.
Gli piaceva però pensare che lei avrebbe avuto addosso qualcosa di concreto che le ricordasse in ogni istante a chi lei appartenesse e quale fosse il potere del Padrone.
La schiava si ricompose e proseguì nel racconto.
Il dito del piede proseguì con le sue carezze, restando attento, però, ad allontanarsi dall’orgasmo se lo sentiva arrivare.
“La Padrona cominciò piano piano e, ad allenamento avanzato, mi costrinse a correre un’ora tutti i giorni”.
“Correre? Tutto qui? lavorò solo sulla resistenza? Dove correvi?”
“Bhè, non solo sulla resistenza fisica”.
Nuovamente Luigi avvertì il sorrisetto compiaciuto della schiava.
“Mi legava alla sbarra girevole nel recinto che era destinato ai cavalli ed al loro addestramento, e mi faceva correre in tondo, come un animale”.
Fece un attimo di pausa per consentire all’uomo di visualizzare l’eccitante scena con tutte le implicazioni del caso.
“Intanto lei se ne stava in casa. Quando usciva a controllare, a volte per divertimento, altre per spronarmi accorgendosi della mia stanchezza, quando le passavo vicino mi dava una frustata. Sapeva usare benissimo la frusta lunga. A volte si sedeva sotto l’ombrellone a leggere e a sorseggiare bevande fresche mentre io facevo allenamento”.
Luigi si sentì il sangue scorrere con maggiore velocità, soprattutto nel cazzo, con un notevole aumento del formicolio alla bocca dello stomaco.
“Mi aveva comprato un paio di scarpe da corsa ma per il resto dovevo restare nuda. A volte aumentava la resistenza della sbarra alla quale ero legata, così da aumentare la forza. Ridendo mi diceva che mi avrebbe attaccata ad un calesse e si sarebbe fatta portare a spasso per la campagna”.
In quel momento Luigi avvertì la fretta di trascorrere nella casa materna qualche week end con quella giovane schiava.
“Al termine, passato il calore corporeo dovuto allo sforzo, mi faceva lavare e mi incatenava in sala per farmi riposare dandomi tanta acqua nella ciotola, il più delle volte tenendomi ai suoi piedi e accarezzandomi, gettando, se aveva voglia, qualche biscotto a terra che mi precipitavo a mangiare raccogliendolo con la bocca”.
Fece una pausa per concentrarsi nel non muoversi visto il piacere che quell’alluce le stava dando.
Il Padrone aveva goduto, lei no.
“Il pomeriggio era solitamente dedicato ai lavori di casa. Mi lasciava catene alle caviglie ed ai polsi. Le piaceva vedermi incatenata e sentire il suono della ferraglia. Questo aumentava in me la sensazione di schiavitù ed in lei quella del dominio sempre più forte e totale. Si faceva anche servire a tavola, spesse volte tenendomi coi ceppi alle caviglie. Diceva che la divertivo con i miei sforzi”.
Luigi smise di stimolarla perché ebbe la sensazione che la schiava stesse per godere.
Quella sera lei sarebbe stata privata del culmine del piacere. Doveva, sin da subito, stabilire chi avesse il potere.
“Un giorno, prima di pranzare, mi fece inginocchiare dietro la sua sedia e, passata la testa sotto la spalliera, mi fece appoggiare una guancia sulla seduta. Mi sistemò accanto alla testa due cuscini molto rigidi, si alzò la gonna, tolse le mutandine e si sedette sul mio viso per consumare il pasto. Sicuramente non era comoda, ma fu una cosa eccitantissima per entrambe. Mi piacque da impazzire sentire le sue natiche nude sulla mia faccia e sapere che stava tranquillamente mangiando sul mio dolore. Sentii gli umori vaginali della Padrona bagnarmi il viso”.
Luigi smise definitivamente di stimolarla con l’alluce, stufo del gioco e più concentrato sul racconto.
“Terminato il pranzo la Padrona pretese che le dessi piacere con la lingua. L’eccitazione maturata durante il pasto era moltissima e non impiegò molto a godere”.
Entrambi risero a quest’ultima frase.
“Ormai mi stavo rinforzando, non ero più una fighettina di città”.
Ancora il sorrisetto.
“Iniziò a farmi mettere a 4 zampe e ad usarmi come sedia, la sera, quando si passava sul viso il latte detergente davanti allo specchio”.
Luigi, attraverso il racconto, conobbe sempre più quel lato di mamma e, attraverso esso, il piacere che stava provando.
Adesso quella schiava era sua.
La poteva usare ma, sapeva, avrebbe anche dovuto prendersene cura, come accade con tutti gli animali di proprietà.
Se la portò in camera e la fece stendere sullo stuoino, accanto al letto, in modo che al mattino avrebbe potuto usarla quale scendiletto.
Non voleva che lei godesse e, anzi, le ordinò di andare avanti con la narrazione.
“La Padrona decise che dovessi avere più forza e tono muscolare. Ero una schiava, un animale, non una fighetta di città, come a volte mi descriveva. Iniziò a farmi fare movimento. A modo suo”.
Pur nell’eccitazione procurata dall’alluce, Maria ebbe un sorrisetto.
Si interruppe un attimo, come volesse generare suspence e attenzione, più di quanta già ne avesse il racconto.
Luigi fu attratto dal modo in cui pronunciò le ultime parole e iniziò da lì per invitarla a proseguire.
“A modo suo?”.
“Certo Padrone”.
Sotto la stimolazione dell’alluce, complice il ricordo della sua schiavitù, si lasciò un po’ andare e si mosse col bacino per farsi accarezzare la figa nel modo che le desse più piacere.
Luigi non dovette pensarci un attimo e partì lo schiaffo.
“Stai ferma, bestia!”
Capiva che doveva subito insegnarle che tutto sarebbe dipeso da lui. Lei non aveva altra scelta che obbedire e subire le sue decisioni, anche quelle che riguardavano il piacere sessuale.
Avrebbe deciso lui se e quando la schiava avrebbe potuto avere un orgasmo.
Il pensiero di gestire anche questo aspetto lo eccitò.
Provò piacere nel pensare quella giovane donna eccitata e privata del suo culmine, in attesa che lui decidesse in quel senso, senza la certezza che comunque sarebbe avvenuto.
Pensò ad acquistare una cintura di castità.
Non aveva dubbi che lei sarebbe stata obbediente e non avrebbe fatto ricorso all’autoerotismo.
Gli piaceva però pensare che lei avrebbe avuto addosso qualcosa di concreto che le ricordasse in ogni istante a chi lei appartenesse e quale fosse il potere del Padrone.
La schiava si ricompose e proseguì nel racconto.
Il dito del piede proseguì con le sue carezze, restando attento, però, ad allontanarsi dall’orgasmo se lo sentiva arrivare.
“La Padrona cominciò piano piano e, ad allenamento avanzato, mi costrinse a correre un’ora tutti i giorni”.
“Correre? Tutto qui? lavorò solo sulla resistenza? Dove correvi?”
“Bhè, non solo sulla resistenza fisica”.
Nuovamente Luigi avvertì il sorrisetto compiaciuto della schiava.
“Mi legava alla sbarra girevole nel recinto che era destinato ai cavalli ed al loro addestramento, e mi faceva correre in tondo, come un animale”.
Fece un attimo di pausa per consentire all’uomo di visualizzare l’eccitante scena con tutte le implicazioni del caso.
“Intanto lei se ne stava in casa. Quando usciva a controllare, a volte per divertimento, altre per spronarmi accorgendosi della mia stanchezza, quando le passavo vicino mi dava una frustata. Sapeva usare benissimo la frusta lunga. A volte si sedeva sotto l’ombrellone a leggere e a sorseggiare bevande fresche mentre io facevo allenamento”.
Luigi si sentì il sangue scorrere con maggiore velocità, soprattutto nel cazzo, con un notevole aumento del formicolio alla bocca dello stomaco.
“Mi aveva comprato un paio di scarpe da corsa ma per il resto dovevo restare nuda. A volte aumentava la resistenza della sbarra alla quale ero legata, così da aumentare la forza. Ridendo mi diceva che mi avrebbe attaccata ad un calesse e si sarebbe fatta portare a spasso per la campagna”.
In quel momento Luigi avvertì la fretta di trascorrere nella casa materna qualche week end con quella giovane schiava.
“Al termine, passato il calore corporeo dovuto allo sforzo, mi faceva lavare e mi incatenava in sala per farmi riposare dandomi tanta acqua nella ciotola, il più delle volte tenendomi ai suoi piedi e accarezzandomi, gettando, se aveva voglia, qualche biscotto a terra che mi precipitavo a mangiare raccogliendolo con la bocca”.
Fece una pausa per concentrarsi nel non muoversi visto il piacere che quell’alluce le stava dando.
Il Padrone aveva goduto, lei no.
“Il pomeriggio era solitamente dedicato ai lavori di casa. Mi lasciava catene alle caviglie ed ai polsi. Le piaceva vedermi incatenata e sentire il suono della ferraglia. Questo aumentava in me la sensazione di schiavitù ed in lei quella del dominio sempre più forte e totale. Si faceva anche servire a tavola, spesse volte tenendomi coi ceppi alle caviglie. Diceva che la divertivo con i miei sforzi”.
Luigi smise di stimolarla perché ebbe la sensazione che la schiava stesse per godere.
Quella sera lei sarebbe stata privata del culmine del piacere. Doveva, sin da subito, stabilire chi avesse il potere.
“Un giorno, prima di pranzare, mi fece inginocchiare dietro la sua sedia e, passata la testa sotto la spalliera, mi fece appoggiare una guancia sulla seduta. Mi sistemò accanto alla testa due cuscini molto rigidi, si alzò la gonna, tolse le mutandine e si sedette sul mio viso per consumare il pasto. Sicuramente non era comoda, ma fu una cosa eccitantissima per entrambe. Mi piacque da impazzire sentire le sue natiche nude sulla mia faccia e sapere che stava tranquillamente mangiando sul mio dolore. Sentii gli umori vaginali della Padrona bagnarmi il viso”.
Luigi smise definitivamente di stimolarla con l’alluce, stufo del gioco e più concentrato sul racconto.
“Terminato il pranzo la Padrona pretese che le dessi piacere con la lingua. L’eccitazione maturata durante il pasto era moltissima e non impiegò molto a godere”.
Entrambi risero a quest’ultima frase.
“Ormai mi stavo rinforzando, non ero più una fighettina di città”.
Ancora il sorrisetto.
“Iniziò a farmi mettere a 4 zampe e ad usarmi come sedia, la sera, quando si passava sul viso il latte detergente davanti allo specchio”.
Luigi, attraverso il racconto, conobbe sempre più quel lato di mamma e, attraverso esso, il piacere che stava provando.
Adesso quella schiava era sua.
La poteva usare ma, sapeva, avrebbe anche dovuto prendersene cura, come accade con tutti gli animali di proprietà.
Se la portò in camera e la fece stendere sullo stuoino, accanto al letto, in modo che al mattino avrebbe potuto usarla quale scendiletto.
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