La schiava ereditata dalla madre (parte 4)
di
Kugher
genere
sadomaso
Dopo l’orgasmo sentì la necessità di accasciarsi.
Poco prima di godere, aveva sentito le orecchie che quasi fischiavano, come se la pressione interna fosse eccessiva. Aveva spinto con più forza, tirando il guinzaglio e picchiando la schiava ancora col frustino.
Ora stava seduto in poltrona, dopo essersi infilato l'accappatoio.
Aveva gli occhi chiusi e si godeva il fresco della pioggia che, col suo ritmico battere sui tetti e sull’asfalto di quella calda estate, aveva un potere rilassante.
Un piede era sulla testa della schiava prostrata davanti a lui.
La ragazza stava in quella postura da tanto tempo e non poteva non essere dolorante e scomoda.
Non ci pensò e si godette la posizione finchè non sentì uscire ancora un po’ liquido dal cazzo e le ordinò di pulirlo con la lingua.
Aveva desiderio di conoscere sua mamma attraverso i racconti della sua schiava.
“E’ stata dura da Grazia?”
“Abbastanza, Padrone. Mi trattava con il polso fermo che si ha con gli animali. Non mi trattava come una persona, ma come una schiava, dalla quale pretendere senza dare, a volte anche come un oggetto. Mi metteva in una posizione e si dimenticava di me, come fossi un pezzo di arredamento. Quando non dovevo servire o essere un mobilio, nei momenti di tranquillità mi teneva come il suo cane, dal quale si pretende obbedienza ma al quale si da dolcezza. Nei momenti di non utilizzo dovevo stare ai suoi piedi, e muovermi sempre a 4 zampe”.
Luigi iniziò ad accarezzarla sul capo, con la dolcezza che si può avere per un animale.
Lo eccitava l’idea di tenere quella giovane ragazza come cane.
Pensò di prenderle una coda da inserire nell’ano. Sarebbe stata carina ed eccitante.
Stimolata, Maria proseguì nel racconto.
“Un giorno mi impuntai contro quel trattamento sempre più forte. Evidentemente la Padrona capì che si trovava ad un punto di confine, che doveva superare, per affermare il suo potere oppure per capire che non ero adatta a lei. Così risolse la situazione schiacciandomi giù, invece che di accogliere le mie rimostranze, come fosse una prova di forza. Ricevetti colpi di frustino molto forti e venni incatenata nella stalla per un giorno ed una notte”.
Luigi dovette avere una reazione senza accorgersene, tanto che la schiava si fermò un attimo nel racconto.
Era rimasta inginocchiata. Aveva ancora il guinzaglio che era stato legato alla gamba della poltrona, così da lasciarla incatenata mentre il Padrone poteva conservare le mani libere.
“Mi razionò anche il cibo e l’acqua, così che io capissi che dipendevo in toto da lei, dal suo volere e, quindi, dal suo potere su di me”.
Luigi notò la forza della punizione che, però, delineava fortemente i reciproci confini.
Si rese conto che quella donna sapeva essere tanto dura quanto delicata.
“La tua reazione?”
“Cedetti e mi abbandonai a lei, ancor di più, ancor più sua, di sua proprietà, sua schiava. Aveva vinto la prova di forza o, meglio, aveva capito quale fosse la prova giusta per me, forte, decisa, di chi ha il dominio e lo esercita. Aveva capito che di quello avevo ed ho bisogno”.
Attraverso il racconto Luigi ebbe anche modo di conoscerla e, attraverso di lei, cominciare a guardare dentro di sé.
Prima aveva agito d'istinto, senza pensarci, come fosse naturale.
Ora doveva capirsi e conoscere sé stesso prima di quella schiava, che rappresentava il suo specchio, la sua anima al rovescio.
Trovava assolutamente naturale la posizione di lei inginocchiata e di sé stesso, seduto con il guinzaglio legato alla poltrona.
Una naturalezza che lo stupì.
“Quando venne a liberarmi mi mise una scarpa sul collo e mi disse che io ero solo una schiava il cui compito era quello di ubbidire e servire senza poter fare domande circa il mio stato. Mi schiacciò il piede sul collo fino a rendermi difficoltoso il respiro”.
“E tu?”
“Io ero con la faccia sul pavimento di una stalla. Avevo ceduto. La punizione subita, non tanto il frustino quanto l’essere incatenata là dentro e trattata come una bestia, mi aveva ulteriormente sottomessa e fatto tirare fuori ciò che ho dentro. Subii senza accennare alcuna resistenza. Per quanto possibile sotto il suo piede, lessi soddisfazione nel suo sguardo”.
“Ti liberò e finii lì la cosa?”.
Era possibile conoscere quella realtà solo se si conoscevano le sensazioni, i pensieri.
“No, Padrone, o meglio, la punizione finì lì, però mi mise il guinzaglio e si fece seguire in casa. Non ero ancora abituata a camminare con mani e ginocchia sulla terra battuta e rallentavo il passo.”
Luigi sorrise nel ricordare la disposizione della casa di mamma. Tra l’abitazione padronale e la stalla c’era un cortile.
La immaginò a 4 zampe in quell’area, tirata al guinzaglio.
Nonostante avesse appena goduto, sentì nuovamente un piacevole formicolio.
“La Padrona, infastidita perchè per lei era normale che un animale procedesse in quel modo, mi strattonava e incitava col frustino. Io, dal canto mio, avevo ceduto ad ogni resistenza e chiedevo scusa”.
Luigi pensò che oltre alla schiava aveva ereditato anche quella casa. Inizialmente l’aveva vista solo come un ricordo. Anche lui vi aveva trascorso tanto tempo in un periodo della vita che, come è normale, è caratterizzato dalla spensieratezza e, in là con gli anni, viene ricordato con piacere, avvolto da un’aurea di nostalgia e di benessere.
A contrasto pensò a quali altre esperienze, in sua assenza, venivano vissute e, soprattutto, godute, a quanto quella casa si prestasse ad avere una cagna umana.
“Ero sporca, Padrone, molto sporca essendo stata stesa tutto il tempo sul pavimento della stalla”.
“La catena era corta?”
“Sì, Padrone, durante la prigionia potevo stare a 4 zampe o stesa a terra”.
Il cazzo di Luigi, pur senza divenire duro, ebbe un sussulto di vita propria.
Subito pensò a trascorrere qualche week end nella casa dei suoi genitori, vivendola con altre e nuove emozioni.
Luigi avvertì un cambio nel tono e nella voce della schiava.
Allungò un piede forzandole le cosce che subito si aprirono quel tanto da farlo passare.
Passò l’alluce nella figa di Maria e la trovò bagnata.
“Sei bagnata, come una cagna”.
Poco prima di godere, aveva sentito le orecchie che quasi fischiavano, come se la pressione interna fosse eccessiva. Aveva spinto con più forza, tirando il guinzaglio e picchiando la schiava ancora col frustino.
Ora stava seduto in poltrona, dopo essersi infilato l'accappatoio.
Aveva gli occhi chiusi e si godeva il fresco della pioggia che, col suo ritmico battere sui tetti e sull’asfalto di quella calda estate, aveva un potere rilassante.
Un piede era sulla testa della schiava prostrata davanti a lui.
La ragazza stava in quella postura da tanto tempo e non poteva non essere dolorante e scomoda.
Non ci pensò e si godette la posizione finchè non sentì uscire ancora un po’ liquido dal cazzo e le ordinò di pulirlo con la lingua.
Aveva desiderio di conoscere sua mamma attraverso i racconti della sua schiava.
“E’ stata dura da Grazia?”
“Abbastanza, Padrone. Mi trattava con il polso fermo che si ha con gli animali. Non mi trattava come una persona, ma come una schiava, dalla quale pretendere senza dare, a volte anche come un oggetto. Mi metteva in una posizione e si dimenticava di me, come fossi un pezzo di arredamento. Quando non dovevo servire o essere un mobilio, nei momenti di tranquillità mi teneva come il suo cane, dal quale si pretende obbedienza ma al quale si da dolcezza. Nei momenti di non utilizzo dovevo stare ai suoi piedi, e muovermi sempre a 4 zampe”.
Luigi iniziò ad accarezzarla sul capo, con la dolcezza che si può avere per un animale.
Lo eccitava l’idea di tenere quella giovane ragazza come cane.
Pensò di prenderle una coda da inserire nell’ano. Sarebbe stata carina ed eccitante.
Stimolata, Maria proseguì nel racconto.
“Un giorno mi impuntai contro quel trattamento sempre più forte. Evidentemente la Padrona capì che si trovava ad un punto di confine, che doveva superare, per affermare il suo potere oppure per capire che non ero adatta a lei. Così risolse la situazione schiacciandomi giù, invece che di accogliere le mie rimostranze, come fosse una prova di forza. Ricevetti colpi di frustino molto forti e venni incatenata nella stalla per un giorno ed una notte”.
Luigi dovette avere una reazione senza accorgersene, tanto che la schiava si fermò un attimo nel racconto.
Era rimasta inginocchiata. Aveva ancora il guinzaglio che era stato legato alla gamba della poltrona, così da lasciarla incatenata mentre il Padrone poteva conservare le mani libere.
“Mi razionò anche il cibo e l’acqua, così che io capissi che dipendevo in toto da lei, dal suo volere e, quindi, dal suo potere su di me”.
Luigi notò la forza della punizione che, però, delineava fortemente i reciproci confini.
Si rese conto che quella donna sapeva essere tanto dura quanto delicata.
“La tua reazione?”
“Cedetti e mi abbandonai a lei, ancor di più, ancor più sua, di sua proprietà, sua schiava. Aveva vinto la prova di forza o, meglio, aveva capito quale fosse la prova giusta per me, forte, decisa, di chi ha il dominio e lo esercita. Aveva capito che di quello avevo ed ho bisogno”.
Attraverso il racconto Luigi ebbe anche modo di conoscerla e, attraverso di lei, cominciare a guardare dentro di sé.
Prima aveva agito d'istinto, senza pensarci, come fosse naturale.
Ora doveva capirsi e conoscere sé stesso prima di quella schiava, che rappresentava il suo specchio, la sua anima al rovescio.
Trovava assolutamente naturale la posizione di lei inginocchiata e di sé stesso, seduto con il guinzaglio legato alla poltrona.
Una naturalezza che lo stupì.
“Quando venne a liberarmi mi mise una scarpa sul collo e mi disse che io ero solo una schiava il cui compito era quello di ubbidire e servire senza poter fare domande circa il mio stato. Mi schiacciò il piede sul collo fino a rendermi difficoltoso il respiro”.
“E tu?”
“Io ero con la faccia sul pavimento di una stalla. Avevo ceduto. La punizione subita, non tanto il frustino quanto l’essere incatenata là dentro e trattata come una bestia, mi aveva ulteriormente sottomessa e fatto tirare fuori ciò che ho dentro. Subii senza accennare alcuna resistenza. Per quanto possibile sotto il suo piede, lessi soddisfazione nel suo sguardo”.
“Ti liberò e finii lì la cosa?”.
Era possibile conoscere quella realtà solo se si conoscevano le sensazioni, i pensieri.
“No, Padrone, o meglio, la punizione finì lì, però mi mise il guinzaglio e si fece seguire in casa. Non ero ancora abituata a camminare con mani e ginocchia sulla terra battuta e rallentavo il passo.”
Luigi sorrise nel ricordare la disposizione della casa di mamma. Tra l’abitazione padronale e la stalla c’era un cortile.
La immaginò a 4 zampe in quell’area, tirata al guinzaglio.
Nonostante avesse appena goduto, sentì nuovamente un piacevole formicolio.
“La Padrona, infastidita perchè per lei era normale che un animale procedesse in quel modo, mi strattonava e incitava col frustino. Io, dal canto mio, avevo ceduto ad ogni resistenza e chiedevo scusa”.
Luigi pensò che oltre alla schiava aveva ereditato anche quella casa. Inizialmente l’aveva vista solo come un ricordo. Anche lui vi aveva trascorso tanto tempo in un periodo della vita che, come è normale, è caratterizzato dalla spensieratezza e, in là con gli anni, viene ricordato con piacere, avvolto da un’aurea di nostalgia e di benessere.
A contrasto pensò a quali altre esperienze, in sua assenza, venivano vissute e, soprattutto, godute, a quanto quella casa si prestasse ad avere una cagna umana.
“Ero sporca, Padrone, molto sporca essendo stata stesa tutto il tempo sul pavimento della stalla”.
“La catena era corta?”
“Sì, Padrone, durante la prigionia potevo stare a 4 zampe o stesa a terra”.
Il cazzo di Luigi, pur senza divenire duro, ebbe un sussulto di vita propria.
Subito pensò a trascorrere qualche week end nella casa dei suoi genitori, vivendola con altre e nuove emozioni.
Luigi avvertì un cambio nel tono e nella voce della schiava.
Allungò un piede forzandole le cosce che subito si aprirono quel tanto da farlo passare.
Passò l’alluce nella figa di Maria e la trovò bagnata.
“Sei bagnata, come una cagna”.
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