Pigmei - schiava della tribu' (parte 5)
di
Kugher
genere
sadomaso
Chanel stava seguendo il Padrone, al guinzaglio, mentre questo andava a fare un giro per il campo, sulla sua cavalla, la francese Camille.
Era una abitudine del capo villaggio, più o meno a quell’ora, verificare quanto stesse accadendo.
Al termine di quel giro avrebbe amministrato la giustizia giornaliera contro le piccole violazioni degli abitanti.
Pur senza riferimenti temporali, ricorrendo solo alla posizione del sole, riuscivano a gestire la vita più o meno sempre agli stessi orari.
Il capo era l’unico a farsi seguire da una schiava, per ogni evenienza.
Ogni tanto si fermava in qualche capanna. A volte entrava, altre si fermava all’esterno a parlare in quella lingua che, ogni tanto, usava un termine che cominciava ad essere noto.
Il capo era anche l’unico a non scendere dalla cavalla nel modo ordinario, cioè con l’accosciamento di questa.
All’animale da trasporto scendeva un po’ di bava dal morso che teneva in bocca e le cadeva sul petto. Le faceva schifo quella circostanza ma non aveva altra soluzione se non rassegnarsi.
Il capo diede una piccola trazione alle briglie e lei, che ormai aveva imparato a riconoscere i gesti, si mise di fianco al Padrone, a 4 zampe, per fargli da scalino umano e consentirgli di scendere.
Seguì l’uomo a 4 zampe e, all’interno, restò in posizione per consentirgli di sedersi sulla sua schiena.
Si era rinforzata, ormai. Non aveva più il corpo debole come all’inizio del viaggio.
Aveva parlato parecchio sia con la cavalla sia con la cagna del capo, Monique.
Aveva imparato abbastanza anche la lingua di qualche altra schiava ed era in possesso di molte informazioni, tutte utili alla fuga che da tempo programmava.
Era in posizione da sedia da un po’ di tempo. Il Padrone era leggero ma alla lunga trovava faticosa la situazione. Doveva resistere, in ogni modo.
Finalmente, completato il giro, tornarono alla capanna dove già li aspettavano alcuni abitanti per l’amministrazione della giustizia del villaggio.
Il Padrone si era seduto sul ventre della schiava cavalla fatta stendere.
Lei, ormai a conoscenza delle preferenze dell’uomo, restava accucciata ai suoi piedi.
La cagna Monique, accucciata a terra in un angolo e legata al guinzaglio, era ormai un pezzo di arredamento noto a tutti e nessuno le prestava quasi più attenzione, se non per qualche sguardo distratto ogni tanto.
Non poteva certo dire che quei momenti le piacessero, ma almeno sapeva che per un certo tempo avrebbe potuto starsene tranquilla con la sola compagnia dei suoi pensieri.
Le piaceva osservare gli occhi di quelle persone. Cercava di capire per cosa fossero lì: qualche furto di oggetti, qualche rissa, qualche contenzioso per l’uso di una schiava danneggiata troppo intenso che impediva il suo utilizzo per altre mansioni per qualche giorno.
Le capitava anche di estraniarsi e, dalla sua posizione a terra, osservava Monique, anche lei sempre attenta.
Al Padrone, mentre irrogava le sanzioni, piaceva appoggiare un piede sul suo capo.
Da due giorni l’uomo non le usava per soddisfare le sue esigenze sessuali e, con buone probabilità, quella sera sarebbe loro toccato fargli raggiungere l’orgasmo.
In quelle circostanze usava tutte e tre le donne, magari alternandole nella penetrazione e nell’uso della bocca come avevano imparato.
Non era insolito l’uso del frustino a soli fini erotici.
Nonostante il tempo trascorso, non si era proprio abituata a quel dolore intenso. Lei, più delle altre due, aveva una soglia del dolore molto bassa e il Padrone, per questo, la faceva spesso destinataria dei colpi, provando evidente piacere nelle sue reazioni.
Già cominciava ad avere lo stomaco teso in attesa di quello che, se lo sentiva, sarebbe accaduto quella sera, come in effetti fu.
Il Padrone quella sera era particolarmente eccitato e la colpì forte, fino a farla gettare ai suoi piedi implorando, nella lingua a lui sconosciuta, la cessazione della tortura.
Quel giorno era arrivato un nuovo carico di schiave, anch’esse bianche, come tutte le altre. Erano poche questa volta, solo 3.
Evidentemente la caccia era andata male.
Le tre schiave avevano il timore di essere sostituite. La preoccupazione, questa volta, non era solo dettata dalla restituzione agli altri componenti del villaggio con “alloggio” nelle buche, quanto dal fatto che loro tre sarebbero state separate.
Appena ebbero modo di parlare, decisero di accelerare i tempi per la fuga.
Il Padrone era abitudinario e questo dava loro modo di prevedere i momenti di maggior disattenzione.
Gli abitanti, sul punto, erano abbastanza tranquilli. Il campo era eccessivamente isolato.
Qualche precedente tentativo di fuga isolato di qualche schiava era stato immediatamente risolto.
Gli uomini, con le cavalle maggiormente allenate, riuscivano a seguire le tracce che inevitabilmente coloro che non erano abituate alla vita nella foresta inevitabilmente lasciavano.
Loro non avevano notizie di risultati positivi.
Una volta avevano assistito alla punizione di una schiava scappata e ripresa.
L’avevano legata ad un palo e frustata a lungo. Poi era stata legata a terra in mezzo alla pubblica via e tutti, passando, la calpestavano in ogni parte del corpo.
Dopo qualche giorno veniva nuovamente frustata e legata. Dopodiché veniva destinata ai lavori più pesanti e si accertavano che tutti, quali monito, potessero vedere le condizioni dure cui era sottoposta.
Tutte e tre erano comunque molto determinate.
Non avevano escluso nulla, nemmeno che venissero recuperate e punite, ma erano sorrette da una forte volontà di porre fine a quella situazione di schiavitù.
Sapevano, ormai, che al loro invecchiamento sarebbero state cedute ad altre tribù, in cambio di cibo, legna e altro utile per la vita al villaggio.
Non erano riuscite a capire il trattamento che avrebbero subito in altri campi.
Avevano il timore che le condizioni sarebbero peggiorate notevolmente.
Terminati i processi, il Padrone cenò e le volle usare per godere. Come Chanel temeva, ricevette il frustino sulla schiena.
Il capo villaggio aveva fatto mettere la cavalla a 4 zampe e, mentre la penetrava, si eccitava maggiormente frustando la schiava, fino a soddisfare completamente le sue voglie.
Come era solito, dopo l’orgasmo voleva riposarsi nel modo che preferiva quando aveva i sensi placati.
Il ventre della cavalla fungeva da cuscino mentre la cagna, stesa in fondo al letto, doveva restare ferma con i piedi del Padrone sopra di lei.
Non appena il respiro dell’uomo si fu regolarizzato, le due donne allungarono il braccio per intrecciarsi le dita, come erano solite fare non appena ne avevano la possibilità per darsi conforto.
Si trovavano bene assieme, nonostante la diversità di classe, unite dalla disavventura e nella disperata ricerca della libertà
Nonostante tutto erano state fortunate in quanto, riposandosi un poco dopo il piacere, il Padrone, riprese le energie e soddisfatto nei piaceri, usava andare a fare un giro serale.
Le tre schiave, accomunate dalla determinazione e dalla volontà di correre tutti i rischi utili per riconquistare la libertà, si lanciarono sguardi significativi.
Il momento per la fuga era giunto.
Era una abitudine del capo villaggio, più o meno a quell’ora, verificare quanto stesse accadendo.
Al termine di quel giro avrebbe amministrato la giustizia giornaliera contro le piccole violazioni degli abitanti.
Pur senza riferimenti temporali, ricorrendo solo alla posizione del sole, riuscivano a gestire la vita più o meno sempre agli stessi orari.
Il capo era l’unico a farsi seguire da una schiava, per ogni evenienza.
Ogni tanto si fermava in qualche capanna. A volte entrava, altre si fermava all’esterno a parlare in quella lingua che, ogni tanto, usava un termine che cominciava ad essere noto.
Il capo era anche l’unico a non scendere dalla cavalla nel modo ordinario, cioè con l’accosciamento di questa.
All’animale da trasporto scendeva un po’ di bava dal morso che teneva in bocca e le cadeva sul petto. Le faceva schifo quella circostanza ma non aveva altra soluzione se non rassegnarsi.
Il capo diede una piccola trazione alle briglie e lei, che ormai aveva imparato a riconoscere i gesti, si mise di fianco al Padrone, a 4 zampe, per fargli da scalino umano e consentirgli di scendere.
Seguì l’uomo a 4 zampe e, all’interno, restò in posizione per consentirgli di sedersi sulla sua schiena.
Si era rinforzata, ormai. Non aveva più il corpo debole come all’inizio del viaggio.
Aveva parlato parecchio sia con la cavalla sia con la cagna del capo, Monique.
Aveva imparato abbastanza anche la lingua di qualche altra schiava ed era in possesso di molte informazioni, tutte utili alla fuga che da tempo programmava.
Era in posizione da sedia da un po’ di tempo. Il Padrone era leggero ma alla lunga trovava faticosa la situazione. Doveva resistere, in ogni modo.
Finalmente, completato il giro, tornarono alla capanna dove già li aspettavano alcuni abitanti per l’amministrazione della giustizia del villaggio.
Il Padrone si era seduto sul ventre della schiava cavalla fatta stendere.
Lei, ormai a conoscenza delle preferenze dell’uomo, restava accucciata ai suoi piedi.
La cagna Monique, accucciata a terra in un angolo e legata al guinzaglio, era ormai un pezzo di arredamento noto a tutti e nessuno le prestava quasi più attenzione, se non per qualche sguardo distratto ogni tanto.
Non poteva certo dire che quei momenti le piacessero, ma almeno sapeva che per un certo tempo avrebbe potuto starsene tranquilla con la sola compagnia dei suoi pensieri.
Le piaceva osservare gli occhi di quelle persone. Cercava di capire per cosa fossero lì: qualche furto di oggetti, qualche rissa, qualche contenzioso per l’uso di una schiava danneggiata troppo intenso che impediva il suo utilizzo per altre mansioni per qualche giorno.
Le capitava anche di estraniarsi e, dalla sua posizione a terra, osservava Monique, anche lei sempre attenta.
Al Padrone, mentre irrogava le sanzioni, piaceva appoggiare un piede sul suo capo.
Da due giorni l’uomo non le usava per soddisfare le sue esigenze sessuali e, con buone probabilità, quella sera sarebbe loro toccato fargli raggiungere l’orgasmo.
In quelle circostanze usava tutte e tre le donne, magari alternandole nella penetrazione e nell’uso della bocca come avevano imparato.
Non era insolito l’uso del frustino a soli fini erotici.
Nonostante il tempo trascorso, non si era proprio abituata a quel dolore intenso. Lei, più delle altre due, aveva una soglia del dolore molto bassa e il Padrone, per questo, la faceva spesso destinataria dei colpi, provando evidente piacere nelle sue reazioni.
Già cominciava ad avere lo stomaco teso in attesa di quello che, se lo sentiva, sarebbe accaduto quella sera, come in effetti fu.
Il Padrone quella sera era particolarmente eccitato e la colpì forte, fino a farla gettare ai suoi piedi implorando, nella lingua a lui sconosciuta, la cessazione della tortura.
Quel giorno era arrivato un nuovo carico di schiave, anch’esse bianche, come tutte le altre. Erano poche questa volta, solo 3.
Evidentemente la caccia era andata male.
Le tre schiave avevano il timore di essere sostituite. La preoccupazione, questa volta, non era solo dettata dalla restituzione agli altri componenti del villaggio con “alloggio” nelle buche, quanto dal fatto che loro tre sarebbero state separate.
Appena ebbero modo di parlare, decisero di accelerare i tempi per la fuga.
Il Padrone era abitudinario e questo dava loro modo di prevedere i momenti di maggior disattenzione.
Gli abitanti, sul punto, erano abbastanza tranquilli. Il campo era eccessivamente isolato.
Qualche precedente tentativo di fuga isolato di qualche schiava era stato immediatamente risolto.
Gli uomini, con le cavalle maggiormente allenate, riuscivano a seguire le tracce che inevitabilmente coloro che non erano abituate alla vita nella foresta inevitabilmente lasciavano.
Loro non avevano notizie di risultati positivi.
Una volta avevano assistito alla punizione di una schiava scappata e ripresa.
L’avevano legata ad un palo e frustata a lungo. Poi era stata legata a terra in mezzo alla pubblica via e tutti, passando, la calpestavano in ogni parte del corpo.
Dopo qualche giorno veniva nuovamente frustata e legata. Dopodiché veniva destinata ai lavori più pesanti e si accertavano che tutti, quali monito, potessero vedere le condizioni dure cui era sottoposta.
Tutte e tre erano comunque molto determinate.
Non avevano escluso nulla, nemmeno che venissero recuperate e punite, ma erano sorrette da una forte volontà di porre fine a quella situazione di schiavitù.
Sapevano, ormai, che al loro invecchiamento sarebbero state cedute ad altre tribù, in cambio di cibo, legna e altro utile per la vita al villaggio.
Non erano riuscite a capire il trattamento che avrebbero subito in altri campi.
Avevano il timore che le condizioni sarebbero peggiorate notevolmente.
Terminati i processi, il Padrone cenò e le volle usare per godere. Come Chanel temeva, ricevette il frustino sulla schiena.
Il capo villaggio aveva fatto mettere la cavalla a 4 zampe e, mentre la penetrava, si eccitava maggiormente frustando la schiava, fino a soddisfare completamente le sue voglie.
Come era solito, dopo l’orgasmo voleva riposarsi nel modo che preferiva quando aveva i sensi placati.
Il ventre della cavalla fungeva da cuscino mentre la cagna, stesa in fondo al letto, doveva restare ferma con i piedi del Padrone sopra di lei.
Non appena il respiro dell’uomo si fu regolarizzato, le due donne allungarono il braccio per intrecciarsi le dita, come erano solite fare non appena ne avevano la possibilità per darsi conforto.
Si trovavano bene assieme, nonostante la diversità di classe, unite dalla disavventura e nella disperata ricerca della libertà
Nonostante tutto erano state fortunate in quanto, riposandosi un poco dopo il piacere, il Padrone, riprese le energie e soddisfatto nei piaceri, usava andare a fare un giro serale.
Le tre schiave, accomunate dalla determinazione e dalla volontà di correre tutti i rischi utili per riconquistare la libertà, si lanciarono sguardi significativi.
Il momento per la fuga era giunto.
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