Portraits - Una perversione | 5

di
genere
dominazione

---Folie à deux---

Lavinia era come impazzita. Io ero impazzito. Era come se non esistessero più limiti razionali a ciò che stavamo facendo. Sembravamo ogni volta impazienti di provare qualcosa di nuovo, di andare oltre, contagiati a vicenda da pensieri sempre uguali, ricorsivi.
Iniziai ad essere un po' spaventato, perché sapevo che se la situazione fosse peggiorata ulteriormente, sarebbe stato deleterio. Eppure, anche io ero ormai soggiogato dall'idea malsana di continuare ad osare. Era diventata una dipendenza in tutti i sensi. Avvertivamo lo stesso craving che potrebbero provare gli alcolisti o i cocainomani. L’eccitazione chiamava altra eccitazione. La pipì, altra pipì. Le parolacce, altre parolacce, le sfide, altre sfide. Quando una perversione si realizza, è difficile resettarsi ad un livello precedente. Ci eravamo documentati, Internet era pieno di quella roba. La gente pisciava in modi che consideravamo impensabili, perfino difficili da realizzare. In confronto, eravamo stati quasi prudenti, nonostante pensassimo nel nostro piccolo di essere andati ben oltre la nostra decenza. Moltissima gente concepiva il pissing come qualcosa di divertente e goliardico. Una ragazzata da vivere con leggerezza. I più tradizionali dedicavano le “sessioni” espletando tutto dentro i box doccia, o nelle vasche da bagno, in modo da limitare il più possibile i danni collaterali. Altri invece, erano più ostinati e macchiavano puntualmente divani in pelle, parquet, tappezzerie, moquette, abiti e persino tavoli in plexiglass. Era tutto “staged”. La gente si preparava giorni prima e poi concordava modi e maniere. Questo, almeno, accadeva nell’universo della pornografia, che è fatto apposta per generare utili. Ma la nostra abitudine era diversa. Noi eravamo dipendenti l’uno dall’altra per motivi che difficilmente riesco a spiegare. Soprattutto, noi agivamo d’impeto. Quando ci abbandonavamo a vicenda nel rilascio sfinteriale, spegnevamo letteralmente il cervello. Alcune cose provavamo ancora a gestirle ma con scarsi risultati. Pochi giorni dopo la scena del pianerottolo, infatti, avvenne un altro di quei momenti di tilt. Non fu una decisione presa di comune accordo. Quell’istinto che ci aveva condotti già molto lontano, stava per farlo una ennesima volta, a spese delle mie lenzuola. «Amore, devo farla.» disse lei, un giorno di metà settembre, durante una scopata. «Non possiamo aspettare? Sto quasi per venire! Poi andiamo a liberarci insieme.» risposi io, mentre ero ancora dentro di lei e già riflettevo sul fatto che non avevamo preparato nulla di impermeabile. «Non resisto. Devo farla ora.» «Ok. Spostiamoci dal letto, almeno.» dissi io. «Fammi liberare qui...» e iniziò a pisciarmi di sopra. Era il mio letto. Era la mia casa. Senza il mio permesso aveva iniziato a bagnare tutto, sia me che le mie lenzuola. Avrei dovuto incazzarmi, probabilmente , ma la sensazione fu troppo strana. Non riuscivo a crederci. Rimasi immobile, disteso, mentre il liquido si espandeva ovunque.
«Scusami... è stato più forte di me.» disse lei. «Siamo quindi arrivati a questo, eh?» domandai io. «Già... dovremmo smettere, forse.» rispose lei. Pisciare in bagno era un conto. Perfino pisciare in pianerottolo per sbaglio o perché si è ubriachi era un conto. Ma pisciare senza alcun contegno e di proposito in camera da letto, luogo inviolato fin a quel momento, era un’altra. Quella cosa era diventata troppo grande da controllare. Serviva una moderazione. Eravamo shoccati e non capivamo più cosa stessimo facendo. Evitammo di parlarne per qualche giorno. Ci sforzammo di contenerci, ma non durò tanto. La volta successiva fui io a osare, ormai abbandonato alla totale depravazione. Ci trovavamo nel mezzo di uno dei nostri momenti di tranquillità. Mentre stavamo guardando un film, Lavinia decise di iniziare a massaggiarmi i testicoli dal tessuto dei pantaloncini, all’inizio distrattamente, poi sempre più platealmente, fino a che non riuscì a eccitarmi abbastanza da mantenerlo discretamente eretto. A quel punto, lo tirò fuori e lo ingurgitò tutto. Si era quasi meravigliata di quella mia pronta erezione, poiché non accadeva così spesso e così facilmente. In verità, io ero già eccitato all’idea di ciò che stavo per fare, poiché era da qualche giorno che volevo realizzarlo. Per scrupolo le chiesi una sorta di autorizzazione a procedere. «Amore. So che ci eravamo detti di smettere. Ma... posso?» domandai. «Che intenzioni hai?» disse, mentre sfilava il cazzo dalla bocca. Il mio sguardo fu piuttosto eloquente. «Avevamo detto basta... Marco.» continuò lei, con severo sguardo ammonitore. «Lo so.» Lavinia lanciò un’occhiata intorno. Cosa avremmo potuto sporcare? Quanto sarebbe costata quella bravata? Il divano si sarebbe impregnato per sempre o potevamo ancora salvarlo? «Ok... se proprio devi farlo, allora facciamolo. Però amore, non in faccia, per favore.» disse lei, settando il limite un po’ più su di quanto non avessimo già fatto. Autorizzazione ottenuta, Rilassai lo sfintere e feci partire uno spruzzo talmente forte che arrivai a bagnarle il collo. Lei istintivamente ri-direzionò il getto verso le tette, per evitare di far arrivare qualche zampillo sul viso. Io ero in estasi. Stavo davvero pisciando su di lei a corpo libero. Sembrava quasi una moviola. Vivevo a rallentatore quel momento. Lavinia all’inizio apparve a disagio, poi il suo volto si distese e abbozzò un sorriso. Una volta terminato, lei si alzò e senza dire niente si tolse la maglietta madida di pipì, guardò per un solo attimo il divano ridotto uno schifo e andò dritta a fare una doccia, lasciandomi lì, senza orgasmo, quasi coi sensi di colpa e con il dubbio se avessi esagerato davvero questa volta. Forse quel nostro gioco perverso avrebbe dovuto concludersi lì, all’apice dell’audacia, prima bagnando il letto per sbaglio, poi bagnando il divano di proposito. Eravamo tutti e due molto provati, psicologicamente. La pratica del pissing ci aveva ridotti a dei bambini costantemente desiderosi di infilare le dita nella marmellata, con la consapevolezza che prima o poi qualcuno sarebbe caduto dalla sedia mentre cercavamo di raggiungere il vasetto più in alto.
La volta successiva fu lei a chiedermelo, sempre per il principio che ciò che faccio io a lei, lei lo fai a me e viceversa. Mi chiese di sdraiarmi per terra. Obbedii. Sembrava qualcosa di pianificato, orchestrato. Tanto meglio. Avevamo iniziato a programmare certe cose. Lei si spogliò e rimase...

Il resto della storia su richiesta
djhop3128@hnbjm.dpn
scritto il
2024-05-24
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