Schiava dei suoceri (parte 6)

di
genere
sadomaso

Quando Franco tornò dalla doccia, trovò la moglie che, avendo goduto, aveva sciolto i polsi della nuora e l’aveva fatta mettere a 4 zampe davanti a lei per appoggiare comodamente le gambe sulla sua schiena.
L’uomo era in accappatoio e la moglie sapeva cosa voleva, così tolse le gambe dallo sgabello umano. Lo sapeva anche la schiava la quale si stese a terra sulla schiena.
Al Padrone piaceva moltissimo, prima di indossare gli abiti da casa e dopo che la doccia aveva trascinato via buona parte della stanchezza, aprirsi l'accappatoio, abbassarsi sulla faccia della nuora e farsi leccare il culo.
Adorava sentire la sua lingua che prima passava intorno al buco e, poi, entrava dentro.
Anche Irene sapeva che, inserita la lingua, il Padrone si sarebbe gustato meglio il momento sedendosi pesantemente sulla sua faccia, così cercava di avere sempre una buona riserva di aria.
Si alzava solo quando l’ossigeno era esaurito e la schiava cominciava a dimenarsi per il bisogno di respirare.
Era bellissimo sapere che il proprio culo impediva a quella ragazza di inalare aria e questo alimentava il suo piacere.
Restava seduto anche dopo che la bestia sotto di lui aveva iniziato a dimenarsi e si alzava solo quando gli sforzi della schiava riuscivano a farlo spostare.
Quel gioco veniva ripetuto due o tre volte ed il petto della schiava che si sollevava sempre più freneticamente per approvvigionarsi di ossigeno dopo che ne era stata privata a lungo, aveva l’effetto di fargli diventare il cazzo duro.
Per lui era quello l’aperitivo in previsione degli appetiti sessuali che avrebbe soddisfatto più tardi.
Gli piaceva prolungare l’eccitazione con diverse angherie verso la giovane nuora, fino a che l’orgasmo non poteva più essere rinviabile e diveniva uno sfogo per il piacere accumulato nel corpo.
Il Padrone sapeva che mancava ancora tanto a quel momento, e lo sapeva anche la schiava.
Stufo del gioco, l’uomo si sedette sull’altra poltrona posata lì vicino e appoggiò un piede sul seno della donna stesa a terra.
Dalle espressioni del viso capiva che le stava procurando dolore e sapeva che la schiava mai si sarebbe lamentata per farlo spostare.
Giusto i primi tempi aveva cercato di manifestare il proprio disagio, pensando che per il Padrone fosse solo una mera questione di comodità. Le frustate ricevute per le lamentele le fecero invece capire che la comodità era solo una componente del piacere che veniva determinato anche dal suo dolore.
“Tu hai già goduto”.
Le frasi rivolte alla moglie erano sempre molto corte e anche le domande erano solitamente espresse nelle forma dell’affermazione.
“Sai che sono multiorgasmica, mi sono solo presa una rata di ciò che mi spetta”.
“Questa puttana è brava con la lingua”.
“Sì, almeno adesso a qualcosa serve nella vita, almeno nella nostra”.
Luisa era ancora rosa dalla rabbia verso la nuora.
Ne approfittò per darle un calcio nel fianco e, tutto sommato, provare piacere erotico nel lamento che aveva denunciato il dolore subito e, soprattutto, inaspettato.
Irene viveva le ore a casa dei suoceri con costante ansia.
In qualsiasi momento e senza nessun motivo poteva ricevere dolore procurato in molti modi, magari fatta stendere a terra e calpestata dai tacchi della Padrona, oppure dal Padrone che, fatta inginocchiare davanti a lui, le torceva i capezzoli fino a farle uscire qualche lacrima dagli occhi.
La conversazione tra i Padroni di spense subito e, anzi, poteva anche essere affermato che non era mai cominciata quella sera, non considerando dialogo uno scambio di frasi dettate dall’abitudine e giusto per cercare di dare una parvenza di una sopportabile vita assieme.
Franco restò seduto col piede appoggiato sui seni e si lasciò invadere dalla rilassatezza dovuta all’allontanamento delle tensioni della giornata, cui faceva contrasto la lieve e costante tensione generata dal piacere del dominio nei confronti della giovane nuora.
Lo scambio inutile di parole tra lui e la moglie ebbe l’effetto di fargli sorgere domande che ultimamente sempre più si affacciavano dall’angolo della sua anima, combattuta tra la rassicurante routine e la voglia di riprendersi una vita.
La schiava era diventata un collante non tanto tra lui e la moglie quanto tra lui e la routine, come fosse un alibi per rimandare o annullare la decisione di lasciare tutto e dedicarsi ad altre speranze di vita priva delle finzioni che albergavano quotidianamente in quella casa sempre più fredda.
La tensione nella schiava, abbassatasi lievemente, riprese a farsi viva quando la Padrona si alzò e si mise in piedi accanto a lei.
La mise un piede sulla faccia e cominciò a schiacciare il viso come se dovesse spegnere una immaginaria sigaretta.
“Vai a preparare la cena, schiava”.
A Luisa piaceva chiamarla con la parola che identificava il suo nuovo stato, come se volesse costantemente ricordarle ciò che era diventata, dopo i primi anni nei quali pensava di avere conquistato la sicurezza economica e sociale.
Non ebbe nemmeno il tempo di sbagliare e alzarsi in piedi che subito venne colpita dal frustino la cui forza la fece rovinare nuovamente a terra.
“A quattro zampe, cagna”.
Anche gli insulti erano all’ordine del giorno, in parte per il piacere di denigrarla, in parte quale espressione della considerazione che avevano di lei.
di
scritto il
2024-06-24
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