Il vicolo, il bullo e l'ausiliaria del traffico
di
passodalfiume
genere
esibizionismo
È una calda notte d'estate ,giunta a metà turno di ronda sono stanca ,ho le gambe gonfie ,mi fanno male i piedi nelle scarpe nere tacco 5 che per quanto belle sono forse la cosa più carina della mia divisa, non sono pensate per camminare a lungo e mi fanno male bestia , per finire anche se ho bevuto per tutta la sera ho una sete terribile.
Ha piovuto incessantemente per tutto il pomeriggio, al caldo di fine luglio si e aggiunta l'umidità della pioggia, sono sudata e bagnata dalla testa ai piedi. La divisa, camicia azzurra e gonna nera mi si incolla addosso come una seconda pelle.
Essendo solo un ausiliaria non sono armata, ma la radio, il taccuino delle multe, il borsello in cui tengo i miei documenti e il mio smartphone ,sembrano pesare una tonnellata.
Il cappello mi scalda la testa e la striscia di pelle mi segna la fronte.
I Collant marroni dentro i quali tengo avvolte le mie gambe mi danno il tormento. Da circa un'oretta mi sono accorta che sulla gamba sinistra dal ginocchio fino alla parte superiore della coscia mi ,un lungo sbrego mi rovina le calze pagate un occhio della testa e mi mette a nudo la pelle.
Giro per le strade della mia città ,nota località balneare, invidiando i turisti che se la spassano e facendo forse un po' per ripicca multe a go go, litigando con chi non sa rispettare il mio ruolo di pubblico ufficiale, le regole della strada e mi accusa di avere un atteggiamento troppo arrogante.
Ne la divisa che indosso né il fatto di essere una bella ragazza mi garantiscono trattamenti di riguardo ,anzi.
Alcune settimane prima, dopo aver elevato una contravvenzione ebbi una discussione accesa con un tizio poco raccomandabile pieno di tatuaggi per aver parcheggiato la sua moto sul marciapiede.
Avevo cercato di tenergli testa ma l'uomo non sembrava essere intimorito né dal mio tono né dalla divisa che indossavo.
La discussione era degenerata in un alterco, l'uomo dopo avermi costretta a spintoni contro un veicolo parcheggiato, lì davanti a tutti, in una strada affollata di gente, mi aveva infilato una mano sotto l'orlo della gonna, una gonna decisamente più corta di quello che era previsto dal regolamento, mi aveva palpato la passera con decisione in maniera piuttosto rude, dicendomi che anche se ero una bella figa , una moretta dall'aria birichina, restavo una stronza altezzosa , acida e accusandomi di non scopare abbastanza.
Se non fosse stato per l'intervento di altri due colleghi chiamati da un passante, credo che saremmo finiti sul giornale il giorno dopo.
L'uomo era stato arrestato , al comando di polizia locale non sembrava né spaventato per le conseguenze del suo atto, né pentito per quello che aveva fatto, anzi mentre parlava con me e con i colleghi si annusava in maniera provocatoria la mano che aveva tenuto tra le mie gambe , mano che a suo dire avevo abbondantemente bagnato e dicendomi che non avrebbe dimenticato il mio odore.
A quella sua dichiarazione che i colleghi avevano avuto cura di verbalizzare in ogni minimo dettaglio, come ad esempio chiedendogli quanto mi avesse trovata bagnata , se fosse riuscito a penetrarmi con le dita, quanto fossero sode le mie natiche, tenera la mia fighetta, cedevole il mio ano. Ignorando le mie proteste scrissero tutto quello che usciva fuori dalla bocca dell' uomo, verbalizzando la dichiarazione secondo cui la mia passerina e il buchetto del mio culo gli avevano risucchiato le dita e che se loro non fossero intervenuti probabilmente mi avrebbe fatto avere un orgasmo, lì in strada tra la folla.
Ascoltando la sua versione i due , mi guardavano cercando un qualche tipo di reazione e sogghignavano, mi ero sentita imbarazzata.
Quella sera indossavo un microscopico perizoma ed era stato gioco facile per lui arrivare alla carne viva, è vero, mi ero bagnata tantissimo.
Quello umiliazione in pubblico ,la sua mano forte stretta intorno al mio collo fino a quasi farmi mancare il respiro, il senso di impotenza, di sconfitta, le sue dita che mi frugavano dentro avevano finito per eccitarmi, non potevo di certo negarlo eppure, mi sentivo oltragiata e persino accusata.
I due che già da tempo avevano definito un giudizio molto poco lusinghiero sul mio conto, sembravano avere più biasimo per me, che per il crimine di aggressione a pubblico ufficiale commesso dal sospettato.
Fin dai primi giorni mi avevano giudicato per il modo in cui mi presentavo in servizio, anche se, se ne erano tutt'altro che lamentati, anzi sembravano aver apprezzato e parecchio le modifiche che avevo fatto su misura alla divisa, adattando la camicia al mio fisico in maniera che fosse più comoda e perché no anche un po' più femminile, stringendo sui fianchi e sotto il seno in modo da metterlo in evidenza e accorciando di quasi un palmo l'orlo della gonna.
Divenni bordeaux quando i miei due colleghi prima di condurlo in cella gli chiesero di annusargli le dita della mano con cui si era dilettato su di me, per poi chiedermi davanti a lui se ero ancora bagnata, insistendo così tante volte che alla fine sfinita dovetti a mettere che si, le mutandine fradice mi si erano incollate addosso. Certo essere messa in quella situazione era si umiliante ma allo stesso tempo anche piacevole.
Per quanto l'evento mi avesse scossa, ero tornata al mio dovere la sera stessa, dopo essermi cambiata l'intimo , intimo che i miei due colleghi raggiuntomi nello spogliatoio, mi convinsero a dargli sostenendo che fosse una prova del reato. Anche se non del tutto convinta di quella procedura, mi dissi disponibile le presi dall'armadietto e gliele consegnai.
I due colleghi davanti ai miei occhi analizzarono con dovizia il corpo del reato, testandone l'elasticità, apprezzandone il tessuto, poi lo rivoltarono e si concentrarono ad ispezionare il suo interno. Trovarono senza problemi la macchia ancora calda delle mie secrezioni sul cavallo, prima saggiandola con le dita, dita che si portarono alla bocca, poi annusando direttamente Il tassello umido intingendosi a turno la lingua sopra.
Sapevo benissimo cosa stavano facendo ma non ebbi il coraggio di interromperli, un vortice di vergogna ed eccitazione mi mescolava il sangue. Quando sembrarono soddisfatti le rinchiusero in un sacchetto per le prove, prima di lasciarmi mi ricordarono di indossare dei nuovi paia di slip prima di tornare in strada. Li rassicurai che avevo già provveduto e quello accese la loro curiosità, insistendo così tanto per sapere cosa avevo scelto di indossare che dovetti mostrarglielo sollevandomi la gonna.
Dopo attento osservazione mi dissero che il tanga rosso rimasto lì da Natale e forse non del tutto pulito non era proprio di ordinanza, che forse avrei dovuto prendermi più cura del mio orticello rasandomi la passera più spesso. Altra umiliazione altra scarica di piacere. Vivendo il mio ruolo li ringraziai , rimisi a posto la gonna e tornai in strada per terminare il mio servizio.
Qualche ora dopo a fine del turno tornata in centrale, ritrovai le mie mutandine appese al lucchetto del armadietto lordate di sperma, con un post-it anonimo che mi invitava ad indossarle, cosa che non feci mai ,mi limitai a infilarle nella borsetta e a portarmele a casa senza però mai lavarle, come una sorta di feticcio con cui solleticarmi le narici nei momenti di solitudine.
Col passare dei giorni , quella che sarebbe potuta essere una brutta vicenda, divenne una storia divertente da raccontare davanti a un caffè tra colleghi, alla fine scherzandoci su avevamo finito per demonizzarla e renderla una storia leggera.
Da quel giorno passarono parecchie settimane fino a portarmi a quella fatidica notte.
Era tarda notte, ero tutta soddisfatta, elevando l'ultima multa della mia giornata quando fui colta dall'impellente bisogno di urinare.
Avevo la vescica piena ,tutta l'acqua che avevo bevuto ora sentiva il bisogno di tornare fuori.
Avrei potuto entrare in uno dei tanti locali aperti ma conoscendo bene il livello di igiene di molti di quegli esercizi commerciali ,all'idea di dovermi sedere sulla tazza su cui qualcuno aveva pisciato o fatto di peggio mi fece desistere.
Decisi che avrei fatto in tempo a tornare alla stazione di polizia.
Mi stavo affrettando con passo veloce dirigendomi verso il comando, cercando di tenerla dentro, quando due turisti anziani mi fermarono per delle indicazioni di un albergo non troppo lontano da lì.
Due rimbambiti, per quanto cercassi di essere precisa nelle indicazioni e gentile nei modi, i due non sembravano capire una mazza.
Tenevo le gambe serrate, sentivo il cavallo delle mie mutandine inumidirsi ,ero al limite e se non fossi andata via avrei finito per farla lì davanti a tutti.
In maniera un po' frettolosa li salutai e ripresi la mia strada sentendoli borbottare sulla maleducazione dei giovani d'oggi.
Ero troppo lontana dalla mia meta, ormai saltellavo da un piede a un altro tentando di tenerla, non avrei mai raggiunto in tempo i bagni degli spogliatoi della caserma. Conoscendo bene la zona in cui ero sapevo che c'era un vicolo di servizio dietro i locali, buio e di solito non frequentato che usavo non di rado come scorciatoia nei miei giri di ronda.
Costretta dall'impellente bisogno di urinare decisi che quel vicolo sarebbe stata la mia toilette improvvisata.
Forse avrei dovuto fare più attenzione ad eventuali presenze nel vicolo ma a causa della frenesia del momento, misi da parte il bisogno di privacy , l'istinto di sopravvivenza ed eventuale imbarazzo e mi accinsi a fare i miei bisogni.
Aveva ripreso a piovere, tanto per aumentare il disagio mentre cercavo il posto ideale.
Accucciata tra i cassonetti sotto ad un balcone, con l'orlo della gonna sollevata fino in vita, i collant e le mutandine abbassate fino a metà coscia, rilassai l'uretra e spinsi fuori l'urina.
Mentre l'intensità della pioggia aumentava, Il getto che fuoriusciva dalla mia passerina sembrava inarrestabile ,era abbondante e forte, lo sentivo rimbalzare sull'asfalto sotto di me ad un palmo dalla mia pelle nuda e ancora caldo bagnarmi le scarpe, i collant, le cosce e le natiche.
Non avevo ancora finito quando un'ombra di una enorme sagoma oscura incombette su di me.
Era il tizio tatuato con cui avevo litigato che avrebbe dovuto essere in carcere e che invece, se ne stava lì davanti a me in piedi con l'uccello fuori dalla patta.
Un uccello enorme, l'asta in piena erezione guizzava diritta verso di me, la cappella rossa, tonda, gonfia e umida, del tutto esposta mi puntava sul viso.
Aprii la bocca per intimargli l'alt e consigliargli di desistere dal suo chiaro intento, ma finii solo per agevolargli lo scopo ,così, dopo avermi battuto prima sui denti ,contro il palato e poi scivolato lungo la lingua un po' secca per la sete, il suo enorme cazzo mi finii in fondo alla gola.
Tenendomi la testa tra le sue forti mani mi scopò la bocca senza alcun riguardo dicendomi che era tutta la sera che mi seguiva, aspettando il momento opportuno per farmi assaggiare il suo cazzo.
La mia resistenza, la mia voglia di combatterlo, vennero subito meno.
Forse ero troppo stanca ,forse davvero come lui continuava a ripetermi spingendomi il suo uccello giù per la gola ,da troppo tempo nessuno si prendeva cura di me, della mia passerina.
A suo dire era un vero peccato, uno spreco, il mio corpo sembrava fatto per eccitare gli uomini e farmi scopare.
Quelle parole mi facevano ribollire il sangue.
Al lavoro non erano mancate le opportunità, ero giovane e senza peccare di vanità anche la più carina, inoltre in quel periodo tra malattie, ferie e maternità ,ero l'unica ragazza in servizio.
Questo mi rendeva oggetto delle attenzioni più o meno gradite dei colleghi.
Essendo una recluta in rispetto dell'anzianità dei miei colleghi subivo, senza dare troppo peso alle palpatine fugaci, ai pizzicotti sul culo, ai massaggi alle spalle che inevitabilmente finivano sul mio seno, alle battutine spinte, alle richieste di annusarmi i capelli o ascelle, alle invasioni di campo mentre mi cambiavo nello spogliatoio condiviso, nel quale nuda o mezza nuda finivo fotografata dai loro smartphone come souvenir, ai continui tentativi con ogni tipo di pretesto per guardarmi sotto la gonna o dentro la camicetta, tentativi che, con la mia complicità per quelli che consideravo dei giochi innocui andavano il più delle volte a buon fine.
Così che il tipo e il colore delle mie mutandine, erano non di rado argomento di discussione nei momenti di pausa davanti alla macchinetta del caffè o seduti alle nostre scrivanie.
Arrivarono a scommettere su di esse, a scommettere soldi veri, certo non cifre enormi solo pochi euro e se nessuno dava la risposta giusta, io beccavo la posta, ma non prima di aver dato loro la prova sollevando la gonna e mostrandogli il mio intimo.
Grazie alla mia disponibilità si era sviluppato un piacevole clima conviviale, si lavorava in armonia, in intimità , i ragazzi mi riempivano di attenzioni e di regalini, cioccolatini, fiori, gioielli di piccola bigiotteria, profumi e perché no ,anche dell'intimo caratterizzato dall'essere sempre di taglio molto seducente e con scarsa capacità coprente.
Era divertente ,qualcuno le avrebbe trovate delle molestie ma per me era come se fossi la fidanzatina di tutti.
Ammetto che quella cosa mi lusingava e mi stuzzicava la fantasia , fino a rendermi piuttosto disponibile, persino promotrice in modo esplicito di eventuali rapporti sessuali con ognuno di loro ma nessuno di loro si era mai fatto avanti fu aveva dimostrato abbastanza coraggio.
Il sesso fatto con una collega consensuale o no che fosse avrebbe potuto rovinare la carriera a tutti.
Così sul serio avevo accumulato tantissima tensione erotica , tensione che non ero riuscita a sfogare nemmeno con la mia costante pratica quotidiana dell' autoerotismo, che facevo ovunque appena ne avevo la possibilità, anche se non ero completamente sola.
Nei bagni che condividevo con i colleghi, seduta sul water mentre li sentivo chiacchierare al di là della porta. Alla mia scrivania mentre tutti erano concentrati sul proprio lavoro, negli spogliatoi anch'essi condivisi immaginando che qualcuno mi spiasse, e persino in una delle piccole Celle di detenzione che avevamo nel seminterrato, nel magazzino della cancelleria in piedi tra gli scaffali, nel corridoio dietro la macchinetta del caffè, qualunque luogo era buono per darmi piacere con le dita, fino a venire.
Così venendo incontro alla mia natura, in quel vicolo buio, arrendevole e avvinta da quella che era diventata una cura per il mio stress, mi consegnai al mio aggressore, mi lasciai sollevare di forza e sbattere contro il cassonetto.
Mi ordinò di allargare le natiche e lo feci, di sollevare il culo e mostrargli le mie vergogne e obbedii.
Toccò a lui inginocchiarsi dietro di me e con bocca vorace divorarmi il sesso.
Sentivo la sua lingua affondarmi tra le pareti umide della mia passerina mentre le sue dita mi violavano contemporaneamente l'ano e la fica.
La pioggia continuava a battere su di noi sempre più forte ,mentre il suo enorme uccello cercava di trovare asilo tra le cedevoli labbra, la carne elastica e il calore della mia passerina.
Per quanto fossi bagnata di urina, sudore ,pioggia e naturali secrezioni della mia vagina il suo uccello era troppo grosso e faticava ad entrare.
Gemetti forte con un lungo sospiro quando finalmente riuscì a superare l'ostacolo e cominciò a scivolarmi dentro.
Tenendomi per i fianchi mi scopò con veemenza, quasi con rabbia, mentre io piegata e succube cercavo di reggermi al cassonetto davanti a me.
Veniva giù un acquazzone, Il cielo tuonava come a volerci condannare ma a quel punto nessun giudizio contava per me, ne divino, né quello dei miei colleghi, né quello di coloro che si erano trovati a passare per quel vicolo attirati dal trambusto e ci avevano visti, né quello di mio marito che mi attendeva a casa e che nel suo egoismo , da troppo troppo tempo, non si curava di me.
Accolsi con gioia, con giubilo invocando il nome del padreterno a pieni polmoni il suo seme ,mentre questo mi riempiva la fica, sentendo tutto lo stress accumulato in quei giorni scivolare via tra gli spasmi di un lunghissimo e violento orgasmo.
Mentre l'uomo lasciava Il vicolo , non prima di essersi dilettato a scattarmi qualche foto col suo smartphone, io rimasi qualche istante seduta per terra sotto il temporale incessante , con il fiato spezzato, finalmente soddisfatta, a cosce aperte con il suo sperma che mi colava dalla fica e che mescolato la pioggia scorreva via sull'asfalto, tra il fango, le cartacce e le lattine abbandonate.
Due ragazze assistita tutta la scena presero coraggio e si avvicinarono chiedendomi se stavo bene.
Scossi la testa sorrisi e alzandomi, risposi loro che non ero mai stata meglio...
Ha piovuto incessantemente per tutto il pomeriggio, al caldo di fine luglio si e aggiunta l'umidità della pioggia, sono sudata e bagnata dalla testa ai piedi. La divisa, camicia azzurra e gonna nera mi si incolla addosso come una seconda pelle.
Essendo solo un ausiliaria non sono armata, ma la radio, il taccuino delle multe, il borsello in cui tengo i miei documenti e il mio smartphone ,sembrano pesare una tonnellata.
Il cappello mi scalda la testa e la striscia di pelle mi segna la fronte.
I Collant marroni dentro i quali tengo avvolte le mie gambe mi danno il tormento. Da circa un'oretta mi sono accorta che sulla gamba sinistra dal ginocchio fino alla parte superiore della coscia mi ,un lungo sbrego mi rovina le calze pagate un occhio della testa e mi mette a nudo la pelle.
Giro per le strade della mia città ,nota località balneare, invidiando i turisti che se la spassano e facendo forse un po' per ripicca multe a go go, litigando con chi non sa rispettare il mio ruolo di pubblico ufficiale, le regole della strada e mi accusa di avere un atteggiamento troppo arrogante.
Ne la divisa che indosso né il fatto di essere una bella ragazza mi garantiscono trattamenti di riguardo ,anzi.
Alcune settimane prima, dopo aver elevato una contravvenzione ebbi una discussione accesa con un tizio poco raccomandabile pieno di tatuaggi per aver parcheggiato la sua moto sul marciapiede.
Avevo cercato di tenergli testa ma l'uomo non sembrava essere intimorito né dal mio tono né dalla divisa che indossavo.
La discussione era degenerata in un alterco, l'uomo dopo avermi costretta a spintoni contro un veicolo parcheggiato, lì davanti a tutti, in una strada affollata di gente, mi aveva infilato una mano sotto l'orlo della gonna, una gonna decisamente più corta di quello che era previsto dal regolamento, mi aveva palpato la passera con decisione in maniera piuttosto rude, dicendomi che anche se ero una bella figa , una moretta dall'aria birichina, restavo una stronza altezzosa , acida e accusandomi di non scopare abbastanza.
Se non fosse stato per l'intervento di altri due colleghi chiamati da un passante, credo che saremmo finiti sul giornale il giorno dopo.
L'uomo era stato arrestato , al comando di polizia locale non sembrava né spaventato per le conseguenze del suo atto, né pentito per quello che aveva fatto, anzi mentre parlava con me e con i colleghi si annusava in maniera provocatoria la mano che aveva tenuto tra le mie gambe , mano che a suo dire avevo abbondantemente bagnato e dicendomi che non avrebbe dimenticato il mio odore.
A quella sua dichiarazione che i colleghi avevano avuto cura di verbalizzare in ogni minimo dettaglio, come ad esempio chiedendogli quanto mi avesse trovata bagnata , se fosse riuscito a penetrarmi con le dita, quanto fossero sode le mie natiche, tenera la mia fighetta, cedevole il mio ano. Ignorando le mie proteste scrissero tutto quello che usciva fuori dalla bocca dell' uomo, verbalizzando la dichiarazione secondo cui la mia passerina e il buchetto del mio culo gli avevano risucchiato le dita e che se loro non fossero intervenuti probabilmente mi avrebbe fatto avere un orgasmo, lì in strada tra la folla.
Ascoltando la sua versione i due , mi guardavano cercando un qualche tipo di reazione e sogghignavano, mi ero sentita imbarazzata.
Quella sera indossavo un microscopico perizoma ed era stato gioco facile per lui arrivare alla carne viva, è vero, mi ero bagnata tantissimo.
Quello umiliazione in pubblico ,la sua mano forte stretta intorno al mio collo fino a quasi farmi mancare il respiro, il senso di impotenza, di sconfitta, le sue dita che mi frugavano dentro avevano finito per eccitarmi, non potevo di certo negarlo eppure, mi sentivo oltragiata e persino accusata.
I due che già da tempo avevano definito un giudizio molto poco lusinghiero sul mio conto, sembravano avere più biasimo per me, che per il crimine di aggressione a pubblico ufficiale commesso dal sospettato.
Fin dai primi giorni mi avevano giudicato per il modo in cui mi presentavo in servizio, anche se, se ne erano tutt'altro che lamentati, anzi sembravano aver apprezzato e parecchio le modifiche che avevo fatto su misura alla divisa, adattando la camicia al mio fisico in maniera che fosse più comoda e perché no anche un po' più femminile, stringendo sui fianchi e sotto il seno in modo da metterlo in evidenza e accorciando di quasi un palmo l'orlo della gonna.
Divenni bordeaux quando i miei due colleghi prima di condurlo in cella gli chiesero di annusargli le dita della mano con cui si era dilettato su di me, per poi chiedermi davanti a lui se ero ancora bagnata, insistendo così tante volte che alla fine sfinita dovetti a mettere che si, le mutandine fradice mi si erano incollate addosso. Certo essere messa in quella situazione era si umiliante ma allo stesso tempo anche piacevole.
Per quanto l'evento mi avesse scossa, ero tornata al mio dovere la sera stessa, dopo essermi cambiata l'intimo , intimo che i miei due colleghi raggiuntomi nello spogliatoio, mi convinsero a dargli sostenendo che fosse una prova del reato. Anche se non del tutto convinta di quella procedura, mi dissi disponibile le presi dall'armadietto e gliele consegnai.
I due colleghi davanti ai miei occhi analizzarono con dovizia il corpo del reato, testandone l'elasticità, apprezzandone il tessuto, poi lo rivoltarono e si concentrarono ad ispezionare il suo interno. Trovarono senza problemi la macchia ancora calda delle mie secrezioni sul cavallo, prima saggiandola con le dita, dita che si portarono alla bocca, poi annusando direttamente Il tassello umido intingendosi a turno la lingua sopra.
Sapevo benissimo cosa stavano facendo ma non ebbi il coraggio di interromperli, un vortice di vergogna ed eccitazione mi mescolava il sangue. Quando sembrarono soddisfatti le rinchiusero in un sacchetto per le prove, prima di lasciarmi mi ricordarono di indossare dei nuovi paia di slip prima di tornare in strada. Li rassicurai che avevo già provveduto e quello accese la loro curiosità, insistendo così tanto per sapere cosa avevo scelto di indossare che dovetti mostrarglielo sollevandomi la gonna.
Dopo attento osservazione mi dissero che il tanga rosso rimasto lì da Natale e forse non del tutto pulito non era proprio di ordinanza, che forse avrei dovuto prendermi più cura del mio orticello rasandomi la passera più spesso. Altra umiliazione altra scarica di piacere. Vivendo il mio ruolo li ringraziai , rimisi a posto la gonna e tornai in strada per terminare il mio servizio.
Qualche ora dopo a fine del turno tornata in centrale, ritrovai le mie mutandine appese al lucchetto del armadietto lordate di sperma, con un post-it anonimo che mi invitava ad indossarle, cosa che non feci mai ,mi limitai a infilarle nella borsetta e a portarmele a casa senza però mai lavarle, come una sorta di feticcio con cui solleticarmi le narici nei momenti di solitudine.
Col passare dei giorni , quella che sarebbe potuta essere una brutta vicenda, divenne una storia divertente da raccontare davanti a un caffè tra colleghi, alla fine scherzandoci su avevamo finito per demonizzarla e renderla una storia leggera.
Da quel giorno passarono parecchie settimane fino a portarmi a quella fatidica notte.
Era tarda notte, ero tutta soddisfatta, elevando l'ultima multa della mia giornata quando fui colta dall'impellente bisogno di urinare.
Avevo la vescica piena ,tutta l'acqua che avevo bevuto ora sentiva il bisogno di tornare fuori.
Avrei potuto entrare in uno dei tanti locali aperti ma conoscendo bene il livello di igiene di molti di quegli esercizi commerciali ,all'idea di dovermi sedere sulla tazza su cui qualcuno aveva pisciato o fatto di peggio mi fece desistere.
Decisi che avrei fatto in tempo a tornare alla stazione di polizia.
Mi stavo affrettando con passo veloce dirigendomi verso il comando, cercando di tenerla dentro, quando due turisti anziani mi fermarono per delle indicazioni di un albergo non troppo lontano da lì.
Due rimbambiti, per quanto cercassi di essere precisa nelle indicazioni e gentile nei modi, i due non sembravano capire una mazza.
Tenevo le gambe serrate, sentivo il cavallo delle mie mutandine inumidirsi ,ero al limite e se non fossi andata via avrei finito per farla lì davanti a tutti.
In maniera un po' frettolosa li salutai e ripresi la mia strada sentendoli borbottare sulla maleducazione dei giovani d'oggi.
Ero troppo lontana dalla mia meta, ormai saltellavo da un piede a un altro tentando di tenerla, non avrei mai raggiunto in tempo i bagni degli spogliatoi della caserma. Conoscendo bene la zona in cui ero sapevo che c'era un vicolo di servizio dietro i locali, buio e di solito non frequentato che usavo non di rado come scorciatoia nei miei giri di ronda.
Costretta dall'impellente bisogno di urinare decisi che quel vicolo sarebbe stata la mia toilette improvvisata.
Forse avrei dovuto fare più attenzione ad eventuali presenze nel vicolo ma a causa della frenesia del momento, misi da parte il bisogno di privacy , l'istinto di sopravvivenza ed eventuale imbarazzo e mi accinsi a fare i miei bisogni.
Aveva ripreso a piovere, tanto per aumentare il disagio mentre cercavo il posto ideale.
Accucciata tra i cassonetti sotto ad un balcone, con l'orlo della gonna sollevata fino in vita, i collant e le mutandine abbassate fino a metà coscia, rilassai l'uretra e spinsi fuori l'urina.
Mentre l'intensità della pioggia aumentava, Il getto che fuoriusciva dalla mia passerina sembrava inarrestabile ,era abbondante e forte, lo sentivo rimbalzare sull'asfalto sotto di me ad un palmo dalla mia pelle nuda e ancora caldo bagnarmi le scarpe, i collant, le cosce e le natiche.
Non avevo ancora finito quando un'ombra di una enorme sagoma oscura incombette su di me.
Era il tizio tatuato con cui avevo litigato che avrebbe dovuto essere in carcere e che invece, se ne stava lì davanti a me in piedi con l'uccello fuori dalla patta.
Un uccello enorme, l'asta in piena erezione guizzava diritta verso di me, la cappella rossa, tonda, gonfia e umida, del tutto esposta mi puntava sul viso.
Aprii la bocca per intimargli l'alt e consigliargli di desistere dal suo chiaro intento, ma finii solo per agevolargli lo scopo ,così, dopo avermi battuto prima sui denti ,contro il palato e poi scivolato lungo la lingua un po' secca per la sete, il suo enorme cazzo mi finii in fondo alla gola.
Tenendomi la testa tra le sue forti mani mi scopò la bocca senza alcun riguardo dicendomi che era tutta la sera che mi seguiva, aspettando il momento opportuno per farmi assaggiare il suo cazzo.
La mia resistenza, la mia voglia di combatterlo, vennero subito meno.
Forse ero troppo stanca ,forse davvero come lui continuava a ripetermi spingendomi il suo uccello giù per la gola ,da troppo tempo nessuno si prendeva cura di me, della mia passerina.
A suo dire era un vero peccato, uno spreco, il mio corpo sembrava fatto per eccitare gli uomini e farmi scopare.
Quelle parole mi facevano ribollire il sangue.
Al lavoro non erano mancate le opportunità, ero giovane e senza peccare di vanità anche la più carina, inoltre in quel periodo tra malattie, ferie e maternità ,ero l'unica ragazza in servizio.
Questo mi rendeva oggetto delle attenzioni più o meno gradite dei colleghi.
Essendo una recluta in rispetto dell'anzianità dei miei colleghi subivo, senza dare troppo peso alle palpatine fugaci, ai pizzicotti sul culo, ai massaggi alle spalle che inevitabilmente finivano sul mio seno, alle battutine spinte, alle richieste di annusarmi i capelli o ascelle, alle invasioni di campo mentre mi cambiavo nello spogliatoio condiviso, nel quale nuda o mezza nuda finivo fotografata dai loro smartphone come souvenir, ai continui tentativi con ogni tipo di pretesto per guardarmi sotto la gonna o dentro la camicetta, tentativi che, con la mia complicità per quelli che consideravo dei giochi innocui andavano il più delle volte a buon fine.
Così che il tipo e il colore delle mie mutandine, erano non di rado argomento di discussione nei momenti di pausa davanti alla macchinetta del caffè o seduti alle nostre scrivanie.
Arrivarono a scommettere su di esse, a scommettere soldi veri, certo non cifre enormi solo pochi euro e se nessuno dava la risposta giusta, io beccavo la posta, ma non prima di aver dato loro la prova sollevando la gonna e mostrandogli il mio intimo.
Grazie alla mia disponibilità si era sviluppato un piacevole clima conviviale, si lavorava in armonia, in intimità , i ragazzi mi riempivano di attenzioni e di regalini, cioccolatini, fiori, gioielli di piccola bigiotteria, profumi e perché no ,anche dell'intimo caratterizzato dall'essere sempre di taglio molto seducente e con scarsa capacità coprente.
Era divertente ,qualcuno le avrebbe trovate delle molestie ma per me era come se fossi la fidanzatina di tutti.
Ammetto che quella cosa mi lusingava e mi stuzzicava la fantasia , fino a rendermi piuttosto disponibile, persino promotrice in modo esplicito di eventuali rapporti sessuali con ognuno di loro ma nessuno di loro si era mai fatto avanti fu aveva dimostrato abbastanza coraggio.
Il sesso fatto con una collega consensuale o no che fosse avrebbe potuto rovinare la carriera a tutti.
Così sul serio avevo accumulato tantissima tensione erotica , tensione che non ero riuscita a sfogare nemmeno con la mia costante pratica quotidiana dell' autoerotismo, che facevo ovunque appena ne avevo la possibilità, anche se non ero completamente sola.
Nei bagni che condividevo con i colleghi, seduta sul water mentre li sentivo chiacchierare al di là della porta. Alla mia scrivania mentre tutti erano concentrati sul proprio lavoro, negli spogliatoi anch'essi condivisi immaginando che qualcuno mi spiasse, e persino in una delle piccole Celle di detenzione che avevamo nel seminterrato, nel magazzino della cancelleria in piedi tra gli scaffali, nel corridoio dietro la macchinetta del caffè, qualunque luogo era buono per darmi piacere con le dita, fino a venire.
Così venendo incontro alla mia natura, in quel vicolo buio, arrendevole e avvinta da quella che era diventata una cura per il mio stress, mi consegnai al mio aggressore, mi lasciai sollevare di forza e sbattere contro il cassonetto.
Mi ordinò di allargare le natiche e lo feci, di sollevare il culo e mostrargli le mie vergogne e obbedii.
Toccò a lui inginocchiarsi dietro di me e con bocca vorace divorarmi il sesso.
Sentivo la sua lingua affondarmi tra le pareti umide della mia passerina mentre le sue dita mi violavano contemporaneamente l'ano e la fica.
La pioggia continuava a battere su di noi sempre più forte ,mentre il suo enorme uccello cercava di trovare asilo tra le cedevoli labbra, la carne elastica e il calore della mia passerina.
Per quanto fossi bagnata di urina, sudore ,pioggia e naturali secrezioni della mia vagina il suo uccello era troppo grosso e faticava ad entrare.
Gemetti forte con un lungo sospiro quando finalmente riuscì a superare l'ostacolo e cominciò a scivolarmi dentro.
Tenendomi per i fianchi mi scopò con veemenza, quasi con rabbia, mentre io piegata e succube cercavo di reggermi al cassonetto davanti a me.
Veniva giù un acquazzone, Il cielo tuonava come a volerci condannare ma a quel punto nessun giudizio contava per me, ne divino, né quello dei miei colleghi, né quello di coloro che si erano trovati a passare per quel vicolo attirati dal trambusto e ci avevano visti, né quello di mio marito che mi attendeva a casa e che nel suo egoismo , da troppo troppo tempo, non si curava di me.
Accolsi con gioia, con giubilo invocando il nome del padreterno a pieni polmoni il suo seme ,mentre questo mi riempiva la fica, sentendo tutto lo stress accumulato in quei giorni scivolare via tra gli spasmi di un lunghissimo e violento orgasmo.
Mentre l'uomo lasciava Il vicolo , non prima di essersi dilettato a scattarmi qualche foto col suo smartphone, io rimasi qualche istante seduta per terra sotto il temporale incessante , con il fiato spezzato, finalmente soddisfatta, a cosce aperte con il suo sperma che mi colava dalla fica e che mescolato la pioggia scorreva via sull'asfalto, tra il fango, le cartacce e le lattine abbandonate.
Due ragazze assistita tutta la scena presero coraggio e si avvicinarono chiedendomi se stavo bene.
Scossi la testa sorrisi e alzandomi, risposi loro che non ero mai stata meglio...
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