Il cazzo

di
genere
dominazione

Il cazzo è una cosa strana, uno strumento a doppio servizio, serve per pisciare e anche per sborrare. Ce lo portiamo sempre appresso, nel ripostiglio delle mutande o del costume al mare. Sta a cuccia fra le palle. Ogni tanto gli facciamo prendere aria e in un colpo di mano scatta sull'attenti. È proprio un soldato, diciamo pure un veterano. Ci fa tanta compagnia e nutre il nostro orgoglio di maschi quando entra in erezione. Se è vivo lui ci sentiamo vivi anche noi. Duro e caldo guizza, come un aereo che esce dal suo rifugio e prende il volo a palle spiegate (non a caso si chiama anche uccello) per remigare nei cieli variopinti del sex. Se il culo è una mongolfiera il cazzo è un dirigibile. Uno Zeppelin meraviglioso, che punta a fare centro, sul muso o sopra le cosce, in zona oral-vagina o utero-anale, e si fionda come un missile nel primo buco a portata. Plana sulla pista di atterraggio e dopo aver ben bene rollato e beccheggiato si ferma e scarica le cisterne. Poi rientra negli hangar. Per ogni schiavo che si rispetti il vero cazzo non è il suo bensì quello del padrone. Un modello di gamma alta al quale non difetta niente per forma e dimensioni da fare invidia. Il cazzo del mio padrone c'è l'ho sempre davanti agli occhi. È un'icona tra i cespugli del suo pube. Quasi sempre in super-erezione sguaina tanto di cappella a ogiva dove stillano goccia a goccia le prime avvisaglie di tanta porca voglia di fottermi. Gonfio, liscio, perfetto, perfettamente a bolla come una livella, inesorabile come una frusta che mi struscia e mi bastona facendomi sentire frocio. Se io sono un soldato semplice lui è un generale di corpo d'armata. Il cazzo del padrone è il più bello del mondo. È il mio incanto, ci resto davanti imbambolato. Non mi capacito mai del privilegio di essere ammesso a pulirlo e a servirlo. Non smetto di adorarlo. Sono onorato di fargli da schiavo. Il padrone se ne compiace: è fiero di sé e della soggezione che provo per il suo trapano, di come in ogni circostanza me ne sento stregato. L'altro giorno l'ho guardato spargere un lungo getto di piscia calda, a dondolo come un idrante indiavolato, che mi inzozzava dalla testa ai piedi, in ginocchio con le mani sulle cosce e a bocca spalancata, tutto gocciolante in una pozza, a berlo a sorsi come un'idrovora e a spegnere la mia sete, io che sono, bene che vada e per sua degnazione, un cesso, solo una pulce tra i peli del suo inguine o uno zerbino sotto ai suoi magnifici piedi.
scritto il
2024-09-14
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