Il principe de Siviglia 1
di
Bernardo GUY
genere
tradimenti
Il principe di Siviglia (1a di 2 parti)
3 anni prima
22 anni bello alto magro, scuro di carnagione, bei lineamenti, occhi nocciola, capelli lunghi mossi con riflessi più chiari. Solitamente non utilizzavo elastici ma preferivo pezzi di lacci chi mi facevano scendere i capelli sulla schiena in una coda più morbida.
Sapevo che quando entravo in pub o locali, venivo notato, le donne incuriosite un po’ ammiccanti le più coraggiose, gli uomini con sguardi invidiosi o di un lontano disprezzo.
Io ero alla ricerca dell’amore, di quello destabilizzante, di quello in cui perdersi in occhi, profondi e lucidi, di occhi innamorati.
Ovvio giocavo alle facili conquiste, utilizzavo la tecnica consolidata del ‘bel tenebroso’ di quello che ha sempre qualcosa da nasconderti o quello che nei suoi più profondi pensieri non ti avrebbe fatto entrare.
E così cadevano ai miei piedi, letteralmente, quando me lo prendevano in bocca nell’ombra di qualche parco o tra i vicoli bui nelle notte. Se una mi lasciava perché ero troppo stronzo non c’era il tempo di piangersi addosso, c’era un’altra pronta: bionde, castane, more insomma mi piaceva la fica.
A dir loro ero bravo, spinto comunque da una sana passione nel vederle prima soddisfatte, schiumate, ansanti per poi nutrire il mio corpo nella perdizione dell’orgasmo, nella ‘piccola morte’ come i cinesi chiamano l’orgasmo.
Mi piaceva toccare, leccare quei giovani e sinuosi corpi che rispondevano al mio contatto inumidendosi, esalando piccoli sussurri prima dell’estasi.
Oltre tutto le rispettavo, non tradivo, per un po’ mi sentivo anche innamorato, a volte mi dicevo ‘ecco questa è per la vita’.
Poi bastava che alla cena di classe la mia ‘candidata donna per sempre’ andasse, con un compagno, a fare un giro in macchina, magari per aiutarlo in un suo problema sentimentale, che quei dubbi in me facevano scattare come in un orologio la lancetta avanti dove la mia cara ‘lei per la vita’ non avrebbe più trovato posto.
D’altronde avere pensieri di possibili tradimenti a 22 anni, voleva dire mangiarsi le unghie per tutta la vita. Quindi come al luna park ‘altro giro altra corsa’.
Certo la bellezza, quattro parole da saper dire al tramonto sugli scogli di Trieste, quattro libri letti mi avevano di certo aiutato.
- cosa vuoi fare della tua vita – - lo scrittore - rispondevo (studiavo lettere) e già, se avessi annusato le loro mutandine avrei adorato quel sottile umidiccio profumo dell’eccitazione.
Le ragazze andavano conquistate, c’era quella abbagliata dalla mia bellezza a cui non serviva nulla ed era un piatto già servito su cui deliziarsi, altre dovevi rincuorarle magari per un ex che le aveva trattate male e lì chiedevo mentalmente aiuto a Eric From (L’arte di amare), Leonardo Buscaglia (Vivere, amare capirsi) o qualche cantante: Guccini, De Gregori o altri.
Altre mi sembravano inarrivabili e dovevo, come un croupier, giocarmi tutte le carte: tanto il banco vince sempre.
Spesso a 16 o 17 anni quando c’era solo stato qualche bacio e qualche manina in mezzo le rispettive gambe, in un parchetto o in un sottoscala, a casa mi masturbavo pensando al momento del ‘contatto finale’, all’attimo in cui i nostri corpi fossero diventati uno solo almeno per un po’.
Molto spesso, immodestamente posso dire, che quasi sempre dopo quei pensieri e quel gioco solitario riuscivo nel mio intento di rendere le mie fantasie realtà.
Insomma non mi potevo lamentare.
Tanto che molti anni dopo un amico mi aveva detto
- Tu hai avuto tutte le più fighe di Trieste, e forse di tutta la provincia -.
Questo mi aveva fatto riflettere per due cose: ad un certo punto dovevo pur cambiare, infatti mi sono sposato con Anna, donna meravigliosa sotto ogni aspetto; ma con un po’ di amaro in bocca per il tempo sgusciato da me, mi aveva fatto anche ricordare alle tante, tantissime a cui non mi ero concesso perché non erano belle, non mi piacevano (e a quel tempo bastava un po’ di cellulite, un brufolo: insomma una stupidaggine per non essere nella ‘mia perfezione’) ed ora le vedevo splendere di luce propria, meravigliose nel costume col tanga al mare a Barcola, o in vestiti che lasciavano poco all’immaginazione nei locali della movida triestina.
Insomma quando hai tutto ti manca sempre un po’, anche se a dirla tutta avevo bagnato spesso il mio giardino perché l’erba del vicino fosse meno verde della mia.
2 anni prima
Gli studi proseguivano bene, leggevo tantissimo.
Scopavo tantissimo ma ero diventato monogamo. Lei con la ‘gi’ maiuscola: Giulia
Dopo cinque mesi con lei ero sicuro del nostro rapporto, di quanto l’amavo legato a lei da una stima tale che i miei occhi e le mie orecchie restavano incantati e persi di fronte al suo parlare, nel suo perfetto alternare, come per magia le lettere e le parole. Era vero ‘pendevo dalle sue labbra’ e con l’orgoglio che scalpitava dentro di me pensavo ‘si ma da tutte le sue labbra’.
Avevo gettato alle spalle buona parte del passato, molte delle mie facili conquiste, avevo trovato quello che cercavo.
Non mi nascondevo più dietro ‘l’uomo che non deve chiedere mai’ volevo lei, lei voleva me il mondo non era che questo.
A letto poi eravamo acrobati, nani, domatori, maghi e cartomanti in un circo dove l’immaginazione, le voglie più recondite, dove la totale assuefazione all’altro trovavano senza difficoltà le risposte.
Facevamo sesso, l’amore o che dir si voglia, nel suo appartamentino da studentessa universitaria, per ore, notti.. giorni.
Mi alzavo con le gambe senza forza, molli prive di energia, lei sfigurata; per cucinare e cenare insieme e poi ricadere nei nostri adorati peccati.
Nei primi mesi abbiamo speso, a vuoto, un sacco di soldi nella piccola videoteca all’angolo di casa sua, partiva il video e noi dopo tre minuti diventavamo attori protagonisti di un altro genere cinematografico. Quando riportavamo il dvd spesso Claudio, il commesso super esperto di cinema, ci chiedeva se il film ci era piaciuto e noi preparati, dopo esserci scambiati uno sguardo, commentavamo rapidamente avendo letto la trama sul retro del dischetto. Mi sembrava di avere tutto.
Una sera, io e Giulia, eravamo in un posto figo, di quelli super vip in centro a Trieste per bere un aperitivo. Era inizio estate ed i clienti erano variegati come solo nelle città di mare possono essere. C’era chi in giacca e cravatta, aveva finito di lavorare in banca, chi nelle assicurazioni, donne elegantissime, altri appena saliti dal mare erano ancora accaldati con indosso abiti da spiaggia. Ovviamente tutto di marca, tutto ‘sciccoso’.
E poi noi jeans magliette un po’ stinte dai troppi lavaggi, infradito di pelle noi che non avevamo lavorato, non eravamo stati in spiaggia avevamo ‘solo’ onorato i nostri corpi. Avevo ancora gli aromi di Giulia tra le mani, non mi ero lavate apposta. - ti ho ancora tra le mie mani, insomma ho ancora il tuo fetido odore tra le dita – ho detto ridendo
- brutto schifoso, non ti sei lavato? E poi il mio è profumo, neanche Chanel..- Era vero adoravo i suoi umori, i suoi succhi anche perché sapevo da dove venivano e cosa li avevano stimolati.
Venivano da quell’opera d’arte fatta di piccoli promontori e quel piccolo solco che io adoravo, la sua fica.
L’avrei guardata per giorni, tra le sue lunghe cosce aperte sotto un triangolino di peli morbidi e scuri, che cercava senza riuscirci di nascondere quella fica morfologicamente perfetta, le grandi, le piccole labbra il suo delicato bottoncino.. il suo, ‘il mio’ clitoride.
E poi chi stimolava la produzione di quei liquidi, io ero ‘la fonte e la scaturigine’ citando anche Dante per un concetto così grande, io ero il suo eccitamento massimo. Intanto i Negroni con olive, patatine e arachidi nelle loro ciotoline erano arrivati.
In parte a noi, seduti ad un tavolino colmo di spritz e cocktail vari c’erano un gruppo di cinque persone tre donne e due uomini. Erano elegantissimi, stavano festeggiando qualcosa.
Notavo che la donna di fronte a me mi fissava, cercando di non essere vista e quando i nostri occhi si incrociavano: prima sosteneva lo sguardo e poi, dopo un piccolo sorriso, tornava ad immergersi nella festosa allegria del suo gruppo.
Vestita con un tailleur verde mare avevo visto le sue bellissime gambe che, da sotto il tavolino, la gonna corta lasciava scoperte. Si era slacciata la giacchina e due tette grosse sembravano soffrire in quello stretto body bianco avorio.
Era una donna bellissima, sui 40 anni, signorile, elegante e terribilmente attraente.
Il mio cervello malato aveva veleggiato su mille pensieri, il fatto che lei mi dimostrasse attenzioni mi faceva sentire bene, cosa le avrei fatto?
Quando se ne erano andati, brilli e sorridenti, sul tavolo era rimasto un portafoglio di coccodrillo.
Lo avevo preso ed ero entrato per riportarglielo, era di quella donna.
Un un attimo dopo averlo restituito mi ero trovato il suo biglietto da visita in mano: “Veronica Lucci avvocato penalista” via e telefono ed un numero a penna del suo cellulare privato.
In maniera velocissima avevo messo quel bigliettino nero nella tasca dei posteriore jeans.
Quando sono tornato al tavolo Giulia mi ha chiesto – Cosa ti ha dato la signora -. io – nulla -.
Siamo andati per pagare i quattro Negroni il conto era stato saldato. 32 euro.. grazie Veronica.
(continua nella 2a e ultima parte)
3 anni prima
22 anni bello alto magro, scuro di carnagione, bei lineamenti, occhi nocciola, capelli lunghi mossi con riflessi più chiari. Solitamente non utilizzavo elastici ma preferivo pezzi di lacci chi mi facevano scendere i capelli sulla schiena in una coda più morbida.
Sapevo che quando entravo in pub o locali, venivo notato, le donne incuriosite un po’ ammiccanti le più coraggiose, gli uomini con sguardi invidiosi o di un lontano disprezzo.
Io ero alla ricerca dell’amore, di quello destabilizzante, di quello in cui perdersi in occhi, profondi e lucidi, di occhi innamorati.
Ovvio giocavo alle facili conquiste, utilizzavo la tecnica consolidata del ‘bel tenebroso’ di quello che ha sempre qualcosa da nasconderti o quello che nei suoi più profondi pensieri non ti avrebbe fatto entrare.
E così cadevano ai miei piedi, letteralmente, quando me lo prendevano in bocca nell’ombra di qualche parco o tra i vicoli bui nelle notte. Se una mi lasciava perché ero troppo stronzo non c’era il tempo di piangersi addosso, c’era un’altra pronta: bionde, castane, more insomma mi piaceva la fica.
A dir loro ero bravo, spinto comunque da una sana passione nel vederle prima soddisfatte, schiumate, ansanti per poi nutrire il mio corpo nella perdizione dell’orgasmo, nella ‘piccola morte’ come i cinesi chiamano l’orgasmo.
Mi piaceva toccare, leccare quei giovani e sinuosi corpi che rispondevano al mio contatto inumidendosi, esalando piccoli sussurri prima dell’estasi.
Oltre tutto le rispettavo, non tradivo, per un po’ mi sentivo anche innamorato, a volte mi dicevo ‘ecco questa è per la vita’.
Poi bastava che alla cena di classe la mia ‘candidata donna per sempre’ andasse, con un compagno, a fare un giro in macchina, magari per aiutarlo in un suo problema sentimentale, che quei dubbi in me facevano scattare come in un orologio la lancetta avanti dove la mia cara ‘lei per la vita’ non avrebbe più trovato posto.
D’altronde avere pensieri di possibili tradimenti a 22 anni, voleva dire mangiarsi le unghie per tutta la vita. Quindi come al luna park ‘altro giro altra corsa’.
Certo la bellezza, quattro parole da saper dire al tramonto sugli scogli di Trieste, quattro libri letti mi avevano di certo aiutato.
- cosa vuoi fare della tua vita – - lo scrittore - rispondevo (studiavo lettere) e già, se avessi annusato le loro mutandine avrei adorato quel sottile umidiccio profumo dell’eccitazione.
Le ragazze andavano conquistate, c’era quella abbagliata dalla mia bellezza a cui non serviva nulla ed era un piatto già servito su cui deliziarsi, altre dovevi rincuorarle magari per un ex che le aveva trattate male e lì chiedevo mentalmente aiuto a Eric From (L’arte di amare), Leonardo Buscaglia (Vivere, amare capirsi) o qualche cantante: Guccini, De Gregori o altri.
Altre mi sembravano inarrivabili e dovevo, come un croupier, giocarmi tutte le carte: tanto il banco vince sempre.
Spesso a 16 o 17 anni quando c’era solo stato qualche bacio e qualche manina in mezzo le rispettive gambe, in un parchetto o in un sottoscala, a casa mi masturbavo pensando al momento del ‘contatto finale’, all’attimo in cui i nostri corpi fossero diventati uno solo almeno per un po’.
Molto spesso, immodestamente posso dire, che quasi sempre dopo quei pensieri e quel gioco solitario riuscivo nel mio intento di rendere le mie fantasie realtà.
Insomma non mi potevo lamentare.
Tanto che molti anni dopo un amico mi aveva detto
- Tu hai avuto tutte le più fighe di Trieste, e forse di tutta la provincia -.
Questo mi aveva fatto riflettere per due cose: ad un certo punto dovevo pur cambiare, infatti mi sono sposato con Anna, donna meravigliosa sotto ogni aspetto; ma con un po’ di amaro in bocca per il tempo sgusciato da me, mi aveva fatto anche ricordare alle tante, tantissime a cui non mi ero concesso perché non erano belle, non mi piacevano (e a quel tempo bastava un po’ di cellulite, un brufolo: insomma una stupidaggine per non essere nella ‘mia perfezione’) ed ora le vedevo splendere di luce propria, meravigliose nel costume col tanga al mare a Barcola, o in vestiti che lasciavano poco all’immaginazione nei locali della movida triestina.
Insomma quando hai tutto ti manca sempre un po’, anche se a dirla tutta avevo bagnato spesso il mio giardino perché l’erba del vicino fosse meno verde della mia.
2 anni prima
Gli studi proseguivano bene, leggevo tantissimo.
Scopavo tantissimo ma ero diventato monogamo. Lei con la ‘gi’ maiuscola: Giulia
Dopo cinque mesi con lei ero sicuro del nostro rapporto, di quanto l’amavo legato a lei da una stima tale che i miei occhi e le mie orecchie restavano incantati e persi di fronte al suo parlare, nel suo perfetto alternare, come per magia le lettere e le parole. Era vero ‘pendevo dalle sue labbra’ e con l’orgoglio che scalpitava dentro di me pensavo ‘si ma da tutte le sue labbra’.
Avevo gettato alle spalle buona parte del passato, molte delle mie facili conquiste, avevo trovato quello che cercavo.
Non mi nascondevo più dietro ‘l’uomo che non deve chiedere mai’ volevo lei, lei voleva me il mondo non era che questo.
A letto poi eravamo acrobati, nani, domatori, maghi e cartomanti in un circo dove l’immaginazione, le voglie più recondite, dove la totale assuefazione all’altro trovavano senza difficoltà le risposte.
Facevamo sesso, l’amore o che dir si voglia, nel suo appartamentino da studentessa universitaria, per ore, notti.. giorni.
Mi alzavo con le gambe senza forza, molli prive di energia, lei sfigurata; per cucinare e cenare insieme e poi ricadere nei nostri adorati peccati.
Nei primi mesi abbiamo speso, a vuoto, un sacco di soldi nella piccola videoteca all’angolo di casa sua, partiva il video e noi dopo tre minuti diventavamo attori protagonisti di un altro genere cinematografico. Quando riportavamo il dvd spesso Claudio, il commesso super esperto di cinema, ci chiedeva se il film ci era piaciuto e noi preparati, dopo esserci scambiati uno sguardo, commentavamo rapidamente avendo letto la trama sul retro del dischetto. Mi sembrava di avere tutto.
Una sera, io e Giulia, eravamo in un posto figo, di quelli super vip in centro a Trieste per bere un aperitivo. Era inizio estate ed i clienti erano variegati come solo nelle città di mare possono essere. C’era chi in giacca e cravatta, aveva finito di lavorare in banca, chi nelle assicurazioni, donne elegantissime, altri appena saliti dal mare erano ancora accaldati con indosso abiti da spiaggia. Ovviamente tutto di marca, tutto ‘sciccoso’.
E poi noi jeans magliette un po’ stinte dai troppi lavaggi, infradito di pelle noi che non avevamo lavorato, non eravamo stati in spiaggia avevamo ‘solo’ onorato i nostri corpi. Avevo ancora gli aromi di Giulia tra le mani, non mi ero lavate apposta. - ti ho ancora tra le mie mani, insomma ho ancora il tuo fetido odore tra le dita – ho detto ridendo
- brutto schifoso, non ti sei lavato? E poi il mio è profumo, neanche Chanel..- Era vero adoravo i suoi umori, i suoi succhi anche perché sapevo da dove venivano e cosa li avevano stimolati.
Venivano da quell’opera d’arte fatta di piccoli promontori e quel piccolo solco che io adoravo, la sua fica.
L’avrei guardata per giorni, tra le sue lunghe cosce aperte sotto un triangolino di peli morbidi e scuri, che cercava senza riuscirci di nascondere quella fica morfologicamente perfetta, le grandi, le piccole labbra il suo delicato bottoncino.. il suo, ‘il mio’ clitoride.
E poi chi stimolava la produzione di quei liquidi, io ero ‘la fonte e la scaturigine’ citando anche Dante per un concetto così grande, io ero il suo eccitamento massimo. Intanto i Negroni con olive, patatine e arachidi nelle loro ciotoline erano arrivati.
In parte a noi, seduti ad un tavolino colmo di spritz e cocktail vari c’erano un gruppo di cinque persone tre donne e due uomini. Erano elegantissimi, stavano festeggiando qualcosa.
Notavo che la donna di fronte a me mi fissava, cercando di non essere vista e quando i nostri occhi si incrociavano: prima sosteneva lo sguardo e poi, dopo un piccolo sorriso, tornava ad immergersi nella festosa allegria del suo gruppo.
Vestita con un tailleur verde mare avevo visto le sue bellissime gambe che, da sotto il tavolino, la gonna corta lasciava scoperte. Si era slacciata la giacchina e due tette grosse sembravano soffrire in quello stretto body bianco avorio.
Era una donna bellissima, sui 40 anni, signorile, elegante e terribilmente attraente.
Il mio cervello malato aveva veleggiato su mille pensieri, il fatto che lei mi dimostrasse attenzioni mi faceva sentire bene, cosa le avrei fatto?
Quando se ne erano andati, brilli e sorridenti, sul tavolo era rimasto un portafoglio di coccodrillo.
Lo avevo preso ed ero entrato per riportarglielo, era di quella donna.
Un un attimo dopo averlo restituito mi ero trovato il suo biglietto da visita in mano: “Veronica Lucci avvocato penalista” via e telefono ed un numero a penna del suo cellulare privato.
In maniera velocissima avevo messo quel bigliettino nero nella tasca dei posteriore jeans.
Quando sono tornato al tavolo Giulia mi ha chiesto – Cosa ti ha dato la signora -. io – nulla -.
Siamo andati per pagare i quattro Negroni il conto era stato saldato. 32 euro.. grazie Veronica.
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