La storia di Anna (CAP IX)

di
genere
etero

LA STORIA DI ANNA (CAP. IX)

Accettò di buon grado, dicendo di essere affamata: Ci sedemmo in disparte, casomai avesse voluto continuare nel suo racconto, anche se l'oggetto mal si combinava con il mangiare. Una cosa però mi mi venne spontaneo:”Che cosa ha ha fatto fallire il tuo matrimonio e sei stata tu a lasciarlo o viceversa?”: “Sono stata io , che oramai non sopportavo più le sue morbose fantasie; cercavo dei rapporti normali, mi sembrava di aver provato ormai tutto e l'intermezzo con il padre mi aveva fatto riscoprire quelli che erano i giusti rapporti fra maschio e femmina, senza che nessuno prevaricasse sull'altro.” Il cameriere ci servì un vassoio di affettati e un cesto di crescia (pizza bianca) su ci tuffammo come due affamati. Il pranzò proseguì in silenzio, ogni tanto alzavo gli occhi su Anna e cercavo di capire quale era quella che mi piaceva di più: quella modello donna di famiglia, sesso in posizione del missionario con poche varianti, o quella porca che si contorceva e squirtava subendo e partecipando a incontri di sesso estremo. Alla fine del pranzo ci concedemmo una siesta sotto un pergolato; non le accennai nemmeno l'esistenza di stanze a nostra disposizione (accidenti alla mia timidezza!). Verso le quattro del pomeriggio ci accomodammo su una panchina di un giardino lì vicino e Anna ricominciò a raccontare:” Non puoi nemmeno immaginare a quale livello di morbosità era giunto Giovi ti basti solo sentire questa esperienza. Una sera si presentò a casa con una scatola che mi porse e mi disse di indossare il suo contenuto, chiamò quindi la servitù e disse loro di preparare solo per i genitori, perchè noi saremmo usciti ed avremmo cenato fuori. Dentro di me esultai e pensai che nella scatola ci fosse un bell'abito da sera. La sorpresa fu quando l'aprii perché non vi era nulla di quello che avevo immaginato: una camicetta, una minigonna di pelle nera, un paio di calze a rete autoreggenti e null'altro. Si prospettava un'altra serata all'insegna della trasgressione: indossai i capi sopra un paio di slip ed un reggiseno, mi guardai allo specchio: sembravo proprio una mignotta, di quelle che battevano la sera nella vicinanze del parcheggio del supermercato di zona. Stavamo per uscire ma Giovi mi palpò sotto la gonna e disse “ Cara dovevi indossare “solo” il contenuto della scatola e quindi togliti gli slip ed il reggiseno!” Obbedii, ma la cosa incominciava a scocciarmi, non avevo, almeno in quel momento, tanta voglia di subire Giovi, ma per il quieto vivere... Mi fece accomodare in macchina, aveva scelto per quella sera il suv e ci dirigemmo verso la periferia della città proprio vicino al supermercato di cui ti ho già detto. C'erano quattro o cinque camion parcheggiati. Lì vicino c'era una trattoria frequentata per lo più da camionisti e proprio lì ci siamo diretti, entrammo. Naturalmente ero l'unica donna, ci accomodammo in un tavolo proprio in mezzo alla sala in modo che fossi ben visibile da ogni parte del ristorante; più cercavo di coprirmi le gambe con la minuscola minigonna, più saliva dietro. Giovi prese la penna e scrisse qualcosa sul tovagliolo di carta: pensai di aver letto male ma no c'era scritto: “Allarga le gambe, fai vedere la figa e fra dieci minuti vai al cesso”. Capii dove voleva parare e, accidenti a me, cominciai a bagnarmi e quindi obbedii: allargai le cosce ; il più intraprendente dei presenti che erano sei, fece cadere ostentatamente la forchetta in terra e si chinò per raccoglierla, ma intanto guardava sotto il tavolo la mia figa e,per rendere la cosa più arrapante, mi passai lentamente la mano sulle grandi labbra; poi mi alzai e mi recai al bagno, eufemismo per indicare una zozza latrina con una turca tutta incrostata ed un pisciatoio giallo di urina. Immediatamente entrò l'intraprendente guardone di poco prima; si poteva dire che era un bell'uomo per il suo tipo: un omaccione alto quasi due metri, con un paio di jeans sdruciti e una maglietta unta, due mani che sembravano due pale. Lo accolsi con un sorriso da sottomessa e cominciai lentamente a sbottonarmi la camicetta, ma lui mi fermò e mi fece entrare nello stanzino della turca, chiuse la porta; c'era un odore indefinibile di escrementi e disinfettante che forse era l'unico atto di pseudo-pulizia del luogo. Mi fece appoggiare con le mani sul muro e da dietro una sua pala (mano) cominciò a strofinarmi con foga la figa; naturalmente mi bagnai immediatamente e ebbi il primo orgasmo su quella mano che si ritrasse e si insinuò nella mia bocca perché assaggiassi i miei umori (come se non li avessi mai sentiti...), nello stesso tempo sentii quello che pensai fosse il suo membro posizionarsi all'ingresso della mia figa, sostò un attimo e poi di botto mi trafisse, strappandomi un urlo di dolore-piacere, quanto era grosso!!! Cominciò a stantuffarmi come fosse impazzito, mentre le pale (mani) straziavano il mio seno ed i miei capezzoli sotto la camicetta, facendomi ansimare. Mi trovai ai gridare- Si dai , rompimi la figa, forza.- Ad un tratto si fermò rimanendo dentro di me e poi, piano piano, cominciò ad estrarlo portandosi dietro un altro immenso orgasmo : i mie umori, non trovando quell'enorme tappo, cominciarono a scendermi lungo le cosce; si accucciò e leccò il mio interno gambe sino a risalire al mio culo di cui umettò l'orifizio; considerate le dimensioni del suo cazzo,temevo quello che certamente voleva fare. Avevo la figa in fiamme e figuriamoci quindi il culo:- Dai, lo pregai- adesso rompimi il culo così quel porco di mio marito rimarrà a bocca asciutta, dai forza-. Non mi riconoscevo, ero diventata sboccata e pregavo uno sconosciuto di rompermi il culo ma...come mi ero evoluta; tu dirai: in meglio o in peggio? Boh! Comunque tornando a noi, l'energumeno non se lo fece ripetere ed in men che non si dica mi ritrovai senza fiato ed impalata su quel palo di carne che si muoveva senza sosta nelle mie viscere.
Dopo poco mi scaricò dentro almeno un litro di sperma, che cominciò a colarmi nell'interno cosce; lo raccolse con le sue mani e girandomi mi obbligò e prenderlo in bocca ed ad ingoiarlo, cosa che feci molto volentieri. Mi riassettai alla bene e meglio e ritornai in sala dove Giovi mi attendeva con un sorrisetto ironico ma lo gelai- Grazie, amore, mi sono molto divertita-. Era un misero mezzo di rivalsa, ma non si scompose. Sentivo gli occhi di tutti su di me, non che la cosa mi dispiacesse; Giovi mi prese la mano e mi invitò ad uscire, girando lo sguardo intorno come un muto invito a tutti a seguirci.”
Intanto era scesa la sera e ci riavviammo verso il bar, punto di partenza, e dove avevamo lasciato le auto; cercavo di camminare disinvolto ma la mia erezione mi dava noia ed era ben visibile agli altri. Accidenti che cosa ci potevo fare se quei racconti mi eccitavano anche se provavo compassione nei confronti di Anna – Che brutta persona tuo marito- le dissi cercando di dissimulare la mia eccitazione. Anna rise, mi appoggiò la mano sulla patta, tanto non passava nessuno, e mi disse - “lui non sembra d'accordo”- e scoppiò in una contagiosa risata e piegandoci in due dalle risa salimmo nelle rispettive vetture e ci avviammo verso le nostre abitazioni. Accidenti, accidenti accidenti perchè non le dici che vuoi stare con lei, che vuoi scoparla, che vuoi che ti lecchi il cazzo..perchè non glielo dici?
scritto il
2018-09-28
1 . 4 K
visite
0
voti
valutazione
0
il tuo voto

Continua a leggere racconti dello stesso autore

racconto precedente

La storia di Anna (CAP VIII)

racconto sucessivo

La storia di Anna (CAP X)
Segnala abuso in questo racconto erotico

Commenti dei lettori al racconto erotico

cookies policy Per una migliore navigazione questo sito fa uso di cookie propri e di terze parti. Proseguendo la navigazione ne accetti l'utilizzo.