Gioco doppio (parte 3)

di
genere
sadomaso

Ritornando alla donna, ancora col busto sul tavolo, non mancò altro colpo di frustino sulla sua schiena.
Adorava vederla segnata, contorcersi dal dolore con la concentrazione per non perdere la posizione che, sapeva, lo avrebbe infastidito.
“Brava, ti sei mossa poco”.
Questo la rilassò e lui la colpì ancora.
Si mosse, non se lo aspettava. Era stato un colpo a tradimento e già tese i muscoli perché sapeva che l’avrebbe colpita ancora, per punirla.
“Ferma, cagna”.
Il colpo arrivò.
Lei era ancora bendata e lo sentì posizionarsi davanti.
La prese per i capelli per farle alzare il viso, che si trovava al bordo del corto tavolo da barca.
Il cazzo le entrò prepotente in bocca, fino alla gola mentre le teneva forte i capelli, per farle male, per farle sentire il suo potere, il potere del Padrone, di colui che può disporre di lei e del marito, al quale in quel momento non stava pensando, tutta concentrata sul piacere e sul cazzo duro del Padrone.
Quell’uomo aveva il potere di farle dimenticare il marito, portandola nella sottomissione, costringendola a concentrarsi solo sul suo egoismo e sul suo cazzo, facendole capire che quello avrebbe dovuto essere il suo unico pensiero. Quel cazzo, quel maledetto cazzo che le spingeva in gola, fino in fondo, sentendogli provare piacere per la sua difficoltà nel trattenere i colpi di tosse od i conati, pena il frustino che le arrivava sulla schiena mentre i capelli erano ancora tenuti stretti, col dolore per il colpo che le dava ancora maggior difficoltà tra tosse e conati, mentre il cazzo, imperterrito, le veniva spinto in bocca, fino alla gola
Marco la faceva sentire una cagna da monta, la usava come una cagna da monta.
La eccitava.
Era bagnata, lo voleva dentro, lo desiderava dentro.
Il pensiero del marito si affacciava a tratti, dandole maggior eccitazione nel saperlo osservatore passivo del suo uso sessuale, quale bambola da sesso in mano ad un uomo crudele ed egoista.
“Non pensare di vomitarmi sul cazzo, puttana”.
Quel maledetto frustino la eccitava col dolore che, ora, era solo piacere, atteso e desiderato.
Finché non lo sentì andarle dietro e penetrarla, nel culo, dopo averle tolto il plug.
Non pago, fuori dal culo lo sentì in figa.
Continuava a cambiare.
Tre, quattro, cinque colpi di penetrazione e poi usciva, per cambiare buco, prima uno e poi l’altro, con velocità alternata, per assaporare il piacere ma anche per ritardarlo, mentre i capelli erano tirati sempre più, con la sua figa sempre più bagnata e quel cazzo sempre più duro e possessivo.
Ora c’erano solo lei ed il suo Padrone, il suo cazzo e la sua figa, il piacere di lui e quello di lei di riflesso.
C’era anche il marito, sì, legato, incatenato, tenuto come un cane, osservatore, col divieto di toccarsi. Il pensiero dell’uomo umiliato era come uno strumento sessuale, che eccitava ancor di più, anche lei ora egoista del proprio piacere e dimentica dell’umiliazione di lui, che la faceva ancor più bagnare.
Marco spingeva, la spingeva dentro e ad ogni affondo lei sentiva la testa tirata indietro per i capelli, quasi a portarla indietro verso quel cazzo che la penetrava, due corpi contrapposti che, al contatto, avevano forza di impatto doppia.
Spinta, dolore, umiliazione, finchè lui non godette forte, tenendoglielo dentro, fino in fondo, facendole sentire il suo sperma che la invadeva, con i capelli che ancora le facevano male e mentre, al culmine del piacere, il colpo di frustino ebbe il potere di amplificare l’orgasmo.
Marco adorava provare piacere mentre la schiava soffriva.
Si accasciò su di lei, sulla sua schiena, restandole dentro e aspettando che il respiro tornasse normale.
Quando uscì, le si mise davanti per farsi pulire, usando la sua bocca e la sua lingua per detergere il cazzo che ormai aveva perso turgore.
Sapevano tutti che l’umiliazione non era finita.
Le tolse la benda perchè ora lei doveva vedere che si dirigeva verso il marito e lo slegava, facendosi seguire, a quattro zampe, fino a portarlo da lei per costringerlo a leccarle la figa e bere il suo sperma mentre lui, seduto, si divertiva ancora con gli ultimi scarti della loro umiliazione.
“Puliscila bene, stronzo”.
Mai perdeva occasione per denigrarlo, non riuscendo ad avere rispetto per quell’uomo per il quale provare piacere nel poterlo schiacciare psicologicamente.
In quel momento sentirono il saluto sonoro proveniente da un altro yacht che non avevano visto arrivare.
Sul ponte più alto, illuminato, c’erano 5 persone, sembravano giovani, che, bicchieri in mano, li salutavano e ridevano, eccitati per la vista di un uomo che leccava la figa di una donna semistesa sul tavolo, mentra un altro uomo, vestito ma con la patta aperta e la camicia sbottonata, li stava osservando divertito con un frustino in mano.
Non capivano la loro lingua ma li sentivano evidentemente eccitati dalla scena, mentre un paio mimavano tra loro il gesto delle penetrazione a pecorina.
Si salutarono col suono delle due imbarcazioni e, nel momento in cui furono più vicini, anche Marco alzò il calice pieno di prosecco e, per divertirli, frustò Anna e Franco, ancora intento a leccarla.
I passeggeri dell’altra barca esplosero in risa eccitate ed anche un’altra coppia simulò la penetrazione, parlando senza però essere capiti, salutati dal calice e dal frustino alzato.
Quando l’altra barca fu lontana, Marco li volle, sempre nudi, inginocchiati davanti a lui.
Mentre sorseggiava altro prosecco, parlarono di affari.
Spiegò loro di cosa avesse bisogno mentre, col piede, giocava coi capezzoli di Anna, divertendosi solo ad accarezzarli distrattamente. Ogni tanto, mentre parlava, le infilava l’alluce in bocca.
Loro fecero alcune domande per comprendere meglio le esigenze ed i termini, anche economici, della transazione.
Nonostante la peculiare posizione, nelle domande e nelle risposte c’era professionalità, come se stessero seduti intorno ad un tavolo di mogano in uno studio in uno degli ultimi piani di un grattacielo a Londra o a New York.
Definiti gli accordi, Marco si alzò. Mise ad Anna il collare ed il guinzaglio col quale prima aveva legato il marito e si fece seguire, a 4 zampe.
Con un spinta del piede mandò Franco a terra, costringendolo a vederlo dal piano più basso mentre anche sua moglie, tenuta come una cagna, era più in alto di lui.
“Pulisci e ritira. Tu, se vuoi, puoi mangiare".
Anna immaginò che lei quella sera avrebbe digiunato e lo seguì in cabina, dove lui se la sarebbe tenuta tutta la notte, facendosi fare un eccitantissimo pompino seduto in poltrona per poi scoparla ancora.
Gli piaceva dormire con la schiava vicino.
Se si fosse svegliato eccitato l’avrebbe usata. Era per lui solo una comodità. La donna avrebbe dovuto stare ferma nel letto, per non disturbarlo nel sonno.
Anna restò in tensione tutta la notte, dormendo male, in perenne stato di dormiveglia, attendendo ciò che avrebbe anche potuto non accadere, cioè che lui si svegliasse e decidesse di usarla per soddisfarsi.
Quella notte non accadde, ma lei restò comunque sul chi vive, sapendo che se non si fosse fatta trovare pronta sarebbe stata punita, come era già successo molte volte.
Il potere, il dominio, non si esaurisce solo con la frusta e con l’orgasmo. E’ dato da una situazione, da un rapporto, da una tensione che lascia eccitati, desiderosi, che resta anche dopo i saluti, avvenuti quella mattina stessa dopo che riportarono il Padrone-cliente a terra.
di
scritto il
2022-04-18
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