L' "Amazzone".

di
genere
etero

Come i Lettori ricorderanno, nel mio precedente scritto, intitolato "La Cartomante", facevo menzione di una fotografia ove comparivano tre persone: la "Cartomante", una bambina ed, infine, una terza donna da me definita come "una mia 'vecchia conoscenza' degli ultimi tempi del "lager".
Ed è proprio questa persona, la protagonista del presente racconto.
Conobbi Ippolita *** nel febbraio del 1979, ad una festa di carnevale data dal mio amico Livio ***.
Era costui un mio ex compagno di lager il quale, avendo ricevuto in dono, dalla Divina Provvidenza, due genitori di gran lunga meno ottusi dei miei, aveva potuto trasmigrare alla scuola pubblica a fine quinta ginnasio.
Ivi giunto, era, fortunatamente per lui, riuscito a coniugare il severo impegno volto a colmare le lacune - oceaniche - ereditate dalla scuola privata, con i necessari momenti di svago.
In tale ottica aveva dato quella festa, tra l'altro riuscita "alla grande".
Stavamo ballando dei lenti, quando mi ritrovai accoppiato con una splendida bruna: alta oltre il metro e settanta, capelli castano rossicci e truccata come una "donna adulta".
Scambiandola per una compagna di corso universitario di Patrizia, la sorella maggiore del nostro anfitrione, le domandai:
- Tu sei più grande di noi? Sei una collega di Patrizia?
Mi rispose:
- No, io sono compagna di classe di Livio...
Da quel momento ballammo assieme tutta la serata, parlando delle nostre due vite, sia scolastiche che private e, quando rincasai, potevo dirmi "cotto e cucinato".
Ippolita, a tutt'oggi, non è a conoscenza del bene che, seppur del tutto involontariamente, mi ha arrecato; infatti, se riuscii a trovare, in me e soltanto in me, la forza di spezzare le paterne catene che mi tenevano avvinto al lager, lo debbo al sentimento per lei, nato in quel giorno di febbraio del 1979.
Se poi non mi riuscì ad iscrivermi al medesimo liceo pubblico frequentato da lei e da Livio, il che, sia detto tra parentesi, fin da subito si rivelò essere di gran lunga un vantaggio, questo lo debbo, esclusivamente, alla scorrettezza dello stesso Livio e dei suoi genitori.
Quell'anno, partecipai ad altre feste, sempre date da Livio, ed, a tutte, ballai, quasi esclusivamente con Ippolita, iniziando, nel contempo, a farmi un idea abbastanza precisa del suo carattere.
Era, o per lo meno mi sembrava, essere una giovane donna non solo assolutamente indomita, ma anche dotata di una volontà di ferro: un'"Amazzone".
Per completare la determinazione del ruolo avuto da Ippolita dei miei verdi anni, basti pensare che quando seppi che si sarebbe immatricolata alla Facoltà di Giurisprudenza, ruppi tutti gli indugi e decisi di immatricolarmi anch'io: in parole povere, fu lei a gettare le fondamenta del mio futuro.
Poi, il tempo passò, e notizie rattristanti mi giunsero: Ippolita si era sposata "con rito d'urgenza", anche se con un giovanotto di ottima famiglia e, diventata mamma, aveva smesso, per ovvie ragioni, di frequentare la facoltà.
Fu nell'autunno del 1982, che iniziarono a circolare, con una certa insistenza, voci su di un suo esercizio della "professione più antica del mondo".
La cosa non mi interessò più di tanto: purtroppo, da una parte gli studi, dall'altra, il sorgere del malefico astro del rettile che tanto veleno ebbe ad inocularmi nel cuore, mi davano altro cui pensare.
Trascorsero nove anni, nei quali ben poche volte ebbi l'occasione di volgere il pensiero all'"Amazzone"; fu solo nel luglio 1991 che, grazie alla fotografia di cui sopra, i miei ricordi ebbero un timido risveglio.
Passò l'estate e s'inoltrò l'autunno: si era, oramai, giunti alla metà di novembre, quando decisi di recarmi a fare una visitina in quella casa ove avevo conosciuto la "Cartomante".
La mia segreta speranza, era un ulteriore "incontro ravvicinato" con quell'arcana donna dall'ancor più arcano fascino.
Suonai alla porta, che mi venne aperta dalla solita cameriera "directly from Neanderthal", e mi accomodai nel salottino d'attesa.
Mentre attendevo, sorridendo dissi a me stesso:
- Ma perbacco!
Comprendo, perfettamente, che, una cameriera giovane ed attraente, potrebbe mettersi in rapporto di concorrenza con la sua "datrice di lavoro", ma qui si esagera!
Sembra incredibile, tutte, ma proprio tutte, le "colf", a
fine carriera, finiscono a..."regolare il traffico" nelle "case allegre".
Attesi circa mezz'ora, poi la porta si aprì, ed Ippolita *** entrò nella stanza.
Era completamente nuda, era completamente scalza, e si muoveva sulle punte dei piedi, come se stesse danzando.
Ci guardammo, subito, reciprocamente, nel profondo negli occhi e, nello sguardo di Ippolita, non solo privo di qualunque pudore, ma pieno di regale orgoglio, lessi, chiarissima, la frase:
- Io sono colei che sono!
- Siete bellissima - esclamai - vogliamo...accomodarci?
- Prego, mi segua...
Ed entrammo in camera da letto.
Tornato, in costume di Adamo, dalla toilette, trovai Ippolita che mi attendeva, in piedi, al centro della stanza, le mani lungo i fianchi, i piedi leggermente divaricati, quasi fosse stata una gladiatrice prima dell'inizio della lotta.
Le dissi:
- Accostate le persiane, spegnete la luce e venite a letto...
Ippolita obbedì, senza dir verbo.
Fu quando si sdraiò sul letto che notai, nella sua gestualità, qualcosa che, in nessuna donna, tranne in Donna Rebecca, mai avevo notato prima.
Entrambe, Donna Rebecca ed Ippolita, nel coricarsi, pronte all'amplesso, non assumevano l'atteggiamento di vittime sacrificali: tutt'altro!
Nelle loro rispettive nudità, erano, non sembravano, regine: regine che, per una qualsivoglia ragione, "graziosamente" concedevano sé stesse.
Non potei non notare, in ultimo, la catenina girovita che centuplicava il suo fascino.
Sdraiata che fu, immersi nella complice penombra, cominciai ad accarezzarla.
- Avete il corpo di una regina, di una regina guerriera...non ho mai visto una donna come voi...
- Oh...siii, se lo vorrai sarò la tua Signora...e Padrona...
In tutta sincerità, avevo, mentalmente, calcolato la possibilità di una "deriva sadomaso", dato il carattere di Ippolita, per cui, glissando, risposi:
- Oggi vi voglio prendere così...poi...
Intanto avevo iniziato a baciarla e, nel contempo, avevo intrapreso l'"esplorazione rettale".
Ippolita gradiva, e non poco, la situazione, rispondendo alla mia "bassa insinuazione" con un bacio, a dir pochissimo, appassionato; quando fu ben pronta, passai ad adorare il suo corpo, fino a giungere al suo, durissimo, clitoride.
Le sue secrezioni mi parvero dolci, dolci come un raro e prezioso miele, e la donna, il cui corpo si andava, via via, imperlando di sudore, si contorceva, mugolando, sino a quando mi staccai da lei e, rizzatomi in piedi, sul pavimento, le aprii le gambe e schiantai, letteralmente, il mio sesso nel suo.
- Aaagh, Aaagh, piano...peeero'...
Cominciai a cavalcarle dentro, tenendola per i fianchi, domandola, come si doma un animale selvaggio, mentre lei si agitava, quasi si sentisse in trappola, ed ansimava, mordicchiandosi le labbra, scuotendo la testa, facendo danzare le sue chiome.
La cosa durò per una decina di minuti, fino a quando uscii da lei. Ippolita comprese, ed assunse, volontariamente, naturalmente, la classicissima posizione "a la levrette".
Ripresi a coitarla, sempre con ritmo selvaggio, ghermendole, con la destra le natiche sode e massaggiandole, con la sinistra, il clitoride.
Decisi di non "cambiare canale": dopotutto, il "coitus in vase indebito" non è propriamente cosa per regine...
Quando mi accorsi che l'eiaculazione si stava avvicinando, uscii nuovamente dal suo corpo, la feci sedere sui talloni e mi introdussi tra le sue labbra, tenendole le tempie con le mani.
Anche stavolta, Ippolita non oppose resistenza accettando l'irrumazione con un'inaspettata docilità e, quando esplosi nella sua gola, bevve, avidamente, tutto il mio liquore.
Ci sdraiammo sul letto e, quando mi riebbi, trovai che aveva, di nuovo, indossato il "body".
- Avrò pure il corpo, ed il carattere, di una regina guerriera...ma tu...tu mi hai preso selvaggiamente...mi è piaciuto... moltissimo...di solito preferisco la posizione "di Andromaca"...ma oggi...tu mi hai fatto sentire ancora più donna...più...femmina, intendo dire...
- Lusingato, cara Signora...Ippolita***...se non erro...
- Mi hai riconosciuta, dunque...
- Si, ma state tranquilla circa il mio silenzio... comunque, io so "tutto" di voi...e tacerò, ovviamente: perdonate la presunzione, ma ritengo essere un gentiluomo...
Solo una cosa gradirei sapere da voi, se potrete e, soprattutto, se vorrete dirmela...
- Lasciami indovinare: tu vorresti sapere come mai, Livio ***, dopo tante promesse, non ti fece entrare al nostro liceo....
- Ma è incredibile - esclamai a gran voce, ed accompagnando le mie parole con un sorriso a trentadue denti.
- Non sarebbe stato poi così difficile prevedere che, nel caso ci fossimo nuovamente incontrati, mi avresti, prima o poi, rivolto questa domanda...devi sapere che ne discutemmo a lungo tra di noi...
- Tra voi, chi?...
Ippolita non rispose, ma proseguì a parlare.
- Ebbene: te lo dirò, ma...acqua in bocca...
- Reciproca, beninteso...va bene?...
- Va bene!
Furono Alba, Giulia e Paola a convincere Livio a non farti entrare: Alba e Giulia volevano vendicarsi del fatto che, iscrivendoti a quella scuola privata, le avevi abbandonate: erano entrambe innamorate di te...
- E Paola?
- Beh...Come tu, di certo ricorderai, all'epoca, Paola stava meditando di entrare in convento e, cominciando a nutrire qualche "simpatia" per te, temeva che la tua presenza potesse distoglierla dalla sua..."vocazione"...
- Santi numi! - esclamai contenendo, a stento, una sonora risata:
- Non sapevo di essere un "Don Giovanni" od, addirittura, un "Egidio".
Tuttavia, mi risulta Paola *** aver abbandonato, ben presto, i suoi intenti "conventuali": spero non "per mea maxima culpa"...
- No, no, stai pur tranquillo... comunque, fattelo dire: uno dei lati "peggiori" del tuo carattere, è quello di non accorgerti del tuo fascino o, quanto meno, di sottovalutarlo alla grandissima...
- Al tempo: io non mi chiamo Rodolfo Guglielmi, in arte Rodolfo Valentino, né Archibald Leach, in arte Cary Grant...
- Il tuo fascino, e la tua cultura, mio caro, erano di già ben rari tra i così detti "teenagers" e, se permetti, lo sono, tuttora, tra i nostri coetanei.
Se, a ciò, aggiungi che Alba e Giulia...erano...come dire...
- Per dirla col Manzoni "gente meccanica e di picco affare"?...
Tuttavia, per quanto vi riguarda, la vostra famiglia mi risulta vantare un presule nel suo seno...
- Appunto: nonostante la mia famiglia sia un gradino più in alto da quella delle citate mie amiche, anch'io, anch'io sono stata innamorata di te: cosa ci vuoi fare?
- "Omnia vincit amor et nos cedamus amori"...
Toglimi una curiosità:...come mai?...
- Come mai non mi feci avanti?
Semplice: perché sia Alba che Giulia mi consigliarono di desistere descrivendomi, per filo e per segno, il "caratterino" di tuo padre...
- Non c'è che dire: il badare ai casi propri sta passando, decisamente, di moda...
Indipendentemente da quanto sopra, resto di stucco che voi non abbiate sospettato, neppure per un minuto secondo, l'assenza di qualsivoglia "fair play" nell'atteggiamento di quelle due "distinte gentildonne".
Ippolita "glissò", ed io ripresi:
- Tuttavia, tanto Alba che Giulia sapevano, e sapevano positivamente, tanto da propalarlo ai quattro venti, che la frequenza di quel maledetto istituto mi venne imposta...
- Verissimo!
Entrambe ritenevano, però, che la tua, inaspettata, supina accettazione del "diktat" di tuo padre, avesse funto, in realtà, da alibi pel tuo disprezzo per loro! Capisci?
- Inaspettata accettazione?...
- Inaspettata, certo: poiché, secondo quanto riferitomi da Alba e Giulia, più da quest'ultima in verità, la tua iscrizione al nostro liceo era data per cosa fatta...
- Adesso capisco...- dissi con un tono da cui traspariva, decisamente, tutta la mia, tutt'altro che sincera, accondiscendenza.
Questa, a sua volta, occultava tutto il mio "ardente desiderio" di esplodere in una falstaffiana risata.
Il motivo della stessa, consisteva nel fatto che, dette signorine, "temporibus", avrebbero potuto manifestare, di più e meglio, il loro gradimento a che io avessi frequentato il loro stesso liceo.
Va detto subito, a scanso di qualsivoglia equivoco, che un loro, ipotetico, tentativo di far mutare la decisione paterna, poteva tranquillamente essere definito come una "mission impossible".
È ben vero che, parafrasando Vittorio Emanuele III, "le persone debbono salvarsi da sé".
Tuttavia, è altrettanto vero che, una qualsivoglia manifestazione di gradimento, da parte delle suddette, intervenuta "ante omnia" od, al massimo, ai primissimi inizi, mi avrebbe portato, per lo meno, ad una più meditata, ed approfondita, riflessione circa l'opportunità' di accettare, supinamente, il "diktat" di cui sopra.
Di contro, non vanno dimenticati quei numerosi atteggiamenti, improntati alla più evidente antipatia, per non scrivere ostilità, messi in atto, nei miei confronti, dalla "soavissima" Alba e da alcuni altri compagni.
Costoro, ad onor del vero, non avrebbero poi frequentato il liceo classico, ma il loro comportamento andò ad ingrossare l'insieme dei giudizi negativi su quella scolaresca della quale, all'epoca, facevo parte.
"Rebus sic stantibus", il testé descritto stato di cose, avrebbe, comunque, "polverizzato", anche nel più inveterato degli atei, ogni indugio inerente l'iscrizione a quel "maledetto istituto".
Il tutto, non foss'altro che per tagliare, speravo definitivamente, i ponti con con certi ambienti e, soprattutto, con certe persone.
Va scritto, per concludere, che tutto il "chiacchiericcio" intorno alla mia iscrizione al citato "maledetto istituto", destava, e continua, ancor oggi, a destare in me ulteriore meraviglia sol che si consideri:
1) che non fui io il solo ex alunno della mia scuola media ad essere colà iscritto a frequentare il ginnasio;
2) che il mio "compagno di sventura" era persona ben conosciuta dalla "Signorina Alba".
A ben guardare, oso ritenere, la responsabilità degli insegnanti della scuola media di provenienza, come di gran lunga più grave.
Infatti, verso la fine del primo trimestre della terza media, li informai della "possibilità", al momento ancora embrionale, della mia iscrizione a frequentare le scuole superiori presso un istituto tenuto da religiosi: incassai la loro - si noti: corale - disapprovazione. Questa, purtroppo mai venne esternata ai miei genitori (SIC!).
Trovo necessario, a questo punto, sottolineare al Lettore come io sia lontano anni luce dal volermi difendere attaccando o, peggio ancora, dal voler attribuire, onninamente, la responsabilità di quei fatti, tanto remoti quanto dolenti, a qualunque terza persona.
Rivendico, all'allora quattordicenne me stesso, la sua brava quota parte di responsabilità che, beninteso risulta, comunque, di gran lunga inferiore a quella degli "adulti", considerati tanto nel loro insieme come singolarmente.
Del pari, pretendo il pieno riconoscimento dell'attenuante - si noti: non dell'esimente - della giovane età!
Fatte, mentalmente, queste considerazioni, e fingendo di parlare tra me e me, dissi:
- Shame, well managed, hath a bastard fame...
- Prego?
- È una frase di Shakespeare.
In Italiano suona, più o meno, così:
- "Una vergogna ben amministrata acquista una fama usurpata"
Continuai:
- E...potrei sapere come convinceste Livio?...
- Promettendogli un..."giro di valzer" con Freeda...
Mi è d'uopo, a questo punto, interrompere la narrazione, al fine di informare il Lettore del fatto che, Freeda, altri non era che una loro compagna di classe, di origine scandinava e dalle "vedute", potrei scrivere, notoriamente "un tantino" larghe: "inteligenti pauca".
Riprendiamo il filo; domandai ancora:
- E Freeda?
- Si prestò volentieri; era talmente stufa delle continue "avances" di Livio, da volerlo castigare: in qualsiasi modo; per questo autorizzo' la "spendita" del suo nome.
E la risata esplose: non "sonoramente falstaffiana", ma cristallina e fresca come acqua sorgiva; schiettamente infantile, come quelle risate che, da ormai troppi anni, non mi facevo più.
L'"Amazzone" mi guardava, esterrefatta.
Ripresi a parlare:
- Povero Livio: non so che avrei dato, e che darei, tuttora, per vedere la sua faccia al momento della "messa all'incasso" della vostra "cambiale tarocca".
Tuttavia, il "gran rifiuto" di Freeda non desta, in me, la minima sorpresa: chi mai avrebbe creduto che l'"arianissima 'pulzella' scandinava" avesse ceduto alle "lusinghe" del "buon" Livio, il cui cognome, come voi ben sapete, denota, evidentissime, le sue ascendenze semitiche?
Comunque, a questo punto, per quanto riguarda il vostro "quartetto", non so, veramente, se detestarvi, "en bloc", od invitarvi, sempre "en bloc", ad una trimalcionica cena, primo, tangibile, segno della mia imperitura gratitudine.
- Come sarebbe a dire? - interloquì Ippolita, la quale stava iniziando a dare segni di più che evidente disorientamento.
- Sarebbe a dire che, nel liceo ove, grazie alle vostre ben ordite "cabale", venni costretto ad iscrivermi, fui più che benvoluto, sia dai compagni che dagli insegnanti.
"Last but not least", venni molto stimato anche dalla preside.
Questo stato di cose, una volta tirate le somme con la più totale onestà, mi obbliga a serbare, a voi quattro, la più completa riconoscenza.
Di contro, non vi sarà, di certo, ignota, l' "antipatia", nutrita dalla vostra riverita "Signora Preside" - beninteso: che Dio la riposi - per noi, "miserabili profughi" dell'"Istituto ***"...
- Ovviamente! - esclamò Ippolita con una dose di sussiego al limite del disgustoso.
Scesa dal pero, riprese:
- Detta "antipatia", traeva origine dal fatto che, i vostri "miserabili profughi", come TU STESSO li hai testé definiti, arrivavano da noi con una preparazione men che mediocre.
- Di certo, cara Signora, non inferiore alla vostra preparazione personale e, comunque, sicuramente non per loro colpa...
Ippolita, ovviamente, non raccolse e continuò:
- Per sovramercato, pretendevano, e con fronte di bronzo, di ottenere, senza "soverchi sforzi", la promozione, se non, addirittura, la maturità, e questo pel sol fatto di provenire da "quella scuola"...
Quest' ultima affermazione, purtroppo, mi constava essere, nella stragrande maggioranza dei casi, sacrosantamente vera.
In tutta sincerità, ed onestà, un simile "modus operandi", da parte dei miei ex compagni di "lager", non era altrimenti qualificabile che come "superlativamente idiota", anche se, ad onor del vero, non era del tutto sfornito di ragioni d'essere.
Ne aveva: di minimali e "non completamente" esatte; tuttavia, esse erano ben lungi dall'essere in numero tanto esiguo da potersi considerare, "tout court", come inesistenti, o quasi!
Queste andavano individuate:
1) nella, del tutto presunta, titolarità, in capo ai "miserabili profughi", del diritto ad un "risarcimento" per quanto subito in quella maledetta scuola.
Questo, sempre a loro dire, si sarebbe concretizzato:
A) nel diritto all'"usucapione" della promozione, per quanto riguarda i singoli anni scolastici;
B) nel diritto al superamento, "sul velluto", dell'esame di maturità.
2) nell'individuazione, da parte dei loro genitori, nell'Istituto scolastico di arrivo, fosse stato, quest'ultimo, uno dei tanti "diplomifici" privati, od un qualsivoglia liceo statale, come di un "obbligato in solido", con il "lager" di provenienza, per i danni ivi subiti dai figli.
A questo punto, è necessaria una considerazione: "notum lippis et tonsoribus" il giudizio degli "addetti ai lavori" circa i sopracitati "diplomifici".
Urge notare come, tale giudizio, in percentuale rilevante, ma non totale, è condiviso anche da me.
Tuttavia, guai - ripeto: guai - a non riconoscere - bon gre', mal gre' - come, tali Istituti svolgano, comunque, una duplice funzione sociale.
Questi, infatti, operano, ad un tempo, come "casa di cura" e come "convalescenziario", relativamente agli "incidenti di percorso" in cui incorrevano, e continuano ad incorrere, studenti provenienti da Istituti Privati come da Istituti Pubblici: e ciò "non sempre" per effettivo demerito degli studenti medesimi.
Infatti, può essere definito come "fatto notorio" che, la "diversità ideologica" tra docenti e studenti, fosse stata, durante i miei - ripeto: remoti - anni di liceista, purtroppo alla base di gran parte dei suddetti "incidenti di percorso" subiti dagli alunni degli Istituti Pubblici.
Del pari, l'antipatia personale era alla base di gran parte degli "incidenti di percorso" verificatisi, "temporibus", negli Istituti Privati: "egomet doceo".
Vien fatto di pensare, a questo punto, alla responsabilità dei genitori dei malcapitati "miserabili profughi".
Questi, finivano col danneggiare, ad un tempo, i propri figli e la loro immagine, in due diverse maniere:
1) dapprima, beninteso, costringendo i "rampolli" a frequentare quel "lager" ove, come gli eventi avrebbero puntualmente dimostrato, durante il fondamentale biennio del ginnasio, avrebbero imparato molto poco e, vieppiù, molto male.
Come se non fosse bastato, una volta giunti a frequentare il liceo altrove, quegli stessi poveri ragazzi avrebbero messo in pratica, in maniera, se vogliamo, addirittura peggiore, il loro scarso e, "rachitico", sapere;
2) di poi, non esortandoli "a più miti consigli" circa il "modus se gerendi" da mettere in atto nel frequentare la Scuola Pubblica.
A quanto mi risulta, il più delle volte, preso desolatamente atto della vastità delle lacune inerenti la preparazione dei loro figli, erano gli stessi genitori, per scaricarsi le coscienze e, a buon bisogno, per evitare di dover mettere mano al portafogli per pagare le necessarie ripetizioni, a patrocinare, "a spada tratta", le pretese della prole.
Il tutto, senza il benché minimo pudore o, quanto meno, la benché minima titubanza.
Qui giunti, Verità mi impone di ricordare al Lettore come mio padre fosse stato interamente, ed inappellabilmente, responsabile della "pessima gestio" dell'"Affaire Istituto ***".
Tuttavia, egli stesso, con larghissimo anticipo sulla mia effettiva "rantree" nella Scuola Pubblica, "pienamente informato" delle problematiche cui sarei potuto andare incontro, mi "esortò" al più rigido impegno ed alla più rigida disciplina, proibendomi di mettermi in testa un qualsivoglia consimile grillo.
Debbo significare al Lettore come, giunti a codesto punto, alla mia onestà intellettuale si affiancò, naturalmente e senza forzatura alcuna, quello "spirito di corpo", quel "cameratismo", da me nutrito, sia pure a distanza di tempo e di luogo, verso quei miei ex compagni di "lager" che, beninteso, avevano trovato la forza di spezzare le loro catene e migrare verso migliori lidi.
Infatti, pur riconoscendo,"de plano", l'assoluta, oggettiva fondatezza di quanto lamentato da Ippolita, ribadisco: "excepto me ipso", ritenni opportuno sferrarle una "stoccatina" finale.
Pertanto, decisi di contrattaccare.
Il fuoco preparatorio fu:
- Quello che voi dite, riguardo non pochi dei miei ex compagni, mi consta: dolorosamente vieppiù positivamente.
Infatti, essi giungevano, al vostro come a qualunque altro Istituto, con vaste lacune, pretendendo, altresì, "trattamenti di favore".
Quel ch'è peggio, è che risulta anche a me come, in più casi, fossero stati proprio i genitori ad avanzare in proprio o, per lo meno, a "patrocinare", e con fronte di bronzo, tali pretese.
Per dirla con Petrolini:
- Piu' stupidi di così si muore!
Per quanto mi riguarda, però, vi ricordo che io tornai alla Scuola Pubblica a partire dalla seconda liceo e che - non faccio per vantarmi! - i docenti, unanimemente, lodarono il mio livello di preparazione.
Il che prova, ulteriormente, che il problema, nella quasi totalità dei casi, risiedeva nel ginnasio, non nel liceo...
Carica!
- Tuttavia, se ben ricordo, voi vi siete diplomata, "Deo duce et comite Fortuna", con trentasei sessantesimi, il che vi colloca in una posizione, diremo così "equipollente", per quanto riguarda il livello complessivo di preparazione, a quella dei miei ex "compagni di sventura".
Di contro, sempre se ben ricordo, il "buon" Livio ebbe un voto...come dire..."leggermente" più alto...
Ippolita taceva; ripresi a parlare e, per dirla col Manzoni, diedi una "giratina al discorso": il momento del "galop finale" era giunto.
- Ma, benedette fanciulle!
D'accordo: voi sentivate, come vostro, l'"imperativo categorico" di andare a togliere la polvere dagli occhi altrui, sempre che questa vi fosse effettivamente stata: dico bene?
"Ex hoc, et ergo, propter hoc, la vostra onestà intellettuale avrebbe, del pari, dovuto - il condizionale è d'obbligo - farvi sentire come vostro l'altro "imperativo categorico": quello di estirpare, prima di tutto e definitivamente, la foresta di travi presenti nei vostri.
Ciò, non foss'altro, per evitare: allora, figure per lo meno oggettivamente "barbine",
oggi, di prestare il fianco a critiche, oso presumere, più che appropriate e, purtroppo per voi, eternamente attuali, come state constatando, carissima Ippolita, in questo preciso momento.
Ippolita continuò a tacere, segno, da una parte, che i miei "siluri" avevano, egregiamente, colpito il bersaglio, e, vieppiù, che il suo carattere era, oggettivamente, maturato.
Infatti, "soltanto" dieci anni prima, a tali mie parole, sarebbe seguito, senza dubbio alcuno, un accesso d'ira, in puro stile hitleriano, se non un vero e proprio attacco isterico.
Il Lettore merita, a questo punto, di essere informato di come Ippolita, al pari del "Fuhrer", sia nata sotto il segno dell'ariete.
Nel frattempo, mi ero rivestito ed avviato alla porta, ove presi pel mento Ippolita e la baciai.
Ci scambiammo un lunghissimo bacio che aveva l' "arriere gout" di tutti quei baci che non avevamo potuto scambiarci negli anni passati e, forse, al momento allora presente, anche il gusto pieno di un addio, decisamente liberatorio.
Il Lettore, a questo punto, è vivissimamente pregato di ricordare come all'epoca, l'astro di "Lady Rowena" aveva ben iniziato a rifulgere.
Al momento di aprire la porta onde lasciarmi uscire sul pianerottolo, Ippolita mi trattenne e mi domando':
- Al postutto, francamente, non ti capisco: dopo il trattamento da te ricevuto da Livio...
- Ribadisco: su vostra istigazione!
Ippolita non raccolse e proseguì:
- Dicevo: dopo il trattamento ricevuto da Livio, tu ti ostini, dopo dodici anni, a difenderlo?...
Risposi:
- E lo difenderò ancora: carissima Ippolita, non mi risulta che il nome di Livio sia ricompreso nel novero degli assassini di Giulio Cesare...
- Cosa vuoi dire? - domando' la donna, il cui disorientamento era, a queste mie ultime parole, notevolmente, aumentato.
- Voglio dire, che un conto, è la "squisita cortesia" che, voi, le vostre amiche ed il "buon Livio", mi usaste non facendomi entrare nel vostro "rinomato" liceo;
un conto, è il triennale "mobbing", se non, addirittura, bullismo, con cui voi, e gran parte dei vostri compagni di classe, "gratificaste" il medesimo Livio.
A tal ultimo proposito, ed a conti fatti, non so chi si sia comportato peggio: voi od i vostri insegnanti, preside compresa.
- Vale a dire? - domandò Ippolita.
- Vale a dire che, a ben guardare, il vostro comportamento, a due lustri, e rotti, dai fatti, potrebbe, il condizionale è d'obbligo, venir definito, con qualche chilometro cubo di "carità cristiana", come una "ragazzata" o, per meglio dire, "una ragazzata continuata se non, addirittura, permanente".
Tuttavia, sono pronto a scommettere che, la Procura della Repubblica presso il Tribunale dei Minorenni, "oggi, come ieri, come domani", dato l'odierno proliferare di tali, tristi, episodi, potrebbe non condividere tale "benevola diagnosi".
Di contro, l'atteggiamento dei vostri docenti, e della vostra compianta preside, fu, di gran lunga, più grave.
Benché si fossero professati, coralmente ed "ore rotundissimo", amici, "ab immemorabile", del padre di Livio, essi assistettero, impassibili, al vostro operare, senza provvedere ad una, sia pur leggerissima, "tiratina di orecchie" nei vostri confronti: beninteso "in camera caritatis".
Il che, dalle mie parti, verrebbe, senza alcun dubbio, qualificato come "concorso morale", se non come "favoreggiamento personale".
Volete, a questo punto, ancora, continuare a "disquisire, più o meno lamentosamente", sui, del tutto presunti se non addirittura fantomatici, "privilegi" attribuiti a Livio?
Prima di rispondere, vi sarei grato se consideraste, soprattutto, il suo voto di maturità, "incredibilmente" uguale a quelli delle vostre amiche, Alba e Giulia, studentesse di caratura a lui evidentemente inferiore.
Un'ultima notazione: Giulia scambiava il vostro liceo per una sorta di paradiso in terra, ciò nonostante il fatto che, in quarta ginnasio, fu costretta a riparare matematica a settembre (SIC).
Di contro, voi e la vostra amica Alba, mi risultate non esservi trovate del tutto a vostro "agio" nel "glorioso" Liceo Ginnasio di Stato ***, sia pure ognuna per ragioni di natura assolutamente diversa da quelle dell'altra.
Potrei, adunque, sapere come mai non decideste di "cambiare aria"?
La risposta fu il silenzio.
Notai, comunque, che Ippolita era talmente scura in volto da somigliare a Josephine Baker o ad Aretha Franklin.
Conclusi:
- Come dice il proverbio:
- "Meglio un male noto che un bene ignoto".
La battaglia si era conclusa: il silenzio, il silenzio della sconfitta si levava dal lato di Ippolita e, pesante come un macigno, le gravava tutt'attorno.
Era giunto il momento del commiato definitivo. Dissi:
- Comunque siano andate le cose...arrivederci, mia indomita Amazzone!
E, lasciando quella casa, Ippolita, l' "Amazzone", usci, definitivamente, dalla mia vita.

scritto il
2022-07-13
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