Schiava in carcere (parte 6)

di
genere
sadomaso

La protezione da parte della Padrona all'interno del carcere fu sempre più marcata.
Ormai la schiava era definitivamente una cosa di proprietà e godeva di totale immunità tra le detenute.
Nessuna la avvicinava e lei poteva girare tra i corridoi e dormire tranquilla.
Come in tutti i luoghi, ci sono più forze in gioco e, quindi, diversi gruppi di detenute. Lei ormai rientrava nell’equilibrio che si era creato. Nessuna invadeva la competenza di Vincenza così come questa, a sua volta, non invadeva in altri campi quella degli altri gruppi.
Michelle sapeva che non aveva risolto il problema ma, anzi, l’aveva forse peggiorato.
Ormai era considerata una cosa di proprietà e, in quanto tale, ambita.
Il giorno in cui, per qualsiasi motivo, fosse venuta meno la sua appartenenza a Vincenza, sarebbe iniziata la lotta per avere il suo possesso.
Gli equilibri, si sa, per loro natura sono instabili.
Basta un niente, un sasso lungo il tracciato tale da far deviare il percorso.
Nel riassestamento di un equilibrio compromesso, Vincenza venne ferita. Il suo gruppo fece quadrato ma la donna fu trasferita in ospedale per lungo tempo.
Le sorti furono favorevoli al gruppo che faceva capo alla Napoletana, donna da sempre temutissima da Michelle la quale osservava con grande ansia l’interesse di quella donna per lei.
I primi giorni del trasferimento di Vincenza in altra struttura furono impiegati per ristabilire alcuni equilibri.
La tranquillità che circondava Michelle fu fonte di paura per lei, in quanto stava a significare che le sue sorti ancora dovevano essere stabilite.
Gli equilibri compromessi, prima o poi, trovano un nuovo equilibrio.
Lei rientrava in questo.
Se ne rese conto un giorno quando le “amiche” della Napoletana la costrinsero a seguirle. La fecero mettere con la schiena sulla seduta di una sedia. La posizione era scomodissima in quanto appoggiava solo con una piccola porzione del corpo. Aveva la testa penzoloni e si reggeva con le gambe posate a terra, le cui caviglie erano legate alle gambe della sedia, al pari dei polsi.
Soffriva moltissimo ed aveva paura di quale potesse essere il suo uso.
Si verificò che che temeva. La Napoletana, quando lei fu pronta e fu passato un lasso di tempo che contribuì a fare accrescere il suo terrore, entrò in cella e andò a sedersi su di lei, procurandole molto dolore e interrompendo il lamento con un forte schiaffo.
Non ci volle molto a capire che quello era l’atto finale del nuovo equilibrio che, con la sua presa in possesso da parte della nuova Padrona, aveva raggiunto il nuovo assestamento.
In quel momento lei non era una sedia, ma un trono, sul quale la sua nuova Padrona stava seduta per affermare il fatto che l'equilibrio raggiunto pendeva a suo favore.
Non accennò ad alzarsi, traendo particolare piacere dalla posizione e dal dolore della schiava sotto il suo culo.
Se a Vincenza piaceva la sottomissione, alla Napoletana eccitava il dolore altrui, in quanto sadica.
Con la nuova Padrona le era vietato prendere qualsiasi tipo di iniziativa. Riceveva solo ordini ai quali doveva ottemperare senza manifestare dubbio alcuno.
La Napoletana si eccitava nell’osservare la sua schiava percorrere il suo tragitto verso il basso, sempre più giù.
Pretendeva di essere servita in ogni cosa.
In mensa la schiava doveva sedersi davanti a lei e le era precluso il pasto. Il cibo che le spettava veniva suddiviso tra la Napoletana e le sue amiche.
Michelle poteva nutrirsi solo a colazione e a cena ma questo, ovviamente, non era sufficiente per placare la fame.
La schiava iniziò a dimagrire perdendo quel grasso che comunque non aveva.
Con esso perse anche le forze con il risultato di irritare la Padrona perché non aveva le energie utili per prestare un buon servizio. La Napoletana traeva particolare piacere sadico nel pretendere un'energia che sapeva non esistere causa debolezza. Tuttavia questo le dava lo spunto per punirla con schiaffi e frustate con qualsiasi cosa le capitasse sotto mano.
La schiava arrivò dove la Padrona la attendeva: presa da eccessiva fame, iniziò a umiliarsi ai suoi piedi implorando di avere cibo.
Quale risultato, se riusciva ad essere abbastanza divertente o eccitante, riceveva qualche cosa gettato a terra che, prima di poterlo mangiare, veniva preso a calci dalle detenute in cella che se lo passavano come fosse una pallina che lei doveva inseguire, tra il divertimento e l’eccitazione di tutte.
Michelle si rese sempre più conto che ormai quella strada l’avrebbe portata sempre più in basso.
Vincenza era brava a mantenere un equilibrio anche con lei, sottomettendola, divertendosi ma conservando in lei l’interesse alla sua protezione.
La Napoletana invece aveva tutto un altro approccio. La vedeva solo come una bestia da divertimento e la voleva portare sempre più in basso, senza pensare che ad un certo punto l’obbiettivo viene raggiunto e, in quel caso, alla schiava non resta più altro da perdere.
Michelle rivide tutti i suoi errori, si rivide agli inizi della sua detenzione quando, al pari della vita esterna, decise (anche se inizialmente le sembrò una imposizione) di non resistere agli eventi ma di cercare la via più breve.
Ormai non avrebbe avuto più la forza di rialzarsi e di guadagnare quel rispetto utile ad uscire dallo stato di schiavitù.
Con Vincenza non lo avrebbe cercato, attesa l’abilità della sua ex Padrona nel cercare di tenerla sul filo, senza farla cadere da una parte o dall’altra.
Diverso invece con la Napoletana.
Quando si arriva nel punto più basso, è impossibile risalire dalla stessa strada percorsa per la discesa. Infatti, se avesse avuto la forza per percorrere il tragitto a ritroso, avrebbe avuto la forza a monte per non compiere quel percorso.
Le restava solo di cambiare il percorso, cercarne un altro.
Cominciò a cambiare il punto di vista e a non vedere la sua attuale posizione come se fosse una buca scavata nel terreno, sul cui fondo vi erano solo le pareti in terra.
Cominciò invece a pensare di essere sì in un inferno, ma orizzontale, non verticale, nel quale avrebbero potuto esserci altre strade.
Occorreva solo trovare quella giusta posto che adesso si trovava di fronte ad un bivio: o soccombere o vivere.
L'istinto di sopravvivenza riesce a far trovare e percorrere strade impervie, prima sconosciute e impensabili.
Non vide più la sua vita di prima né quella strada che prima percorreva ignorando la prigione.
Vide solo il presente, vide l’inferno nel quale si trovava, ben conscia del fatto che non ne sarebbe uscita se non con le sue forze che sapeva di non avere nel percorso scelto prima, ma che avrebbe potuto avere nel nuovo percorso, che avrebbe dovuto essere dirompente e veloce, in quanto non aveva le energie per una strada lunga.
Lavorò con pazienza, cercando una falla nella rete della sua schiavitù, mentre leccava il culo della padrona o mentre eccitava le detenute strisciando ai loro piedi sul pavimento, inseguendo il pezzo di pane che prendevano a calci per allontanarlo dalla sua bocca.
Trovò la sua nuova strada in un pezzo di ferro, che con pazienza affilò e che, mentre in bagno stava pulendo la figa della Padrona accovacciata sul suo viso dopo avere urinato, le infilò prima nel fianco e, poi, in figa, torcendolo per distruggere con rabbia ciò che c’era dentro.
Colpì ancora fino a lasciarla morire dissanguata.
di
scritto il
2023-01-14
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