Moglie ceduta - roulette russa (parte 5)
di
Kugher
genere
sadomaso
Monica non seppe dire se quella notte fosse stata sveglia oppure se, dormiente, avesse sognato di non dormire, presa dagli accadimenti della serata.
Davanti agli occhi aveva solo la paglia del recinto e, intorno a lei, le mura scrostate e vecchie di una stanza che le sembrava destinata ad ospitare animali in quella che, con ogni probabilità, avrebbe dovuto essere una stalla.
Locali simili erano noti solo attraverso le immagini dei film goduti sul largo divano di casa, nelle serate invernali riscaldate dal camino. Le venne quasi da ridere nel cercare di capire come le fosse venuto in mente di associare la televisione alle fredde serate invernali mentre in estate le serate venivano vissute sempre all’aperto, nei locali del centro o della località di mare, in riva al porto. Non aveva senso quel pensiero, se non nel cercare di compensare la situazione attuale che, per quanto eccitante, doveva essere provvisoria, essendo la realtà ben altra. O, forse, la eccitava il pensiero di essere donna abituata agli agi che, per piacere, accetta di essere rinchiusa in una stanza, in un locale all’opposto delle sue abitudini.
Tornò a concentrarsi sul luogo nel quale si trovava, trovando conferme della sua originale destinazione dall’odore che, negli anni, entra nei muri e resta nell’aria come se quella nuova, prima di sostituirsi a quella allontanata dal ricambio, assorbisse gli odori del posto per conservarli inalterati.
Aveva smesso di guardarsi in giro, così come di concentrarsi sul dolore al corpo per essere stata stesa tutta la notte sul pavimento duro.
Aveva cercato di racimolare la paglia e usarla come cuscino o per attutire le asperità del terreno, irrilevanti per gli animali che stanno in piedi, dolorose per gli umani che vi stanno stesi.
Si dedicò a saggiare la consistenza della catena che, attaccata al collare, la incatenava al muro. Provò a strappare inutilmente il lucchetto.
Era ancora nuda, fatta eccezione per la scarpe col tacco altissimo che le erano state lasciate ai piedi e che le avevano dato tanto fastidio quando aveva percorso il tratto dalla villa al locale dove adesso si trovava a 4 zampe, tirata al guinzaglio, come una bestia, accanto al marito, accompagnata dai Padroni che nemmeno commentavano la serata nella quale era stata frustata, torturata, scopata e schiavizzata. I Padroni avevano preferito concentrarsi sugli ultimi risultati di partite di calcio che lei nemmeno sapeva avessero avuto luogo.
Nel procedere a 4 zampe, il senso di nullità, di essere solo un oggetto, una bestia, le pervase ancora il corpo, nonostante il dolore alle ginocchia al quale resisteva solo perchè, altrimenti, sarebbe stata colpita col frustino nei punti che non le consentivano più di sopportare altri colpi.
Pensando agli accadimenti della sera precedente, si mise in posizione fetale, più per istinto che per la necessità di proteggersi in quanto, in quella situazione e posizione, era esposta a tutto.
Si rese però conto di volere essere esposta a quel tutto che continuava ad eccitarla, ripensando ancora alla forza della situazione vissuta ed al raggiungimento di quel livello di “perversione” che era diventato esigente in lei e nel marito, suo compagno di vita e da una vita.
Le esperienze erano andate sempre in crescendo e ora avevano provato ciò che cercavano, cioè qualcosa che, in quel momento, consideravano l’estremo.
Oggi, quella mattina, si rese conto che l’estremo era stato raggiunto e le piaceva, così come le piaceva il dolore che ancora si muoveva nel suo corpo e le ricordava ciò che era stata ed era: un niente.
La eccitava troppo sapere di essere esposta, una proprietà. Un desiderio frutto di un percorso lungo e lastricato da ore di eccitazione che iniziava al momento della ricerca dei Padroni, per proseguire nelle settimane e mesi successivi, quando, a letto col marito, mentre scopavano, ripensava al vissuto e si eccitavano nel narrarsi l’uso al quale lei era stata sottoposta davanti al marito spettatore inutile, relegato e dimenticato in qualche angolo mentre lei era costretta a soddisfare le voglie e le perversioni del Padrone di turno, sapendo che sarebbe stato un incontro unico, senza anima, senza rapporto umano ma solo fisico.
L’incontro della sera prima, il cui termine non era ancora noto, li avrebbe appagati per molti mesi, il tempo di elaborarlo e viverlo a posteriori, magari cercando con lo sguardo, e temendo di trovarli, i Padroni di quella sera che avevano fatto di lei e di loro ciò che avevano voluto, letteralmente, fortemente, bestialmente.
L’aveva eccitata anche il coinvolgimento di suo marito e pensava con un pizzico di piccante, al suo cazzo duro a lungo ed al quale era stato negato l’orgasmo.
Lo immaginava incatenato, con ancora il cazzo duro, in una cella a fianco.
Abbandonò il pensiero di chiamarlo, per restare sola con sé stessa e il suo piacere di essere una bestia in una stalla, quasi eccitata dall’idea che in uno stallo a fianco vi fosse un animale vero oppure, meglio ancora, altri animali umani a disposizione dei Padroni.
L’uso sessuale del marito aveva aperto nuove frontiere che avrebbero esplorato.
Davanti agli occhi aveva solo la paglia del recinto e, intorno a lei, le mura scrostate e vecchie di una stanza che le sembrava destinata ad ospitare animali in quella che, con ogni probabilità, avrebbe dovuto essere una stalla.
Locali simili erano noti solo attraverso le immagini dei film goduti sul largo divano di casa, nelle serate invernali riscaldate dal camino. Le venne quasi da ridere nel cercare di capire come le fosse venuto in mente di associare la televisione alle fredde serate invernali mentre in estate le serate venivano vissute sempre all’aperto, nei locali del centro o della località di mare, in riva al porto. Non aveva senso quel pensiero, se non nel cercare di compensare la situazione attuale che, per quanto eccitante, doveva essere provvisoria, essendo la realtà ben altra. O, forse, la eccitava il pensiero di essere donna abituata agli agi che, per piacere, accetta di essere rinchiusa in una stanza, in un locale all’opposto delle sue abitudini.
Tornò a concentrarsi sul luogo nel quale si trovava, trovando conferme della sua originale destinazione dall’odore che, negli anni, entra nei muri e resta nell’aria come se quella nuova, prima di sostituirsi a quella allontanata dal ricambio, assorbisse gli odori del posto per conservarli inalterati.
Aveva smesso di guardarsi in giro, così come di concentrarsi sul dolore al corpo per essere stata stesa tutta la notte sul pavimento duro.
Aveva cercato di racimolare la paglia e usarla come cuscino o per attutire le asperità del terreno, irrilevanti per gli animali che stanno in piedi, dolorose per gli umani che vi stanno stesi.
Si dedicò a saggiare la consistenza della catena che, attaccata al collare, la incatenava al muro. Provò a strappare inutilmente il lucchetto.
Era ancora nuda, fatta eccezione per la scarpe col tacco altissimo che le erano state lasciate ai piedi e che le avevano dato tanto fastidio quando aveva percorso il tratto dalla villa al locale dove adesso si trovava a 4 zampe, tirata al guinzaglio, come una bestia, accanto al marito, accompagnata dai Padroni che nemmeno commentavano la serata nella quale era stata frustata, torturata, scopata e schiavizzata. I Padroni avevano preferito concentrarsi sugli ultimi risultati di partite di calcio che lei nemmeno sapeva avessero avuto luogo.
Nel procedere a 4 zampe, il senso di nullità, di essere solo un oggetto, una bestia, le pervase ancora il corpo, nonostante il dolore alle ginocchia al quale resisteva solo perchè, altrimenti, sarebbe stata colpita col frustino nei punti che non le consentivano più di sopportare altri colpi.
Pensando agli accadimenti della sera precedente, si mise in posizione fetale, più per istinto che per la necessità di proteggersi in quanto, in quella situazione e posizione, era esposta a tutto.
Si rese però conto di volere essere esposta a quel tutto che continuava ad eccitarla, ripensando ancora alla forza della situazione vissuta ed al raggiungimento di quel livello di “perversione” che era diventato esigente in lei e nel marito, suo compagno di vita e da una vita.
Le esperienze erano andate sempre in crescendo e ora avevano provato ciò che cercavano, cioè qualcosa che, in quel momento, consideravano l’estremo.
Oggi, quella mattina, si rese conto che l’estremo era stato raggiunto e le piaceva, così come le piaceva il dolore che ancora si muoveva nel suo corpo e le ricordava ciò che era stata ed era: un niente.
La eccitava troppo sapere di essere esposta, una proprietà. Un desiderio frutto di un percorso lungo e lastricato da ore di eccitazione che iniziava al momento della ricerca dei Padroni, per proseguire nelle settimane e mesi successivi, quando, a letto col marito, mentre scopavano, ripensava al vissuto e si eccitavano nel narrarsi l’uso al quale lei era stata sottoposta davanti al marito spettatore inutile, relegato e dimenticato in qualche angolo mentre lei era costretta a soddisfare le voglie e le perversioni del Padrone di turno, sapendo che sarebbe stato un incontro unico, senza anima, senza rapporto umano ma solo fisico.
L’incontro della sera prima, il cui termine non era ancora noto, li avrebbe appagati per molti mesi, il tempo di elaborarlo e viverlo a posteriori, magari cercando con lo sguardo, e temendo di trovarli, i Padroni di quella sera che avevano fatto di lei e di loro ciò che avevano voluto, letteralmente, fortemente, bestialmente.
L’aveva eccitata anche il coinvolgimento di suo marito e pensava con un pizzico di piccante, al suo cazzo duro a lungo ed al quale era stato negato l’orgasmo.
Lo immaginava incatenato, con ancora il cazzo duro, in una cella a fianco.
Abbandonò il pensiero di chiamarlo, per restare sola con sé stessa e il suo piacere di essere una bestia in una stalla, quasi eccitata dall’idea che in uno stallo a fianco vi fosse un animale vero oppure, meglio ancora, altri animali umani a disposizione dei Padroni.
L’uso sessuale del marito aveva aperto nuove frontiere che avrebbero esplorato.
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